N. 202 SENTENZA 24 - 28 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Assicurati che abbiano  svolto  periodi  di
 lavoro   a   tempo   parziale  -  Periodi  lavorativi  calcolati  non
 proporzionalmente   all'orario   effettivamente   svolto   -   Omessa
 previsione   -  Discrezionalita'  legislativa  -  Ragionevolezza  (v.
 sentenze della Corte nn. 417/1996, 127/1992, 440/1991 e  171/1990)  -
 Non fondatezza.
 
 (D.-L.  30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, undicesimo comma, convertito
 nella legge 19 dicembre 1984, n. 863).
 
 (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).
 
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 5, undicesimo
 comma, del d.-l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito nella  legge  19
 dicembre  1984, n. 863 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei
 livelli occupazionali), promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1997
 dal pretore di Torino nel  procedimento  civile  vertente  tra  Palma
 Vilma  e  l'INPS,  iscritta  al  n. 274 del registro ordinanze 1997 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica,  prima  serie
 speciale, n. 22 dell'anno 1997.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonche' l'atto di intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Uditi l'Avvocato Carlo De Angelis per  l'INPS  e  l'Avvocato  dello
 Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  civile  promosso nei confronti
 dell'INPS per la rideterminazione dell'ammontare del  trattamento  di
 pensione  secondo  i criteri stabiliti per il lavoro a tempo parziale
 dall'art.  5, undicesimo comma, del d.-l. 30 ottobre  1984,  n.  726,
 quale convertito nella legge 19 dicembre 1984, n. 863 (Misure urgenti
 a  sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), il pretore di
 Torino, in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  ha  sollevato  -  in
 riferimento  agli  artt.  3 e 38, secondo comma, della Costituzione -
 questione di legittimita' costituzionale della  citata  norma,  nella
 parte  in  cui  questa  non  prevede  il  computo  dell'anzianita' in
 proporzione all'orario effettivamente svolto per i periodi di  lavoro
 a  tempo  parziale effettuati dagli assicurati "in qualunque epoca ed
 anche senza trasformazione di contratto".
   Il  pretore  rimettente,  sul   presupposto   che,   per   espressa
 disposizione  di  legge,  tale criterio di computo dell'anzianita' e'
 applicabile solo nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da
 tempo parziale a tempo pieno e viceversa, e solo  per  i  periodi  di
 lavoro a tempo parziale successivi al 6 gennaio 1985 (data di entrata
 in  vigore  della  legge di conversione del d.-l. 30 ottobre 1984, n.
 726),  dubita   della   legittimita'   costituzionale   della   norma
 denunciata,  sia  in  riferimento  all'art.  38, secondo comma, della
 Costituzione,  perche'  "prevede  una  copertura  pensionistica   non
 conforme  a quanto la stessa legge richiede di versare in costanza di
 attivita'  lavorativa",  sia  in   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione,  perche' presenta tratti di "manifesta irrazionalita'",
 potendo "ridondare anche a carico dell'INPS in caso di trasformazione
 dei rapporti di lavoro da part time a full time", e perche' tratta in
 modo uguale situazioni disuguali ("lavoratori che hanno lavorato  per
 un   quantum   diverso,  eseguendo  inoltre  versamenti  contributivi
 diversi").
   Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo  sottolinea
 che   la  norma  denunciata,  ove  non  dichiarata  incostituzionale,
 imporrebbe il  rigetto  della  domanda,  poiche'  l'assicurata  aveva
 prestato  la  sua  attivita'  lavorativa in due distinti periodi, con
 soluzione di continuita', in base a due rapporti di lavoro e non  con
 la  "trasformazione"  di  un unico rapporto richiesta dalla legge: un
 primo periodo a tempo pieno, anteriormente al 6 gennaio 1985,  ed  un
 secondo,  successivo,  periodo  a  tempo  parziale,  iniziato prima e
 cessato dopo la data suddetta.
   2. -  Si  e'  costituito  in  giudizio  l'INPS  ed  ha  chiesto  la
 declaratoria di infondatezza della questione, osservando che la ratio
 della  norma  denunciata,  diretta a facilitare la trasformazione del
 rapporto di lavoro da  tempo  pieno  a  tempo  parziale,  esclude  la
 rilevanza  dei  casi  in  cui - come in quello di specie - non vi sia
 stata tale trasformazione.
   3. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilita' e comunque della
 manifesta   infondatezza   della   questione   sotto   il    profilo,
 rispettivamente,  della  non  censurabilita' di una norma sol perche'
 potrebbe dar luogo a trattamenti differenziati e della ragionevolezza
 di una disciplina che, per la sua applicazione,  esiga,  nell'a'mbito
 della discrezionalita' propria del legislatore, la determinazione del
 momento di passaggio da tempo pieno a tempo parziale.
   4.  - Nell'imminenza dell'udienza l'INPS ha depositato una memoria,
 insistendo per la declaratoria di infondatezza della questione.
   Secondo   l'Istituto,   la   norma   denunciata,   attraverso    la
 neutralizzazione  degli  effetti previdenziali negativi connessi alla
 trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
 e viceversa,  intenderebbe  agevolare  la  flessibilita'  del  lavoro
 nell'azienda,  favorendo  la  possibilita'  di  nuove  assunzioni, in
 attuazione del dichiarato obiettivo dello stesso  d.-l.  n.  726  del
 1984,  di  sostenere  ed  incrementare  i  livelli  occupazionali: la
 diversita' di tale ipotesi rispetto a  quella  di  rapporti  sorti  e
 cessati  come  rapporti  di  lavoro  a  tempo parziale, e percio' non
 inquadrabili  in  una  prospettiva  di  incremento   dell'occupazione
 aziendale,  renderebbe  ragione  della  specialita'  della disciplina
 previdenziale   in   riferimento   ad   entrambi   i   parametri   di
 costituzionalita' evocati dal giudice a quo.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 5, undicesimo comma, del d.-l. 30  ottobre  1984,  n.  726,
 convertito  nella  legge  19  dicembre 1984, n. 863 (Misure urgenti a
 sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), "nella parte  in
 cui  non  prevede  che,  per  gli  assicurati  i quali abbiano svolto
 periodi di lavoro a tempo parziale, in qualunque epoca ed anche senza
 trasformazione  di  contratto,  i  periodi  in  questione  non  siano
 calcolati proporzionalmente all'orario effettivamente svolto".
   Secondo  il  rimettente,  tale  norma  viola: a) l'art. 38, secondo
 comma,   della   Costituzione   perche'   "prevede   una    copertura
 pensionistica  non  conforme  a  quanto  la  stessa legge richiede di
 versare in costanza di attivita'  lavorativa";  b)  l'art.  3  Cost.,
 sotto  il doppio profilo della "manifesta irrazionalita'" (poiche' la
 "disposizione puo' ridondare anche a carico  dell'INPS,  in  caso  di
 trasformazione  di  rapporti  di  lavoro da part time a full time") e
 della disparita'  di  trattamento  perche'  "tratta  in  modo  uguale
 situazioni  disuguali  (lavoratori  che hanno lavorato per un quantum
 diverso, eseguendo inoltre versamenti contributivi diversificati)".
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - Il primo dei due distinti aspetti, in cui  viene  articolata
 la   censura   d'illegittimita'  costituzionale,  concerne  l'a'mbito
 d'applicabilita' in senso orizzontale della denunciata norma. Secondo
 il giudice  a  quo  infatti,  questa  parla  di  "trasformazione  del
 rapporto  da  full  time  a  part  time  e  non  si vede come il dato
 letterale possa essere superato" per estenderlo anche ai rapporti non
 "trasformati", cioe' nati ed estinti come di lavoro a tempo parziale.
   Il giudice a quo fondando l'esegesi  della  disposizione  sul  solo
 elemento  letterale, senza utilizzare gli altri strumenti ermeneutici
 consentiti  dall'ordinamento,  in  particolare   quello   storico   e
 logico-sistematico,  ha  omesso  di verificare la possibilita' di una
 diversa interpretazione in senso conforme alla  Costituzione.  Esame,
 quest'ultimo,  tanto  piu' doveroso in quanto, pur mancando un vero e
 proprio diritto vivente sul punto, si  riscontra  tuttavia  un  ampio
 orientamento   della   giurisprudenza   e  della  dottrina  a  favore
 dell'applicabilita' della norma stessa anche ai rapporti di lavoro  a
 tempo  parziale  non  trasformati, tanto da consentire il superamento
 dei prospettati dubbi  d'illegittimita'  costituzionale,  secondo  le
 considerazioni qui di seguito esposte.
   2.1.1.  - Il d.-l. n. 726 del 1984, quale convertito nella legge n.
 863 del 1984, ha il dichiarato obiettivo, desumibile dall'"argomento"
 del titolo, di sostenere ed incrementare i livelli occupazionali.   A
 questo   fine   -  secondo  quanto  emerge  dai  lavori  preparatori,
 segnatamente dalla relazione al disegno di  legge  di  conversione  -
 esso,  attraverso la regolamentazione sostanziale e previdenziale del
 lavoro a tempo parziale, intende  soddisfare  una  duplice  esigenza:
 quella personale di chi "ricerchi un'occupazione con orari piu' brevi
 della   durata   normale   della  prestazione"  ("anziani,  invalidi,
 handicappati, studenti, genitori con figli in tenera eta'") e  quella
 generale di "restituire elasticita' al sistema produttivo".
   Alla  stregua di tale ratio legislatoris, e' plausibile l'implicito
 assunto del giudice a quo che la norma denunciata, siccome  intesa  a
 favorire  il  rapporto  di  lavoro  a  tempo  parziale,  comporti  un
 trattamento  pensionistico  complessivamente  piu'   favorevole   del
 precedente.   E,  del  resto,  proprio  in  questa  direzione  si  e'
 sviluppata  la  prassi  amministrativa  dell'Istituto  previdenziale,
 privilegiando,  tra  le  varie opzioni interpretative (anche di segno
 opposto),  quella  per  cui  la  norma  incide  contemporaneamente  e
 correlativamente    su   entrambi   i   parametri   del   trattamento
 pensionistico: sul computo dell'anzianita' assicurativa, contraendola
 in proporzione ai periodi di lavoro a tempo parziale, e  sul  calcolo
 della  retribuzione  media  pensionabile,  delimitando in base a tale
 "proporzionamento"  il  periodo  di  riferimento  delle  retribuzioni
 cumulate,  indicato  dall'art.  3 della legge 29 maggio 1982, n. 297,
 nelle ultime 260 settimane di contribuzione.
   2.1.2. - Codesto implicito assunto  costituisce,  all'evidenza,  la
 premessa  da  cui muove il rimettente per denunciare il conflitto tra
 l'intento dichiarato del  legislatore  di  agevolare  il  ricorso  al
 lavoro  a  tempo  parziale  in  generale  e  la  lettera dell'art. 5,
 undicesimo comma, del d.-l. n. 726 del 1984, che sembra  limitare  il
 menzionato computo proporzionale dell'anzianita' assicurativa ai casi
 di  trasformazione  del  rapporto  da  tempo pieno a tempo parziale e
 viceversa.
   Ma, come sopra accennato, parte considerevole della  giurisprudenza
 di  merito e della dottrina nonche', successivamente all'ordinanza di
 rimessione, la stessa Corte di legittimita',  al  fine  di  escludere
 tale apparente limitazione, hanno valorizzato la ratio legis, desunta
 dall'intero  testo e dall'origine storica della legge, individuandola
 nell'intento di agevolare anche sul  piano  previdenziale  il  modulo
 lavorativo  del  tempo  parziale.  In  questa  prospettiva,  e' stato
 persuasivamente osservato che una  talmente  chiara  finalita'  della
 normativa  impone  di leggere la denunciata norma come riferita anche
 ma non solo al caso di trasformazione del rapporto: nel senso che  il
 legislatore, disciplinando una peculiare fattispecie, suscettibile di
 creare  dubbi per il permanere dell'unicita' del rapporto lavorativo,
 ha nel contempo fissato una regola valida per  tutte  le  ipotesi  di
 rapporto a tempo parziale.
   Il  disegno  del legislatore di "sostegno ed incremento dei livelli
 occupazionali" attraverso il recupero di "flessibilita'" del  sistema
 produttivo  a  se'guito  di  una  maggiore utilizzazione del lavoro a
 tempo parziale, non puo' realizzarsi, infatti, se  non  eliminando  i
 piu'  gravi effetti previdenziali negativi per l'assicurato, connessi
 a tale modulo lavorativo: lo stesso articolo 5 prevede  in  proposito
 la   frazionabilita'  oraria  del  minimale  retributivo  giornaliero
 imponibile ai fini  previdenziali.  Rispetto  a  tale  ratio  sarebbe
 percio'  palesemente  irrazionale  che  uno  dei principali ostacoli,
 sotto l'aspetto della disciplina previdenziale, a stipulare contratti
 di lavoro a tempo parziale (cioe' il mancato  "proporzionamento"  del
 periodo    di    riferimento   retributivo   all'orario   di   lavoro
 effettivamente svolto) venisse eliminato  dalla  legge  soltanto  nei
 casi di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale o
 viceversa,  permanendo invece nei casi - non meno importanti, perche'
 altrettanto idonei a favorire la "flessibilita'" dell'intero  sistema
 e  l'incremento  dell'occupazione in generale - di rapporti di lavoro
 sin dall'inizio a tempo parziale e destinati a rimanere tali.
   D'altronde,  che  il   legislatore   abbia   avuto   di   mira   la
 "flessibilita'"   e   l'occupazione   nel   loro   complesso,  e  non
 esclusivamente nell'a'mbito aziendale,  e'  confermato  dall'espressa
 applicabilita'  della  norma  anche all'ipotesi di trasformazione del
 rapporto da tempo parziale a tempo pieno. Donde l'inconsistenza della
 tesi  difensiva  dell'INPS,   secondo   cui   la   norma   denunciata
 riguarderebbe  solo le ipotesi di trasformazione del rapporto poiche'
 mirerebbe esclusivamente all'incremento del  livello  di  occupazione
 nelle  singole  aziende  consentendo l'assunzione di altri lavoratori
 per completare l'orario reso disponibile dalla trasformazione a tempo
 parziale del rapporto.
   2.1.3.  -  L'estensibilita'  della  disciplina  previdenziale   dei
 rapporti  di lavoro trasformati ai rapporti non trasformati e' dunque
 fondata su argomentazioni plausibili, e si accorda con  la  strategia
 del  legislatore  mirante  a  favorire  la diffusione del rapporto di
 lavoro a tempo parziale, sia nel lavoro privato (v.,  da  ultimo,  la
 legge  5 febbraio 1999, n. 25, con delega al Governo per l'attuazione
 della direttiva comunitaria del Consiglio del  15  dicembre  1997  n.
 97/1981/CE, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale),
 sia  nel  pubblico  impiego  (per  il  quale, tra l'altro, sono state
 fissate regole di "proporzionamento" ai fini previdenziali: artt. 7 e
 8 della legge 29 dicembre 1988, n. 554).
   Non si  vede  allora  perche'  il  giudice  a  quo  abbia  respinto
 aprioristicamente   tale  tesi,  venendo  cosi'  meno  al  dovere  di
 scegliere, fra le diverse possibili interpretazioni  della  norma  da
 applicare,  quella  risultante  conforme  ai principi costituzionali.
 Tanto  piu',  poi,  che  egli  stesso  osserva,   nell'ordinanza   di
 rimessione,  come  la  computabilita'  in  misura  proporzionale vada
 operata ancorche' la trasformazione del rapporto a tempo parziale sia
 avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge di  conversione  e,
 giusta  l'espressa  previsione,  soltanto  per  i  periodi  di lavoro
 successivi: dati, questi, che  insieme  concorrono  a  rendere  priva
 d'alcun  ragionevole  motivo  -  secondo  quanto  anche  la  Corte di
 cassazione  ha  rilevato  -  l'asserita  non   applicabilita'   della
 denunciata  norma  ai  rapporti  di  lavoro a tempo parziale sorti ed
 estinti come tali.
   2.2. - Il secondo aspetto della questione concerne l'applicabilita'
 in senso diacronico della  denunciata  norma.  Ritiene,  infatti,  il
 rimettente  che questa violi entrambi i parametri come sopra evocati,
 nel prevedere "la computabilita' in misura proporzionale soltanto per
 la parte di rapporto a  tempo  parziale  (ancorche'  stipulato  prima
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione) che ha avuto
 esecuzione  successivamente  al  6  gennaio  1985",  giorno in cui e'
 entrata in vigore la legge stessa.
   Al riguardo e' sufficiente rammentare e ribadire quanto piu'  volte
 gia'  affermato  da  questa  Corte,  che  cioe'  rientra  nella piena
 discrezionalita'  legislativa  fissare  termini  di  decorrenza   per
 determinati effetti giuridici, anche nella materia previdenziale, col
 solo limite generale della ragionevolezza e non arbitrarieta' (v., ex
 plurimis,  sentenze nn. 417 del 1996, 127 del 1992, 440 del 1991, 171
 del 1990). Limite certamente rispettato  nella  specie,  non  essendo
 ravvisabile  (ne', del resto, avendo il rimettente offerto specifiche
 indicazioni  in  proposito)  alcun  elemento   di   arbitrio   o   di
 irrazionalita'  nella  scelta  del  legislatore  di fissare il giorno
 dell'entrata in vigore della norma di maggior favore, quale  data  di
 riferimento  per  i  periodi di lavoro assoggettabili al nuovo regime
 previdenziale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  5,  undicesimo  comma,  del d.-l. 30 ottobre 1984, n. 726,
 convertito nella legge 19 dicembre 1984, n.  863  (Misure  urgenti  a
 sostegno  e  ad  incremento  dei livelli occupazionali) sollevate, in
 riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal
 pretore di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 28 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0570