N. 204 ORDINANZA 24 - 28 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Ricusazione del giudice - Motivo dell'ipotesi in
 cui questi si sia pronunciato sui fatti oggetto dell'imputazione,  in
 sentenza  emessa  in  altro  procedimento  anche  non penale - Omessa
 previsione -  Abilitazione  a  sollevare  questione  di  legittimita'
 costituzionale  soltanto  per  il giudice competente a decidere sulla
 ricusazione - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 37, primo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa  il  7
 gennaio  1998  dal  pretore  di Trento sezione distaccata di Cles nel
 procedimento penale a carico  di  V.  I.,  iscritta  al  n.  184  del
 registro  ordinanze  1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio  del  14  aprile  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  il pretore di Trento, Sezione distaccata di Cles, ha
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, del
 codice di procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevede  come
 motivo  di  ricusazione  del  giudice  l'ipotesi in cui questi si sia
 pronunciato sui fatti oggetto dell'imputazione in una sentenza emessa
 in altro procedimento anche non penale;
     che il giudice rimettente, chiamato  a  giudicare  quale  pretore
 penale  del  reato  previsto dall'art. 186 del decreto legislativo 30
 aprile 1992, n. 285 (guida in stato di ebbrezza), premette:
      di avere,  prima  del  rinvio  a  giudizio,  pronunciato,  quale
 giudice  del  procedimento di opposizione instaurato ex artt. 205 del
 decreto legislativo n. 285 del 1992 e  22  della  legge  24  novembre
 1981, n.  689, sentenza avverso il provvedimento di sospensione della
 patente  di  guida  emesso  dal  Commissario  per  il  Governo  della
 Provincia di Trento, e di avere accolto  il  ricorso,  annullando  il
 provvedimento   di   sospensione   provvisoria   della   patente  per
 insussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza;
      di essere stato poi chiamato a giudicare  quale  pretore  penale
 del  predetto  reato e di avere sollevato, in tale sede, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc.   pen.,
 nella  parte  in  cui  non prevede l'incompatibilita' del giudice del
 dibattimento che in  precedenza  abbia  pronunciato  sentenza  in  un
 procedimento  di  opposizione a provvedimento amministrativo ai sensi
 della legge n. 689 del 1981, valutando incidentalmente la sussistenza
 del fatto-reato;
     che con la sentenza n. 308 del 1997 la Corte costituzionale,  pur
 riconoscendo  che nel caso in esame  emergeva una situazione di fatto
 che avrebbe potuto determinare un pregiudizio per l'imparzialita' del
 giudice,aveva dichiarato inammissibile la questione,  affermando  che
 nell'ipotesi presa in considerazione - in cui l'effetto pregiudicante
 scaturiva  dal  compimento  di  atti  in  un diverso procedimento, di
 natura extrapenale - la  tutela  del  valore  dell'imparzialita'  del
 giudice  andava  ricercata  negli  istituti  dell'astensione  e della
 ricusazione, cosi' come  attualmente  disciplinati,  o  eventualmente
 integrati da un intervento della Corte stessa;
     che  alla  ripresa  del  procedimento il pubblico ministero aveva
 proposto dichiarazione di ricusazione perche'  l'attuale  giudicante,
 in   qualita'  di  giudice  civile  nel  precedente  procedimento  di
 opposizione, aveva "espresso una compiuta decisione,  con  preventivo
 esame  del  merito,  della  medesima  questione  oggetto dell'odierno
 procedimento";
     che, sulla base di queste premesse, il giudice rimettente  rileva
 che, allo stato del diritto positivo, la dichiarazione di ricusazione
 proposta  dal pubblico ministero non trova fondamento in alcuna delle
 previsioni di cui all'art. 37 cod. proc. pen;
     che, ad avviso del rimettente, il caso in esame  "potrebbe  forse
 rientrare   nell'ipotesi   residuale   delle   ''gravi   ragioni   di
 convenienza'' che giustificano l'astensione del  giudice  secondo  la
 lettera  h)  del  comma  1  dell'art.  36  cod. proc. pen." mentre la
 dichiarazione di ricusazione del pubblico ministero  non  rientra  in
 alcuna  delle  ipotesi tipiche previste dall'art. 37 cod. proc. pen.,
 in quanto tale norma non richiama la lettera h) dell'art.  36,  comma
 1, cod. proc. pen., ne', d'altro canto, nella lettera b) dell'art. 37
 cod.  proc.  pen.    puo'  essere  ricompresa  in  via  analogica  la
 situazione  in  cui  il  giudice  abbia  espresso  "debitamente"  nel
 procedimento  extrapenale  una  valutazione  di  merito  sui fatti di
 causa;
     che risulterebbe pertanto violato il principio dell'imparzialita'
 del  giudice,  in  quanto  alle  parti  non  e'  dato  disporre dello
 strumento della ricusazione nei casi in  cui  la  manifestazione  del
 proprio  convincimento  sui  fatti  oggetto  dell'imputazione non sia
 stata espressa  "indebitamente",  ma  nel  doveroso  esercizio  delle
 funzioni giurisdizionali;
     che  tale lacuna comporta, secondo il giudice a quo la violazione
 dell'art. 3 Cost., per la irrazionale  differenza  rispetto  al  caso
 disciplinato  dall'art.  37,  comma  1,  lettera b), cod. proc. pen.,
 essendo  irrilevante,  ai  fini   della   "coazione   psicologica   e
 motivazionale  della forza di prevenzione", che la manifestazione del
 proprio  convincimento   sia   stata   espressa   "indebitamente"   o
 "debitamente",   nonche'   dell'art.      24   Cost.,   "sia  per  la
 ingiustificata limitazione dei poteri difensivi delle parti, sia  per
 la  ingiusta  prospettiva  che si aprirebbe, laddove si ammettesse la
 celebrazione del  processo  da  parte  di  un  organo  giudicante  di
 riconosciuta non imparzialita'".
   Considerato  che,  alla stregua del sistema delineato dal codice di
 procedura penale, competente  a  decidere  sulla  ricusazione  e'  il
 giudice  di  "grado"  superiore  -  il  tribunale, nel caso in cui ad
 essere ricusato sia il pretore (art. 40 cod. proc. pen.) - e che tale
 giudice, per espresso disposto dell'art.  41,  comma  1,  cod.  proc.
 pen.,  e'  anche  competente  a  decidere  sull'ammissibilita'  della
 dichiarazione di ricusazione;
     che questa Corte ha  gia'  avuto  occasione  di  intervenire  sui
 poteri  del  giudice  ricusato  durante  la  vigenza  del  codice  di
 procedura penale del 1930, rilevando che il giudice ricusato  non  e'
 legittimato  a  sollevare  questione  di  costituzionalita' in ordine
 all'incidente di ricusazione che lo riguarda, in quanto, diversamente
 opinando,   verrebbe   stravolto   il   sistema    che    attribuisce
 esclusivamente  al  giudice superiore la competenza a giudicare sulla
 ricusazione  e  lo  stesso  giudice  ricusato  verrebbe  abilitato  a
 disporre  la  sospensione del processo principale, che il legislatore
 ha  invece  riservato  al  giudice  competente  dopo  la  valutazione
 dell'ammissibilita'  dell'atto  di  ricusazione  (sentenza n. 138 del
 1983);
     che alla stregua della disciplina prevista dal vigente codice  di
 procedura  penale,  che  a  differenza  del  codice del 1930, riserva
 espressamente al giudice competente  a  giudicare  sulla  ricusazione
 anche  la  competenza  a  decidere  in ordine alla sua ammissibilita'
 (art. 41, comma 1, cod. proc. pen.), si deve ribadire che il  giudice
 ricusato non puo' sollevare questione di legittimita' costituzionale;
     che,  inoltre, il giudice rimettente avrebbe comunque dovuto dare
 conto delle ragioni per cui non ha ritenuto di doversi  astenere  per
 gravi ragioni di convenienza, pur avendo dubitativamente asserito che
 nell'ipotesi  in  esame poteva configurarsi la causa di astensione di
 cui all'art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., che  determina
 anch'essa l'obbligo del giudice di astenersi;
     che  la  questione  sollevata dal rimettente deve pertanto essere
 dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto  solo  il  giudice
 competente  a  decidere  sulla  ricusazione sarebbe stato abilitato a
 sollevare questione di legittimita' costituzionale;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  37,  comma  1, del codice di
 procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e  24  della
 Costituzione,  dal pretore di Trento, Sezione distaccata di Cles, con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 palazzo della Consulta, il 24 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 28 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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