N. 585 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 1998

                                N. 585
  Ordinanza emessa il 13 novembre 1998 dal tribunale, sezione  per  il
 riesame di Napoli sull'appello proposto da D'Alessandro Cipriano
 Processo  penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in
    carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di  fase  -
    Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione
    del  procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia
    della misura solo nel caso di superamento del  termine  di  durata
    complessivo  e  non  anche  nel caso di superamento del doppio del
    termine  di  fase  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto   alla
    disciplina  dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui
    all'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale.
 (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4).
 (Cost., art. 3).
(GU n.43 del 27-10-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza su appello proposto  nell'interesse
 di D'Alessandro Cipriano avverso ordinanza 14 agosto 1998 della Corte
 di  assise  di  S.  Maria C. V., sezione feriale, con la quale veniva
 rigettata istanza di scarcerazione per  scadenza,  nella  fase  delle
 indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare;
                             O s s e r v a
   1. - Come risulta dagli atti trasmessi dall'a.g. procedente e dalla
 "posizione giuridica successivamente acquisita, D'Alessandro Cipriano
 e'   sottoposto   a  custodia  cautelare  in  carcere  per  reato  di
 associazione mafiosa (e per  altri  reati  omicidiari)  in  forza  di
 ordinanza  coercitiva  emessa  dal  g.i.p.  del  tribunale  di Napoli
 nell'ambito del procedimento c.d. Spartacus del 5 dicembre 1995.
   L'appellante fu rinviato a giudizio avanti alla Corte di assise  di
 Napoli,  la  quale  pero', con sentenza 22 ottobre 1997, dichiaro' la
 propria incompetenza per territorio e rimise gli atti al p.m.   della
 D.D.A.  di  Napoli  perche'  promuovesse  l'azione penale avanti alla
 Corte di assise di S. Maria C. V. A tanto il p.m. ha poi provveduto e
 in data 4 aprile 1998 e' stato emesso dal  g.i.p.  nuovo  decreto  di
 rinvio a giudizio.
   La   difesa   ha   formulato  istanza  di  scarcerazione  invocando
 l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con
 sentenza n.  292/1998 e, con l'appello proposto  ai  sensi  dell'art.
 310 c.p.p.  avverso il provvedimento di rigetto della Corte di assise
 di S. Maria C. V. deduce: "L'ordinanza impugnata si basa su un errore
 iniziale;  dopo  aver  riportato  i pareri della sentenza della Corte
 costituzionale 292 del 18  luglio  1998,  sostiene  che  trattasi  di
 sentenza interpretativa di rigetto, priva di efficacia generale e non
 vincolante    per    il   giudice   ''trovando''   spazio   operativo
 esclusivamente nel processo in cui e' stata sollevata la questione di
 incostituzionalita'   il    cui    solo    giudice    e'    vincolato
 dall'interpretazione  ''costituzionale''  (nel senso di conforme alla
 Costituzione) assunta dalla Corte".
   Questa  affermazione  e'  del  tutto  errata in quanto la normativa
 costituzionale stabilisce proprio  il  contrario;  l'art.  30,  terzo
 comma  della  legge  11  marzo  1953  n.  87,  stabilisce  "le  norme
 dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno
 successivo  alla   pubblicazione   della   decisione";   sicche'   la
 sopravvenuta  inefficacia  della  norma  dichiarata  incostituzionale
 riferisce al momento della decisione, per  quanto  riguarda  il  caso
 deciso   dalla   Corte  costituzionale  e,  per  quanto  riguarda  la
 generalita', va applicata dal giorno  successivo  alla  pubblicazione
 della sentenza.
   Non  cosi'  avviene per quanto concerne le sentenze interpretative,
 in quanto esse non dichiarano la inefficacia di alcuna norma  ma,  in
 conformita'  di  un  compito di controllo della Corte costituzionale,
 che solo la Corte puo' avere, stabiliscono  quale  sia  la  esatta  e
 corretta lettura delle norme sottoposte a giudizio.
   Proprio   perche'  si  tratta  di  una  statuizione  relativa  alla
 correttezza costituzionale della interpretazione normativa, essa  non
 solo  vale  per tutti, ma anche efficacia ex tunc, in quanto una tale
 corretta  lettura  della  norma  doveva  avvenire  anche  prima   dei
 chiarimenti  della Corte costituzionale, essendo quello il suo valore
 fin dall'origine anche se, prima dei chiarimenti suddetti vi e' stata
 data una lettura diversa. Stando cosi'  le  cose  e'  chiaro  che  la
 sentenza  interpretativa vincola anche il giudice e qualunque giudice
 poiche', al  di  fuori  dell'interpretazione  autentica,  data  dallo
 stesso  organo  legislativo,  non  vi e' altro organo, oltre la Corte
 costituzionale,  che   possa   stabilire   se   l'interpretazione   o
 l'applicazione  della  norma e' corretta o meno, rispetto ai principi
 stabiliti dalla Costituzione.
   Una volta che questa si e' pronunciata sulla questione, il  giudice
 non  puo'  dire di essere di diverso parere, perche' si attribuirebbe
 un compito che non gli spetta e disattenderebbe, invece  la  corretta
 applicazione di una norma per come essa deve essere fatta, secondo la
 statuizione dell'unico organo di giurisdizione costituzionale.
   L'ordinanza impugnata, partendo dall'errore iniziale, si dilunga in
 una  interpretazione  normativa,  per concludere che non e' possibile
 nel caso in esame la somma dei termini relativi  a  periodi  diversi,
 cioe'  quelli concernenti la fase preliminare e quelli concernenti la
 fase dibattimentale, poi  annullata;  l'ordinanza  detrae  quindi  il
 periodo  che  va dall'8 novembre 1996 al 22 ottobre 1997, relativo al
 primo grado di giudizio, che  dichiaro'  la  propria  incompetenza  e
 determino' la retrocessione del procedimento.
   Innanzitutto  non  vi  e'  nessuna  differenza  -  ai nostri fini -
 relativa  al  motivo  per  cui  vi  e'  stata  la   regressione   del
 procedimento  -  incompetenza o dichiarazione di nullita' del decreto
 che dispone il giudizio; infatti e' in virtu'  della  sentenza  della
 Corte  costituzionale n.   70 del 15 marzo 1996, che gli atti vengono
 restituiti al p.m. e non piu' al giudice competente e, quindi, vi  e'
 la regressione alla fase della udienza preliminare.
   In  ogni  caso pero' la Corte non ha tenuto presente che proprio il
 protrarsi sine die    della  carcerazione  preventiva  a  seguito  di
 sospensioni  o regressioni del procedimento - nell'ambito di ciascuna
 fase processuale  -  e'  stato  ritenuto  non  corretto  dalla  Corte
 costituzionale,  infatti nella sentenza n. 292 del 18 luglio 1998, si
 afferma  tra  l'altro,  molto  chiaramente:  "il  superamento"  di un
 periodo di custodia, pari al doppio del termine stabilito per la fase
 presa in considerazione, determina  la  perdita  di  efficacia  della
 custodia, anche se quei termini sono stati sospesi, prorogati o - per
 stare  al  caso  che  qui  interessa  -  sono  cominciati a decorrere
 nuovamente a causa della regressione del processo".
   La stessa sentenza poi - pag. 10 - chiarisce che proprio l'imputato
 incolpevole della regressione non  deve  essere  penalizzato  da  una
 interpretazione  difforme  da  quella  data,  "derivando di regola la
 regressione o il rinvio da un errore in  cui  e'  incorsa  la  stessa
 autorita' giudiziaria".
   Non e' inutile sottolineare che proprio in questo caso gli imputati
 furono  mandati  a  giudizio  innanzi alla Corte di assise di Napoli,
 nonostante le eccezioni relative alla  mancanza  di  connessione  tra
 taluni  reati,  e  comunque  furono rinviati a giudizio, innanzi a un
 giudice che si dichiaro' incompetente per territorio,  accettando  le
 prospettazioni  della  difesa,  il  che  significa  che fu errore del
 giudice  il  rinvio  a  giudizio  innanzi  ad   organo   giudiziario,
 dichiaratosi incompetente.
   Comunque  non ha alcun valore il motivo per il quale vi e' stato il
 prolungamento   della   carcerazione   preventiva   (sospensione    o
 regressione  del  procedimento),  sta  di fatto che in nessun caso il
 termine stabilito per una fase processuale puo' essere  superato  per
 piu'  di un periodo uguale al termine stesso, sicche' la carcerazione
 perde di efficacia  quando  viene  superato  il  doppio  del  termine
 stabilito per la fase presa in considerazione".
   2.  -  Non  e' dubbio che nella specie, a seguito della sentenza di
 incompetenza pronunciata dalla Corte  di  assise  di  Napoli,  si  e'
 verificata  la regressione del procedimento nella fase delle indagini
 preliminari  e  la  nuova  decorrenza  del  termine  della   custodia
 cautelare  relativo  a  tale  fase, secondo quanto previsto dall'art.
 303/2 c.p.p.
   La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui,  a  seguito
 di  annullamento  con rinvio da parte della Corte di cassazione o per
 altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a  un  grado  di
 giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del
 provvedimento  che  dispone  il  regresso  o  il  rinvio ovvero dalla
 sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i
 termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato  e  grado
 del procedimento".
   La  previsione  dell'art.  303/2  era  stata  piu' volte oggetto di
 questioni di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne  aveva
 sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando:
     che  la norma, nel parificare, agli effetti dell'allungamento del
 termine di fase, la regressione del procedimento per nullita'  (anche
 nel  caso  di  gravi  vizi  di  costituzione  delle parti) alle altre
 ipotesi di regressione stabilite dalla legge,  non  contrasta  con  i
 principi   di   ragionevolezza   e   di  uguaglianza  (art.  3  della
 Costituzione), poiche'  essa  intende  in  ogni  caso  bilanciare  le
 conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter processuale con il
 permanere  delle  esigenze  cautelari, consentendo l'allungamento del
 termine di fase, ma comunque entro il termine di  durata  complessiva
 della   custodia  stabilito  dall'art.  303/4  (Cass.,  sez.  VI,  n.
 915/1993, Esposito);
     che non sussiste violazione dell'art. 13, ultimo comma, Cost., in
 quanto   la  norma  costituzionale  impone  che  la  legge  ordinaria
 stabilisca, per il completamento dell'intero procedimento, il  limite
 massimo  alla  carcerazione  preventiva,  ma  non esige anche che sia
 fissato  altro  limite  parziale  interno   a   ciascuna   fase   del
 procedimento stesso (Cass., sez. VI, n. 3525/1993, Massidda);
     che   non   sussiste   violazione  degli  artt.  13  e  24  della
 Costituzione perche', da un  lato,  e'  comunque  previsto  un  tetto
 massimo  della  custodia  cautelare,  conformemente  a quanto dispone
 l'art. 13 Cost;
     che riserva alla discrezionalita'  del  legislatore  ordinario  i
 casi  e  i  modi  della  detenzione  e,  in  genere, di ogni forma di
 restrizione della liberta' personale e, dall'altro,  non  puo'  farsi
 commistione  tra  il  diritto  di  difesa inviolabile in ogni stato e
 grado del procedimento, che consente di eccepire una  nullita',  e  i
 riflessi  che  il  suo  esercizio  puo' avere in materia di liberta',
 essendo rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione  della
 convenienza  di  esercitare, o meno, una certa facolta', anche per le
 implicazioni, le conseguenze e  le  interferenze  di  fatto  in  ogni
 direzione  (Cass.,  sez.  I,  n. 421/1994, Gigliotti ed altri; Cass.,
 sez. I, n. 1431/1996, Affuso, aveva poi escluso la sussistenza di una
 violazione dell'art. 76 Cost., per eccesso di  delega  rispetto  alla
 direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1981).
   Peraltro,  con  ordinanza  22  novembre 1996 il tribunale di Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p.  nella
 parte in cui non  prevede  che,  oltre  al  superamento  del  termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del  doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione
 descritta nel comma 2 di detto art. 303".
   Nel caso che dava occasione  alla  questione  vi  erano  state  due
 successive  regressioni  del  procedimento  nella fase delle indagini
 preliminari, a seguito di  sentenze  di  incompetenza,  e  la  difesa
 istante  aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio era decorso un periodo di  tempo  superiore  al  doppio  del
 termine di fase.
   Il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di scarcerazione sul rilievo
 che  la  situazione  degli  imputati  era disciplinata unicamente dai
 commi 2 e 4 dell'art. 303 e non anche dall'art. 304.  Con  l'atto  di
 appello  la difesa aveva riproposto la questione al tribunale e nella
 discussione   aveva   poi,    in    via    subordinata,    denunciato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto applicabile
 al  solo  caso  di  sospensione  dei  termini  e non anche ai casi di
 regressione, con conseguente irragionevole disparita' di trattamento.
   Il tribunale di  Reggio  Calabria  con  l'ordinanza  di  rimessione
 rilevava  che  la  questione  era  mal posta dalla difesa, poiche' la
 fattispecie del  regresso  "e'  disciplinata  dalle  norme  contenute
 nell'art.  303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p.
 ... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e' ... inconferente, poiche'
 disciplina situazioni affatto  differenti  ...  attiene  all'istituto
 della sospensione del termine di custodia cautelare ed ai suoi limiti
 cronologici".
   Peraltro,  anche  il tribunale riteneva irragionevole la disparita'
 di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini
 e la interruzione dovuta a regressione o rinvio  del  procedimento  -
 che  presentano  una  "sostanziale  omogeneita'"  in quanto "entrambi
 rappresentano degli accidenti  che  si  verificano  nel  cammino  del
 procedimento,  perlopiu'  indipendenti dalla volonta' dell'imputato";
 pertanto sollevava la  questione  di  costituzionalita'  nei  termini
 sopra  riportati  (v.   ord. 22 novembre 1996, trib. Reggio Calabria,
 Ardizzone ed altro in Gazzetta  Ufficiale  n.  45/1997,  prima  serie
 speciale, n. 756).
   La  Corte  costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato
 la  questione  non  fondata,  affermando   in   motivazione   che   -
 contrariamente  a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento
 di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la
 fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della
 custodia anche se  quei  termini  ...  sono  cominciati  a  decorrere
 nuovamente a seguito della regressione del processo".
   La  Corte,  infatti,  ha  ritenuto che il "limite finale" di durata
 della custodia cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art.  304/6
 nel  doppio del termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi
 di sospensione dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione
 della norma,  ma  anche  in  quelli  di  proroga  o  di  interruzione
 determinata  da  regressione  o  rinvio  del  procedimento  ad  altro
 giudice.
   3.   -   La   soluzione   interpretativa   adottata   dalla   Corte
 costituzionale   non   e'   giuridicamente  vincolante  nel  presente
 procedimento.
   Le sentenze interpretative di rigetto  della  Corte  costituzionale
 non  sono  infatti  munite  dell'efficacia  erga  omnes propria delle
 decisioni   con   le   quali   viene   dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale  di  una  disposizione  di  legge, per cui assumono il
 valore di mero precedente, certamente autorevole, ma  non  vincolante
 per il giudice (ss.uu. 930/1996 Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Nel  caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa -
 ispirata  dall'intento  di  superare  la   denunciata   irragionevole
 disparita'  di  disciplina  tra  i casi di sospensione dei termini di
 custodia e quelli di interruzione dovuta  a  regresso  o  rinvio  del
 procedimento  -  finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra
 tali casi, nei quali l'allungamento della durata  della  custodia  e'
 per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato. e quello della
 evasione,  nel  quale  l'allungamento deriva invece dal comportamento
 dell'imputato, per di piu' penalmente  illecito  (nella  sentenza  n.
 292/1998,  in  verita',  non  vi  e'  menzione  del  caso di evasione
 dell'imputato, ma anch'esso rientra  tra  "i  fenomeni  che  comunque
 possono  interferire con la disciplina dei termini di fase", ai quali
 tutti si riferirebbe il "limite finale"  di  cui  all'art.  304/6  e,
 d'altro  canto,  l'art.  303/3  e' espressamente richiamato dall'art.
 304/6).
   Anche prescindendo da tale rilievo, il Collegio ritiene di  doversi
 discostare  dalla  soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente
 indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della
 norma di cui  all'art.  304/6,  alla  sua  collocazione  e  alla  sua
 letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia  cautelare  e'  stata  avvertita  dal legislatore proprio in
 relazione all'istituto della sospensione dei termini, che  nelle  sue
 concrete  applicazioni  avrebbe potuto determinare la quiescenza sine
 die  del  decorso  dei  termini.  Il   "limite   finale"   e'   stato
 originariamente  introdotto  per la durata complessiva della custodia
 cautelare (art.  272/9 c.p.p. abrogato; art. 304/4 nuovo  c.p.p.  nel
 testo  vigente  anteriormente  alla  legge  n.  532/1995)  e  la  sua
 collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione  dei  termini  e
 nel  nuovo  codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione)
 rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima dell'entrata in vigore della  legge  n.  532/1995,  non  pare
 fosse,  in  realta',  neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite
 finale" ai casi del regresso o del  rinvio  del  procedimento  (salvo
 quando  -  beninteso  -  dopo tali vicende fosse intervenuta anche la
 sospensione   dei   termini):   infatti,    nel    codice    abrogato
 l'irragionevole  prolungamento della custodia nei casi di regressione
 o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma  5  dell'art.  272,
 era  assicurato  dalla  specifica previsione del comma 6 dello stesso
 articolo che fissava  limiti  massimi  di  durata  complessiva  della
 custodia  inferiori  al  "limite finale" di cui al comma 9; nel nuovo
 codice, anteriormente alla legge n.  32/1995,  i  termini  di  durata
 complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei
 casi  di  regressione, o rinvio del procedimento - risultavano sempre
 inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4.
   Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per  sostenere  che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art. 15/1 della legge  n.  532/1995,  nel  riformulare  il  testo
 dell'art.    304,  ha  introdotto  un "limite finale" di durata della
 custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase)  e
 ha  piu'  favorevolmente  disciplinato  il  "limite finale" di durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini di cui all'art.  303/4 aumentati della  meta'  e  richiamando
 comunque  il  previgente  "limite"  (due terzi del massimo della pena
 temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
   Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei
 termini della custodia si desume  dalla  scelta  del  legislatore  di
 tener  ferma  la  collocazione  della  norma  nell'articolo  dedicato
 appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque"
 nell'art. 304/6  confermi  l'ipotesi  che  i  "limiti  finali"  siano
 riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina
 dei  termini,  e  percio'  anche  ai  casi  di  proroga dei termini e
 regressione del procedimento.
   Ben  puo'  ritenersi,  infatti,  che  l'avverbio  valga  invece   a
 sottolineare la correlazione tra la norma sui "limiti finali" e tutte
 le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi
 che  precedono, nel senso cioe' che i limiti operano quale che sia la
 causa della sospensione.
   Ma vi e' una ragione  ulteriore  che  induce  a  escludere  che  il
 "limite  finale"  di  cui  all'art.  304/6  sia riferibile ai casi di
 regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come  sostituito
 dall'art.    15/1  della  legge n. 332/1995, fissa il "limite finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non puo' comunque superare il doppio dei termini  previsti  dall'art.
 303, commi 1, 2 e 3".
   La  norma,  dunque,  richiama espressamente i casi di regressione o
 rinvio del procedimento e il caso di  evasione, nei quali  i  termini
 decorrono ex novo, e la previsione risulta perfettamente giustificata
 anche  per    chi  ritenga, come qui si sostiene, che l'art. 304/6 si
 applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti,  ben  puo'
 darsi  il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio
 e intervenga poi sospensione dei termini di custodia.
   Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e  3
 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini
 della  individuazione  del  "limite  finale" di durata della custodia
 nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o
 rinvio del procedimento e della evasione.
   Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase
 del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi  i  termini,
 la  custodia  cautelare  non potra' superare il doppio del termine di
 fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento  che  ha
 disposto  il  regresso  e  non  dalla emissione del provvedimento che
 originariamente aveva disposto  il  giudizio  (in  tal  senso  si  e'
 pronunciata  la  I sezione della Corte di cassazione, con sentenza n.
 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo
 tribunale, IV sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p.  in  data  21
 dicembre 1995).
   Se  il  legislatore  del  1995,  ai  fini  della individuazione del
 "limite finale" di durata della custodia nella  fase,  avesse  inteso
 invece  equiparare  alle altre le situazioni di regresso o rinvio del
 procedimento e di evasione, si sarebbe limitato a prevedere  che  "la
 durata  della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio
 dei termini previsti  dall'art.  303,  comma  1  ...",  eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il  dato testuale appare dunque chiaro e il Collegio e' obbligato a
 tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo'  ad  essa
 attribuire  altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal significato
 proprio delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla
 intenzione del legislatore".
   Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2
 e  3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite finale"
 non si riferisce ai casi di regressione o rinvio del  procedimento  e
 di   evasione,   nei   quali   potrebbe  trovare  rarissima,  se  non
 impossibile, applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi  di
 cui  ai  commi 2 e 3 dell'art. 303 va computato a partire dal momento
 di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi    eccezionale
 in  cui  si  verifichino  tre o piu' regressi) non puo' concretamente
 essere superato (in quanto ben  prima  viene  a  scadere  l'ordinario
 termine  di  fase)  se  non intervenga, dopo la regressione, anche la
 sospensione dei  termini.
   Sicche', in definitiva, trova ulteriore conforto  l'interpretazione
 secondo  cui  il "limite fine" della custodia cautelare nelle singole
 fasi pari al doppio del termine ordinario di cui  all'art.  304/6  e'
 riferibile unicamente ai casi di sospensione dei termini.
   4. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes,  facendo
 essa  sorgere  un  vincolo  solo  nel giudizio a quo, non si puo' mai
 giungere a sostenere che per gli altri  giudici  la  decisione  della
 Corte costituzionale sia da ritenersi inutiler data.
   Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi
 dall'interpretazione    proposta    nella    sentenza   della   Corte
 costituzionale non ha  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri).
   Il Collegio, uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare  nuovamente  la  questione  di legittimita' dell'art. 303/4
 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e
 facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22  novembre  1996  del
 tribunale di Reggio Calabria.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953;
   Dichiara  rilevante  - relativamente alla posizione dell'appellante
 D'Alessandro Cipriano - e non manifestamente infondata "la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in
 cui  non  prevede  che, oltre al superamento del termine complessivo,
 possa essere causa di scarcerazione anche il superamento  del  doppio
 del  termine  di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta
 nel comma 2 di detto art. 303";
   Sospende nei confronti del predetto D'Alessandro il procedimento in
 corso e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che, a cura deIla cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  all'appellante  D'Alessandro  Cipriano, al suo difensore,
 avvocato  Alfonso  Baldascino,  al  pubblico  ministero  nonche'   al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
     Napoli, addi' 13 novembre 1998.
                         Il presidente: Varone
                                         Il giudice estensore: Lopiano
 99C1036