N. 406 SENTENZA 25 - 29 ottobre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Minoranze linguistiche -  Rapporti  con  l'autorita'  giudiziaria  -
 Diritto  di  uso  della madrelingua nel processo penale - Limitazione
 territoriale - Nomina del difensore d'ufficio  o  del  sostituto  del
 difensore - Denunciata violazione del diritto di difesa, dei principi
 di  eguaglianza  e di tutela delle minoranze linguistiche - Questione
 sollevata in vista della garanzia  della  identita'  linguistica  del
 ricorrente  e  non ai fini dell'esercizio del suo diritto di difesa -
 Inapplicabilita' nel giudizio di merito della disposizione denunciata
 - Inammissibilita' della questione.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 26, comma 2)
 
 (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 24)
 
 Minoranze  linguistiche  -  Rapporti  con  l'autorita' giudiziaria -
 Processo penale - Diritto di uso della madrelingua per l'appartenente
 ad una minoranza linguistica  riconosciuta  -  Garanzia  limitata  ai
 procedimenti  (in  primo  grado  o  in  appello)  che si svolgano sul
 territorio di  insediamento  della  stessa  minoranza  linguistica  -
 Mancata  riferibilita' della garanzia ai procedimenti in sedi diverse
 (per effetto dello spostamento di competenza ex art. 11 del codice di
 procedura  penale)  -  Prospettata  violazione   del   principio   di
 eguaglianza  e  del  diritto  di difesa, oltreche' dei principi delle
 minoranze linguistiche e di buon andamento dell'amministrazione della
 giustizia - Insussistenza di direttive costituzionalmente  vincolanti
 il  potere  di apprezzamento proprio del legislatore in materia - Non
 fondatezza della questione.
 
 (Cod. proc. pen., art. 109, comma 2)
 
 (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 24)
 
 Minoranze linguistiche - Disciplina legislativa a tutela dei diritti
 linguistici delle minoranze - Protezione di tali diritti  secondo  il
 criterio   personale,   ovvero   oltre   i   limiti  territoriali  di
 insediamento - Esclusione, in assenza di  vincoli  costituzionali  in
 merito.
 
 (Cost., art. 6)
 
 Minoranze  linguistiche  -  Disciplina  giuridica  dei diritti delle
 minoranze - Specialita' delle norme -  Sostituibilita'  dell'astratto
 richiamo   al   principio   di   eguaglianza   con  il  principio  di
 ragionevolezza, in sede di giudizio  di  legittimita'  costituzionale
 delle norme.
 
 (Cost., artt. 6 e 3)
 
 Minoranze  linguistiche  -  Diritti  linguistici  delle  minoranze -
 Distinguibilita' dal diritto di difesa nel processo.
 
 (Cost., artt. 6 e 24)
 
(GU n.44 del 3-11-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 109,  comma  2,
 del  codice  di  procedura penale e dell'art. 26, comma 2, del d.lgs.
 28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie  del  codice di procedura penale), promosso con ordinanza
 emessa  il   5   novembre   1998   dal   pretore   di   Venezia   nel
 procedimentopenale  a  carico di Primoz Sancin, iscritta al n. 72 del
 registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1999.
   Udito  nella  camera  di consiglio del 29 settembre 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il pretore di Venezia, nel corso di  un  processo  penale  per
 reato commesso in danno di un magistrato, ha sollevato, con ordinanza
 del  5  novembre  1998,  in riferimento agli artt. 3, primo e secondo
 comma,  6  e  24  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli artt. 109, comma 2, cod. proc. pen. e 26, comma
 2, del d.lgs.   28 luglio 1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,  di
 coordinamento  e  transitorie  del codice di procedura penale), nella
 parte  in  cui  dette  disposizioni  di   garanzia   dell'uso   della
 madrelingua  nell'ambito  del  processo  non  si  applicano anche nel
 procedimento penale che si svolge - per effetto dello spostamento  di
 competenza  stabilito  dall'art.  11 cod. proc.  pen. in relazione ai
 procedimenti  riguardanti  i  magistrati  -  dinanzi  a  un'autorita'
 giudiziaria  non  avente  sede  nel  territorio dove e' insediata una
 minoranza linguistica riconosciuta.
   Il  rimettente  riferisce  che  nel  giudizio  a  quo   la   difesa
 dell'imputato,   appartenente  al  gruppo  linguistico  di  minoranza
 slovena insediato nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia,
 ha eccepito la nullita' del  decreto  di  citazione  a  giudizio,  in
 quanto  redatto in lingua italiana, assumendo la violazione dell'art.
 109 cod. proc.  pen., avendo lo stesso imputato chiesto di esprimersi
 in lingua slovena, previa nomina  di  un  interprete,  e  ha  dedotto
 altresi' la violazione delle garanzie difensive in relazione all'art.
 26,  comma  2, disp.  att. cod. proc. pen., sul rilievo che la nomina
 quale  difensore  di  ufficio  era  avvenuta   senza   tenere   conto
 dell'appartenenza  etnica  o linguistica dell'imputato; che, inoltre,
 qualora dette eccezioni non fossero state ritenute  accoglibili,  per
 l'impossibilita'  di  applicare  le  norme  codicistiche  invocate  a
 sostegno della nullita', la difesa ha sollecitato il promovimento  di
 questione   di   costituzionalita'   delle  norme  anzidette  nonche'
 dell'art. 143 cod. proc. pen.
   A tale eccezione da' corso il giudice rimettente, salvo che per  la
 norma  dell'art.  143  cod.  proc.  pen.,  che, riguardante la nomina
 obbligatoria dell'interprete per l'imputato,  italiano  o  straniero,
 che  non  conosca la lingua italiana, e' manifestamente inconferente:
 nel caso di specie, infatti, l'imputato, che dispone della conoscenza
 della lingua "ufficiale" del processo, fa valere il  proprio  diritto
 costituzionalmente  garantito  (art.  6  della  Costituzione) all'uso
 della madrelingua nei rapporti con le autorita' giudiziarie.
   La questione, osserva ancora il rimettente, e' rilevante perche' si
 tratta di  decidere  sull'osservanza  di  determinate  formalita'  di
 documentazione  di  atti  processuali  destinati  all'imputato, sulla
 regolare  assunzione  dell'esame  dello   stesso   e   sulla   valida
 designazione e nomina del difensore d'ufficio, atti tutti che, ove si
 ritenesse  di accordare le garanzie richieste, risulterebbero viziati
 da   nullita'   per   violazione   delle   disposizioni   concernenti
 l'intervento e l'assistenza dell'imputato (art. 178, comma 1, lettera
 c), e art. 180 cod. proc.  pen.).
   2. - Tutto cio' premesso, il pretore ritiene che, anche per il loro
 tenore  letterale,  le  disposizioni  denunciate non siano in effetti
 applicabili nel processo attribuito alla  sua  cognizione  in  virtu'
 dello spostamento di competenza a norma dell'art. 11 cod. proc. pen.:
 secondo  il  testo  dell'art.  109 del codice, cui fa altresi' rinvio
 l'art. 26 delle norme di attuazione, la disciplina  di  garanzia  ivi
 prevista  per l'appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta
 si applica infatti  solo  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria  avente
 competenza,  di  primo  grado  o di appello, su un territorio dove e'
 insediata la minoranza; in tal senso, del  resto,  orienta  anche  la
 giurisprudenza  ordinaria  che,  resa  sulla  scia di decisioni della
 Corte costituzionale (dalla sentenza n. 28  del  1982,  "ispiratrice"
 dell'attuale art. 109 cod. proc. pen., alle sentenze nn. 62 del 1992,
 271  del  1994  e  16 del 1995), ha sempre affrontato il problema del
 diritto di usare la madrelingua,  e  di  usufruire  della  traduzione
 degli  atti dalla lingua italiana (secondo la c.d. tutela linguistica
 minima, diversa  ad  esempio  dalla  piu'  ampia  garanzia  di  piena
 equiparazione   accordata   ai  cittadini  di  lingua  tedesca  della
 Provincia di Bolzano), esclusivamente nell'ambito di rapporti con  le
 pubbliche  autorita',  comprese quelle giudiziarie, che si instaurano
 nel territorio di appartenenza della minoranza interessata.
   Ma e' proprio tale limitazione a suscitare, per il  rimettente,  il
 dubbio  di costituzionalita': se le esigenze di garanzia sottese alla
 disciplina impugnata attengono a diritti soggettivi  fondamentali  di
 rango  costituzionale,  come  quelli  riconosciuti dagli artt. 6 e 24
 della  Costituzione,  non  sembra  ammissibile,  secondo  lo   stesso
 pretore, che essi possano essere compromessi in vista della tutela di
 altri  interessi,  quali  sono  quelli, sottesi alla disciplina dello
 spostamento di competenza secondo l'art. 11 cod. proc. pen., del buon
 andamento dell'amministrazione della giustizia (artt. 97 e 108  della
 Costituzione).  Una compromissione, questa, tanto piu' ingiustificata
 in quanto si associa all'"allontanamento" del processo dal territorio
 in cui il fatto e' commesso - e in  cui  e'  stanziata  la  minoranza
 riconosciuta  -,  cio'  che  rende  il  processo  stesso  di maggiore
 risonanza nella comunita' territoriale di appartenenza dell'imputato,
 incrementando l'esigenza di una effettiva autodifesa e  della  difesa
 tecnica.  Al  cittadino  appartenente  a  una  minoranza, prosegue il
 pretore, deve essere riconosciuta "una tutela non inferiore a  quella
 accordata  agli  altri cittadini italiani, nell'esercizio del diritto
 di difesa, quando siano chiamati a rispondere  di  illeciti  commessi
 nel territorio del proprio paese".
   Inoltre - aggiunge il rimettente - il criterio di spostamento della
 competenza  dettato  dall'art.  11 cod. proc. pen. si differenzia sia
 dalle  regole  generali  sia  da  quelle  suppletive  in  materia  di
 competenza  territoriale, regole tutte ispirate dalla comune ratio di
 radicare il processo nel territorio di commissione  del  fatto,  dove
 "maggiori  sono  le  sue  implicazioni", mentre all'opposto l'art. 11
 mira al soddisfacimento delle esigenze di serenita' e neutralita' del
 giudizio, che richiedono un distacco del giudizio da detti luoghi.
   In  tale  quadro,  il  pretore  ritiene  che   un   piu'   corretto
 bilanciamento   tra   diritti  e  interessi  contrapposti,  tutti  di
 rilevanza costituzionale, avrebbe dovuto indurre il  legislatore,  in
 luogo   dell'arbitraria   compromissione   dei   primi,  a  prevedere
 l'applicazione delle norme di garanzia anche nel caso in cui, in base
 all'art. 11 cod. proc. pen.,  per  effetto  dello  spostamento  della
 competenza  per  territorio,  il processo venga a essere attribuito a
 un'autorita' giudiziaria diversa da quella avente sede nel territorio
 di insediamento di una minoranza linguistica riconosciuta; cosi'  non
 essendo,  conclude  il  rimettente, sono violati gli artt. 3, primo e
 secondo comma, 6 e 24 della Costituzione.
                         Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Venezia dubita della legittimita' costituzionale
 degli artt. 109, comma 2, del codice di procedura penale e 26,  comma
 2,  delle  norme  di  attuazione,  di coordinamento e transitorie del
 codice di procedura penale  (d.lgs.  28  luglio  1989,  n.  271),  in
 relazione  agli  artt.  3,  primo  e  secondo  comma,  6  e  24 della
 Costituzione.
   Le disposizioni impugnate dettano norme per il processo  penale,  a
 protezione  del  cittadino  italiano  appartenente  a  una  minoranza
 linguistica riconosciuta. L'una prevede il  diritto,  esercitabile  a
 richiesta,  di essere interrogato o esaminato nella madre lingua (con
 relativa verbalizzazione anche in tale lingua),  nonche'  il  diritto
 alla  traduzione  degli atti del processo a lui indirizzati; l'altra,
 il  dovere  dell'autorita'  giudiziaria,  negli stessi casi dell'art.
 109, comma 2, cod.  proc.  pen.,  quando  cio'  serva  ad  assicurare
 l'effettivita'  della difesa, di tener conto dell'appartenenza etnica
 o linguistica dell'imputato, nell'individuare il difensore  d'ufficio
 o  nel  designare  il  sostituto  del difensore a norma dell'art. 97,
 comma 4, del codice.
   Le   disposizioni   anzidette   valgono   "davanti    all'autorita'
 giudiziaria  avente  competenza  di  primo  grado  o di appello su un
 territorio dove e' insediata una minoranza linguistica  riconosciuta"
 (art.  109, comma 2). E' questa limitazione territoriale della tutela
 ad  apparire  al  giudice  rimettente  di  dubbia  conformita'   alla
 Costituzione,   nell'ipotesi   -   verificatasi  nella  specie  -  di
 individuazione della competenza  territoriale  del  giudice  a  norma
 dell'art.  11 cod. proc. pen., per i casi di procedimenti riguardanti
 i magistrati. Lo  spostamento  della  competenza  territoriale  -  da
 quella  prevista dalle regole generali (artt. 8-10 cod. proc. pen.) a
 quella determinata dalla regola speciale dell'art. 11 - avrebbe  come
 conseguenza  l'individuazione di un giudice non avente competenza sul
 territorio di insediamento della minoranza  linguistica  riconosciuta
 (nella  specie,  la  minoranza  slovena).  Da  qui,  alla stregua dei
 denunciati artt. 109, comma 2, cod. proc. pen.  e 26, comma 2,  delle
 norme di attuazione, la perdita dei diritti linguistici del cittadino
 italiano  appartenente  a  tale  minoranza e la dedotta lesione delle
 norme costituzionali invocate.
   2. - La questione sollevata sull'art. 26, comma 2, delle  norme  di
 attuazione  del  codice  di  procedura  penale deve essere dichiarata
 inammissibile. Di esso infatti il giudice rimettente non e'  chiamato
 a fare applicazione nel giudizio innanzi a lui pendente.
   Risulta esplicitamente dall'ordinanza di rimessione che il soggetto
 a  favore  del  quale  viene rivendicato l'uso della lingua madre nel
 processo penale dispone della piena conoscenza della lingua italiana,
 cosicche' la sua pretesa si pone  in  vista  non  dell'esercizio  del
 diritto   di   difesa   ma   della  protezione  della  sua  identita'
 linguistica.  La previsione dell'art. 26, comma  2,  denunciato  vale
 invece soltanto "quando cio' serve ad assicurare l'effettivita' della
 difesa",  circostanza  che  la  rende  inapplicabile  nel giudizio di
 merito.
   Ne' la sollevata questione d'incostituzionalita' tende  a  superare
 tale  limitazione,  per estendere dal terreno del diritto di difesa a
 quello  della  garanzia  dell'identita'  linguistica   la   rilevanza
 dell'appartenenza  etnica  o linguistica nella nomina del difensore o
 del  sostituto   del   difensore,   estensione   che,   in   ipotesi,
 consentirebbe   poi   di   porre   l'ulteriore   questione  -  quella
 effettivamente posta - circa  la  legittimita'  costituzionale  della
 delimitazione territoriale di tale garanzia.  Essendo stata sollevata
 esclusivamente  la  questione  della  dimensione  territoriale  della
 garanzia di una norma dettata in vista del diritto di difesa, e  tale
 questione  essendo  sorta  in un giudizio nel quale il problema della
 lingua si pone esclusivamente in vista  della  garanzia  linguistica,
 risulta  all'evidenza  l'inutilita'  della  questione proposta per la
 definizione del giudizio pendente di fronte al giudice rimettente.
   3. -  Infondata,  invece,  e'  la  questione  di  costituzionalita'
 sollevata sul comma 2 dell'art. 109 cod. proc. pen.
   3.1.  -  La  garanzia  che  tale norma appresta (conformemente alla
 direttiva numero 102 contenuta nella legge delega 16  febbraio  1987,
 n.  81)  e'  ispirata al "criterio di territorialita'". Esso comporta
 che i diritti di uso della lingua riconosciuti  agli  appartenenti  a
 comunita'   linguistiche   di  minoranza  valgono  si'  come  diritti
 personali  ma  soltanto  nei  rapporti  con  le  istituzioni   aventi
 competenza  sul  territorio di insediamento delle comunita' medesime.
 La questione di costituzionalita' sollevata mira  invece  a  ottenere
 una  pronuncia  di  questa  Corte attraverso la quale si affermi, sia
 pure soltanto in relazione al caso dei giudizi  che  formano  oggetto
 della  disciplina  dell'art.  11  cod. proc. pen., una protezione dei
 diritti linguistici delle minoranze riconosciute che si  proietti  al
 di  la'  dei  limiti territoriali di insediamento, una proiezione che
 tenderebbe a connotare costituzionalmente la disciplina  dei  diritti
 linguistici in termini non piu' territoriali ma personali.
   La  questione  sollevata,  in  sostanza,  chiama questa Corte a una
 pronuncia con la quale, superando l'impostazione accolta  nel  nostro
 ordinamento,  sia  nella  disciplina speciale contenuta negli statuti
 delle regioni ad autonomia differenziata e nelle  relative  norme  di
 attuazione,  sia  nello  stesso art. 109 - impostazione che ha tenuto
 fermo il  carattere  territoriale  della  garanzia  -,  si  inizi  ad
 affermare  come  costituzionalmente  dovuto  alla stregua dell'art. 6
 della Costituzione il diverso criterio  della  natura  personale  del
 diritto e della sua protezione.
   Ma,  per  quanto  i  principi  costituzionali  richiedano di essere
 valorizzati nella  loro  funzione  conformatrice  della  legislazione
 ordinaria,  non  e'  possibile,  da  una  proclamazione  come  quella
 contenuta nell'art.  6 della Costituzione ("La Repubblica tutela  con
 apposite  norme  le minoranze linguistiche"), inferire l'esistenza di
 un vincolo del legislatore all'adozione del  criterio  personale,  in
 luogo   di   quello   territoriale,   nella  disciplina  dei  diritti
 linguistici delle minoranze; tanto piu', si puo' aggiungere, che tale
 criterio non e' nemmeno  adottato  dagli  statuti  delle  regioni  ad
 autonomia  differenziata,  la cui speciale ragion d'essere deriva per
 l'appunto  anche   dall'esistenza   di   minoranze   linguistiche   e
 dall'esigenza di una loro particolarmente forte protezione.
   Il  legislatore dispone in realta' di un proprio potere di doveroso
 apprezzamento in materia, dovendosi necessariamente tener conto delle
 conseguenze che, per i diritti degli altri soggetti non  appartenenti
 alla  minoranza  linguistica  protetta  e sul piano organizzativo dei
 pubblici poteri - sul piano quindi della stessa operativita' concreta
 della protezione -, derivano dalla  disciplina  speciale  dettata  in
 attuazione dell'art. 6 della Costituzione.
   3.2.  -  Questa  considerazione priva di forza anche il riferimento
 che il giudice rimettente fa all'art. 3, primo e secondo comma, della
 Costituzione. Ove si tratti, come nella specie, del riconoscimento  a
 favore  delle  minoranze  di  diritti  speciali che fanno eccezione a
 regole generali,  e  di  discipline  che  devono  tener  conto  della
 pluralita' degli interessi, costituzionalmente rilevanti, che vengono
 in  considerazione, le scelte di contemperamento del legislatore sono
 inevitabili. L'astratto richiamo al principio di uguaglianza  non  e'
 sempre decisivo nel giudizio di costituzionalita'. Ove si abbia a che
 fare  necessariamente con norme speciali - come per definizione e' in
 ogni  caso  la  disciplina  giuridica  di  diritti  di  minoranze   -
 all'astratto  richiamo  del principio di uguaglianza deve sostituirsi
 la  valutazione  della  ragionevolezza  (anzi: dal punto di vista dei
 poteri di annullamento delle leggi che a questa  Corte  spettano,  la
 valutazione  della  non  manifesta irragionevolezza) delle scelte del
 legislatore,  rispetto  all'insieme  dei  principi  contenuti   nella
 Costituzione  che  vengono  in  considerazione.  E, proprio su questo
 piano,  l'adozione    del  criterio  di  territorialita'  e  la   sua
 applicazione  anche  nell'ipotesi  in esame, non risulta incorrere in
 vizio  d'incostituzionalita'.
   Il legislatore dispone insomma di un ambito di apprezzamento che la
 Costituzione  non  pregiudica.  Il  criterio  di  personalita'  nella
 protezione  dei  diritti  linguistici delle minoranze rientra in tale
 ambito, cosicche' e' possibile ch'esso sia talora  utilizzato,  sulla
 base  di apprezzamenti legislativi, come avviene con l'art. 48, comma
 2, seconda proposizione, cod. proc. pen., il  quale  stabilisce  che,
 nel  processo  davanti al giudice designato dalla Corte di cassazione
 nell'eventualita' della rimessione dovuta a  esigenze  di  sicurezza,
 incolumita'  pubblica  o liberta' di determinazione delle persone che
 partecipano  al  giudizio  (art.  45  cod.  proc.  pen.),  le   parti
 esercitano gli stessi diritti e le stesse facolta' che sarebbero loro
 spettati  davanti  al  giudice  originariamente competente, diritti e
 facolta' tra i quali  stanno  anche  quelli  relativi  all'uso  della
 lingua  di  minoranza.  Cio' attiene, tuttavia, al piano delle scelte
 legislative, che spetta al  giudice  ricostruire  attraverso  i  suoi
 poteri  interpretativi,  e  non a quello dell'attuazione di direttive
 costituzionali vincolanti, che possono essere fatte valere da  questa
 Corte attraverso i suoi poteri di annullamento.
   3.3.  - Inconferente, infine, in una questione di costituzionalita'
 che attiene alla tutela dei diritti linguistici delle  minoranze,  il
 richiamo  all'art.  24 della Costituzione, relativo alla garanzia dei
 diritti di difesa nel processo:  diritti  linguistici  e  diritti  di
 difesa  possono  in  effetti  intrecciarsi nel concreto svolgersi del
 processo ma essi sono essenzialmente distinti (sentenze nn.  213  del
 1998,  15  del  1996,  16  del  1995, 62 del 1992), cosicche' anche i
 parametri costituzionali relativi - artt. 6 e 24 - operano in  ambiti
 diversi.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   1)    dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 26, comma 2, del d.lgs. 28 luglio  1989,  n.
 271  (Norme  di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice
 di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo e
 secondo comma, 6 e 24 della Costituzione, dal pretore di Venezia, con
 l'ordinanza in epigrafe;
   2) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 109, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3,  primo  e  secondo  comma,  6  e  24  della
 Costituzione, dal pretore di Venezia con la medesima ordinanza.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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