N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 1999
N. 633 Ordinanza emessa il 16 luglio 1999 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di F.M. ed altri Processo penale - Segreto di Stato - Opposizione - Lamentata opponibilita' in relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gia' contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale o perche' contestualmente trasmessi all'autorita' giudiziaria - Lamentata, altresi', mancata previsione di inefficacia del segreto di Stato, gia' ritualmente e correttamente opposto, per avere il relativo atto perso il carattere di segretezza - Irragionevolezza - Lesione dei principi di indipendenza del giudice e di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. Cod. proc. pen., art. 256. Costituzione, artt. 3, secondo comma, 101, secondo comma e 112.(GU n.47 del 24-11-1999 )
IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva formulata in udienza, vista la richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. in data 3 maggio 1999; rilevato che in esito alla stessa veniva instaurata la procedura di cui all'art. 409, comma 2 c.p.p.; sentite le parti e letti gli atti; O s s e r v a Il 12 dicembre 1996 venivano sequestrati dal procuratore della Repubblica di Roma due scatoloni di documenti relativi ad indagini, svolte anni prima da agenti della polizia in forza all'Ufficio centrale investigazioni generali operazioni speciali (UCIGOS) e da funzionari del SISDE, in ordine a un cittadino straniero segnalato da servizi stranieri e sospettato di collegamento con una organizzazione terroristica straniera in epoca di attentati ad obbiettivi di pertinenza di Stato estero, siti sul nostro territorio. Il 27 gennaio 1997 venivano interrogati dal procuratore della Repubblica di Roma tre funzionari: due in servizio presso la polizia di Stato, uno presso il SISDE. Quest'ultimo avvaleva della facolta' di non rispondere ad alcune domande inerenti alla documentazione esibitagli dichiarando nella sostanza, anche se non formalmente, di opporre il segreto di Stato sulle delucidazioni richiestegli. Dopo di cio' la procura della Repubblica emetteva decreto di esibizione ex art. 256 cod. proc. pen., notificato il 5 febbraio 1997, col quale disponeva l'acquisizione al procedimento di copia di tutta la documentazione, ovunque custodita dal SISDE, relativa alla persona che era stata oggetto di indagini. Il SISDE forniva parte della documentazione, mentre su altra opponeva il segreto di Stato. Ritenuta "pertinente" alle indagini preliminari in corso la documentazione segretata, il procuratore della Repubblica interpellava il Presidente del Consiglio dei Ministri affinche' desse conferma del segreto opposto ai sensi della legge n. 801 del 1977. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con provvedimento del 12 giugno 1997 dichiarava, con apposita motivazione, correttamente opposto il segreto di Stato. Successivamente, il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza investito ex art. 16 della legge n. 801 del 1977, con delibera unanime riteneva in data 22 luglio 1997 fondata la conferma del segreto opposta. La procura di Roma, ricevuto il provvedimento del Presidente del Consiglio e ritenuta la propria incompetenza territoriale, trasmetteva gli atti, unitamente all'interpello e alla delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri, al pubblico ministero presso il tribunale di Bologna. Questi portava avanti le indagini, notificando alla DIGOS della locale Questura, in data 8 luglio 1997, ordine di esibizione di documentazione riguardante le indagini svolte a suo tempo dalla polizia. La Questura, nel trasmettere il 15 luglio 1997 copia dei documenti richiesti, precisava che sulle modalita' operative era stato opposto il segreto di Stato. La procura, tra il 2 e il 4 agosto 1997, provvedeva ad aprire gli scatoloni inizialmente sequestrati, costituenti corpo di reato, che erano stati inviati fin dal 23 giugno 1997 dalla procura di Roma. Terminate le indagini, il pubblico ministero, in data 19-27 novembre 1997, chiedeva l'emissione di decreto di rinvio a giudizio per i quattro soggetti imputati per i reati previsti dagli artt. 81, 110, 615, cod. pen., 81, 110, 617, primo e terzo comma, cod. pen., e ancora 81, 110, 617-bis, primo e secondo comma, cod. pen. Veniva quindi fissata la data per la celebrazione della udienza preliminare. Nelle more del procedimento il Presidente del Consiglio dei Ministri promuoveva conflitto di attribuzione avverso la procura agente per avere esorbitato dalla proprie attribuzioni utilizzando, ai fini della richiesta di rinvio a giudizio in oggetto, atti coperti dal segreto di Stato. La Corte costituzionale, con sent. 110/1998, disponeva l'annullamento della citata richiesta di rinvio a giudizio, motivando che "l'opposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri non ha l'effetto di impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso, ed eserciti se del caso l'azione penale, ma ha l'effetto di inibire all'autorita' giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. Tale divieto riguarda l'utilizzazione degli atti e documenti coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cioe' di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, le cui eventuali risultanze sarebbero a loro volta viziate dall'illegittimita' della loro origine. Fermo il principio di legalita', i rapporti tra Governo e autorita' giudiziaria debbono essere ispirati a correttezza e lealta', nel senso dell'effettivo rispetto delle attribuzioni a ciascuno spettanti. Entro questo quadro, non potrebbe ad esempio l'autorita' giudiziaria aggirare surrettiziamente il segreto opposto dal Presidente del Consiglio, inoltrando ad altri organi richieste di esibizione di documenti dei quali le sia nota la segretezza formalmente opposta. Nel caso di specie, non appare conforme al dovere di lealta' e di correttezza il comportamento del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna che, pur essendo a conoscenza dell'avvenuta opposizione del segreto, non ne ha di fatto tenuto conto, rivolgendo al Questore di Bologna ordine di esibizione di documentazione riguardante le indagini svolte a suo tempo dalla polizia e dai servizi. Risultano pertanto lese le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente del Consiglio, e il vizio non riguarda soltanto l'acquisizione di atti e documenti del cui contenuto il procuratore della Repubblica di Bologna sia venuto a conoscenza, ma coinvolge anche l'eventuale attivita' di indagine susseguentemente svolta avvalendosi di quelle conoscenze. Per contro non e' precluso al pubblico ministero di procedere, ove disponga o possa acquisire per altra via elementi indizianti del tutto autonomi e indipendenti dagli atti e documenti coperti da segreto. Spetta poi al giudice, al quale il pubblico ministero formula le sue richieste, decidere se si debba dichiarare non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato, allorquando ritenga essenziali prove la cui acquisizione e utilizzazione sono impedite dal segreto medesimo. Nella specie, risulta, in base a quanto si e' detto nella precedente esposizione in fatto, che atti coperti dal segreto sono stati acquisiti ed utilizzati; che da essi il pubblico ministero ha preso le mosse per ulteriori indagini e che la richiesta di rinvio a giudizio indica, fra le fonti di prova dei reati contestati, alcuni documenti coperti al segreto legalmente opposto". Il g.i.p. disponeva la restituzione degli atti al p.m. e questi in data 4 maggio 1998 formulava una ulteriore richiesta di rinvio a giudizio espungendo dal novero delle fonti di prova i documenti trasmessi dal Questore di Bologna in data 15 luglio 1997. Fissata nuova udienza preliminare, veniva nell'intertempo proposto nuovo conflitto di attribuzione assumendo la Presidenza del Consiglio che la procura di Bologna aveva semplicemente eluso la precedente pronuncia della Corte, e che aveva comunque utilizzato atti di indagine basati sulla conoscenza delle fonti segretate. La questione sollevata si incentrava sulla utilizzabilita' degli atti assunti dallo procura bolognese sulla base della documentazione trasmessa dalla Questura di Bologna, ed in particolare sulla utilizzabilita' degli atti gia inizialmente sequestrati dalla procura di Roma prima che venisse mai opposto alcun segreto di Stato, nonche' prima della richiesta 7 luglio 1997 formulata dalla procura bolognese al corrispondente Questore, atti che buona parte erano i medesimi trasmessi dal Questore di Bologna. La Corte, con sent. 410/1998, accoglieva il ricorso affermando la non utilizzabilita' da parte della procura di Bologna "di fonti di prova acquisite in violazione del segreto di Stato gia' accertato con sentenza della Corte costituzionale", ed annullava anche la nuova richiesta di rinvio a giudizio. Nella motivazione, non sempre chiara e di agevole interpretazione, si dava atto che con la sentenza n. 110 del 1998, "questa Corte ha riconosciuto l'illegittimita' non solo della richiesta di esibizione rivolta al Questore di Bologna - in quanto diretta ad acquisire documentazione, riguardante le indagini svolte a suo tempo dalla polizi'a e dai servizi, della quale era nota la segretezza formalmente opposta gia' agli inquirenti della procura di Roma - ma anche dell'attivita' di indagine susseguentemente svolta avvalendosi di quelle conoscenze, gia' poste a base della prima richiesta di rinvio a giudizio. Da quanto precede - al di la' della parziale, ma indubbiamente significativa, coincidenza riscontrata tra i documenti acquisiti dalla Questura di Bologna e quelli trasmessi dal procuratore della Repubblica di Roma - consegue che l'utilizzo, da parte del pubblico ministero resistente, della documentazione gia in possesso della procura romana, al fine di motivare la nuova, quasi identica, richiesta di rinvio a giudizio, si appalesa illegittimo. La rinnovata richiesta del pubblico ministero risulta infatti inficiata dalla utilizzazione dei documenti - provenienti dalla Questura di Bologna - che questa Corte ha ritenuto illegittimamente acquisiti. Tale illegittima utilizzazione documentale rende la nuova richiesta di rinvio a giudizio lesiva delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente del Consiglio dei Ministri in tema di tutela del segreto di Stato". La procura di Bologna, preso atto della citata sentenza, formulava la presente richiesta di archiviazione, motivando che "la Corte costituzionale purtroppo non indica esplicitamente quali siano i documenti provenienti dalla Questura di Bologna utilizzati nella seconda richiesta di rinvio a giudizio e cio' rende praticamente impossibile la loro eliminazione ed una nuova richiesta di rinvio a giudizio. In tale situazione il p.m. ritiene di essere obbligato a richiedere l'archiviazione dell'azione penale". In fatto va ulteriormente precisato, trattandosi degli atti la cui valutazione e' essenziale ai fini del presente provvedimento: che allorche' fu formalmente opposto il segreto di Stato sulla richiestaInvero, come si e' visto, gia' un indagato in sede di interrogatorio aveva dichiarato di avvalersi della facolta' di non rispondere facendo comprendere che cio' faceva poiche' vincolato dal segreto di Stato. Orbene, a prescindere da ogni valutazione sul fatto se in tal caso possa ritenersi che il segreto sia stato formalmente opposto, va rilevato che comunque trattasi di opposizione del tutto irrilevante sul piano giuridico. Infatti le norme in vigore (artt. 202 e 256 c.p.p.) prevedono che solo i testi ovvero i pp.uu. destinatari di una richiesta di esibizione possono opporre il segreto di Stato. Cio' per altro appare pienamente logico atteso che solo tali ultimi hanno l'obbligo di dare esito alle richieste della a.g., il che puo' confliggere con il segreto loro imposto a fini di sicurezza dello Stato, mentre cio' non e' per l'imputato o l'indagato che, nell'ambito delle garanzie difensive, ben puo' avvalersi della facolta' di non rispondere. Del resto il p.m. di Roma, rispettoso di tale diritto dell'indagato, chiese la conferma del segreto opposto unicamente in relazione alla mancata esibizione da parte del SISDE "della documentazione di cui all'allegato C", e non invece in relazione alla dichiarazione resa da detto indagato. di esibizione formulata dalla procura di Roma, lo stesso atteneva non all'intera vicenda oggetto di indagine bensi' unicamente ad una parte degli atti; ed infatti nella nota 11 aprile 1997 del SISDE con cui il segreto fu opposto si precisa che agli atti dell'ufficio richiesto vi erano tre gruppi di documenti (nominati all. A, B, e C,) venendo il segreto opposto solo relativamente agli atti di cui all'allegato C ("Per quanto agli atti di cui all'elenco in allegato C ... si dichiara ai sensi dell'art. 256 comma 1 c.p.p. che le notizie in essi contenute sono coperte da segreto di Stato") - atti che venivano per altro specificamente individuati ed elencati, con indicazione della data e del numero di protocollo -, atteso che "la divulgazione di detti documenti confliggerebbe con la necessita' di tutelare aspetti tipici del modus operandi del servizio, ... e di mantenere al riparo di una indebita pubblicita' l'identita' dei protagonisti..." (cosi', tra l'altro si legge nella nota 12 giugno 1997 con cui il Presidente del Consiglio confermava l'opposizione del segreto di Stato). Da quanto ora esposto emerge un primo importante elemento: il segreto e' stato opposto unicamente in relazione ad alcuni dei documenti (per altro esattamente identificati) in possesso del SISDE, e non a tutti gli atti in possesso di detta amministrazione, essendo per altro compito precipuo di quest'ultima stabilire quali tra detti atti erano da tenersi segreti per far salve le esigenze di riserbo evidenziate (vedi C. cost. 86/77 secondo cui "la individuazione dei fatti, degli atti e della notizie... che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono quindi rimanere segreti, costituisce indubbiamente il frutto di una valutazione della autorita' preposta appunto a salvaguardare questa sicurezza"). Va inoltre sottolineato che occorre tenere distinti l'oggetto dell'opposizione del segreto (e cioe' gli atti elencati nell'allegato e la motivazione che e' stata addotta per giustificare il ricorso all'istituto. In particolare, come si e' gia' visto, solo in sede di conferma del segreto da parte del Presidente del Consiglio si specifica per la prima volta che, tra l 'altro, si intendeva in tal modo "tutelare gli aspetti tipici del modus operandi di un servizio di sicurezza". Pertanto non e' dato confondere l'uno con l'altro, ritenendo che oggetto del segreto sia direttamente "il modus operandi del servizio". Evidentemente se l'Autorita' preposta ha delimitato l'oggetto dell'opposizione solo ad un numero determinato e limitato di atti, ha ritenuto che solo la diffusione di quegli atti fosse atta a porre in pericolo gli interessi alla sicurezza dello Stato. che la richiesta di esibizione della procura di Roma vedeva come destinatario il Direttore del SISDE ed aveva ad oggetto "le attivita' compiute anche da personale del SISDE" nei confronti di un determinato soggetto presumibilmente nel settembre 1991, chiedendosi quindi l'acquisizione di "tutta la documentazione relativa a detta attivita' ovunque custodita e segnatamente sia presso il Centro SISDE Roma 2 sia presso la Direzione del SISDE", nella nota 11 aprile 1997 si legge poi che anche gli atti di cui all'allegato C erano stati "rinvenuti presso le citate strutture"; che per contro il provvedimento di richiesta esibizione emesso dal p.m. di Bologna atteneva alla acquisizione "di tutta la documentazione esistente presso gli uffici della Questura di Bologna, tra cui la DIGOS", relativa alle attivita' svolte nei confronti del medesimo soggetto dall'inizio di settembre al 14 settembre 1991 "con particolare riferimento alle operazioni di osservazioni e pedinamento dello stesso" in occasione del suo soggiorno presso un albergo di questa citta', con richiesta di trasmettere "le generalita' degli ufficiali ed agenti di p.g. dipendenti di codesto ufficio che hanno collaborato in qualsiasi modo alle indagini". La richiesta era quindi diretta ad ottenere documenti relativi ad una attivita' specifica posta in essere dalla p.g. (e non dal SISDE), e comunque si trattava di atti diversi (gli atti richiesti non erano atti SISDE, quali invece tutti quelli di cui all'elenco sub C o quantomeno potenzialmente diversi da quelli di cui all'elenco di cui all'allegato C. Il Questore di Bologna con nota 15 luglio 1997, dopo aver preso contatto con i competenti organi del SISDELa circostanza e' resa evidente, oltre che dal contenuto della nota in oggetto, anche da quella 24 novembre 1997 del Dipartimento della pubblica sicurezza diretta al Questore di Bologna in cui si richiama la precedente comunicazione datata 11 luglio 1997 in ordine alla sussistenza del segreto di Stato gia' opposto nel procedimento per cui si procede, trasmetteva copia di quanto richiesto, significando che il SISDE aveva comunicato che era stato opposto il segreto di Stato "in ordine ai dettagli del modus operandi seguiti dal servizio nell'operazione antiterrorismo in questione": alcuno degli atti trasmessi rientra nell'ambito di quelli di cui all'elenco di cui all'allegato C. Orbene, considerato, come piu' sopra motivato, che solo alcuni specifici degli atti della intera vicenda erano sottoposti a segreto, che solo alla p.a. competeva ed era in grado di valutare quali erano da tutelare con tale riserbo, che cio' non e' avvenuto in relazione agli atti trasmessi dal questore di Bologna, il quale pure era in contatto con i competenti organi del SISDE ed era a conoscenza del segreto in precedenza opposto, pare oggettivamente che non possa ritenersi altro che i documenti trasmessi non erano oggetto di segreto di Stato e pertanto potevano essere trasmessi alla p.g., come in effetti furonoDel resto, in presenza di documenti ritenuti segreti, non vi era alcun obbligo di trasmissione per la Questura di Bologna, che ben avrebbe potuto - e dovuto - opporre il segreto di Stato. Ed anzi in tal caso il comportamento tenuto dalla questura bolognese, avrebbe innanzitutto comportato una grave violazione del segreto di Stato con lesione della sicurezza dello Stato, ma potrebbe in astratto integrare il reato di cui all'art. 326 c.p. e forse sarebbe anche suscettibile di essere considerato non conforme al dovere di "lealta'" nei rapporti tra le istituzioni di cui alla sent. Corte cost. 110/1998. Infatti la Questura di Bologna, ai sensi del codice, ove avesse ritenuto di esser in presenza di atti segreti non avrebbe dovuti trasmetterli; per contro, trasmettendoli ha posto in essere le condizioni che hanno portato a far ritenere viziato l'intero procedimento, atteso che, alla luce delle citate sentenze della Corte costituzionale, non possono piu' utilizzarsi nemmeno gli atti sequestrati dalla Questura di Roma e ad essa messi a disposizione dalla Polizia di Prevenzione. Ne' pare sufficiente evidenziare che l'eventuale irritualita' del comportamento tenuto dalla Questura di Bologna era conseguente alla ritenuta illegittima richiesta della procura bolognese, non essendo accettabile sul piano giuridico ritenere che, ove quest'ultima non avesse fatto alcuna richiesta di esibizione, tutto quanto gia' acquisito sarebbe stato utilizzabile, ma che invece, poiche' detta richiesta fu fatta ed era viziata, e gli atti sono stati trasmessi ancorche' cio' non fosse un comportamento obbligato e dovuto, diventa inutilizzabile anche cio' che originariamente non lo era.. Ne' del resto rientravano nell'ambito di quelli di cui all'elenco all'allegato C che erano incisi dal segreto di Stato. Tale valutazione di fatto, che potrebbe fa ritenere non rilevante la questione di costituzionalita' che si prospetta, non e' stata fatta propria dalla Corte costituzionale con le surrichiamate sentenze, in cui si e' ritenuto che la procura di Bologna ha ottenuto "la esibizione di atti dei quali le era nota la segretezza", o comunque compiuto "atti di indagine sulla base di atti coperti da segreto di Stato". "... nella specie, risulta, in base a quanto si e' detto nella precedente esposizione in fatto, che atti coperti dal segreto sono stati acquisiti ed utilizzati" (C. cost. 110/1998). Questo giudice non ritiene di poter disattendere detta statuizione per altro insindacabile e vincolante, e quindi non ritiene allo stato che si possano utilizzare gli atti suddetti (nonche' quelli che a giudizio della Corte sono conseguenti a detta illegittima acquisizione, estendendosi gli stessi anche a quelli che gia' fin dall'inizio facevano parte del fascicolo ed erano originariamente stati legittimamente acquisiti). Di qui, la rilevanza della questione di costituzionalita' che si prospetta, non potendo il procedimento essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, come piu' oltre meglio si motivera'. Sulla nozione di segreto. La Corte costituzionale fin dalla sent. 86/1977, richiamata anche nella sentenza 110/1998, ha chiarito, in ordine ai rapporti tra opposizione del segreto di Stato e attivita' giudiziaria, che si e' di fronte ad attivita' che trovano entrambe tutela costituzionale, e quindi quando si parla di segreto di Stato "si pone necessariamente un problema di raffronto o di interferenza con altri principi costituzionali" e viene in considerazione "il bilanciamento fra l'interesse alla sicurezza e quello alla giustizia nei casi in cui vengano in conflitto" operato nella Costituzione. E' poi evidente che il conflitto si pone solo quando il fatto che una determinata notizia o un determinato documento non possa essere propalato, e quindi sia segreto, renda non attuabile la attivita' giudiziaria, il che ricorre laddove la stessa non possa utilmente procedere senza quella conoscenza o quel documento (non conoscenza, e non conoscibilita' nel processo dell'atto segreto). In altri termini occorre da un lato la sussistenza di qualcosa di segreto, e dall'altro la impossibilita' di procedere se non conoscendo quel segreto. In tali soli casi vi e' conflitto, altrimenti il problema non si pone. Il codice risolve poi la situazione di conflitto disponendo che in tal caso il giudice deve dichiarare la improcedibilita' dell'azione, qualora il segreto sia stato opposto e confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo (artt. 256 e 202 c.p.p.). La succitata disciplina e' fondata sul presupposto che gia' il mero fatto che un determinata notizia possa essere conosciuta in sede di giustizia potrebbe essere pregiudizievole alla sicurezza dello Stato e pertanto in tali casi e' dato, con l'opposizione del segreto di Stato, non far nemmeno pervenire quella conoscenza alla a.g. procedente. Del resto l'art. 12, legge n. 801/1977 correla espressamente la ricorribilita' all'istituto del segreto di Stato alla necessita' di evitare che la diffusione di determinati atti, documenti, notizie possa esser pregiudizievole per la integrita' dello Stato democratico. Parallelamente le norme del codice di procedura che disciplinano la materia sono strutturate in modo che, ove si sia in presenza di una di tali notizie, e' possibile far si' che le stesse non vengano in radice a far parte delle conoscenze processuali. E cosi', laddove sussista il segreto di Stato, il p.u. richiestone deve rifiutare la esibizione dei documenti e gli atti, il cui contenuto non viene quindi nemmeno a conoscenza della a.g. - art. 256 c.p.p. -; parimenti il teste richiesto di deporre su fatti che sa essere coperti da segreto di Stato, deve opporre il segreto e quindi rifiutare di rispondere, per cui anche in tal caso il contenuto del fatto segreto non viene a conoscenza della a.g., art. 202 c.p.p. Del resto segreto o c'e' o non c'e' nel caso di segreto di Stato, essendo in gioco la sicurezza dello Stato, il segreto deve essere assoluto - alcuno deve conoscerlo al di fuori dell'ambito del servizio e della autorita' ad esso preposte -, e quindi non esiste un segreto che possa invece avere una ambito piu ristretto (ad esempio limitatamente alla sfera dei soggetti processuali e non all'esterno) di diffusibilita'. Ne consegue che se l'informazione viene propalata al di fuori dell'ambito del servizio, perde immediatamente la sua connotazione di segretezza. In conclusione si vuole qui sottolineare che e' la segretezza (intesa come fatto storico) di un determinato atto che consente l'opposizione del segreto di Stato, con la conseguenza che quell'atto non puo' esser conosciuto dalla a.g. Per contro non puo' ritenersi che la mera opposizione del segreto di Stato possa rendere segreto un atto che tale di per se' non sia, essendo gia' stato "diffuso". Radicalmente diverso infatti sembra esser il caso in cui il documento o la notizia non abbiano di fatto natura di segretezza in quanto trattasi di documenti o notizie gia' note o gia' per altre legittime vie acquisite al processo. In tal caso non si pone piu' alcun problema di conflitto tra la necessita' di preservare un segreto (che di fatto non esiste) e pieno svolgimento della attivita' giudiziaria. Ne consegue in via logica che se un segreto su dette notizie era in precedenza stato formalmente opposto, lo stesso non puo' avere efficacia, mentre se, il segreto non e' stato ancora opposto lo stesso non puo' essere validamente opposto, e laddove lo sia e' da ritenersi inefficace. Tale appare la lettura delle norme piu' conforme alla Costituzione atteso che in tal modo si garantirebbe il pieno svolgimento della attivita' giudiziaria senza per altro porre in pericolo l'interesse alla sicurezza dello Stato, essendosi in presenza di notizie non piu' connotate da segretezza. Ne consegue in diritto che ricorre la non manifesta infondatezza della questione che si solleva. Orbene nel caso di specie e' incontestabile che il mero fatto storico della trasmissione degli atti da parte del questore di Bologna alla a.g. procedente abbia di fatto, a prescindere dalle intenzioni della p.a., che pure sono leggibili in tal senso come piu' sopra si e' motivato (la valutazione sul punto non muta anche laddove si ritenga, aderendo agli assunti difensivi, che la consegna dei documenti da parte del Questore di Bologna, dopo aver consultato il servizio sia avvenuta ... per errore), reso detti atti non segreti. A riprova di cio' bastera' considerare che non solo detti atti divenivano in tal modo noti alla a.g. procedente, bensi' anche, nei modi e nei tempi disciplinati dal codice, noti anche alle parti processuali e non - art. 329 c.p.p. Del resto bastera' considerare che, essendovi nel presente procedimento gia' state due fissazioni di udienze preliminari, gli atti sono stati depositati integralmente ai sensi dell'art. 419 c.p.p., e messi a disposizione delle parti e che quindi anche la p.o., e cioe' la persona ritenuta contigua a gruppi terroristici stranieri oggetto di osservazione, e' stata posta in grado di prenderne piena conoscenza. Similmente e' avvenuto in occasione della fissazione della udienza ex art. 409 c.p.p. in esito alla celebrazione della quale viene emesso il presente provvedimento. Sembra pertanto non conforme ne' al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 2 della Costituzione, ne' conforme alle norme a tutela della attivita' giudiziaria (in primis, artt. 101, comma 2, e 112 della Costituzione) l'art. 256 c.p.p. laddove consente di opporre il segreto di Stato anche in relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gia' contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti che, venendo contestualmente trasmessi alla a.g. perdono le loro caratteristiche di segretezza, ovvero laddove non prevede che il segreto in precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi inefficace nel caso in cui l'atto da esso coperto abbia perso il suo carattere di segretezza. Tale e' il caso di specie laddove si sono ritenuti coperti dal segreto di Stato atti (quelli trasmessi dal Questore di Bologna) che contestualmente venivano portati a conoscenza della a.g. che anzi in buona parte gia' erano in possesso della stessa (gli atti sequestrati all'inizio del procedimento coincidenti con quelli trasmessi dal Questore di Bologna), atti tutti che allo stato non sono utilizzabili stante le citate pronunce della Corte, e che invece potrebbero esserlo laddove la questione costituzionale che qui si solleva fosse ritenuta fondata, e di qui la sua rilevanza.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 256 c.p.p., in relazione agli artt. 3, secondo comma, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione nella parte in cui consente di opporre il segreto di Stato anche in relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gia' contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti che, venendo contestualmente trasmessi alla a.g., perdono le loro caratteristiche di segretezza, ovvero laddove non prevede che il segreto in precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi inefficace nel caso in cui l'atto da esso coperto abbia perso il suo carattere di segretezza; Dispone l'immediata trasmissione di copia integrale degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti, ai loro difensori, al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, addi' 16 luglio 1999. Il giudice: Pescatore 99C1143