N. 660 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 settembre 1999

                                N. 660
  Ordinanza emessa il 29 settembre 1999 dal giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il tribunale militare di Torino nel procedimento
 penale a carico di Padalino Mario
 Reati militari - Violata consegna da parte  di  militare  di  guardia
    (nella  specie:  svolgimento  del  servizio  in  abiti  civili)  -
    Indeterminatezza  della  fattispecie  incriminatrice,   posta   la
    configurazione   dell'illecito   nell'ipotesi   di   "difetto   di
    osservanza a qualsiasi precetto impartito dall'autorita' militare"
    - Lesione del principio di legalita' - Incidenza  sul  diritto  di
    difesa    -    Violazione   del   principio   di   obbligatorieta'
    dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico  ministero
    e  del principio di eguaglianza - Contrasto con il principio della
    necessaria offensivita'.
     Codice penale militare di pace, art. 120.
  Costituzione, artt. 3, 13, 24, secondo comma, 25, secondo comma,
(GU n.50 del 15-12-1999 )
    e 112.
                          IL TRIBUNALE MILITARE
   Nel procedimento penale a carico  di  Padalino  Mario,  nato  il  5
 novembre  1976  a  Caserta  e  residente a Genova, in via E. Salgari,
 comune 2 classe  in  ufficio  locale  Marittimo  in  Sestri  Levante,
 imputato  del  reato  di  "violata  consegna  da parte di militare di
 servizio" (art.  120, comma 1 c.p.m.p.) perche', all'epoca dei  fatti
 militare  effettivo  all'ufficio  locale marittimo di Sestri Levante,
 ivi, il 14 marzo 1999,  essendo  comandato  di  servizio  di  guardia
 giornaliera  h  24,  violava le consegne avute, svolgendo il servizio
 predetto in abiti civili e non indossando, come prescritto la divisa.
   Ha  pronunciato  la   seguente   ordinanza   sulla   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 120 c.p.m.p. in relazione agli
 artt. 25,  secondo  comma,  24,  secondo  comma,  112,  3,  13  della
 Costituzione;
                             O s s e r v a
   In  data  16  luglio 1999 il pubblico ministero esercitava l'azione
 penale nei confronti del marinaio sopra generalizzato  e  chiedeva  a
 questo  giudice  emettersi  decreto  penale di condanna alla multa di
 lire 3.375.000 per il delitto sopra descritto di "violata consegna da
 parte di militare di servizio" (art. 120 c.p.m.p.).
   Si  dubita,  pero',   della   legittimita'   costituzionale   della
 fattispecie  incriminatrice  contestata  con riferimento ai parametri
 costituzionali sopra evidenziati.
   Infatti, dallo studio  degli  atti  d'investigazione  del  pubblico
 ministero  emergono  tutti  i  dubbi  che  la  dottrina e la migliore
 giurisprudenza  di  merito  hanno  evidenziato   relativamente   alla
 costituzionalita'  di  siffatta fattispecienormativa,  caratterizzata
 dall'essere una tipica norma penale in bianco in cui  il  legislatore
 ha  omesso  di  indicare  all'amministrazione,  che deve integrare il
 precetto con fonte  normativa  di  rango  secondario,  quali  debbano
 essere i contenuti, i presupposti i caratteri ed i limiti dei comandi
 costituenti consegna.
   Dall'analisi  delle  fonti di prova raccolte dal pubblico ministero
 quali elementi per imputare al marinaio sopra generalizzato di  avere
 violato  la consegna avuta affiorano tutti i dubbi e le censure della
 norma, data la labilita' della  formula  impiegata  dal  legislatore;
 rimane  la  incerta nozione penale di consegna, in particolar modo le
 nozioni di consegna quale prescrizione implicita e quale prescrizione
 di  dettaglio  rispetto   alle   finalita'   tipiche   del   servizio
 specificatamente richiesto al militare.
   E'   d'uopo,   pertanto,   riferirsi  brevemente  al  caso  oggetto
 dell'odierna causa penale per poi, passare ad analizzare i  censurati
 profili d'incostituzionalita' della norma incriminatrice.
   I.  - I fatti si sono verificati all'interno dell'ufficio marittimo
 di Sestri Levante, dipendenti dall'ufficio circondariale marittimo di
 Santa  Margherita Ligure, Ente dipendente dal Ministero dei trasporti
 e della navigazione  ove  svolgono  servizio  di  vigilanza  militari
 appartenenti alla Marina militare.
   Per  comune esperienza e' noto che in siffatti Enti, competenti non
 alla difesa della Patria con le armi bensi'  a  numerosi  compiti  di
 polizia  marittima,  i  servizi  militari  che normalmente negli Enti
 dipendenti dal Ministero della difesa vengono svolti con armi  e  con
 vestiario  ed  equipaggiamento  idoneo  a sostenere eventuali ingaggi
 vengono adempiuti senza armi.
   Ed infatti, il 14 marzo '99 il marinaio di leva sopra generalizzato
 ebbe ad essere comandato di vigilanza non armata all'area portuale di
 Sestri Levante; servizio che veniva  adempiuto  regolarmente  tant'e'
 che  vi  e'  prova  in  atti  che  l'imputato  ebbe  ad allertare per
 un'ispezione anche il piantone di servizio.  Si  imputa  al  militare
 solo  di  avere  svolto  il  servizio  non in divisa bensi', in abiti
 civili.
   E' evincibile in atti prova di un tentativo del pubblico  ministero
 di  apprendere  le consegne cola' vigenti e disciplinanti il servizio
 di guardia giornaliera, consegna che si assume sin dalla  notizia  di
 reato  e allegati essere stata trasmessa al militare (la prescrizione
 penale implica un "tradere").
   Pero',  di  consegne scritte in atti non v'e' traccia ed il sott.le
 responsabile dell'Ente cosi' si  esprime  a  proposito  dei  precetti
 costituenti consegna che sarebbero stati violati dall'imputato: "....
 i  militari  preposti  a tale servizio si alternano nello svolgimento
 dei vari compiti, compiti previsti da varie normative come ad esempio
 il Codice della navigazione e varie ordinanze  emesse  dall'Autorita'
 marittima.  Il  servizio di guardia giornaliera deve essere svolto in
 divisa, perche', in caso  di  necessita',  essendo  anche  agenti  di
 polizia   giudiziaria,   gli   stessi  devono  essere  immediatamente
 riconosciuti da chiunque" (f. 23 atti).
   Avendo il pubblico ministero esercitato l'azione penale,  e'  ovvio
 dedurre  che  si sia condiviso l'indirizzo giurisprudenziale costante
 per cui le prescrizioni la  cui  violazione  da  parte  del  militare
 integrano   la   condotta  delittuosa  di  violata  consegna  possono
 benissimo  essere  anche  prescrizioni  di  dettaglio  rispetto  alle
 principali dovendo pero' attenere direttamente alle finalita' tipiche
 del  servizio  richiesto  al  militare  (nel  caso  che  ci occupa il
 servizio richiesto era quello di vigilare l'area e non  certo  quello
 disciplinante  le modalita' di vestiario da indossare per l'accertato
 servizio non armato).
   Ma, dall'esame testimoniale del responsabile  dell'Ente  si  evince
 come  la  particolare  prescrizione  violata,  integrante la condotta
 criminosa  contestata,  sarebbe  da  dedursi   implicitamente   dalle
 caratteristiche  essenziali  del  servizio;  in  altri  termini,  non
 sarebbe una  prescrizione  espressamente  impartita  ma,  logicamente
 desumibile dalle caratteristiche tipiche del servizio comandato:
   In  realta',  basterebbe  pensare  ai  numerosi  servizi di polizia
 giudiziaria che i militari svolgono "in borghese" per capire come sia
 preoccupante il dato emergente da cui si e' ricavata  un  ipotesi  di
 consegna  implicita  e,  cio',  perche',  fondantesi  su  dato labile
 imposto dal legislatore  che  concede  all'interprete  l'arbitrio  di
 sussumere  o meno un fatto sotto la fattispecie incriminatrice di cui
 oggi si dubita circa la sua costituzionalita'.
   Al riguardo l'interprete dispone della definizione legale contenuta
 nell'art. 26 del vigente regolamento di disciplina  militare  secondo
 cui   "la  consegna  e'  costituita  dalle  prescrizioni  generali  o
 particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per
 l'adempimento di un particolare servizio".
   Tale nozione disciplinare di consegna e' tradizionalmente accettata
 dalla giursprudenza penale militare; pero', essa non risolve  affatto
 i dubbi circa la determinatezza e tassativita' della nozione indicata
 dal  legislatore  nella  fattispecie incriminatrice ("il militare che
 viola la consegna avuta") poiche', la tecnica normativa e' stata tale
 per cui l'illecito  e'  stato  costruito  come  semplice  difetto  di
 osservanza a qualsiasi precetto impartito dall'autorita' militare per
 l'adempimento   di  un  servizio;  una  sorta  di  illecito  di  mera
 disobbedienza in cui il legislatore ha inteso  sanzionare  penalmente
 comportamenti   disancorati   dalla  effettiva  lesione  di  un  bene
 giuridico.
   In  siffatto  contesto  la  nozione   disciplinare   aumenta   solo
 l'incertezza  giacche',  la  fonte  regolamentare  si impone per dati
 opposti ove il disgiuntivo "o" fra una definizione  e  l'altra  ancor
 piu'  rende  l'idea di nozioni opposte irreversibilmente antitetiche,
 in sintesi la nozione disciplinare di consegna e' tutto e niente allo
 stesso tempo.
   Premesso  cio',  con  riferimento,  al  principio costituzionale di
 riserva  di  legge  di  cui  all'art.   25,   secondo   comma   della
 Costituzione,  che  costituisce  il  primo contenuto del principio di
 legalita'.
   La riserva di legge in materia penale cosi' come riconosciuto dalla
 migliore dottrina penalistica deve intendersi di carattere  assoluto:
 cio'  lo  si  desume  dalla  collocazione  sistematica  dell'art. 25,
 secondo comma  della  Costituzione  nella  Parte  l,  del  titolo  1,
 concernente  non  tanto  l'organizzazione dei poteri dell'ordinamento
 della Repubblica, quanto i diritti e doveri dei  cittadini;  in  tale
 quadro  la  legge  in  senso  formale  e' atto normativo che offre le
 maggiori garanzie per  liberta'  personale,  riconosciuta  come  bene
 inviolabile  proprio  dall'art. 13 della Costituzione, e cio' sia dal
 punto di vista tecnico, per l'iter vagliato ed  approfondito  da  cui
 scaturisce,  sia  dal lato politico perche' espressione di equilibrio
 parlamentare  e   controllo   delle   minoranze   sulle   maggioranze
 dell'esecutivo.  E'  la  sistemistica  costituzionale  che  in primis
 depone per il carattere assoluto della riserva di  legge  costituendo
 questa   garanzia   del   cittadino  nell'esplicazione  dello  status
 libertatis.
   Ora il legislatore del 1941, in periodo di guerra ed in  ambito  di
 costituzione  elastica,  ebbe,  per  quanto attiene alla norma di cui
 oggi  si  dubita  della  costituzionalita'  a   delegare   totalmente
 all'amministrazione la descrizione del precetto mediante integrazione
 successiva.  Il  legislatore  ha previsto solo la sanzione demandando
 all'esecutivo la definizione di consegna  e,  persino  la  disciplina
 delle  ipotesi  in  cui  rileverebbe  quale illecito penale privativo
 della liberta' personale l'inottemperanza alla stessa.
   Trattasi  di  norma  penale  in  bianco  perche'  il  precetto   e'
 totalmente  integrato  da atti normativi sottordinati nella gerarchia
 delle fonti del diritto, quali il provvedimento dei comandi  militari
 (financo il piu' sperduto comando di distaccamento).
   Tale  tecnica  di  strutturazione  della  norma  viola il principio
 costituzionale  della  riserva  di   legge   perche',   conformemente
 all'ideologia  autoritaria  di  delega all'esecutivo della disciplina
 dei fatti ritenuti lesivi all'ordine costitutivo, il  legislatore  si
 e'   totalmente   spogliato  nella  scelta  sua  tipica  di  politica
 criminale-militare di definire presupposti, contenuto e limiti  della
 consegna e della sua violazione.
   E,  cio',  con  tutte  le  conseguenze  in  tema  di certezza della
 fattispecie penale  poiche',  e'  ben  noto  che  nella  legislazione
 militare  vigente la nozione di consegna viene ad abbracciare anche i
 provvedimenti limitativi della liberta' personale mediante,  appunto,
 l'irrogazione  delle  consegne  di  rigore  e  semplici  da parte del
 comandante di Corpo.
   Nel caso che si occupa il precetto penale risulta costituito  dalla
 generica  imposizione  di  obbedienza  a qualsiasi atto che qualsiasi
 comandante  militare  definisca  quale  consegna   con   la   abnorme
 possibilita'  che  un fatto perda di rilevanza penale solo perche' la
 medesima autorita' amministrativa revochi una consegna emessa  cosi',
 realizzandosi  disparita'  di  trattamento  fra  cittadini militari a
 seconda che la loro inottemperanza a certi obblighi si sia  consumata
 prima o dopo la suddetta revoca dell'atto amministrativo.
   Nel  contesto  di  cui ora ci occupiamo e' estraneo l'aspetto della
 cd.  integrazione   tecnico-scientifica   del   precetto   ad   opera
 dell'amministrazione,   ipotesi   in  cui  sarebbe  salvaguardato  il
 principio costituzionale, poiche', come gia'  detto,  ivi  rileva  la
 completa  integrazione  e descrizione del precetto penale da parte di
 fonte del diritto di carattere secondario.
   Ma, anche qualora il  principio  costituzionale  della  riserva  di
 legge  in  materia  penale  fosse ritenuti di carattere relativo come
 sembrerebbe  desumersi  da  precedenti  pronunciamenti  della   Corte
 costituzionale,  pur  tuttavia  il legislatore penale in questione ha
 omesso di determinare in modo sufficiente i presupposti, i caratteri,
 il  contenuto  e  i  limiti  dei  provvedimenti  dell'amministrazione
 specificativi dell'astratta e generica nozione di consegna.
   Se con le sentenze nn. 26/1966 e 282/1990 il giudice delle leggi ha
 introdotto  il  criterio della cd "sufficiente determinazione legale"
 cui   dovrebbe   sottostare   il   legislatore   nella   tecnica   di
 strutturazione normativa, nel descrivere il delitto di cui l'art. 120
 c.p.m.p.  vi e' una totale omissione di quei dati caratterizzanti una
 ponderata scelta di politica criminale, delegandosi all'esecutivo  ed
 ai  suoi rami periferici l'arbitrio, collegato anche alla capacita' o
 meno di utilizzare appropriata terminologia giuridica, la scelta  che
 fra   sanzionare   penalmente   oppure  disciplinarmente  i  casi  di
 violazione ai doveri.
   Ma, come gia' evidenziato, ivi vi  e'  un  totale  rinvio  all'atto
 amministrativo   subordinato  da  parte  della  legge  penale,  nella
 persistenza del  potere  dell'amministrazione  di  modificare  l'atto
 stesso  e,  cio'  equivale  a  rinvio  da parte della legge al potere
 subordinato ed e', pertanto, chiaramente violativo della  riserva  di
 legge  ex  art.  25,  secondo  comma  della  Costituzione (ved. Corte
 costituzionale 11 giugno 1990, n. 282).
   Il legislatore quando ha creato la fattispecie incriminatrice  oggi
 impugnata   ha,   in   sintesi,   demandato   all'amministrazione  la
 determinazione dei termini normativi rilevanti  per  l'individuazione
 del fatto tipico ovvero, il nucleo fondante il contenuto d'illecito.
   Con  riferimento  al  principio  costituzionale  di tassativita' (o
 determinatezza) di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione,
 che costituisce il secondo contenuto del principio di legalita'.
   La  rilevanza  costituzionale  del  principio  di  tassativita'  e'
 desumibile  dalla  ratio  dell'art.  25,  secondo  comma  della Carta
 fondamentale, dato che la garanzia stabilita sul  piano  delle  fonti
 verrebbe  svuotata  ed  aggirata  in sede applicativa da formulazioni
 indeterminate e vaghe.
   Gia'  si  e'  precedentemente  detto  della   indeterminatezza   ed
 incertezza  della  nozione di consegna e di violazione di consegna di
 cui all'art.   120 c.p.m.p. quando si e'  discorso  in  premessa  del
 fatto  concreto  sottoposto  all'esame  di questo giudice. Gia' si e'
 detto di come la giurisprudenza estenda la nozione di consegna fino a
 ricomprendere le  consegne  di  dettaglio  e  le  consegne  implicite
 rispetto  a  quelle  principali  che  disciplinano il servizio tipico
 comandato al militare  e,  gia'  si  e'  discorso  di  come  il  caso
 sottoposto all'esame di questo giudice sembra sussumersi sotto queste
 ultime ipotesi di consegna.
   La  situazione consegue al difetto strutturale nella descrittivita'
 del precetto. Nel momento in cui questo e' indeterminato  perche'  il
 legislatore  rinvia  per le sua determinazione a futuri interventi di
 organi  amministrativi  senza  prescrivere  presupposti,   contenuti,
 limiti ne deriva un'incertezza congenita. E rilevato che il principio
 costituzionale  obbliga il legislatore a formulare il precetto penale
 con  chiarezza  in  modo   che   sia   univocamente   desumibile   la
 norma-comando  sicche',  il  cittadino  medio  (anche militare) possa
 facilmente orientarsi fra cio' che non e' penalmente vietato  e  cio'
 che,  invece,  e'  penalmente  vietato  ed il giudice non addivenga a
 godere di arbitrio nel reprimere i comportamenti umani, la  norma  in
 questione  nella  sua  descrittivita'  non assicura la certezza della
 legge  laddove  non  definisce  la  nozione  di  consegna  penalmente
 rilevante.
   Il   legislatore   non  offre  dei  parametri  di  valutazione  cui
 riferirsi.
   Arduo e' definire la condotta vietata ed essendo nullo  il  margine
 positivo  o negativo sicurezza diventa regola il margine di decisioni
 giurisprudenziali  opposte.  Il  giudice  diventa  arbitro   assoluto
 potendo   ricorrere   nella   attivita'   interpretativa   a  fattori
 essenziali, magari legati al contesto  socio-politico  cosi'  creando
 per  esempio anche la figura (aberrante) della consegna implicita con
 una  sorta  di  imputazione  oggettiva  al  militare  che   ebbe   la
 trasmissione della consegna principale e generale.
   Cosi'   si   arriva,   infine,   a   discorrere   delle  violazioni
 costituzionali di cui agli artt. 24, secondo comma, e 112.
   Illustrati i motivi  che  fanno  ritenere  non  sia  manifestamente
 infondata l'ipotesi della violazione della fattispecie incriminatrice
 in   questione  rispetto  ai  principi  di  riserva  di  legge  e  di
 passativita', consegue anche un pregiudizio al diritto di difesa  che
 spetta all'imputato e dell'obbligo spettante al pubblico ministero di
 esercitare l'azione penale.
   Infatti,  il  cittadino  militare  non  puo'  conoscere cio' che e'
 vietato penalmente da cio' che consentito, od al massimo  costituente
 semplice illecito disciplinare per inottemperanza a doveri, onde, non
 puo' decidere con coscienza e volonta' il proprio comportamento.
   Viene  a  scemarsi  il  sistema delle garanzie processuali dato che
 alla contestazione  da  parte  di  un  giudice  di  una  consegna  di
 dettaglio   e   implicita  (come  avverrebbe  nel  caso  de  quo  con
 l'emissione del decreto penale di condanna) il cittadino militare non
 puo' opporre valide argomentazioni ma, al massimo, difformi indirizzi
 giurisprudenziali.  Il diritto alla difesa viene frustrato.
   Lo stesso pubblico ministero non ha le  possibilita'  di  conoscere
 con  certezza  i  comportamenti  da  reprimere  dagli  altri che sono
 consentiti.
   In relazione all'art. 3 della Costituzione che esprime il principio
 di eguaglianza:
     profilo a): le violazioni del  principio  di  legalita'  sembrano
 comportare  necessariamente  la ulteriore violazione del principio in
 questione poiche',  giustificano  possibili  decisioni  difformi  del
 giudice  in  presenza  di  identiche  situazioni di fatto. Viene meno
 l'eguaglianza dei cittadini militari a parita' di condotta.
     profilo b): da quanto evidenziato in questa ordinanza,  stabilito
 che  relativamente  alla  fattispecie incriminatrice che ci occupa il
 legislatore  ha  delegato  "in  bianco"   alla   amministrazione   la
 descrittivita'  del  precetto, deriva che e' quest'ultima (financo il
 comandante  del  piu'  sperduto  Ente  militare)  a   stabilire   con
 l'emissione  di  atti amministrativi costituenti consegna cio' che e'
 delitto o meno ed, a stabilire con la revoca o  l'annullamento  degli
 stessi  cio'  che non e' piu' reato. Cosi' sottoponendosi i cittadini
 militari,  per  quanto  attiene  alla  propria  liberta'   personale,
 all'arbitrio assoluto dell'esecutivo ed a sperequazioni di fatto dato
 che  fino  ad  un  certo  momento  nello stesso Ente militare si puo'
 essere denunciati (e successivamente imputati) per  violata  consegna
 e,  poi,  magari  per  circostanze  del  tutto voluttuarie (del resto
 incontrollabili dal giudice) essere immuni  da  sanzione  penale  pur
 avendo tenuto la stessa condotta.
   In   riferimento   agli   artt.  25,  secondo  comma,  e  13  della
 Costituzione raffiguranti anche  il  principio  costituzionale  della
 necessaria offensivita' del reato a beni di rilievo costituzionale.
   Gia'  si  e'  detto  che entrambi i principi, sia di legalita', sia
 quello tutelante lo status libertatis sono posti sullo  stesso  piano
 dovendosi quindi, da parte del legislatore penale operare un corretto
 bilanciamento  di  interessi  fra beni di pari rilievo costituzionale
 per  elidere  il  favor  libertatis  di  cui  deve  godere  qualsiasi
 cittadino, compreso quello alle armi.
   In  un'ottica  costituzionale  il  diritto  penale  deve  essere la
 extrema ratio e, solo laddove il diritto amministrativo punitivo  non
 ha  spazio  di  efficacia.  Ecco  perche'  le singole figure di reato
 devono essere costruite in  funzione  offensiva  di  ben  determinata
 oggettivita'  giuridica  procedendosi  con  una sorta di tipizzazione
 delle offese. Il sistema penale deve essere armonico  rispetto  anche
 alla  Carta  fondamentale  in  modo  da  esser applicato solo a fatti
 concretamente offensivi in misura apprezzabile di beni  di  rilevanza
 costituzionale.
   E  nell'ottica  di  tali  principi  non  trovano  spazio i reati di
 pericolo presunto giacche', punire per un  pericolo  non  accertabile
 con  un  giudizio  ex  ante  alla  condotta e, ove nessun pericolo fu
 preaccertato esistente degradare la fattispecie di reato  a  pericolo
 di astratta disubbidienza al precetto.
   E  la  fattispecie  incriminatrice di cui all'art. 120 c.p.m.p. per
 unanime dottrina  e  giurisprudenza  e'  un  esempio  di  delitto  di
 pericolo presunto, un illecito penale di mera disubbidienza in cui il
 legislatore ha inteso sanzionare penalmente comportamenti disancorati
 dalla  effettiva  lesione  di  un  bene  giuridico. Il militare viene
 punito con  la  reclusione  militare  e,  quindi,  con  una  sanzione
 privativa  della  liberta'  personale  solo  per  avere disobbedito a
 doveri impartiti dal legislatore (anzi dall'amministrazione visto che
 vi e' una delega "in bianco").
   La costruzione della fattispecie censurata e', per di  piu',  priva
 di  "clausole  negative"  dalle  quali  possa evincersi se al momento
 della  condotta  sia  da  escludersi  una  lesione  a  qualche  bene,
 giuridico di rilievo costituzionale.
   Le   questioni   prospettate   sembrano  tutte  non  manifestamente
 infondate ed anche rilevanti giacche', coinvolgono  la  stessa  norma
 incriminatrice contestata in imputazione.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenute  le  questioni  esaminate  rilevanti  e non manifestamente
 infondate;
   Solleva  per  violazione degli artt. 25, secondo comma, 24, secondo
 comma, 112, 3,  13  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale 120 c.p.m.p.;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il processo fino all'esito del  giudizio  di  legittimita'
 costituzionale;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata, a cura della
 cancelleria, alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri,  e
 comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente
 della Camera dei deputati.
   Cosi' deciso in Torino, il 29 settembre 1999.
            Il giudice per le indagini preliminari: Roberti
 99C1183