N. 694 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 ottobre 1999
N. 694 Ordinanza emessa il 13 ottobre 1999 dal giudice per le indagini reliminari presso il tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Macor Fausto Reati militari - Diffamazione - Procedibilita' condizionata alla richiesta del Comandante di corpo e non alla querela della persona offesa - Irragionevole disparita' di trattamento rispetto alla disciplina di diritto comune - Lesione del diritto di difesa - Incidenza sullo spirito democratico cui e' informato l'ordinamento delle Forze armate. C.P.M.P., art. 227, comma 1, in relazione al c.p.m.p. art. 260. Costituzione, artt. 3, 24 e 52, terzo comma.(GU n.52 del 29-12-1999 )
IL TRIBUNALE MILITARE Nel procedimento penale a carico di Macor Fausto, nato il 5 dicembre 1953 a Udine, colonnello EI in servizio alla Brigata EI Taurinense in Torino, indagato del reato di diffamazione (art. 227, comma 1 C.P.M.P.) cosi' come commesso il 3 novembre 1998 in Torino ai danni di ten. col. EI Agostini Domenico; in sede di udienza camerale, a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione della persona offesa dal reato, ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 227, comma 1 C.P.M.P. in relazione all'art. 260 C.P.M.P. in riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma della Costituzione; O s s e r v a Con atto del 21 giugno 1999 il pubblico ministero chiedeva a questo giudice decreto di archiviazione per il delitto di diffamazione semplice (art. 227, comma 1 C.P.M.P.), ascritto al Capo di stato maggiore della Brigata alpina Taurinense e relativamente ad una denuncia del ten. col. Agostini Domenico che aveva esposto di essere stato gravemente leso nella reputazione, in sua assenza e avanti piu' persone, dal superiore in grado. La richiesta dell'accusa e' motivata esclusivamente sull'aspetto del difetto della richiesta di procedimento del comandante di Corpo dell'indagato che e' comandante della stessa Brigata e, cioe', per un difetto di condizione di procedibilita' stante il fatto che il delitto per cui si procede, essendo punito con la pena della reclusione militare non superiore a mesi sei, richiede necessariamente la proposizione della richiesta di procedimento di cui all'art. 260 C.P.M.P. Alla richiesta di archiviazione si opponeva in termini il denunciante, persona offesa dal reato per cui si procedeva, che chiedeva ulteriori investigazioni e la acquisizione di altre prove testimoniali. Veniva, pertanto, emesso decreto di fissazione dell'odierna udienza camerale. Merita dire che la persona offesa non solo aveva presentato dettagliata denuncia, non solo era stata escussa a sommarie informazioni (ed in tale veste ulteriormente esplicitava il proprio intendimento di volersi tutelare in sede penale), non solo ebbe a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero ex artt. 408 ss c.p.p. ma, altresi', ebbe a presentare atto di querela nei confronti dell'indagato gia' denunciato. Con cio' manifestando in tutti i modi la volonta' di attivare l'esercizio dell'azione penale e agire in giudizio a salvaguardia dei propri diritti ritenuti lesi dalla condotta del proprio capo di stato maggiore. Stante l'attuale situazione normativa questo giudice dovrebbe accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero essendo provato in atti che il comandante di Corpo, pur notiziato dallo stesso denunciante dell'asserito illecito, non ha avanzato la richiesta di procedimento penale ex art. 260 C.P.M.P., necessaria condizione di procedibilita'; cio', nonostante la circostanza che i fatti descritti nella denuncia e nella querela siano stati provati nella loro materialita'. In altri termini, visto il diritto vigente questo giudice non puo' riconoscere validita' alcuna alle manifestazioni univoche con cui la persona offesa ha fatto intendere non solo di voler esercitare il diritto di agire in giudizio ma, anche di voler iniziare immediatamente l'azione per il risarcimento del danno mediante quell'atto prodromico alla dichiarazione di costituzione di parte civile che e' la querela (laddove come nel caso di specie il delitto non e' perseguibile d'ufficio). Questo giudice ritiene, pertanto, doversi promuovere questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 227, comma 1 e 260 C.P.M.P. ed in riferimento ai parametri costituzionali sopra invocati che esprimono i criteri fondamentali cui deve attenersi il legislatore nella sua attivita': il rispetto dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, di tutela per tutti di agire in giudizio a difesa dei propri diritti, di permeabilizzazione dell'ordinamento delle Forze Armate allo spirito e valori democratici dello Stato. Si ritiene infatti, che la Carta fondamentale abbia comportato il superamento della logica istituzionalistica dell'ordinamento militare per cui questo non deve piu' considerarsi autosufficiente a tutela di esigenze, beni e valori aprioristicamente considerati prevalenti anche sui diritti della persona, pur militare che sia. L'ordinamento militare va ricondotto nell'alveo dell'ordinamento generale dello Stato, garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, alle armi o non. Gia' la Corte costituzionale in varie sentenze ha detto che il diritto penale militare di pace "non solo non puo' ritenersi avulso dal sistema generale garantistico dello Stato, ma non va piu' esaltato come posto a tutela di beni e valori di tale particolare importanza da superare, nella gerarchia dei valori garantiti, tutti gli altri" (vedi anche sentenza n. 278 del 1987). E' dato incontrovertibile per cui con la Costituzione repubblicana nell'ordinamento delle Forze Armate devono essere tenuti costantemente presenti le ispirazioni ultime del vigente ordinamento democratico, che ha il suo essenziale quadro di riferimento nei valori dell'uomo: riconoscimento e tutela della personalita' e dignita' dell'uomo. Anche il cittadino alle armi deve godere dei diritti civili sociali e politici che vengono riconosciuti agli altri cittadini, financo il diritto di agire in giudizio a tutela dei diritti soggettivi lesi dal reato. Con cio' e' illogico ed abnorme che sia demandato al solo comandante di Corpo la valutazione circa l'esercizio dell'azione penale per il delitto per cui oggi vi e' causa e, comunque, per tutte le fattispecie che prevedono nel massimo edittale una sanzione non superiore a mesi sei di r.m e, magari riguardo a delitti identici a quelli previsti dal codice penale comune, e perseguibili a querela, cioe' mediante attivazione della stessa persona offesa e non di soggetti, pur pubblici, estranei alle valutazioni finalizzate alla tutela dei privati e personali valori. L'Autorita' militare, come e' il comandante di Corpo, come riconosce anche la dottrina nell'avanzare o meno la richiesta di procedimento ex art. 260 C.P.M.P. valuta esclusivamente l'interesse alla tutela dell'immagine del reparto; opera secondo criterio di convenienza o meno che un fatto, pur penalmente rilevante, rimanga circoscritto intra moenia della caserma anziche', essere pubblicizzato all'autorita' giudiziaria, pur militare, considerata in tale logica istituzionalistica una realta' estranea. Con la conseguente compromissione di tutela delle esigenze, beni e valori incidenti sulla sfera delle personalita' del cittadino alle armi. Ad avviso di questo giudice le norme impugnate secondo cui il delitto di diffamazione semplice e' punibile solo a richiesta del comandante di Corpo e non a querela della persona offesa si pongono in contrasto anche con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Cio' rileva in modo particolare nell'attuale contesto normativo a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, che in toto si applica anche nel rito militare, ed in coerenza con la recente giurisprudenza della Corte costituzionale che ha caducato tutte quelle norme del codice penale militare di pace costituenti le ultime deroghe alla procedura penale comune. Si rappresenta infatti, che nell'ultimo decennio il giudice delle leggi e' intervenuto a dichiarare incostituzionalita' dell'artt. 308, 377, 402, 365 e 270 del C.P.M.P. Assai rilevante per il caso che ci occupa e' la sentenza n. 60 del 22 febbraio 1996 che ha comportato la declaratoria d'incostituzionalita' dell'art. 270 C.P.M.P. secondo cui "nei procedimenti di competenza del giudice militare, l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non puo' essere proposta davanti ai tribunali militari". Attualmente, e nonostante quest'ultimo intervento di caducazione costituzionale, la persona offesa e danneggiata dal reato nel processo penale militare ha ancora un trattamento deteriore rispetto alla medesima persona offesa e danneggiata dal reato nel processo penale comune. Ed ancor piu' cio' rileva, come nel caso di specie, ponendo a raffronto le norme oggi impugnate con quelle di cui all'art. 595 c.p. che presuppone la possibilita' di rimettere all'offesa la scelta di adire in giudizio mediante l'esercizio del diritto di querela. Esercizio di diritto che unico permette di usufruire degli ulteriori spazi consentiti dall'ordinamento financo quello di costituzione parte civile; anzi, atto necessario e propedeutico alla costituzione di parte civile laddove, come nei delitti contro la persona, e' rimessa alla sola volonta' dell'offeso la punibilita' del reato. Di fatto la circostanza che il legislatore del 1941 per il delitto di diffamazione semplice commesso da militare a danno di altro militare non abbia introdotta come condizione di procedibilita' l'istituto della querela (quantomeno in aggiunta della richiesta di procedimento del comandante di Corpo), cosi' come previsto nel 1931 per il parallelo delitto di cui all'art. 595 c.p., pone seri problemi alla ragionevolezza ed equita' della sistematica normativa. Devesi, infatti, chiarire che di fatto ancora, e nonostante l'intervento del giudice delle leggi di cui alla sentenza n. 60/1996, viene impedito alla persona offesa dal reato militare di partecipare all'accertamento del fatto storico che e' fonte e presupposto del suo diritto al riconoscimento dei danni, non potendo concorrere ne' portare il suo contributo di conoscenza e di prove alla formazione del convincimento del giudice in ordine alla responsabilita' dell'imputato. E tutto cio' perche' per quanto attiene al delitto che ci occupa, difettando quale condizione di procedibilita' la querela, viene impedita in nuce alla persona offesa l'estrinsecazione di quelle facolta' e diritti, quale la recente possibilita' introdotta anche per il rito militare di costituirsi parte civile, volte alla tutela della personalita' umana. Tutto e' ancora piu' irragionevole, financo assurdo, poiche' introdotta per la persona offesa nel rito penale militare la possibilita' di costituzione di parte civile ex artt. 78 ss c.p.p. e' impedito di fatto tale esercizio laddove come nel caso che ci occupa, e sempre in ambito di delitti contro la persona, non e' previsto il diritto di querela e diversamente dal corrispondente delitto comune. Con le ovvie conseguenze per cui, come nel caso di specie, che il militare che ha denunciato e querelato altro militare per diffamazione semplice, non puo' successivamente costituirsi parte civile (possibilita' riconosciutagli a seguito di intervento della Consulta), e laddove, per fatto accidentale e comunque non rimesso alla sua volonta' il comandante di Corpo, unico depositario dell'unica condizione di procedibilita', abbia scelto di mantenere "segretato" l'illecito in ambito di caserma. Lo stesso organo di autogoverno della magistratura militare in una recente delibera del 21 luglio 1999 (con cui invitava per l'ennesima volta i Ministri responsabili ad una legislazione penale militare adeguata ai tempi) ha asserito che "una tale previsione di indifferenza per la volonta della persona offesa in ordine alla punibilita' dei reati contro la persona commessi in ambito militare appare in contrasto, oltre che con i principi costituzionali con l'attuale tendenza della legislazione ordinaria di accentuare il ruolo della stessa persona offesa ... Alla luce delle affermazioni della Corte appare paradossale che il militare (persona offesa di reato contro l'incolumita' individuale, la liberta' morale, l'onore) al quale dopo l'inizio della azione penale sono riconosciuti diritti incisivi, corrispondenti a quelli del comune cittadino, non abbia la possibilita' di determinare l'esercizio della azione penale per tali reati, ma sia al riguardo esposto alla insindacabile decisione del comandante di Corpo, relativa alla proposizione della richiesta di procedimento". Inoltre, una irragionevole disparita' di trattamento esiste solo anche se si ponga mente come gia' detto, alla disciplina di diritto comune che esprime un principio del tutto opposto in base al quale il danneggiato dal reato puo' determinare, senza rimessione ad altri, l'esercizio dell'azione penale per le stesse fattispecie di reati contro la persona a tutela di beni quali l'onere e la reputazione. Del resto, non esistono ragioni per cui altri interessi o valori debbano considerarsi preminenti rispetto ai beni e valori quali quelli che sono tutelati dalla previsione del delitto di diffamazione. Si deve rilevare; poi, che la salvaguardia della posizione del danneggiato costituisce uno specifico obiettivo del nuovo codice di procedura penale, che integralmente si applica al rito militare senza eccezione, previsto del legislatore nella legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81. In conclusione, la denunciata preclusione per il militare che abbia denunciato e querelato altro militare di diffamazione di determinare l'esercizio della azione penale comprime illegittimamente il diritto del danneggiato di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni. Le questioni prospettate sembrano tutte non manifestamente infondate ed anche rilevanti giacche', in applicazione del combinato disposto degli artt. 227, comma 1 e 260 C.P.M.P. si dovrebbe emettere ordinanza di archiviazione esclusivamente per difetto della condizione di procedibilita' costituita dalla richiesta di procedimento del comandante di Corpo, ed anche se la persona offesa ha presentato querela.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenute le questioni esaminate rilevanti e non manifestamente infondate; Solleva per violazione degli artt. 3, 24, 52, terzo comma della Costituzione, questione di costituzionalita' dell'art. 227, comma 1 C.P.M.P. in relazione all'art. 260 C.P.M.P. laddove non prevede che il suddetto reato sia punito anche a querela della persona offesa dal reato; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il processo fino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti, alla persona offesa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Torino, il 13 ottobre 1999. Il giudice per le indagini preliminari: Roberti 99C2232