N. 701 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 1999
N. 701 Ordinanza emessa il 1 luglio 1999 dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto sui ricorsi riuniti proposti da Bergamini Tosca contro il comune di Castelnovo Bariano Edilizia e urbanistica - Regione Veneto - Impianti di acquacoltura - Divieto di asportazione dei materiali di risulta provenienti dalle relative escavazioni - Irragionevolezza - Incidenza sul principio di liberta' di iniziativa economica privata - Illegittima disciplina con legge regionale di materia privatistica. Legge regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19, art. 23, comma 4. Costituzione, artt. 3, 41 e 117.(GU n.52 del 29-12-1999 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato l'ordinanza sui ricorsi nn. 2620/1998 e 595/1999 proposti da Bergamini Tosca, rappresentata e difesa dall'avv.to Ivone Cacciavillani, come da procura in calce ai ricorsi con domicilio presso la segreteria di questo tribunale ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054; Contro il comune di Castelnuovo Bariano, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv.to Alessandro Furlani, con elezione di domicilio presso lo studio dell'avv.to Daniela Beccarello Tassello in Venezia-Mestre, via Cappuccina n. 9/G, come da mandato in calce alla memoria di costituzione, per l'annullamento: quanto al ricorso n. 2620/1998, del provvedimento 22 luglio 1998 n. 3720 recante diniego di concessione edilizia per la costruzione di un impianto di acquacoltura; quanto al ricorso n. 595/1999, dell'atto 12 febbraio 1999, n. 862; Visti i ricorsi, notificati rispettivamente il 10 settembre 1998 ed il 17 marzo 1999 e depositati presso la segreteria rispettivamente il 6 ottobre 1998 ed il 19 marzo 1999, con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune intimato; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 1 luglio 1999 - relatore il presidente Luigi Trivellato - gli avv.ti Ivone Cacciavillani per la ricorrente e Alessandro Furlani per il comune intimato; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o I. - Col ricorso, registrato al n. 2620 dell'anno 1998 l'instante Tosca Bergamini impugna il provvedimento del comune di Castelnovo Bariano 22 luglio 1998 n. 3720, con il quale e' stata negata la concessione edilizia, di cui all'istanza 4 febbraio 1997, per la costruzione di un impianto di acquacoltura, con la motivazione che "l'intervento e' in contrasto con l'art. 23, comma 4 della l.r. 28 aprile 1998 n. 19". La ricorrente deduce il seguente motivo di impugnazione: Violazione di legge (travisamento della norma che si pretende di applicare); eccesso di potere per travisamento del fatto e motivazione aberrante. Premesso che, in base al richiamato comma 4 dell'art. 23, l.r. 1998 n. 19 viene introdotta una limitazione, a valere "in attesa di una disciplina specifica" alla sola "esportazione dei materiali di risulta provenienti dalle relative escavazioni", assume la ricorrente che l'allegazione dell'anzidetto divieto legale non si giustifica, non avendo essa nemmeno prospettato l'eventualita' dell'esportazione dei materiali di risulta ed, anzi, non avendo dato alcuna indicazione sulla sorte di detto materiale. Non si capisce perche' la legge regionale abbia introdotto questo divieto di esportazione non avendo potesta' legislativa in merito, tanto piu' che essa non fa alcuna distinzione tra paesi componenti dell'U.E. e non. Ne' si potrebbe pensare ad un refuso di stampa e che la parola "esportazione" dovesse essere intesa come "asportazione", perche' cio' sarebbe bizzaria ancora maggiore che vietare l'esportazione del materiale. Comunque, per il caso in cui l'anzidetta norma regionale fosse applicabile alla fattispecie in esame, la ricorrente ne eccepisce l'illegittimita' costituzionale. Infine chiede, ex art. 35, d.lgs. 1998 n. 80, la condanna del comune intimato al risarcimento del danno derivante dall'illecito rifiuto. Il comune di Castelnovo Bariano, costituitosi in giudizio, eccepisce l'inammissibilita' del ricorso poiche' la ricorrente non ha impugnato il diniego comunicato il 10 marzo 1997 sulla domanda di concessione edilizia datata 4 febbraio 1997, cioe' sulla stessa domanda sulla quale, in sede di riesame, il comune, con l'atto 17 luglio 1998, qui impugnato, ha confermato l'anzidetto diniego. Nel merito, il comune controdeduce in fatto e in diritto e conclude chiedendo il rigetto del ricorso. II. - Con atto 12 febbraio 1999 n. 866 il comune di Castelnovo Bariano comunicava alla sig.ra Tosca Bergamini che "ai sensi della legge regionale n. 19 del 28 aprile 1998, art. 23, comma 4, l'impianto di acquacoltura puo' essere realizzato purche' non via sia l'asportazione del terreno proveniente dagli scavi" e che "detta situazione dovra' essere documentata mediante presentazione di nuovi elaborati grafici dai quali risultino le modalita' con le quali il terreno di risulta viene sistemato sul fondo agricolo di proprieta' e che consentano, quindi, all'amministrazione di valutare il rispetto delle condizioni imposte dalla citata l.r.". Avverso l'atto di cui sopra la sig.ra Tosca Bergamini deduce, col ricorso registrato al n. 595 dell'anno 1999, la censura di eccesso di potere per sviamento (induzione in errore), nell'assunto che sotto un invito, che a prima vista parrebbe innocuo e addirittura verifica della buona fede della ditta istante, si cela il pericolo di dar luogo ad una modifica dell'assetto paesaggistico del territorio, la cui tutela, (per il solo scavo della vasca) gia' la stessa commissione comunale edilizia integrata aveva addotto, sia pure con palese sviamento, come unico motivo delle precedenti reiezioni dell'istanza di concessione edilizia. Il comune di Castelnovo Bariano eccepisce la nullita' e/o irritualita' della notificazione del ricorso perche' eseguita a mezzo del messo comunale ex art. 8, r.d. n. 642/1987, che deve ritenersi abrogato dall'art. 13, legge n. 374/1991, nel testo novellato dall'art. 11-bis del d.l. n. 571/1994 convertito, con modificazioni, nella legge n. 673/1994. Eccepisce, in subordine, la cessazione della materia del contendere poiche' con l'impugnata nota 12 febbraio 1999 n. 862 l'amministrazione comunale ha implicitamente annullato il diniego di concessione edilizia opposto col precedente ricorso. Infine contesta nel merito la fondatezza del ricorso. D i r i t t o 1. - I ricorsi, registrati ai nn. 2690 del 1998 e 595 del 1999, vanno riuniti per l'evidente connessione soggettiva ed oggettiva. 2. - Rileva innanzitutto il collegio l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilita' del ricorso n. 2690/1998. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal resistente comune di Castelnovo Bariano, l'impugnato provvedimento di diniego di concessione edilizia datato 22 luglio 1998, in quanto recante una nuova e diversa motivazione, non puo' ritenersi atto meramente confermativo del precedente diniego 10 marzo 1997, mai impugnato. Va disattesa pure l'eccezione di inammissibilita' del ricorso n. 595/1999 prospettata dal comune sotto il profilo della nullita' e/o irritualita' della notificazione perche' eseguita a mezzo del messo comunale ex art. 8, r.d. n. 642/1987, che dovrebbe ritenersi abrogato dall'art. 13, legge n. 374/1991, nel testo novellato dall'art. 11-bis del d.l. n. 571/1994 convertito con modificazioni nella legge n. 673/1994. Osserva in proposito il collegio che, a prescindere dalla questione posta dal resistente comune, l'asserito vizio della notificazione dei ricorsi anzidetti deve ritenersi comunque sanato a seguito della costituzione in giudizio dell'amministrazione stessa, e cio' ai sensi dell'art. 156 c.p.c. pacificamente applicabile anche al processo amministrativo, secondo cui la nullita' di un atto processuale non puo' mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui e' destinato, come e' appunto accaduto nella fattispecie in esame. 3. - Occorre disattendere infine l'eccezione del resistente comune di Castelnovo Bariano secondo cui nelle riunite controversie sarebbe intervenuta la cessazione della materia del contendere, nell'assunto che con l'atto 12 febbraio 1999 n. 862, impugnato con il ricorso n. 595/1999, l'amministrazione comunale, revocando o almeno modificando o integrando il proprio precedente provvedimento 22 luglio 1998, non ha imposto alla ricorrente di presentare un nuovo progetto di spandimento del materiale di risulta degli scavi, ma si e' limitata ad invitarla ad integrare la documentazione in atti mediante la presentazione di nuovi elaborati grafici dai quali risultassero le modalita' con le quali il terreno di risulta dovrebbe essere sistemato sul fondo agricolo di proprieta' onde consentire all'amministrazione di valutare il rispetto della condizione, imposta dall'art. 23, comma 4, l.r. n. 11/1998, che non vi sia asportazione del terreno proveniente dagli scavi. Invero, l'esatta portata dei provvedimenti oggetto dei riuniti gravami, si puo' cogliere, in conformita' alla prospettazione contenuta nelle censure addotte dalla ricorrente, ove si consideri che comporta il sostanziale diniego della concessione edilizia per la realizzazione dell'impianto di acquacoltura la richiesta dell'amministrazione comunale che venga soddisfatta dalla ricorrente sig.ra Tosca Bergamini la condizione per il rilascio di tale concessione consistente nel divieto di "esportazione" o di "asportazione" del materiale di risulta. 4. - Passando all'esame degli anzidetti ricorsi nel merito, premette il collegio che la ricorrente avanza le proprie censure partendo dal presupposto che l'art. 23, comma 4, l.r. Ven. 28 aprile 1998 n. 19, posto alla base dei provvedimenti impugnati, vada interpretato in modo letterale e che quindi lo stesso sia diretto a vietare l'"esportazione" del materiale di risulta dell'escavazione delle vasche in cui attuare il progettato impianto di acquacoltura. (Sulla base di tale interpretazione la ricorrente solleva, sia pure in via subordinata, una questione di legittimita' costituzionale dell'anzidetto art. 23, comma 4). Al contrario il collegio ritiene condivisibile l'assunto del resistente comune di Castelnovo Bariano secondo cui il dato letterale della norma e' inficiato da un refuso ("esportazione" anziche', come sarebbe esatto, "asportazione") che peraltro non impedirebbe di comprenderne, sul piano storico e sistematico, il significato e la ratio. Che il termine "esportazione" vada interpretato nel senso di "asportazione" risulta dall'applicazione del canone ermeneutico costituito dalla "intenzione del legislatore" contemplato dall'art. 12 delle preleggi del codice civile accanto al canone costituito dal "significato proprio delle parole", intenzione del legislatore che si sostanzia nella considerazione dello scopo o bisogno sociale che la norma intende soddisfare e che ne costituisce l'elemento logico enucleabile attraverso l'interpretazione logica. Tale interpretazione, che si pone accanto a quella letterale non soltanto per corroborarla e completarla, ma anche, se necessario, per modificarla, puo' condurre a dare un significato piu' congruo ad un'imprecisa espressione letterale o addirittura a rilevare un eventuale errore materiale individuabile nel testo pubblicato di una disposizione legislativa allorche' l'espressione letterale usata palesemente non risponda allo scopo a cui tende la norma. In base a tali premesse, ritiene pertanto il collegio che lo scopo della norma in questione non sia tanto quello di vietare l'"esportazione" del materiale di risulta degli scavi effettuati per la realizzazione di un impianto di acquacoltura, ma consista piuttosto nell'impedire che i materiali di risulta dell'escavazione siano trasferiti in altro luogo mediante la loro vendita, a prezzi molto remunerativi, il che comporterebbe il mascherato esercizio di un'attivita' di cava con il conseguente pregiudizio all'integrita' territoriale una volta che l'impianto di acquacoltura non venisse poi realizzato come da progetto. Sennonche' - osserva il collegio - pure in base all'intepretazione logica di cui sopra appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che la ricorrente ha sollevato relativamente all'art. 23, comma 4, l.r. Ven. 28 aprile 1998 n. 19 peraltro per il caso in cui essa dovesse interpretarsi nel suo significato letterale come diretta a vietare l'"esportazione" dei materiali di risulta. La questione, in relazione all'interpretazione logica sopra esposta, e' rilevante poiche' per la decisione dei ricorsi in esame e' necessario applicare l'art. 23, comma 4, dell'anzidetta legge regionale. La questione non appare poi manifestamente infondata, sembrando al collegio che il divieto di asportare i materiali di risulta delle escavazioni necessarie per realizzare le vasche funzionali ad un impianto di acquacoltura comporti un inammissibile impedimento alla liberta' dell'iniziativa economica privata garantita dall'art. 41, comma 1, della Costituzione. Infatti tale divieto puo' comportare la irrealizzabilita' di un impianto di tale natura, poiche' la collocazione del materiale scavato nell'ambito dello stesso appezzamento in cui tale impianto e' situato potrebbe essere praticamente impossibile in assoluto oppure potrebbe essere possibile solo con grave detrimento e danno delle ulteriori attivita' agricole esercitabili nella parte di terreno non occupato dall'impianto di acquacoltura. Ne' sembra al collegio che la norma di cui sopra possa farsi rientrare nelle limitazioni all'attivita' economica privata che, in base all'art. 41, comma 2, della Costituzione, il legislatore puo' ad essa apportare. Infatti il divieto suddetto non puo' ritenersi posto, da un lato, per evitare un danno alla sicurezza, alla liberta' e alla dignita' umana, ne' dall'altro, per evitare un contrasto con l'utilita' sociale, dato che il divieto stesso appare diretto a sventare intenti fraudolenti ravvisati"a priori" senza alcuna previsione che essi siano desumibili da elementi concreti, quali potrebbero essere ad esempio le caratteristiche del progetto di impianto di acquacoltura. Sembra pure ravvisabile un contrasto del citato comma 4 dell'art. 23, l.r. n. 19/1998 con l'art. 3 della Costituzione. Ritiene invero il collegio che l'imposizione del divieto di asportazione del materiale di risulta di un'escavazione finalizzata alla realizzazione di un impianto di acquacoltura, per di piu' in via generale e quindi al di fuori di una determinazione puntuale dei casi in cui cio' sia possibile e delle caratteristiche che dovrebbe presentare il progetto dell'impianto de quo, possa collidere col principio di ragionevolezza delle norme legislative sotto i profili, sia della "intrinseca ragionevolezza" per i motivi sopra esposti a proposito del ventilato contrasto con l'art. 41 della Costituzione, sia della "inadeguatezza" poiche' lo strumento legislativo sottoposto allo scrutinio di costituzionalita' sembra peccare palesemente per eccesso, ovverosia per mancanza di proporzione rispetto all'obiettivo avuto di mira. Potrebbe infine ravvisarsi un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4, l.r. 1998 n. 19, in relazione all'art. 117 della Costituzione, in forza del quale nell'ambito privatistico si deve ritenere esistente una riserva assoluta di legge statale, dovendosi quindi negare ogni competenza legislativa regionale in tale campo. Ed un intervento legislativo in ambito privatistico, da parte della regione Veneto, sembra potersi rinvenire in una norma come quella in esame, che, al di fuori dei limiti della tutela dell'utilita' sociale nello svolgimento dell'attivita' economica privata per quanto sopra detto a proposito del sospettato contrasto con l'art. 41 della Costituzione, pone dei forti vincoli all'attivita' privata mediante il divieto di asportazione del materiale di risulta delle escavazioni finalizzate alla realizzazione di impianti di acquacoltura, con le inevitabili implicazioni economiche di natura privatistica connesse all'anzidetta attivita'. Non sembra infine che le questioni di costituzionalita' sopra esposte assumano minor rilievo solo per il fatto che la norma de qua sia una norma transitoria, tanto piu' che non e' possibile conoscere per quanto tempo potra' aver vigore la relativa disciplina. Il collegio ritiene, per quanto sopra, che l'art. 23, comma 4, della legge regionale veneta 28 aprile 1998 n. 19 vada sottoposto al giudizio della Corte costituzionale con la conseguente sospensione del processo in attesa della relativa pronuncia.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva, con riferimento agli artt. 3, 41 e 117 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge regionale veneta 28 aprile 1998 n. 19 nella parte in cui, al comma 4, dispone che "in attesa di una disciplina specifica in materia di acquacoltura, nella realizzazione di nuovi impianti non e' consentita l'esportazione dei materiali di risulta provenienti dalle relative escavazioni"; Sospende pertanto il presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria del tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al presidente della Giunta della regione Veneto e sia comunicata al Presidente del consiglio regionale veneto. Cosi' deciso in Venezia, in camera di consiglio il 1 luglio 1999. Il presidente estensore: Trivellato 99C2241