N. 702 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 1999

                                N. 702
  Ordinanza  emessa  il  23  settembre  1999 dal tribunale di Venezia,
 sezione distaccata di Portogruaro nel procedimento penale a carico di
 Canel Francesco ed altro
 Alimenti e bevande  (Igiene  e  commercio)  -  Reato  di  produzione,
    vendita  e  commercio  di  prodotti  dannosi  per  il  bestiame  o
    contenenti sostanze di cui e' vietato l'impiego - Indeterminatezza
    della  fattispecie  incriminatrice  -  Lesione  del  principio  di
    legalita'  e  di  riserva  di  legge in materia penale.   Legge 15
    febbraio 1963, n. 281, art. 22, terzo comma.
 Costituzione, art. 25, secondo comma.
(GU n.52 del 29-12-1999 )
                               IL TRIBUNALE
   A integrazione e motivazione della riserva di cui  all'udienza  del
 23  settembre  1999,  in  relazione  alla  questione  di legittimita'
 costituzionale sollevata dal difensore  dell'imputato  nel  proc.  n.
 8315/1999 contro Canel Francesco e Ferrari Silvio;
   Rilevato che:
     gli  odierni  imputati, a seguito di opposizione a decreto penale
 di condanna, sono chiamati a rispondere del reato previsto  dall'art.
 22,  terzo  comma,  legge  n. 281/1963, in relazione all'art. 1, O.M.
 Sanita' del 28  luglio  1994,  perche':  "producevano    ...  mangime
 complementare   per   ruminanti  risultato  alle  analisi  contenente
 proteine derivanti da tessuti di mammiferi in violazione dell'art. 1,
 ord.  28  luglio  1994  Ministero  sanita',  relativa  a  misure   di
 protezione  per  quanto concerne l'encefalopatia spongiforme bovina".
 L'art. 22 suddetto punisce invero la  condotta di chi " ... mette  in
 commercio  ... prodotti dannosi per il bestiame e contenenti sostanze
 di cui e' vietato l'impiego ...".
     sollevava questione di legittimita' costituzionale di tale  norma
 la  difesa  degli  imputati,  sulla base del rilievo secondo cui tale
 previsione violerebbe il principio  di  legalita'  sancito  dall'art.
 25,  secondo  comma  Cost.,  in  base  al quale le fattispecie penali
 devono trovare  la  propria  regolamentazione  nella  legge  statale,
 laddove  invece  in  questo caso la norma secondaria richiamata dalla
 norma penale in bianco (in questo caso l'art. 1, O.M. Sanita' del  28
 luglio  1994),  non  si  limiterebbe  a  specificare nel dettaglio il
 precetto legislativo, ma individuerebbe essa stessa autonomamente, in
 assenza di criteri direttivi da parte  della  legge,  alcuni  termini
 strutturali  dell'illecito,  in violazione palese del principio della
 riserva di legge in materia penale;  cio'  principalmente  in  quanto
 l'art. 22, terzo comma, legge 281/63 non indicherebbe in alcun modo e
 neppure  lontanamente  quali  siano  i presupposti, il contenuto ed i
 limiti  che  le  prescrizioni  di  rinvio  devono  rispettare   nella
 individuazione  delle  sostanze  di  cui e' vietato l'impiego e nella
 precisazione delle caratteristiche di tale impiego.
   La  questione non e' manifestamente infondata e va pertanto portata
 all'attenzione della Corte costituzionale.
   Gia' da tempo, abbandonato ormai definitivamente il criterio  della
 riserva  assoluta di legge in materia penale sostenuto da parte della
 dottrina, la Corte ha ritenuto che  il  principio  della  riserva  di
 legge  nel  diritto penale e' rispettato ".... quando sia una legge o
 un atto equiparato dello Stato, non importa se  proprio  la  medesima
 legge che prevede la sanzione penale o un'altra legge, a indicare con
 sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e
 i  limiti  dei  provvedimenti  dell'autorita'  non  legislativa, alla
 trasgressione dei quali deve seguire la pena  ..."  (Corte  cost.  n.
 113/1972); in altre parole, quindi, quando il precetto amministrativo
 che  integra  la  norma penale in bianco si ponga solo e non piu' che
 come uno svolgimento di una disciplina gia' trattata dalla legge.
   Alla luce di tali  criteri,  dunque,  nel  caso  di  specie  dovra'
 valutarsi  se  il  precetto  di  cui  all'art.  22,  terzo  comma sia
 sufficientemente  specifico  nel  delineare  gli  elementi   suddetti
 laddove  punisce  la  condotta  di chi "vende, pone in vendita, mette
 altrimenti in commercio o prepara per conto terzi, o comunque per  la
 distribuzione  per  il  consumo,  prodotti  dannosi per il bestiame o
 contenenti sostanze di cui e' vietato l'impiego".
   Entrambe  le  prescrizioni  della   norma   relative   all'elemento
 materiale   (cioe'  all'oggetto  della  condotta  punibile)  appaiono
 senz'alcun dubbio eccessivamente  generiche  e  non  sufficientemente
 determinate,  relativamente non solo alla individuazione dei limiti e
 dei presupposti entro i quali deve intervenire la  norma  extrapenale
 (cioe'  nella  specificazione  delle  sostanze  vietate  o i prodotti
 dannosi  da  individuare),  ma  anche  e  soprattutto  nella   stessa
 individuazione della norma extrapenale (chi, quando, come e in base a
 cosa  deve  emanare  la  norma  o  il  regolamento  contenente i dati
 tecnici).
   Appare evidente infatti che limitare l'indicazione  delle  sostanze
 che  non  si  possono  impiegare  nella  produzione dei mangimi ad un
 genericissimo sostanze vietate (in base a cosa,  perche'  ed  in  che
 limiti  non  e'  dato  di  sapere)  non  costituisce  un rinvio della
 specificazione dei soli elementi tecnici ad una norma extrapenale, ma
 costituisce un'inutile indicazione meramente lessicale del  precetto:
 il  destinatario  della  norma, cioe', sapeva gia' che non si possono
 impiegare sostanze vietate (per assurdo, in tale concetto puo'  farsi
 rientrare  anche qualsiasi tipo di veleno); la norma penale ha invece
 il "dovere" di specificare quantomeno la categoria di tali  sostanze,
 cosi' come fa in altri casi (sostanze stupefacenti o psicotrope... di
 cui al d.P.R. 309/90); identico concetto deve esprimersi per cio' che
 riguarda la dizione "prodotti dannosi per il bestiame".
   Tali  assolute  genericita'  del precetto penale appaiono poi ancor
 piu' palesi laddove si evidenzi come la  norma  non  contenga  alcuna
 indicazione  o  alcun  rinvio,  nemmeno  sintetico,  alle  norme o ai
 regolamenti (cioe' alle autorita' che devono emanarli, ai tempi entro
 cui devono essere emanati o, se esistono gia', quali  siano)  da  cui
 dipende   la  categorizzazione,  indicazione  e  catalogazione  delle
 sostanze vietate e dei prodotti dannosi: prova che sia che  per  cio'
 che  riguarda  altri  precetti  penali  contenuti  nella stessa legge
 (quali quelli  contenuti  al  primo  e  secondo  comma  dello  stesso
 articolo)  il  richiamo  e'  specifico  ed  indefettibile  ai criteri
 determinati nella stessa legge o nei rispettivi allegati,  in  quanto
 trattasi   di   "mangimi"   o  prodotti  di  cui  e'  data  specifica
 categorizzazione  e  definizione,  mentre  nel  terzo  comma  si   fa
 riferimento solo a prodotti e sostanze di cui nulla e' dato sapere.
   Sulla  base  di  tali  considerazioni  deve dunque ritenersi che la
 norma di cui all'art. 22, terzo comma, legge   n. 281/1963  violi  il
 principio  di  legalita'  e di riserva di legge del diritto penale ai
 sensi dell'art. 25 Cost.
                               P. Q. M.
   Dichiara non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
 costituzionale    dell'art.  22,  terzo  comma,    legge 281/1963, in
 relazione all'art. 25, secondo comma Cost.;
   Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
     Portogruaro, addi' 23 settembre 1999.
                          Il giudice: Biagetti
 99C2242