N. 202 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 maggio 2013

Ordinanza del 23 maggio 2013  emessa  dal  Tribunale  di  Verona  nel
procedimento civile promosso da Bedoni Marco e  De  Benedictis  Marco
contro Alberti Pietro Alberto, Amore Vera e Noe' Stefania. 
 
Procedimento civile - Controversie in materia di  liquidazione  degli
  onorari e dei diritti di avvocato -  Previsione  che  il  tribunale
  decide in composizione collegiale, anziche' monocratica, e che  non
  si applica il comma secondo dell'art. 702-ter  c.p.c.  -  Contrasto
  con i criteri direttivi della legge delega n. 69 del 2009 e con  il
  principio generale di monocraticita' del giudizio di primo grado  -
  Incompatibilita' con la finalita' di semplificazione propria  della
  riforma del procedimento civile. 
- Decreto legislativo 1° settembre 2001, n. 150, artt. 3, comma 1,  e
  14, comma 2. 
- Costituzione, art. 76; legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54,  commi
  2, 4, lett. a), e 5. 
In via subordinata: 
Procedimento civile - Controversie in materia di  liquidazione  degli
  onorari e  dei  diritti  di  avvocato  -  Criteri  di  composizione
  dell'organo giudicante gia' stabiliti dall'art.  29,  primo  comma,
  della legge n. 794 del 1942 -  Ipotizzata  previsione  di  salvezza
  nella legge delega per la semplificazione del procedimento civile -
  Conseguente devoluzione al  tribunale  in  composizione  collegiale
  delle decisioni sul solo  quantum  della  pretesa  dell'avvocato  -
  Incongruenza di tale disciplina - Contrasto sotto piu' profili  con
  il principio di ragionevolezza - Ingiustificata diversita' rispetto
  a  procedimenti  affini  devoluti  al  tribunale  in   composizione
  monocratica - Contrasto con  il  principio  di  buon  andamento  ed
  imparzialita' dell'amministrazione della giustizia - Illegittimita'
  in via derivata delle  norme  delegate  che  stabiliscono,  per  le
  suddette controversie, la  non  applicabilita'  del  comma  secondo
  dell'art. 702-ter c.p.c. e  la  composizione  collegiale,  anziche'
  monocratica, del tribunale. 
- Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, comma 4,  lett.  a),  seconda
  parte; decreto legislativo 1° settembre  2011,  n.  150,  artt.  3,
  comma 1, e 14, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3 e 97, primo comma; d.lgs. 1° settembre  2011,
  n. 150, art. 15. 
(GU n.40 del 2-10-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha emesso la seguente ordinanza pronunciando sul ricorso ex  art.
28 L. 13 giugno 1942, n. 794 e 14 d.lgs. 150/2011 depositato in  data
2 maggio 2012 dagli avv.ti M.  Bedoni  (c.f.  BDNMRC61E26G080Z),  del
foro di Verona, e  M.  De  Benedictis  del  foro  di  Siracusa  (c.f.
DBNMRC63L21I754J), entrambi in proprio ricorrenti; 
    Contro: 
        Alberti Pietro Alberto (c.f. LBRPRL30H29B832S) e  Amore  Vera
(c.f. MRAVRE37B52A494Q), entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti
A. Bonardi del foro di Verona e V. Bonaviri del foro di Catania; 
        Noe' Stefania (c.f. NOESFN63H52C351Q),  non  comparsa  e  non
costituita in giudizio a scioglimento della riserva assunta all'esito
dell'udienza del 7 marzo 2013; 
 
                            Rilevato che 
 
1. Iter del giudizio e prospettazioni delle parti. 
    Preliminarmente va dichiarata la contumacia di Noe' Stefania  che
non si e' costituita in  giudizio  sebbene  fosse  stata  ritualmente
citata a comparire. 
    I ricorrenti, con il ricorso in esame,  hanno  chiesto  a  questo
Tribunale di provvedere alla liquidazione delle somme loro dovute,  e
meglio quantificate nella nota spese allegata al ricorso, a titolo di
compenso per l'attivita' difensiva che hanno assunto di aver prestato
in favore dei convenuti, nonche' di Cantiere E. Noe' S.p.A. e  Marina
Noe', nel corso di in giudizio svoltosi davanti a questo Tribunale  e
nel quale erano stati mosse varie doglianze nei confronti  di  alcuni
contratti di swap ed un contratto di conto corrente bancario conclusi
tra la societa' sopra citata e Unicredit Banca. 
    I ricorrenti  hanno  precisato  di  aver  interrotto  la  propria
attivita' in favore dei convenuti dopo la terza udienza del  processo
sopra citato, avendo riscontrato che gli stessi avevano  assunto  nei
confronti dell'avv. De Benedictis alcune iniziative, meglio descritte
nel ricorso, che li avevano indotti a ritenere che fosse  stato  loro
revocato il mandato professionale. 
    I resistenti Alberti e Amore Vera, nel costituirsi  in  giudizio,
hanno contestato alcune delle voci della note spese prodotta da parte
ricorrente e, in aggiunta, hanno dedotto che l'avv. De Benedictis nel
sopra citato giudizio non aveva eccepito un aspetto rilevante ai fini
della decisione, vale a dire che i contratti di swap impugnati  erano
stati  sottoscritti  da  Marina  Noe'  che,  al  momento  della  loro
stipulazione, non aveva la rappresentanza legale della societa'. Tale
eccezione, hanno aggiunto i resistenti, era stata sollevata solo  nel
giudizio di appello avverso la  predetta  decisione  e,  poiche'  era
possibile che l'appellata ne rilevasse la tardivita', essi  avrebbero
potuto subire un grave nocumento dalla negligenza in cui era  incorso
il professionista. 
    Sulla scorta di tale deduzione  i  convenuti,  assumendo  che  la
negligenza   dei   ricorrenti   nello    svolgimento    dell'incarico
professionale, era stata fonte  di  danni  per  loro  hanno  eccepito
l'estinzione per compensazione del credito di controparte con  quello
di carattere risarcitorio derivato in capo a loro  e  hanno  concluso
per il rigetto del ricorso. 
2.  Rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del D.lgs. 150/2011
e dell'art. 14, comma 2, del D.lgs.  150/2011,  nella  parte  in  cui
prevedono che il ricorso sia deciso  dal  tribunale  in  composizione
collegiale. 
    Il Tribunale e' chiamato a decidere  in  composizione  collegiale
sul ricorso di cui in epigrafe, in conformita' al disposto  dell'art.
14, comma 2, del D.lgs. 150/2011. 
    Il legislatore delegato con  tale  norma  ha  mantenuto,  per  le
controversie in materia di liquidazione degli onorari,  ivi  compresa
quella di opposizione al decreto ingiuntivo  ottenuto  dall'avvocato,
la  collegialita'  derivante  dall'art.  29  della  L.  794/1942  (il
contrasto  giurisprudenziale  sul  punto  e'  stato   definitivamente
risolto dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni  Unite  20  luglio
2012 n. 12609), poiche' ha ritenuto che il criterio  direttivo  (art.
54, comma 4,  lett.  a)  L.  n.  69/2009)  che  aveva  stabilito  che
restassero fermi "i criteri di  composizione  dell'organo  giudicante
previsti  dalla  legislazione  vigente"  imponesse  di  adeguarsi  al
criterio fissato dalla norma speciale sopra citata (sul punto  si  fa
rinvio allo  specifico  passaggio  che  si  legge  a  pag.  29  della
relazione governativa al D.lgs. 150/2011). 
    Il collegio ritiene  pero'  che  diverso  fosse  il  senso  della
suddetta indicazione della legge delega e  che,  in  particolare,  il
legislatore delegante  non  avesse  inteso  mantenere  i  criteri  di
composizione dell'organo giudicante  previsti  dalle  norme  speciali
abrogate dal D.lgs. 150/2011 (gli artt. 29 e  30  della  L.  794/1942
sono stati abrogati dall'art. 34, comma 16 del  D.lgs.  150/2011)  ma
quelli generali di cui all'art. 50-ter c.p.c., introdotto dal  D.lgs.
19 febbraio 1998, n. 51,  che,  nel  riparto  delle  competenze,  tra
giudice monocratico e giudice collegiale, ha  stabilito  che:  "fuori
dei casi previsti  dall'articolo  50-bis,  il  tribunale  giudica  in
composizione monocratica". 
    A  favore  di  questa  interpretazione  depone  innanzitutto   un
argomento  di  ordine  letterale,  ossia  la  considerazione  che  la
legislazione presa a riferimento dalla direttiva sopra citata  non e'
qualificata come speciale,  a  differenza  di  quella  menzionata  ai
successivi commi b e c. 
    Sotto il profilo sistematico poi la lettura del criterio  fissato
dall'art. 54, comma 4, lett. a)  della  legge  69/2009  qui  proposta
risulta del tutto coerente con un altro, e  piu'  generale,  criterio
direttivo della legge delega, quello fissato dal comma 2 dell'art. 54
che  richiedeva   che   la   riforma   realizzasse   "il   necessario
coordinamento con le altre disposizioni vigenti." 
    Tale  richiamo  infatti  non  puo'   che   essere   inteso   come
affermazione  dell'esigenza   di   un   raccordo   tra   il   decreto
semplificazione e l'ordinamento previgente nel quale, a  partire  dal
D.lgs. 51/1998, il giudizio monocratico ha costituito la regola. 
    Si noti che, proprio sulla base di quest'ultimo rilievo, la Corte
costituzionale in passato ha giudicato  pienamente  coerenti  con  il
sistema alcuni interventi normativi, compiuti attraverso lo strumento
del decreto legislativo, che hanno reso monocratici giudizi che prima
erano stati collegiali, pur in assenza di una  specifica  indicazione
in tal senso nella corrispondente legge delega. 
    Ci si riferisce, in particolare,  alla  sentenza  n.  53  del  28
gennaio 2005 che ha  sancito  la  piena  legittimita'  costituzionale
dell'art. 170 del D.lgs. 30 maggio 2002, n. 113  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative in materia di spese  di  giustizia)  che  ha
previsto, per l'opposizione avverso il decreto  di  liquidazione  dei
compensi degli ausiliari del giudice, che,  a  decorrere  dalla  data
della sua entrata in vigore, il processo continuasse ad essere quello
speciale per gli onorari di  avvocato,  quindi  di  natura  camerale,
(gia' era cosi' infatti in virtu' dell'art. 11, comma 6, della  legge
8 luglio 1980, n. 319) ma che l'ufficio  procedesse  in  composizione
monocratica e non piu' in composizione collegiale. 
    In particolare la Corte, nel dichiarare non fondata la  questione
di  legittimita'  costituzionale  della  norma   sopra   citata,   in
riferimento  all'art.  76  Cost.,  ha  osservato  che:   "...non   e'
necessario che sia espressamente enunciato nella delega il  principio
gia' presente nell'ordinamento, essendo sufficiente il  criterio  del
riordino di una materia delimitata.  Entro  questi  limiti  il  testo
unico  poteva  innovare  per  raggiungere  la   coerenza   logica   e
sistematica e, come nel caso di  specie,  prevedere  la  composizione
monocratica anziche' quella collegiale,  applicando  al  processo  in
questione il principio generale affermato con la riforma del 1998  al
fine di rendere la disciplina piu' coerente nel suo  complesso  e  in
sintonia con l'evolversi dell'ordinamento". 
    Con altra pronuncia (sentenza 10 febbraio 2006 n. 52) la Corte ha
anche escluso che l'art. 170 del D.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 sia in
contrasto con il  parametro  costituzionale  dell'art.3  Cost.  nella
parte in cui riconosce al  giudice  in  composizione  monocratica  la
competenza a conoscere dell'opposizione, anche nell'ipotesi in cui il
provvedimento  sia  stato  pronunciato  da  giudice  in  composizione
collegiale, e come sia invece "ragionevole il sistema di attribuzione
del reclamo al giudice monocratico in rapporto ad esigenze  di  buona
amministrazione, rapidita', economie delle risorse". 
    Sulla base di analoghe considerazioni la Corte  (sentenza  n.  52
del 2005) ha parimenti escluso l'illegittimita'  costituzionale,  per
contrasto con gli artt. 3 e 76  Cost.  dell'art.  99,  comma  3,  del
decreto legislativo 30 maggio  2002,  n.  113,  nella  parte  in  cui
dispone che nel processo di opposizione avverso il  provvedimento  di
rigetto dell'istanza di ammissione ai patrocinio a spese dello Stato,
ovvero  di   revoca   dell'ammissione   gia'   accordata,   l'ufficio
giudiziario procede in composizione monocratica anziche' collegiale. 
    A fronte di un simile quadro di riferimento il  perseguimento  da
parte del legislatore delegato  dei  fini  di  semplificazione  della
riforma non poteva prescindere  dall'osservanza  di  quei  principii,
gia'  evincibili  dall'ordinamento  nel  suo  complesso  e   comunque
richiamati  in  maniera  onnicomprensiva  dalla  legge  delega,   che
consentono di raggiungere appieno il succitato obiettivo, anche sotto
il   profilo   del   contenimento   delle   risorse   da    impiegare
nell'amministrazione della giustizia. 
    Sempre sotto il profilo sistematico  non  va  trascurato  che  la
stessa legge n. 69/2009 ha inteso ribadire, sia pure  implicitamente,
il principio generale della  monocraticita'  del  giudizio  di  primo
grado, sommario o di cognizione ordinaria, nel  momento  in  cui  con
l'art. 54,  comma  5,  ha  abrogato  il  rito  societario  collegiale
previsto dall'art. 1, comma 2, del D.lgs. 5/2003. 
    Per effetto di tale modifica sono state infatti sottratte al rito
collegiale le controversie di cui all'art. 1,  lett.  d)  del  D.lgs.
5/2003 (rapporti in materia di intermediazione mobiliare da  chiunque
gestita, servizi e contratti di investimento,  ivi  compresi  servizi
accessori, fondi di investimento ed altri)  che,  non  rientrando  in
nessuna delle  ipotesi  di  cui  all'art.  50-bis  c.p.c.,  sono  ora
riservate, in virtu'  della  regola  dell'art.  50-ter  c.p.c.,  alla
decisione del giudice monocratico. 
    Ma  anche  il  legislatore   delegato   ha   dimostrato,   invero
contraddittoriamente, di ispirarsi ai predetto principio generale nel
momento in cui ha attribuito al giudice monocratico  le  controversie
in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19
D.lgs. 150/2011), sebbene esse, vertendo su  uno  status,  richiedano
l'intervento obbligatorio del P.M. e  in  tal  modo  ha  derogato  al
criterio fissato dall'art. 50-bis n. 1 c.p.c. per tale  tipologia  di
giudizi. 
    Ad avviso del collegio poi il disposto dell'art. 14, comma 2, del
D.lgs. 150/2011, al pari di quello dell'art. 3, comma 1, dello stesso
testo, che comporta che al procedimento ex art. 14 non si applichi il
comma secondo dell'art. 702-ter c.p.c., oltre a  porsi  in  contrasto
con il sistema normativo preesistente e con la stessa  legge  delega,
conducono ad un risultato incompatibile con la  dichiarata  finalita'
di semplificazione della riforma, sotto un ulteriore profilo. 
    Tali norme infatti ammettono,  all'interno  della  categoria  dei
procedimenti ricondotti al procedimento sommario  di  cognizione,  un
modello processuale che costituisce un unicum, in quanto  rappresenta
la sola ipotesi di procedimento sommario collegiale di competenza del
tribunale  nel  quale  non  e'  previsto  l'intervento  del  Pubblico
Ministero. 
    Per  le  ragioni  sin  qui  esposte  il  collegio   dubita,   con
riferimento al  parametro  dell'art.  76  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,   del   D.lgs.
150/2011, nella parte in cui esclude anche per la controversie di cui
all'art. 14 l'applicazione del comma secondo dell'art. 702-ter  c.p.c
nonche' dell'art. 14, comma 2, del D.lgs. 150/2011,  nella  parte  in
cui prevede che  il  tribunale  decida  in  composizione  collegiale,
perche' formulati in difetto o in eccesso di delega. 
    E' poi evidente  la  rilevanza  della  questione  poiche'  questo
Tribunale e' chiamato a pronunciarsi sul ricorso di cui  in  epigrafe
in una composizione diversa da  quella  che  poteva  desumersi  dalle
indicazioni del legislatore delegante e dell'intero sistema. 
3.  Rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  54,  comma  4,  lett.  a)  L.
69/2009 (nel caso venga escluso il vizio  di  eccesso  o  difetto  di
delega di cui al paragrafo precedente). 
    Qualora  si  ritenga  che  la   previsione   della   composizione
collegiale del Tribunale investito del  ricorso  ex  art.  14  D.lgs.
150/2011 costituisca puntuale attuazione dell'art. 54, comma 4, lett.
a) della legge delega e' quest'ultima norma, a avviso del collegio, a
violare la carta costituzionale, ed in particolare i parametri  degli
artt. 3 e 97, comma 1, Cost., nella parte in cui fa salvi  i  criteri
di composizione dell'organo giudicante che erano  previsti  dall'art.
29, primo comma, della L. 794/1942, tenuto conto delle indispensabili
caratteristiche  di  semplicita'  che  deve   avere   l'oggetto   del
procedimento. 
    Per derivazione presentano gli stessi vizi le norme  del  decreto
legislativo individuate nel paragrafo precedente. 
    Il legislatore delegato infatti, nel riprendere i punti  salienti
della disciplina degli artt. 29 e 30  della  L.  794/1942,  ha  anche
implicitamente  ribadito  il  limite  all'applicabilita'   del   rito
speciale, allora di natura camerale, che era stato  individuato,  con
riguardo al regime previgente, dalla giurisprudenza di  legittimita'.
Secondo quest'ultima infatti la procedura speciale doveva  cedere  il
passo a quella ordinaria qualora non si controvertisse soltanto della
liquidazione   del   compenso   (e   quindi   della   sua    corretta
determinazione, sulla base della  valutazione  della  qualita'  delle
prestazioni pacificamente rese e non pagate), ma anche dell'esistenza
del credito o  della  effettivita'  delle  prestazioni  allegate  dal
professionista (cfr.  ex  plurimis:  Cass.  4.1.2006,  n.  29;  Cass.
10.8.2007, n. 17622). 
    La conferma che anche il legislatore delegato ha aderito  a  tale
opzione interpretativa si  rinviene  nel  passo  della  relazione  al
decreto legislativo 150/2011, riguardante proprio l'art. 14,  in  cui
si afferma che: "Le controversie in questione sono  state  ricondotte
al  rito  sommario  di  cognizione,  in  virtu'  dei   caratteri   di
semplificazione  della  trattazione  e  dell'istruzione  della  causa
evidenziati dal rinvio, ad opera  della  normativa  previgente,  alla
disciplina dei procedimenti in  camera  di  consiglio,  e  del  resto
corrispondenti al limitato oggetto del processo. Al riguardo, non  e'
stato   ritenuto   necessario   specificare   che   l'oggetto   delle
controversie in esame e' limitato alla determinazione  degli  onorari
forensi, senza che possa essere esteso, in  queste  forme,  anche  ai
presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o  alla
sussistenza di cause estintive o  limitative  (passaggio  questo  che
rileva ai fini delta valutazione delle questioni qui  esposte).  Tale
conclusione, ormai costantemente  ribadita  dalla  giurisprudenza  di
legittimita',  non  viene  in  alcun  modo  incisa   dalla   presente
disciplina in assenza di modifiche espresse alla norma che  individua
i presupposti dell'azione, contenuta nella legge 13 giugno  1942,  n.
794". 
    Sulla scorta di tali notazioni  si  puo'  ben  affermare  che  il
procedimento ex art. 14 D.lgs. 150/2011 abbia mantenuto  le  medesime
caratteristiche, anche di semplicita' degli accertamenti ai quali  e'
diretto, che aveva quello disciplinato dall'art. 29 L. 794/1942 e che
la Corte costituzionale ha descritto nei seguenti  termini  (sentenza
11  aprile  2008,  n.  96):   "La   normativa   denunciata   presenta
caratteristiche di marcata specialita',  essendo  stata  dettata  dal
legislatore  in  considerazione  della  omogeneita'   del   ramo   di
giurisdizione e della identita'  dell'ufficio  giudiziario  esistenti
tra la lite  instaurata  per  recuperare  il  credito  insoddisfatto,
vantato  dall'avvocato  nei  confronti  del   proprio   cliente   per
prestazioni giudiziali in materia civile, ed il  giudice  davanti  al
quale si puo' svolgere la procedura  camerale  semplificata  prevista
dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942. Si  tratta  infatti  di  un
credito di natura squisitamente civilistica, nascente da un contratto
di prestazione d'opera professionale stipulato tra l'avvocato  ed  il
cliente  normalmente  prima  dell'instaurazione  della   controversia
giudiziaria e in ogni caso distinto e separato rispetto alla stessa".
Nella stessa pronuncia la Corte ha anche ribadito quanto aveva  avuto
modo di precisare in precedenza, con riguardo alla procedura de  qua,
ossia che «il  procedimento  trova  giustificazione  e  limite  nella
peculiarita' delle fattispecie che ne consentono l'instaurazione e ne
consigliano la definizione possibilmente in via conciliativa». A tale
argomentazione fondamentale si e' aggiunta quella  che  «la  relativa
semplicita' degli accertamenti di fatto, solitamente desumibili dagli
atti del processo nel quale le prestazioni sono state eseguite o che,
comunque, in riferimento alla controversia, sono normale esplicazione
di attivita' di patrocinio. Accertamenti tutti compiuti  dal  giudice
alla stregua delle voci e con l'osservanza delle tariffe di cui  alle
tabelle allegate al testo legislativo, nonche', in determinati  casi,
tenendosi presente il parere degli organi professionali (sentenza  n.
22 del 1973). 
    Il legislatore delegato del D.lgs. 150/2011 non ha invece  inteso
chiarire quale sia l'iter del giudizio allorquando, come e'  accaduto
nel caso di specie, a seguito delle difese di parte convenuta, il suo
oggetto  debba  estendersi  all'an  della  pretesa   e   proprio   la
definizione di tale aspetto consente di cogliere appieno la rilevanza
della questione qui posta. 
    Orbene, ad avviso del Tribunale, vi e' un chiaro  dato  normativo
che  induce  a  ritenere  che  possa  trovare  tuttora   applicazione
l'indirizzo   piu'   rigoroso,   affermatosi   nella   piu'   recente
giurisprudenza  di  legittimita'   con   riguardo   alla   disciplina
previgente, secondo il quale l'ampliamento del giudizio all'an  della
pretesa rende inammissibile il ricorso. 
    Ci si riferisce alla previsione, mutuata dall'art. 29,  comma  3,
della 1. n. 794/1942, della possibilita' per le parti  di  "stare  in
giudizio personalmente", che e' stata  giustificata  dal  legislatore
delegato con la necessita' di adeguarsi al  principio  dell'art.  54,
comma 4, lett. c) della legge delega. 
    Da tale norma e' infatti possibile evincere che,  allorquando  le
eccezioni  del  convenuto  comportino  un   ampliamento   del   thema
decidendum alla sussistenza della pretesa del ricorrente, il giudizio
non possa proseguire perche', nell'ipotesi in cui il  resistente  non
si fosse avvalso  dell'assistenza  tecnica,  egli  si  troverebbe  in
posizione di  inferiorita'  rispetto  alla  controparte  proprio  nel
momento in cui  il  giudizio  diviene  piu'  complesso.  Una  diversa
interpretazione quindi esporrebbe la norma ad un'agevole  censura  di
illegittimita' costituzionale per contrasto  con  i  principii  degli
artt. 3 e 24 Cost. 
    Non puo' poi  convenirsi  con  quella  dottrina  che  giudica  la
soluzione qui proposta palesemente incongrua e censurabile  sotto  il
profilo costituzionale in quanto penalizzerebbe il  diritto  d'azione
del ricorrente, esponendolo al rischio di un  esito  sfavorevole  del
giudizio che dipende direttamente dalle difese del resistente. Questa
tesi infatti muove dalla premessa che  il  procedimento  speciale  in
esame, dopo la riforma, sia divenuto obbligatorio ma  tale  postulato
puo' essere condiviso solo con riguardo al giudizio di opposizione  a
decreto ingiuntivo che sia stato ottenuto  dall'avvocato,  alla  luce
del  tenore  della  norma,  peraltro  non  dissimile  da  quello  del
previgente art. 30 della L. 794/1942. 
    L'osservazione non e' altrettanto condivisibile per l'ipotesi  in
cui l'iniziativa giudiziale sia  assunta  dal  professionista  legale
poiche' il procedimento ex art. 14 D.lgs. 150/2011 e' alternativo  ad
altri istituti che, al  pari  di  esso,  consentono  all'avvocato  di
recuperare il proprio credito a titolo di  compenso  per  prestazioni
giudiziali civili, quali il procedimento di ingiunzione, il  giudizio
di  cognizione  ordinario  e,  dopo  la  novella  69/2009,  anche  il
procedimento   sommario   ordinario   (in   questi   termini    nella
giurisprudenza di merito si veda l'ordinanza del Tribunale di Treviso
del 13 dicembre 2012). 
    Da cio' consegue che il professionista che  si  avvalga  di  tale
strumento lo fa con cognizione di causa e nella piena consapevolezza,
che gli deriva  dalla  sua  competenza  tecnica,  di  quali  siano  i
possibili sviluppi processuali a cui puo' dar  luogo  la  difesa  del
resistente. 
    Che la pronuncia di inammissibilita' sia l'unico esito  possibile
del giudizio ai sensi dell'art. 14 D.lgs.  150/2011,  allorquando  le
difese del convenuto ne amplino l'oggetto, risulta  confermato  anche
dalla impraticabilita' di altri  sviluppi  processuali.  Non  sarebbe
infatti  possibile  una  conversione  del  rito  ai  sensi  dell'art.
702-ter, terzo comma c.p.c., poiche' l'art. 3  comma  1,  del  D.lgs.
150/2011 esclude espressamente  l'applicabilita'  di  tale  norma  al
procedimento in esame. 
    Nemmeno  si  potrebbe  separare  la  questione   introdotta   dal
convenuto  da  quella  sull'an  della  pretesa  atteso  che   secondo
l'insegnamento della Suprema Corte: "la  deduzione  di  negligenze  o
inadempienze proposta dal cliente al fine di paralizzare  o  limitare
la pretesa dell'attore integra una eccezione in senso proprio  e  non
e' da essa separabile per ragioni di speditezza o di opportunita', in
quanto la legge citata non  autorizza  il  giudice  ad  applicare  la
regola del "solve et repete" ne' a pronunciare condanna  con  riserva
delle eccezioni del convenuto" (Cass. sez. II, 22 maggio 1981 n. 3361
resa proprio con riguardo ad un  procedimento  per  liquidazione  dei
compensi di avvocato). 
    La  conseguenza  delle  conclusioni   appena   esposte   e'   che
l'avvocato, a seguito della pronuncia di inammissibilita' del ricorso
ex art. 14 D.lgs. 150/2011, deve riproporre la  domanda  nelle  forme
del giudizio di cognizione ordinario (questa e' la soluzione che  era
stata indicata, con riguardo al procedimento ex art. 29  L.  794/1942
da Cass. 9 settembre 2008, n. 23344; Cass. 4 giugno  2010  n.  13640;
Cass. 5 agosto 2011, n. 17053) o, per le ragioni sopra dette,  a  sua
discrezione, in quelle del procedimento sommario ordinario e l'uno  e
l'altro verranno trattati e  decisi  dal  tribunale  in  composizione
monocratica secondo la regola generale dell'art. 50-ter c.p.c.. 
    Risulta allora  evidente  l'incongruenza  e  la  contrarieta'  al
principio di ragionevolezza, che trova espressione nell'art. 3 Cost.,
di una disciplina che, nel caso di  ampliamento,  nei  termini  sopra
meglio delineati, della materia del contendere, finisce per riservare
al collegio il giudizio sul solo quantum della pretesa  dell'avvocato
e al giudice monocratico il giudizio astrattamente piu' complesso che
venga promosso, dopo la conclusione del giudizio collegiale, per  far
accertare la sussistenza del credito del professionista. 
    Ancor piu' irragionevole appare l'iter processuale che puo'  aver
luogo quando l'avvocato agisca direttamente nelle forme del  giudizio
ordinario di cognizione e le difese del resistente attengano al  solo
quantum della sua pretesa, perche' l'art.  4,  comma  2,  del  D.lgs.
150/2011 prevede che, in tale caso, il giudice possa  disporre  anche
d'ufficio il  mutamento  di  rito  non  oltre  la  prima  udienza  di
comparizione delle parti. 
    Se tale evenienza si verifica il  processo  prosegue  davanti  al
collegio proprio quando ha un oggetto piu'  circoscritto  rispetto  a
quello  inizialmente  prospettabile  e  quindi   caratteristiche   di
maggiore semplicita'. 
    In ogni caso, sia che il giudizio inizi  e  prosegua  davanti  al
tribunale in composizione collegiale sia che venga da questi trattato
a seguito del mutamento di rito disposto ai sensi dell'art. 4,  comma
2, D.lgs. 150/2011, al  collegio,  nell'assetto  normativo  delineato
dalla riforma,  sono  demandate  attivita',  quali  il  tentativo  di
conciliazione e, nel caso in cui  questo  non  riesca,  la  verifica,
invero quasi  esclusivamente  documentale,  dell'effettuazione  delle
prestazioni professionali e la stima della congruita'  degli  importi
richiesti per esse che, non presentando, almeno di norma, particolari
difficolta', ben potrebbero essere svolte da un giudice monocratico. 
    Questo  Collegio  e'  consapevole  che,  secondo  il  consolidato
orientamento  della  Corte  costituzionale,  nella  disciplina  degli
istituti processuali  vige  il  principio  della  discrezionalita'  e
insindacabilita' delle scelte operate dal legislatore con  il  limite
della loro non manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 164 del 2010,
n. 141 del 2011, 174 del 2012 e, da ultimo, sentenza  n.  10  del  16
gennaio  2013)  ma  ritiene  che,  con  la   disciplina   in   esame,
quest'ultimo limite sia stato superato. 
    Come  e'  stato  osservato  da  un'attenta  dottrina  puo'  anche
escludersi che  la  soluzione  adottata  dalla  legge  delega,  nella
interpretazione alternativa qui esaminata, sia stata funzionale ad un
aumento delle garanzie  imposto  dalla  soppressione  dell'appello  e
dalla contestuale previsione della possibilita' di stare in  giudizio
personalmente, atteso che le medesime caratteristiche si  riscontrano
anche nelle controversie di cui all'art. 15 del D.lgs. 150/2011,  tra
le quali rientrano alcune che, come subito  si  dira',  per  il  loro
oggetto sono assimilabili a quelle in  materia  di  liquidazione  dei
compensi dell'avvocato e per le quali  la  riforma  ha  mantenuto  la
monocraticita'  dell'organo  giudicante,  nella  persona   del   capo
dell'ufficio giudiziario al quale appartiene  il  magistrato  che  ha
emesso  il  provvedimento  impugnato  o  di  un  suo  delegato  (tale
modifica, come detto sopra, e' stata  introdotta  dall'art.  170  del
D.lgs. 113/2002). 
    La collegialita', come si e' detto, e' invece diretta conseguenza
dell'adeguamento del legislatore delegato all'indicazione di  cui  al
punto dell'art. 54, comma 4 lett. a) della legge 69/2009 sui  criteri
di  composizione  dell'organo  giudicante  e  rappresenta  quindi  il
retaggio di un periodo in cui costituiva la regola, soprattutto per i
procedimenti camerali. 
    Proprio il raffronto  tra  l'art.  14  e  l'art.  15  del  D.lgs.
150/2011 consente di cogliere un ulteriore  profilo  di  contrarieta'
dell'art. 54, comma 4 lett. a)  della  legge  delega  sempre  con  il
principio dell'art.  3  Cost.,  ossia  quello  dell'adozione  di  due
soluzioni differenti in punto di composizione dell'Organo  giudicante
pur  a  fronte  di  procedimenti  che,  per  le  caratteristiche   di
tendenziale  semplicita'  degli  accertamenti  e  della   valutazione
demandata al giudice, sono tra loro pienamente assimilabili. 
    Per consentire di cogliere l'affinita' tra queste  due  tipologie
di procedimenti giova innanzitutto evidenziare come, con riguardo  al
giudizio di opposizione al decreto di liquidazione  del  compenso  al
ctu, la Cassazione abbia escluso che esso abbia natura  impugnatoria,
dal momento che ha ad oggetto la controversia relativa alla spettanza
e alla liquidazione del compenso o dell'onorario dell'ausiliario  del
giudice (Cass. 31 marzo 2006 n. 7633),  e  tale  principio  ben  puo'
essere esteso a tutti i giudizi di  opposizione  avverso  decreti  di
liquidazione riconducibili all'art. 15 del D.lgs. 150/2011. 
    L'affinita' con il giudizio ai sensi dell'art. 14 D.lgs. 150/2011
e' ancora piu' marcata per  quelli,  tra  i  procedimenti  rientranti
nella  categoria  in  esame,  che  richiedono  all'organo  giudicante
valutazioni sulla sussistenza delle prestazioni rese dall'avvocato  e
sulla congruita' degli importi richiesti per esse. 
    Si  pensi  all'opposizione  avverso  i  decreti  di  liquidazione
pronunciati in favore del difensore della parte ammessa  al  gratuito
patrocinio nel processo penale, civile  ed  amministrativo  (a  norma
dell'art.  84  D.P.R.  n.  115/2002  che  richiamava  l'art.  170)  e
all'opposizione avverso i decreti di liquidazione  del  compenso  del
difensore d'ufficio, del difensore d'ufficio di persona  irreperibile
e del minore (a norma degli artt. 115-118 del D.P.R. n. 115/2002  che
parimenti richiamava l'art. 170 del D.lgs. 113/2002). 
    Alla luce di tali analogie la differente composizione dell'organo
giudicante (collegiale  nel  caso  del  procedimento  ex  art.  14  e
monocratico nel caso  del  procedimento  ex  art.  15)  non  e'  piu'
giustificabile, tanto meno in una prospettiva di coerenza del sistema
avviata con l'art. 170 del D.lgs. 113/2002. 
    Il complesso di norme qui censurate infine non  soddisfa  nemmeno
quelle esigenze di buona amministrazione, rapidita' ed economia delle
risorse dell'amministrazione  della  giustizia  che  anche  la  Corte
costituzionale, nelle sentenze  menzionate  al  primo  paragrafo,  ha
ravvisato a giustificazione degli interventi normativi che, a partire
dal gia' menzionato D.lgs. 51/1998, hanno inteso esaltare ed ampliare
il ruolo del giudice  unico,  consentendo  di  recuperare  energie  e
risorse umane in un'ottica deflattiva e di  maggiore  efficienza  del
sistema. 
    Di qui il loro contrasto con il principio di  buon  andamento  ed
imparzialita'  dell'amministrazione,  sancito  dall'art.  97,   primo
comma, della Costituzione, che,  come  ripetutamente  chiarito  dalla
Corte costituzionale, riguarda gli organi  di  amministrazione  della
giustizia  per  i  profili  concernenti  l'ordinamento  degli  uffici
giudiziari e il loro funzionamento (ex plurimis, ordinanze n. 122 del
2005; n. 94 del 2004 e n. 458 del 2002). 
    La  trattazione  in   forma   collegiale   di   un   procedimento
semplificato come il presente richiede infatti  tempi  e  adempimenti
maggiori di quelli che  sarebbero  richiesti  se  esso  si  svolgesse
davanti ad un giudice monocratico. Tali inconvenienti  risultano  poi
ancora maggiori qualora il giudizio, come  nel  caso  di  specie,  si
debba concludere con una pronuncia di inammissibilita'  che  comporta
la necessita' di una riproposizione della  domanda  nelle  forme  del
giudizio  di  cognizione  o  in  quelle  del  procedimento   sommario
ordinario. 
 
                                P.Q.M 
 
    Dichiara la contumacia di Noe' Stefania; 
    Dichiara non manifestamente infondata, per contrasto  con  l'art.
76 Cost., la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
comma 1, del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui  prevede  che  anche
alle controversie di cui all'art. 14  del  medesimo  decreto  non  si
applichi il comma secondo dell'art. 702-ter c.p.c, e quella dell'art.
14, comma 2, del D.lgs. 150/2011 nella parte in cui  prevede  che  il
tribunale decida in composizione collegiale anziche' monocratica; 
    In via subordinata,  qualora  le  norme  summenzionate  dovessero
essere ritenute costituzionalmente legittime sotto il  profilo  sopra
indicato, dichiara non manifestamente infondata,  per  contrasto  con
gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 54 comma, lett. a), seconda parte, della  L.
69/2009 nella parte  in  cui  fa  salvi  i  criteri  di  composizione
dell'organo giudicante che erano previsti dall'art. 29, primo  comma,
della L. 794/1942 e, per derivazione, quella dell'art.  3,  comma  1,
del D.lgs. 150/2011, nella parte in cui prevede che  al  procedimento
ex art. 14 del medesimo decreto non  si  applichi  il  comma  secondo
dell'art. 702-ter c.p.c. e quella dell'art. 14, comma 2,  del  D.lgs.
150/2011 nella parte in  cui  prevede  che  il  tribunale  decida  in
composizione collegiale anziche' monocratica; 
    Dispone la sospensione del giudizio  e  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
    Visto  l'art.  23  ultimo  comma  della  L.  87/1953  manda  alla
cancelleria di notificare la presente  ordinanza  al  Presidente  del
Consiglio dei  Ministri  nonche'  alle  parti  costituite  e  a  Noe'
Stefania  e  di  comunicarla  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
      Verona, 3 maggio 2013 
 
                   Il Presidente relatore: Vaccari