N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 2014

Ordinanza del 9 luglio 2014 emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso
proposto da Gestore dei servizi energetici -  Gse  Spa  contro  Cirio
Agricola Srl e Ministero dello sviluppo economico. 
 
Energia - Attuazione  della  Direttiva  2009/28/CE  sulla  promozione
  dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Previsione che  quando
  sia  accertato  che  i  lavori   di   installazione   dell'impianto
  fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre  2010,  a
  seguito dell'esame della richiesta di incentivi, il GSE rigetta  la
  richiesta e dispone l'esclusione dagli incentivi degli impianti che
  utilizzano anche in altri  siti  le  componenti  dell'impianto  non
  ammesso all'incentivazione -  Previsione  che  il  GSE  dispone  la
  esclusione dalla concessione degli incentivi per la  produzione  di
  energia elettrica di sua competenza per un periodo  di  dieci  anni
  dei soggetti che avevano presentato la  richiesta  di  incentivi  -
  Lesione  del  principio  di  uguaglianza  per  irragionevolezza   -
  Violazione  del  principio  di  irretroattivita'   delle   sanzioni
  amministrative  -  Eccesso  di  delega  -  Violazione  di  obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU e dal diritto comunitario. 
- Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, art. 43. 
- Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, 76 e  117,  primo  comma;
  legge 4 giugno 2010, n. 96, art. 2, comma 1, lett. c);  Convenzione
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, artt. 6 e 7. 
(GU n.47 del 12-11-2014 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
               in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 6380 del 2013, proposto da: 
        Gse - Gestore dei servizi energetici s.p.a.  in  persona  del
legale  rappresentante  in  carica,  rappresentato  e  difeso   dagli
avvocati Andrea Panzarola e  Stefano  Crisci,  con  domicilio  eletto
presso Sergio Fidanzia in Roma, viale Bruno Buozzi, 109; 
    Contro Cirio Agricola s.r.l. in persona del legale rappresentante
in  carica,   rappresentata   e   difesa   dall'avvocato   Alessandro
Pallottino, presso lo stesso elettivamente domiciliata in  Roma,  via
Oslavia, 12, anche appellante incidentale; 
    Nei confronti di Ministero dello sviluppo  economico  in  persona
del  ministro  in  carica,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio  -  Roma:  Sezione
III ter n. 3314/2013, resa tra le parti,  concernente  decadenza  dal
diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione  in  giudizio  di  Cirio  Agricola
s.r.l. e del Ministero intimato; 
    Visto l'appello incidentale proposto dalla societa' appellata; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  8  aprile  2014  il
consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati  Crisci
e Pallottino e l'avvocato dello Stato Barbara Tidore; 
 
       Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: 
 
    Il Gestore dei servizi energetici (d'ora in poi, Gse, o  Gestore)
chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la  quale
il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto in parte il ricorso,
con relativi motivi aggiunti, proposto dalla societa' Cirio  Agricola
avverso  i  provvedimenti  di  decadenza  dal  diritto  alle  tariffe
incentivanti previsti dal decreto ministeriale 19 febbraio  2007  per
l'impianto fotovoltaico denominato «Cirio impianto FV su fienili»,  e
di esclusione dalla concessione degli incentivi  per  un  periodo  di
dieci anni ai sensi dell'art. 43 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28. 
    La sentenza  impugnata  ha  respinto  il  ricorso  per  la  parte
relativa alla decadenza  dagli  incentivi,  determinata  dal  mancato
completamento dei lavori alla data  del  31  dicembre  2010:  avverso
questa parte della  decisione  la  societa'  resistente  ha  proposto
appello incidentale. 
    I) La controversia in esame si inscrive nell'ambito delle vicende
relative  agli   incentivi   per   la   realizzazione   di   impianti
fotovoltaici, previsti originariamente dal d.lgs. 29  dicembre  2003,
n.  387  (Attuazione  della  direttiva   2001/77/CE   relativa   alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'),  il  cui  art.  7
demandava  a  successivi  decreti  la  definizione  dei  criteri  per
l'incentivazione della produzione di energia  elettrica  dalla  fonte
solare, anche per quanto riguarda le modalita' per la  determinazione
dell'entita'  della  specifica  tariffa  incentivante,   di   importo
decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione  dei
costi di investimento e di esercizio. 
    In  attuazione  di  tale  norma  sono  stati  emanati  i  decreti
ministeriali in data 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto  2010
e 5 maggio 2011 (denominati, rispettivamente, primo, secondo, terzo e
quarto conto energia),  con  i  quali,  in  particolare,  sono  state
determinate le condizioni di erogazione delle suddette tariffe ed  e'
stato affidato al Gse il compito di controllare le dichiarazioni rese
dai richiedenti e di provvedere all'assegnazione degli incentivi. 
    Il  secondo  conto  energia,  che   qui   rileva,   ha   previsto
l'erogazione dei benefici per gli impianti entrati  in  esercizio  in
data  successiva  alla  deliberazione  dell'Autorita'  per  l'energia
elettrica e il gas  n.  90/2007  e  fino  al  31  dicembre  2010.  In
sostanziale coerenza, l'art. 2-sexies del  decreto-legge  25  gennaio
2010 n. 3, introdotto dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41
ha  riconosciuto  il  beneficio  a  tutti  i  soggetti  che  avessero
concluso, entro il 31 dicembre  2010,  l'installazione  dell'impianto
fotovoltaico  ed  avessero  «inviato  la  richiesta  di   connessione
dell'impianto di produzione entro l'ultima data  utile  affinche'  la
connessione» fosse realizzata entro il 31 dicembre 2010. 
    Poiche',    peraltro,    l'entrata    in    esercizio    scontava
l'autorizzazione  del  gestore  di  rete  alla  connessione  e   alla
realizzazione dell'impianto,  per  la  quale  erano  necessari  tempi
lunghi  e  non  preventivabili,  sottratti  alla  disponibilita'  del
soggetto richiedente, l'art. 1-septies  del  decreto-legge  8  luglio
2010, n.  105,  convertito  nella  legge  13  agosto  2010,  n.  129,
modificando tale art. 2-sexies ha esteso la possibilita' di usufruire
delle tariffe previste dal secondo conto energia a tutti gli impianti
che alla data del 31 dicembre 2010 avessero completato  i  lavori  di
realizzazione dell'impianto e fossero poi entrati in esercizio  entro
il 30 giugno 2011, ponendo quale  condizione,  oltre  a  quelle  gia'
previste dall'art. 5 del decreto ministeriale del  19  febbraio  2007
(tra le quali la presentazione della richiesta  del  beneficio  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell'impianto), la
comunicazione al gestore della rete e al Gse della fine lavori  entro
la suddetta data del 31 dicembre 2010, asseverata dalla dichiarazione
di un professionista. 
    Per il caso  di  false  dichiarazioni,  l'art.  11  del  suddetto
decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 prevedeva la decadenza  dal
diritto alla tariffa incentivante per l'intero periodo per  la  quale
e' prevista, mentre il decreto-legge n. 105 del 2010 non contiene una
specifica disposizione in tal senso; peraltro, il decreto legislativo
3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione  della  direttiva  2009/28/CE
sulla promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,  ha
esplicitamente posto, all'art. 23, terzo comma il seguente principio:
«Non hanno titolo a percepire gli  incentivi  per  la  produzione  di
energia da fonti rinnovabili da qualsiasi fonte normativa previsti, i
soggetti per i quali le  autorita'  e  gli  enti  competenti  abbiano
accertato  che,  in  relazione  alla  richiesta  di  qualifica  degli
impianti o di  erogazione  degli  incentivi,  hanno  fornito  dati  o
documenti non veritieri, ovvero  hanno  reso  dichiarazioni  false  o
mendaci.  Fermo  restando  il  recupero  delle  somme   indebitamente
percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi  ha
durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si  applica  alla
persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonche' ai
seguenti soggetti: 
        a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; 
        b) il soggetto responsabile dell'impianto; 
        c) il direttore tecnico; 
        d) i soci, se si tratta di societa' in nome collettivo; 
        e)  i  soci  accomandatari;  se  si  tratta  di  societa'  in
accomandita semplice; 
        f) gli amministratori con potere  di  rappresentanza,  se  si
tratta di altro tao di societa' o consorzio.» 
    Di tale regime, riprodotto nel quarto conto  energia  di  cui  al
decreto ministeriale 5 maggio 2011, l'art. 43 del d.lgs.  n.  28  del
2011 ha previsto l'applicazione anche alle situazioni pregresse. 
    La norma appena richiamata infatti dispone che  «fatte  salve  le
norme  penali,  qualora  sia  stato  accertato  che   i   lavori   di
installazione dell'impianto  fotovoltaico  non  sono  stati  conclusi
entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame  della  richiesta  di
incentivazione al  sensi  del  comma  1  dell'articolo  2-sexies  del
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, e successive modificazioni, il  GSE
rigetta l'istanza di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione
dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti  le
componenti  dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.  Con  lo
stesso provvedimento il GSE dispone l'esclusione dalla concessione di
incentivi per la produzione di energia elettrica di  sua  competenza,
per un periodo di dieci  anni  dalla  data  dell'accertamento,  della
persona fisica o giuridica che ha presentato la  richiesta,  nonche'»
dei soggetti elencati dal precedente art. 23. 
    II) Nella fattispecie in esame, la  societa'  Cirio  Agricola  ha
presentato in data 29 dicembre 2010 la comunicazione di  fine  lavori
ai sensi dell'art. 1-septies del d.l. n. 105 del 2010 per  l'impianto
sopra indicato; il Gestore ha effettuato il sopralluogo di competenza
il 2 febbraio 2011, rilevando il mancato completamento  dell'impianto
di utenza e delle opere di  integrazione  architettonica  ed  ha,  di
conseguenza,  dichiarato  la  decadenza  dal  diritto  alle   tariffe
incentivanti. 
    Il 14 novembre 2011 il Gse ha poi disposto, ai sensi dell'art. 43
d.lgs.  n.  28  del  2011,  l'esclusione  di  Cirio  Agricola   dalla
concessione degli incentivi per un periodo di dieci anni. 
    Il ricorso proposto, con motivi aggiunti, dalla societa'  avverso
tali provvedimenti e' stato respinto dal Tar per quanto  riguarda  il
diniego del beneficio, mentre e' stato accolto nella  parte  relativa
all'applicazione della  sanzione  decennale,  sul  presupposto  della
mancata presentazione, in data successiva alla comunicazione di  fine
lavori, della specifica richiesta diretta ad ottenere l'incentivo. 
    Il  Gestore  ha  proposto  appello  avverso  questa  parte  della
sentenza; con appello  incidentale  la  societa'  Cirio  Agricola  ha
contestato la reiezione del ricorso principale. 
    III) L'appello incidentale e' stato respinto  con  sentenza  resa
all'odierna camera di consiglio, con la consequenziale conferma della
sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso diretto avverso la
decadenza dagli incentivi previsti dal secondo conto energia.  Rimane
pertanto confermato l'interesse del  Gestore  a  coltivare  l'appello
principale, diretto a contestare la sentenza per la  parte  reiettiva
dei  motivi  aggiunti,  attinenti  all'applicazione  della   sanzione
prevista dall'art. 43 del d.lgs. n. 28  del  2011,  sanzione  che  e'
conseguenza della non veridicita' della comunicazione di fine lavori. 
    IV) Con la sentenza  impugnata  il  Tribunale  amministrativo  ha
ritenuto che le sanzioni previste dalla norma appena  citata  possano
trovare applicazione solo se e'  stata  presentata  la  richiesta  di
accesso agli incentivi, non essendo sufficiente la mera dichiarazione
di fine lavori e, in ragione  della  mancata  presentazione  di  tale
domanda da parte della Cirio Agricola, ha, come si e' detto,  accolto
il ricorso. 
    V) Ai fini della  risoluzione  della  controversia  in  esame  e'
pregiudiziale  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011. 
    1) Il giudizio di rilevanza impone di  interpretare  la  suddetta
disposizione anche al fine di valutare la  possibilita'  di  fornirne
una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da  ultimo,
Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). 
    Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza impugnata,
ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel  senso  che
la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del
completamento  di  due  fasi  temporalmente   separate:   la   prima,
costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro
il 31 dicembre 2010;  la  seconda  fase,  successiva  all'entrata  in
esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla
richiesta di incentivi da  presentate  al  GSE  entro  il  successivo
termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza  di  un
fatto illecito a formazione progressiva. 
    Questa  Sezione  ritiene,  invece,  che  il  fatto  illecito   si
perfeziona  in  un  unico  contesto  temporale  nel  momento  in  cui
l'impresa presenta la comunicazione  di  fine  lavori  (incompleta  o
falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. 
    Tale esito interpretativo e' l'unico possibile  per  le  seguenti
ragioni. 
    In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa  rilevante
e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che
sussistono  due  richieste  di  incentivi:  la  prima  da  presentare
unitamente  alla  comunicazione  di  fine  lavori;  la   seconda   da
presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. 
    L'art. 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano
essere  presenti,  per  il  perfezionamento  del  fatto  illecito,  i
requisiti costituiti dalla  comunicazione  di  fine  lavori  e  dalla
richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente  indicata,  e',
anche in ragione di quanto si dira' oltre,  quella  che  deve  essere
presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla  comunicazione
fine lavori. Nelle fattispecie oggetto del presente giudizio  risulta
dagli  atti  che  la  societa'  Cirio  Agricola  ha  depositato   nel
procedimento, unitamente all'attestazione di fine  lavori,  anche  la
suddetta richiesta nel termine sopra indicato. 
    In secondo luogo, il significato assegnato alla  disposizione  e'
l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione.  Il
legislatore, infatti, ha previsto che  tale  potere  e'  esercitabile
alla scadenza del predetto  termine  del  31  dicembre  2010.  Se  il
perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta
di  incentivi  successiva  all'entrata  in  esercizio   dell'impianto
sarebbe stato questo il momento che avrebbe consentito della funzione
di verifica da parte del  GSE.  La  stretta  correlazione  tra  fatto
illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce, pertanto,
a ritenere che il comportamento che giustifica  l'applicazione  della
misura in esame sia posto in essere entro il suddetto termine del  31
dicembre 2010. Si tenga conto,  inoltre,  che  l'esito  negativo  dei
controlli  per  l'impresa  determina  di   fatto   un   arresto   del
procedimento con  conseguente  normale  mancata  presentazione  della
seconda richiesta. Ne consegue che l'interpretazione seguita dal  Tar
condurrebbe di fatto ad una sostanziale inapplicabilita' della norma. 
    Infine, il sistema a regime, contemplato dal  riportato  art.  23
del d.lgs. n. 28 del  2011,  prevede,  quale  unico  presupposto  per
l'applicazione della suddetta misura,  l'avere  fornito  ai  soggetti
competenti  dati  o  documenti  non  veritieri,  ovvero  avere   reso
dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme al canone  della
ragionevolezza diversificare i requisiti a  seconda  che  il  rimedio
trovi applicazione a fattispecie soggette alla pregressa o alla nuova
forma di regolazione. L'interpretazione fornita, che conduce, per  le
ragioni indicate nel successivo punto, a ritenere la norma  contraria
a Costituzione, non e' superabile attraverso la ricerca di un diverso
significato conforme  a  Costituzione.  La  scissione  temporale  del
comportamento sanzionato porta, infatti, ad esiti anch'essi  contrari
a Costituzione. Se, infatti, si ritiene che  il  completamento  della
fattispecie illecita si  realizza  nel  momento  della  presentazione
della  seconda  richiesta  di  incentivi  successiva  all'entrata  in
esercizio dell'impianto si verrebbe a determinare  una  irragionevole
discriminazione, consentita dalla norma, tra  operatori  economici  a
seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima o  dopo  la
scadenza  del  predetto  termine.  Solo  nel  primo  caso,   infatti,
l'impresa sarebbe indotta a non  presentare  l'istanza  proprio  allo
scopo  di  non  subire  il  divieto  decennale  di  percezione  degli
incentivi. 
    Alla  luce  di  quanto  sin   qui   esposto,   l'amministrazione,
contrariamente da quanto affermato dal Tar,  ha  fatto  una  corretta
applicazione  alla   fattispecie   concreta   di   quanto   stabilito
dall'articolo  43,  inibendo,   sostanzialmente,   per   un   periodo
decennale,  l'attivita'  ai  soggetti  che  avevano  presentato   una
incompleta o falsa  comunicazione  di  fine  lavori  con  contestuale
richiesta di incentivi. 
    L'appello dovrebbe, pertanto, trovare  accoglimento  qualora  non
venga   dichiarata   costituzionalmente   illegittima   la   predetta
disposizione. 
    In definitiva, il Collegio ritiene che  non  sia  possibile  dare
alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che  l'unica
interpretazione  possibile,  rendendo  tale  norma  applicabile  alle
fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini
della risoluzione della  presente  controversia,  alla  questione  di
costituzionalita'. 
    2) Il giudizio di non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto  dell'art.
43 del d.lgs. n. 28 del 2011 con gli articoli 3, 25,  secondo  comma,
76 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    3) In via preliminare, deve accertarsi se  il  rimedio  in  esame
possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti
sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. 
    Le   sanzioni,   irrogate    dalla    pubblica    amministrazione
nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la  reazione
dell'ordinamento alla violazione di un precetto. 
    La dottrina, valorizzando  i  profilo  funzionale,  distingue  le
sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno
una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per  equivalente,
dell'interesse pubblico  leso  dal  comportamento  antigiuridico;  le
seconde  hanno  una  afflittiva,  essendo  indirizzate  a  punire  il
responsabile dell'illecito allo  scopo  di  assicurare  obiettivi  di
prevenzione generale e speciale. 
    Le  principali  tipologie  di  sanzioni  in  senso  stretto  sono
pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma  di  denaro,
ovvero interdittive, quando  impediscono  l'esercizio  di  diritti  o
facolta' da parte del soggetto inadempiente. 
    La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata  alla
luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), 
    La disciplina delle altre sanzioni  e'  contenuta  nelle  singole
discipline di settore, dai si applicano, ove compatibili, i  principi
generali sanciti dalla predetta legge. 
    Il d.lgs. n. 28  del  2001  ha  previsto  uno  specifico  sistema
sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. 
    L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva,
non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. 
    La natura afflittiva e' conseguenza del fatto  che  l'effetto  di
ripristinazione  dell'interesse  pubblico  leso  e'  assicurato   dal
divieto di concessione di incentivi in relazione a  quello  specifico
impianto cui si riferisce la comunicazione di  fine  lavori,  nonche'
agli  impianti  che  utilizzano   in   altri   siti   le   componenti
dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.   L'estensione   del
divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici
diverse per una durata di dieci anni  non  puo'  che  perseguire  uno
scopo di punizione del soggetto che  ha  violato  il  precetto  (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). 
    L'appartenenza  al  tipo   di   sanzioni   interdittive   risulta
chiaramente  dalla  descrizione  normativa  della   fattispecie:   il
rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici  economici  per
un periodo di dieci anni, si risolve in  un  sostanziale  impedimento
allo svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    La produzione  retroattiva  degli  effetti  e'  desumibile  dalla
circostanza che la sanzione  e'  applicabile  per  illeciti  commessi
prima della sua entrata in vigore, in quanto, come  sottolineato,  la
disciplina di legge vigente al momento della  avvenuta  comunicazione
di fine di lavori e  richiesta  di  incentivi  non  contemplava  tale
misura. Gli operatori economici del settore non  sapevano,  pertanto,
che   l'eventuale   accertata   incompletezza   o   falsita'    della
comunicazione di fine lavori avrebbe  determinato  l'applicazione  di
una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi  per
un  cosi'  lungo  periodo  temporale.  La  norma,  pertanto,   incide
negativamente sulle prevedibilita'  delle  conseguenze  derivanti  da
azioni o omissioni di coloro che esercitano  liberamente  la  propria
iniziativa economica. 
    4) L'art. 76  Cost.  prevede  che  la  delega  al  Governo  della
funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei
principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato  e  per
oggetto definiti». . 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che  il
sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa  si
esplichi attraverso un  confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi
ermeneutici  paralleli.  Il  primo  riguarda  le   disposizioni   che
determinano l'oggetto, i principi  e  i  criteri  direttivi  indicati
dalla legge di delegazione, tenuto conto del  contesto  normativo  in
cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative.
Il  secondo  riguarda  le  disposizioni  stabilite  dal   legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
e i criteri direttivi della delega (da ultimo,  sentenza  n.  50  del
2014). 
    Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt.
2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti  sanzioni
penali o amministrative per violazione di  obblighi  contenuti  nella
normativa europea da attuare. In  particolare,  l'art.  2,  comma  1,
lettera c), prevede,  quali  principi  e  criteri  direttivi  per  le
sanzioni amministrative, che esse: devono consistere  nel  «pagamento
di una somma non inferiore a 150  euro  e  non  superiore  a  150.000
estro»; II) nell'ambito di detti  limiti  devono  essere  determinate
nella loro entita' «tenendo conto della diversa potenzialita'  lesiva
dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto,
di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese  quelle  che
impongono particolari doveri di prevenzione, controllo  o  vigilanza,
nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione  puo'  recare  al
colpevole ovvero alla persona  o  all'ente  nel  cui  interesse  egli
agisce». 
    L'art. 43 del d.lgs. n. 23  del  2011,  nella  parte  in  cui  ha
introdotto  una  sanzione  interdittiva  e  non   pecuniaria   senza,
peraltro,  graduarne  l'applicazione  nel  rispetto  delle  modalita'
predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo
di copertura da parte della legge di delega e comunque  in  contrasto
con  i  principi  e  criteri  stabiliti  dalla  legge   delega,   con
conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 
    5) L'art. 25, secondo comma,  Cost.  dispone  che  «nessuno  puo'
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
prima del fatto commesso». 
    La Corte costituzionale ha piu'  volte  affermato,  su  un  piano
generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso
sfavorevole  per  gli  interessati  la  disciplina   di   determinati
rapporti, anche quando l'oggetto di questi sia costituito da  diritti
soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino  in  un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei  cittadini
nella «certezza  dell'ordinamento  giuridico»,  da  intendersi  quale
elemento fondamentale dello Stato di diritto»  (sentenze  n.  69  del
2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del  2010,  n.
206 del 2009). 
    Sul piano specifico delle sanzioni, la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto che  l'art,  25,  secondo  comma,  Cost.  ponga  un  divieto
assoluto di retroattivita' nella materia penale (da  ultimo  sentenza
n. 5 del 2014). 
    La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del  2010,
ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma,  in
ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricopre nel suo  ambito
di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la  conseguenza
che   «ogni   intervento   sanzionatorio,   il   quale   non    abbia
prevalentemente  la  funzione  di  prevenzione  criminale  (...)   e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al momento della commissione del fatto sanzionato» (si  vedano  anche
sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del  1967,  che  hanno  ritenuto  le
sanzioni  amministrative  soggette  al  rispetto  del  principio   di
tassativita'). 
    In questa prospettiva l'art. 1 della legge  n.  689  del  1981  -
nella parte in cui dispone che «nessuno puo'  essere  assoggettato  a
sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia  entrata
in vigore prima della commissione  della  violazione»  -  costituisce
espressione di regole costituzionali. 
    In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo  afflittivo
opera il principio di legalita' nella connotazione che  esso  ha  nel
settore penale, con conseguente necessita' di rispettare  i  principi
di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. 
    L'art. 43 del d.lgs.  n.  28  del  2011,  prevedendo  una  misure
affluiva finalizzata a sanzionare comportamenti posti in essere prima
della entrata in vigore del decreto stesso,  si  pone,  pertanto,  in
contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. 
    6) L'art. 117, primo comma, Cost.,  stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto «degli obblighi internazionali». 
    La giurisprudenza costituzionale ritiene  che  la  CEDU  contenga
norme  interposte,  oggetto  di  bilanciamento,   nel   giudizio   di
costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle  tutele
(da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). 
    L'art. 6 della CEDU  stabilisce  quali  sono  le  condizioni  che
devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». 
    L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere  inflitta
una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in
cui il reato e' stato consumato». 
    La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri  al
fine di stabilire la natura penale o meno  di  un  illecito  e  della
relativa sanzione. 
    In particolare, sono stati individuati tre  criteri,  costituiti:
I)  dalla  qualificazione   giuridica   dell'illecito   nel   diritto
nazionale, con la puntualizzazione che la stessa  non  e'  vincolante
quando si accerta la valenza «intrinsecamente penale»  della  misura;
II) dalla natura dell'illecito, desunta dall'ambito  di  applicazione
della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; III)  dal  grado
di severita' della sanzione (sentenze 4 marzo 2014, r.  n.  18640/10,
resa nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 10 febbraio  2009,
ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia; si v. anche
Corte di giustizia UE, grande sezione, 5 giugno 2012, n.  489,  nella
causa C-489/10). 
    L'assegnazione alla «materia  penale»  di  un  significato  ampio
conduce a ritenere che anche il potere  amministrativo  sanzionatorio
deve  essere  esercitato  nel  rispetto,  non  solo  delle   garanzie
dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. 
    L'art. 43 del  d.lgs.  n.  28  del  .2011,  nella  parte  in  cui
introduce una sanzione afflittiva con effetti retroattivi,  si  pone,
pertanto, in contrasto non soltanto con  l'art.  25,  secondo  comma,
Cost.,  ma   anche   con   la   suddetta   norma   convenzionale   e,
conseguentemente, con l'art, 117, primo Cost. 
    7) L'art. 3 della Cost., nell'applicazione che di esso  ha  fatto
la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo  del  rispetto  del
principio di  ragionevolezza  nell'esercizio  della  discrezionalita'
legislativa. 
    Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere
osservato, nella fase applicativa, il principio di  proporzionalita',
il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e  proporzionata
in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. 
    Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in
concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa  di  un  potere
discrezionale in grado di individualizzare  la  sanzione  modulandone
l'entita' alla luce della  tipologia  e  gravita'  della  violazione,
nonche' della intensita'  dell'elemento  soggettivo  (si  veda  Corte
cost. n. 299 del 1992, con  riferimento  all'entita'  delle  sanzioni
penali; si veda anche art. 11  della  legge  n.  689  del  1981,  con
riferimento all'esigenza di una  commisurazione  discrezionale  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria),  elemento,  quest'ultimo,  che
assume particolare  rilevanza  laddove,  come  nella  fattispecie  in
esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante  della  societa'
sanzionata. 
    La proiezione di  tale  principio  a  livello  costituzionale  ne
comporta  la  sua  collocazione  nell'ambito   della   regola   della
ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale  regola  una  misura
sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non
aderente alla specificita'  delle  singole  condotte,  determina  una
ingiustificata discriminazione tra operatori economici. 
    L'art. 43 del d.lgs. n. 28  del  2011,  contemplando  un  sistema
sanzionatorio  rigido  applicabile   indistintamente   a   tutte   le
fattispecie senza che  l'autorita'  amministrativa  competente  possa
modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della  valenza  degli
elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie  stessa,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 
    8) L'art. 117, primo comma, Cost.,  stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, 
    La  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  ritiene  che   le
autorita' preposte all'irrogazione  delle  sanzioni,  in  materie  di
rilevanza europea, quale  quella  in  esame,  debbano  rispettare  il
principio di proporzionalita' (si veda Corte di giustizia UE, sez. I,
9 febbraio 2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n.
313 del 1990). 
    L'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011, non assicurando il  rispetto
del principio di proporzionalita', si pone,  pertanto,  in  contrasto
anche con il parametro costituzionale sopra indicato. 
    9) Il giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della
questione di costituzionalita' dell'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011
impone  la  sospensione  del  presente  giudizio  in   attesa   della
definizione del giudizio di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Sesta),
non definitivamente pronunciando: 
        a) solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.
43 del decreto legislativo 3 marzo  2011,  n.  28  (Attuazione  della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da  fonti
rinnovabili,  recante  modifica  e   successiva   abrogazione   delle
direttive 2001/77/ CE e 2003/ 30/CE), in riferimento agli articoli 3,
25, 76 e 117, primo comma (in relazione, quest'ultimo, anche all'art.
7  della   Convenzione   europea   dei   diritti   dell'uomo)   della
Costituzione; 
        b) sospende il giudizio e ordina la trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale; 
        c)  dispone  che,  a  cura  della  segreteria,  la   presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio di ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento. 
    Spese al definitivo. 
    Luciano Barra Caracciolo, Presidente; 
    Gabriella De Michele, Consigliere; 
    Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere; 
    Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore; 
    Bernhard Lageder, Consigliere. 
 
                      Il Presidente: Caracciolo 
 
 
                                                 L'estensore: Vigotti 
    Depositata in segreteria il 9 luglio 2014.