N. 204 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 2015
Ordinanza del 22 maggio 2015 della Corte d'appello di Palermo sull'istanza proposta da R.V.. Reati e pene - Pene accessorie - Ritiro della patente di guida sino ad anni tre disposto dal giudice con la sentenza di condanna per determinati reati previsti dal testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti - Denunciata eseguibilita' della pena accessoria solo dopo l'espiazione della pena principale detentiva - Disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe - Contrasto con il principio della finalita' rieducativa della pena. - Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, art. 85. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.41 del 14-10-2015 )
LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO Sezione Terza Penale Composto da: Dott. Filippo Messana - Presidente; Dott. Egidio La Neve - Consigliere; Dott.ssa Claudia Rosini - Consigliere; Riunito in camera di consiglio, nel proc. pen. n. 93/15 reg. camerali ha pronunciato la seguente Ordinanza Letta l'istanza avanzata personalmente da R. V., nonche' dal difensore, finalizzata ad ottenere la revoca della pena accessoria del ritiro della patente di guida per anni tre, disposta ex art. 87, DRP 309/90, con sentenza del GUP presso il Tribunale di Palermo del 16 aprile 2004, parzialmente riformata con sentenza di questa Corte di Appello del 7 giugno 2005, irrevocabile il 7 ottobre 2009; Lette le conclusioni rassegnate dal PM e dal difensore all'udienza camerale del 10 aprile 2015; Rilevato che l'istante e' stato condannato con la suddetta sentenza, alla pena di anni 11 e mesi 4 di reclusione, oltre la multa, perche' dichiarato colpevole del delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e altri reati previsti dalla disciplina degli stupefacenti, e gli e' stata applicata la pena accessoria del ritiro della patente di guida per anni tre, eseguita a far data dal 22 gennaio 2014, data della notifica del provvedimento, da parte della Prefettura di Palermo, dopo che l'istante aveva cessato il regime detentivo in data 25 novembre 2011; Osserva Il condannato istante deduce di avere assoluta necessita' del documento di guida, avendo intrapreso un percorso di reinserimento sociale attraverso la costituzione di una societa' cooperativa operante nel settore dei trasporti e del soccorso stradale, nell'ambito della quale e' chiamato ad esercitare le mansioni di autista. Il difensore deduce a sua volta, a sostegno dell'istanza di revoca anticipata della pena accessoria, il potere del giudice dell'esecuzione di incidere sulla stessa, alla luce del principio sancito dalla Suprema Corte a S.U., n. 18821 depositata il 4 maggio 2014, al fine di rendere conforme ai valori costituzionali anche il regime delle pene accessorie, incidendo anch'esse sulla liberta' personale. In subordine, censura l'irrazionalita' del sistema ordinamentale che prevedrebbe, per le misure di sicurezza, la rivalutazione della pericolosita', per le pene principali la possibilita' di fruire di misure alternative e ridurre la pena, mentre nulla sarebbe previsto per adeguare le pene accessorie al percorso risocializzante intrapreso dal condannato ed alla funzione rieducativa prevista dall'art. 27, co. III Cost. Per tal via, il difensore pone un problema di superamento del giudicato, da parte del giudice investito di incidente di esecuzione, anche con riferimento alle pene accessorie, in "analogia" - come esplicitato nell'istanza di revoca - con quanto statuito dalla nota sentenza a S.U. "Gatto", che ha statuito sul tema, con riferimento alle pene principali, e in relazione alle modifiche normative intervenute in materia di stupefacenti, a seguito della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale. Le argomentazioni dedotte, pur suggestive, sono del tutto erronee nel merito e contengono un'inammissibile confusione, sul piano concettuale, tra la nozione di pena e quella di misura di sicurezza. Cio' in quanto si richiede a questo decidente la revisione, quanto alla durata, di una pena accessoria, conforme alla "pericolosita'" del condannato, gia' avviato verso un percorso di risocializzazione alla prosecuzione del quale sarebbe ostativa la perdurante esecuzione della pena accessoria in parola. Per tal via, invero, il difensore, confondendo i piani della pena (vincolata dal giudicato salvo che siffatto giudicato sia divenuto "illegale") e la misura di sicurezza (revocabile per definizione se non assistita dalla "pericolosita'" attuale del reo), chiede che la pena accessoria [della revoca della patente di guida per reati associativi in materia di stupefacenti] sia modificata, nella natura, da questo giudice dell'esecuzione e venga caducata, in virtu' di un sopravvenuto percorso di reinserimento del reo nel tessuto sociale, in ossequio al principio per il quale la pene, e dunque anche quelle accessorie, devono essere finalizzate alla rieducazione del condannato. Con l'evidente, insostenibile corollario che, secondo la proposta teoria di adeguamento, ogni qual volta una pena divenuta irrevocabile dovesse trovare esecuzione solo a distanza di tempo dalla sua irrogazione, essa dovrebbe, per cio' solo, essere rivalutata all'atto della sua concreta praticabilita'. Analogamente a quanto statuito in materia di misure di prevenzione personali, dalla Corte Cost. che, con la sentenza n. 291 del 2 dicembre 2013, depositata il 6 dicembre 2013, ha dichiarato parzialmente illegittimi l'art. 12, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (recante disposizioni in materia di misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita') e, in via consequenziale, l'art. 15 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), che ha sostituito la prima norma, nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa - a causa dello stato di detenzione della persona ad essa sottoposta, per simultanea espiazione di pena - l'organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosita' sociale dell'interessato, nel momento stesso dell'esecuzione della misura. La portata dirimente della questione, quindi, sembrerebbe consistere non tanto nella pena decisa (in se'), ma in quello della sua esecuzione differita nel tempo, quando essa, cioe', avvenga a una tale distanza temporale dall'irrogazione, da porsi in irragionevole contrasto con le inalienabili finalita' rieducative della pena ovvero, piuttosto, momento in cui l'esecuzione di essa si pone, piuttosto, come ostacolo al reinserimento sociale del condannato, in ipotesi gia' avviato, in quanto causa della perdita del posto di lavoro, nel frattempo reperito. Come nella fattispecie sub judice, dove l'esecuzione e' iniziata nel 2014, a distanza di ben nove anni dalla sentenza che l'aveva disposta e dopo tre anni dalla cessazione dello stato detentivo, per avvenuta espiazione della pena principale. A ben vedere, risalendo a monte, il problema e', invero, costituito dalla stessa natura giuridica della pena accessoria del ritiro della patente di guida di cui all'art. 85, DRP 309/90, che appare avere, in realta', una natura ibrida, a meta' tra pena e misura di sicurezza, appartenendo alla categoria di quelle pene accessorie aventi funzione di prevenzione speciale mediante un impedimento. Essa, cioe', tende a privare il condannato di quella situazione di diritto o di fatto in relazione alla quale e' stata possibile la commissione del reato, sul presupposto della omogeneita' tra contenuto sanzionatorio e caratteristiche strutturali del reato. Una deprivazione che manca di senso logico, allorche' si compia quando il condannato ha gia' espiato la propria pena ed ha dato prova di reinserimento. Orbene, la questione dell'esecuzione della pena accessoria de qua e dei poteri del giudice dell'esecuzione e' gia' stata affrontata dalla Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 293 del 9 luglio 2008, con riferimento all'art. 139 c.p., il quale impone di eseguire la pena accessoria incompatibile con il regime carcerario, una volta scontata quella principale. In quel giudizio era, giustappunto, stata sollevata questione di legittimita' costituzionale, con riferimento alla suddetta previsione, ritenuta in contrasto con le finalita' rieducative della pena e dunque dell'alt 27, terzo comma, della Costituzione e con l'art. 3 della Costituzione, sul presupposto che la norma in oggetto determinerebbe una disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi formata dall'art. 62 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); secondo cui, invece, era consentito al magistrato di sorveglianza di disciplinare il regime di esecuzione della semidetenzione e della liberta' controllata, quanto all'impiego della patente di guida, "in modo da non ostacolare il lavoro del condannato". Per tali ragioni, il rimettente demandava alla Corte di configurare, in capo al giudice dell'esecuzione - mediante la declaratoria di illegittimita' dell'art. 139 cod. pen. - il potere di differimento della pena accessoria in questione, altrimenti connotata da una tendenziale "impermeabilita'", rispetto all'esito del percorso di rieducazione compiuto, proprio nel corso dell'esecuzione della pena principale. Tuttavia la questione non e' stata affrontata dalla Corte stessa, che l'ha dichiarata manifestamente inammissibile, pur osservando come la giurisprudenza costituzionale avesse gia' rimarcato che «tutto il tema relativo alle pene accessorie avrebbe forse bisogno di precisazioni e chiarimenti legislativi e dottrinali». La Corte aveva, infatti, sottolineato la necessita' "che il legislatore ponesse mano a una riforma del sistema delle pene accessorie, tale da renderlo pienamente compatibile con i principi espressi, ed in particolare con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione", concludendo che il giudice a quo dovesse, piuttosto, richiedere una addizione normativa sui propri poteri di intervento, altrimenti "impingendo in scelte affidate alla discrezionalita' del legislatore". Ivi si postulava, quindi, un'anomala prerogativa del giudice dell'esecuzione di paralizzare sine die l'applicazione di una pena definitivamente inflitta, laddove solo "il legislatore puo' determinare forme e condizioni, in presenza delle quali incidere sull'esecuzione della pena accessoria, per adeguarla al principio di progressivita' del trattamento sanzionatorio penale". Per altro verso, ritiene il Collegio che l'avanzata istanza di revoca anticipata della pena accessoria in parola non possa essere accolta, in quanto per tal via si postula il potere di travolgere il giudicato, in capo al giudice dell'esecuzione, davvero estraneo all'ordinamento giuridico vigente. Invero, come statuito da Cass. S.U. n. 6240 del 27 novembre 2014, l'applicazione di una pena accessoria extra o contea legem, dal parte del giudice della cognizione, puo' essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione, purche' essa sia determinata per legge ovvero determinabile senza alcuna discrezionalita', nella specie e nella durata e neppure derivi da errore valutativo del giudice della cognizione. Non sarebbero consentiti, invece, interventi manipolatori del giudicato che comportino l'esercizio di poteri discrezionali del giudice dell'esecuzione, secondo i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., per la determinazione della durata della pena accessoria. In particolare, il problema del superamento del giudicato e' stato affrontato dalla giurisprudenza piu' recente della Corte di cassazione, in relazione alla sopravvenienza di interventi normativi o di pronunce della Corte costituzionale incidenti sul trattamento sanzionatorio. Secondo l'orientamento tradizionale, la cessazione degli effetti penali di una sentenza di condanna potrebbe verificarsi soltanto nelle ipotesi previste dall'art. 673 cod. proc. pen. e cioe' in caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice, mentre, secondo un orientamento innovativo via via venutosi ad affermare, deve essere riconosciuta la prevalenza del valore della legalita' della pena sulla intangibilita' del giudicato e quindi la possibilita' di rideterminare la sanzione in sede esecutiva. Giova, a questo punto, precisare che la sentenza delle Sezioni Unite n. 42858 del 29 maggio 2014 (Gatto), dopo aver proceduto alla ricostruzione del processo storico di progressiva erosione dell'intangibilita' del giudicato, ha evidenziato che l'intervento "in executivis" deve essere consentito tutte le volte in cui sia ancora in atto l'esecuzione di una pena "illegittima" - e cio' perche' «applicare una pena di misura diversa o con criteri diversi da quella contemplata dalla legge - non puo' essere ritenuto conforme al principio di legalita'» (Corte cost., sent. n. 115 del 1987), in ossequio al principio di legalita' sancito anche dall'art. 7 CEDU, non solo con riferimento al precetto penale, ma anche con riferimento espresso, specifico alla violazione dei principi regolatori della sanzione. E ancora, ha osservato la Suprema Corte, i principi elaborati in relazione alla pena principale non possono non valere anche con riguardo alle pene accessorie, giacche' non e' consentita dall'ordinamento l'esecuzione di una pena (sia essa principale o accessoria) non conforme, in tutto o in parte, al principio di legalita'. A quest'ultimo va pur sempre ricondotta l'emendabilita' in executivis di una pena accessoria (illegale) secondo i principi regolatori contenuti in norme di rango superiore, costituzionale o convenzionale, ma anche in norme del codice di rito, quale l'art. 676 c.p.p., che prevede espressamente la competenza del giudice dell'esecuzione in tema di pene accessorie. Siffatta disposizione appare quale principio di carattere generale legittimante, soprattutto, ogni intervento utile a porre rimedio a applicazioni della sanzione in contrasto con norme di rango superiore. Ulteriore conferma della possibilita', per il giudice dell'esecuzione, di intervenire a modifica del giudicato irrevocabile, in tema di pene accessorie, si ricava dall'art. 183 disp. att. cod. proc. Pen. che, tuttavia riguarda l'omessa applicazione di una pena accessoria, e non, quindi, la diversa ipotesi dell'applicazione della stessa in violazione di legge. Per altro verso, la previsione espressa (solo) di tale tipo di intervento, in attuazione del principio piu' generale espresso dall'art. 676 cod. proc. pen. e' giustificata dal fatto che si verterebbe nell'ipotesi dell'applicazione di pena accessoria in malam partem., in quanto l'ordinamento non tollera che si dia esecuzione ad una pena che non aveva fondamento nella legge, all'epoca in cui fu irrogata, anche se inflitta con sentenza ormai irrevocabile. Del resto, l'ordinamento non tollera nemmeno che ne perdurino gli effetti durante l'esecuzione, segnatamente allorche' il legislatore ha espunto dall'ordinamento tale pena con legge successiva a quella del momento in cui e' stata applicata, in quanto non piu' rispondente ai canoni di giustizia, ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza, rispetto alla complessita' della funzione che alla pena viene demandata. Pertanto, nel riconoscere la possibilita' della correzione, pur in sede esecutiva, dell'entita' della pena accessoria per adeguarla alla misura legale, si e' evidenziato che: "a) in una interpretazione costituzionalmente orientata, la pena illegale per specie o misura va corretta anche in executivis, dovendo tendenzialmente cedere il giudicato a tale piu' alta valenza fondativa dello statuto della pena; b) il limite di cui all'art. 130 cod. proc. pen., secondo cui la correzione non deve portare ad una modificazione essenziale dell'atto, va inteso nel senso che non si deve trattare di un'indebita incursione nel potere valutativo - decisionale del giudice della cognizione, ma non opera quando si tratti di mera applicazione di un effetto determinato ex lege; e) l'art. 183 disp. att. cod. proc. pen. autorizza l'applicazione in executivis della pena accessoria predeterminata nella specie e nella durata, se a cio' non si e' provveduto con la sentenza di condanna, e dunque in malam partem (sulla questione cfr. Sez. 1, n. 1800 del 30/11/2012, Zito, Rv. 254288; da Sez. 1, n. 7346 del 30/01/2013, Catapano, Rv. 254151; e da Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv. 256879)". Sulla scorta degli anzidetti criteri ermeneutici, la S.C a Sezioni Unite ha riconosciuto la possibilita' di intervenire in executivis, limitatamente alle ipotesi di emenda di una pena accessoria illegale. Passando alla rassegna di tali ipotesi, le Sezioni Unite hanno fatto riferimento alla sentenza della Sez. 1, n. 14007, del 20/03/2007, Fragnito, Rv. 236213, la quale assume [dopo aver riconosciuto che il mito del giudicato ha subito notevoli fratture, ad esempio attraverso l'applicazione della continuazione in sede esecutiva, fino alla conversione della pena detentiva in quella corrispondente pecuniaria, se vi e' stata condanna a una pena detentiva e una legge posteriore prevede esclusivamente quella pecuniaria] che gli interventi sul giudicato, in quanto eccezionali, sono ammissibili soltanto se previsti espressamente da una nonna, giacche' in tale materia non e' consentita l'analogia. Purtuttavia, sul presupposto dei precedenti giurisprudenziali, si finisce per riconoscere che possa farsi luogo, pur in executivis, alla applicazione di una pena accessoria "che consegua ex lege alla condanna e sia predeterminata in ogni suo elemento, cosi' da non comportare alcuna discrezionalita' del giudice, in ordine alla sua applicazione ed alla sua misura, ove il giudice della cognizione abbia omesso di pronunciarsi per dimenticanza materiale, attraverso la procedura di correzione degli errori materiali". Nell'escludere, quindi, l'esistenza di un potere generale del giudice dell'esecuzione in senso "manipolatore", cosi come di fare ricorso all'applicazione analogica (in tema di pene accessorie, i poteri del giudice dell'esecuzione sono disciplinati dagli artt. 662 e 676 cod. proc. pen., nonche' dall'art. 183 disp. att. cod. proc. pen.), le Sezioni Unite hanno, tuttavia, riconosciuto la supremazia del principio di legalita' della pena (valido anche per le pene accessorie)e che puo' ben essere fatto valere pure nella fase esecutiva, allorche' prenda forma una pena illegale, nel senso di una pena avulsa dalla pretesa punitiva dello Stato. Certo, va esclusa l'emendabilita' dell'atto in executivis, quando il giudice della cognizione si sia gia' pronunciato in proposito e sia pervenuto, ancorche' in modo erroneo, a conclusioni che abbiano comportato l'applicazione di una pena accessoria illegale. In un'ipotesi siffatta, dunque, all'erroneita' della valutazione compiuta non potra' che porsi rimedio con gli ordinari mezzi di impugnazione. In secondo luogo, l'intervento del giudice dell'esecuzione e' ammesso, sempre che non implichi valutazioni discrezionali in ordine alla specie e alla durata della pena accessoria, come desumibile dallo stesso art. 183 disp. att. cod. proc. pen., che consente al pubblico ministero di richiedere, quando non si sia provveduto in sede di cognizione, l'applicazione di una pena accessoria, purche' questa sia "predeterminata dalla legge nella specie e nella durata". Nella fattispecie in esame, tuttavia, non ricorre alcuna di siffatte ipotesi, in quanto e' stata disposta una pena accessoria legale e, per di piu', essa non e' stata espunta dalle modifiche normative intervenute sul DPR 309/90, il cui art. 85 e' tutt'ora vigente. In conclusione, codesto Collegio non puo' decidere sulla revoca della pena, come prospettato dal ricorrente. D'altra parte, l'esecuzione della pena accessoria, al pari della esecuzione della pena principale, e' sottoposta a rigidi parametri normativi, che non consentono, al di fuori delle ipotesi tipicamente previste dalla legge, alcuna sospensione o diversa modalita' esecutiva. Parimenti non puo' farsi ricorso all'applicazione analogica della norma di cui all'art. 62, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 62, che consente al Magistrato di Sorveglianza di sospendere temporaneamente la prescrizione che, durante la semi-detenzione o la liberta' controllata, impedisce l'uso della patente di guida. Tale prescrizione, infatti, non ha natura di pena accessoria, ma costituisce, piuttosto, il contenuto della pena sostitutiva della semi-detenzione e della liberta' controllata, le cui modalita' esecutive possono essere normativamente modificate dal Magistrato di Sorveglianza [in conformita' a un principio generale che caratterizza l'esecuzione di una qualunque pena, sia detentiva che pecuniaria]. L'art. 139 c.p., inoltre, prevede espressamente che l'eseguibilita' della sanzione accessoria, fuori dei casi di assoluta incompatibilita' fra pena principale e pena accessoria, diventi concretamente operativa solo dopo l'espiazione della pena principale. Alla stregua delle anzidette notazioni, questa Corte solleva, di ufficio, ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione non manifestamente infondata di legittimita' costituzionale dell'art. 85, DPR 309/90, in relazione all'art. 3 ed all'art. 27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui, consente l'irrogazione della pena accessoria del ritiro della patente di guida sino ad anni tre, da eseguirsi, ai sensi dell'art. 139 c.p., solo dopo l'espiazione della pena principale detentiva, sul presupposto dell'assoluta incompatibilita' con la stessa, si appalesa in contrasto con i principi costituzionali dettati dagli artt. 25, 27 Cost., laddove, espiata la pena principale l'esecuzione della medesima pena accessoria si pone in irragionevole contrasto con le finalita' rieducative proprie della pena stessa. La stessa Corte costituzionale (con sent. n. 313/1990) ha evidenziato, pur nell'ambito di una concezione «polifunzionale» della pena, il profilo centrale della funzione rieducativa di quest'ultima osservando, in particolare, che il fondamento costituzionale dei valori di reintegrazione, intimidazione, difesa sociale «non [sia] tale da autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione, nel contesto dell'istituto della pena». Essa sottolinea, sul punto, che «in uno Stato evoluto, la finalita' rieducativa non puo' essere ritenuta estranea alla legittimita' ed alla funzione stessa della pena». Infine, non e' ricavabile dal sistema alcuna norma ne' e' possibile una interpretazione estensiva o un'applicazione analogica di norme (quale, ad esempio, il richiamato art. 62, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 62) che consentano di evitare un'irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni omogenee e che l'esecuzione della pena accessoria temporanea del ritiro della patente (necessariamente differita rispetto alla detenzione) risulti in inevitabile contrasto con la funzione rieducativa che dovrebbe svolgere la pena medesima. Ne consegue che l'istanza proposta non puo' essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' come dianzi argomentata.
P. Q. M. Visto l'art. 23, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 85, DPR 309/90, in relazione agli artt. 3 e 27, comma 3 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi in quanto imposto dalla legge. Cosi' deciso in Palermo, 18 maggio 2015 Il Presidente: Messana Il consigliere estensore: Rosini