N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 maggio 2015

Ordinanza del 7 maggio  2015  del  Giudice  di  pace  di  Matera  nel
procedimento penale a carico di C.G.. 
 
Reati e pene  -  Disposizioni  in  materia  di  non  punibilita'  per
  particolare tenuita' del fatto - Denunciata mancata previsione  che
  l'imputato  possa  esprimere  in  maniera  vincolante  il   proprio
  dissenso in ordine  alla  definizione  del  processo  con  sentenza
  declaratoria di non punibilita' per tenuita'  del  fatto  (sentenza
  poi iscritta nel casellario giudiziale) - Lesione  del  diritto  di
  difesa e del  diritto  ad  un  giusto  processo  -  Violazione  del
  principio di non colpevolezza - Lesione  del  diritto  alla  tutela
  della propria onorabilita' e reputazione - Violazione del principio
  di ragionevolezza. 
- Codice penale, art. 131-bis [inserito dall'art.  1,  comma  2,  del
  decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 29]; decreto  legislativo  16
  marzo 2015, n. 29 (recte: n. 28), art. 4. 
- Costituzione,  artt.  2,  3,  24,  27  e  111;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea di Nizza, artt. 3 e 48. 
(GU n.43 del 28-10-2015 )
 
                           GIUDICE DI PACE 
                              di Matera 
 
    Ordinanza di rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  -
Art. 134 Costituzione e 23, comma 2° legge 11 marzo 1953 n. 87. 
    Il  Giudice  dott.  Pietro  Santoro,  chiamato  a  decidere   per
competenza in ordine al procedimento penale iscritto al n. 15/13 R.G.
a carico di C.G. nt. il 15 marzo 1972 imputato dei reati di cui  agli
art. 582 c.p.; 
    rilevato che  nel  nostro  Ordinamento  e'  stato  introdotto  il
decreto  legislativo  16  marzo  2015,  pubblicato   nella   Gazzetta
Ufficiale n. 64 del 18 marzo 2015 - Disposizioni in  materia  di  non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto, a norma dell'art.  1,
comma 1, lettera m) della legge 28 aprile 2014, n. 67; 
    rilevato che detto ultimo articolo ha conferito delega al Governo
per «escludere la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena
pecuniaria o con pene detentive non superiori nel  massimo  a  cinque
anni, quando risulti la particolare tenuita'  dell'offesa  e  la  non
punibilita' del  comportamento,  senza  pregiudizio  per  l'esercizio
dell'azione civile per il  risarcimento  del  danno  e  adeguando  la
relativa normativa processuale penale»; 
    rilevato ancora che  la  norma  fondamentale  di  riferimento  e'
quella contenuta  nell'art.  131-bis  del  c.p.,  introdotta  con  il
decreto succitato  che,  in  ossequio  alle  indicazioni  di  delega,
configura  la  possibilita'  di  definire  il  procedimento  con   la
declaratoria di non punibilita' per particolare  tenuita'  del  fatto
relativamente ai reati per cui e'  prevista  la  pena  detentiva  non
superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria,  sola
o congiunta alla pena detentiva; 
    rilevato  inoltre  che  ai  fini  della   declaratoria   di   non
punibilita' assumono rilievo gli indici-criteri (secondo  la  nozione
datane  nella  Relazione  di  accompagnamento)   della   «particolare
tenuita' dell'offesa», a sua volta desumibile dalle «modalita'  della
condotta» e dalla «esiguita' del danno o del pericolo»  derivato  dal
reato, e dalla «non abitualita' del comportamento»; 
    rilevato altresi' che il reato per cui questo Giudice e' chiamato
a  decidere  rientra  astrattamente  tra  quelli  previsti  dall'art.
131-bis c.p., per cui  dovrebbe  (o  potrebbe  trovare)  applicazione
declaratoria di non punibilita', 
 
                               Osserva 
 
    Questo Giudice non ignora le finalita' di deflazione  processuale
perseguite dal Legislatore con l'introduzione della  nuova  normativa
introdotta; 
    dal punto di vista procedurale l'art. 131-bis c.p. e' la norma di
riferimento, presa in esame in questa fase di  giudizio,  allorquando
la declaratoria intervenga  dopo  l'esercizio  dell'azione  penale  -
sebbene la causa di  non  punibilita'  puo'  essere  applicata  anche
durante la fase delle indagini preliminari in quanto  l'art.  411-bis
c.p.p.  prevede  che  possa  essere  disposta   l'archiviazione   per
particolare  tenuita'  del  fatto  ed   in   quest'ultimo   caso   la
peculiarieta', rispetto alla  applicazione  successiva  all'esercizio
dell'azione penale,  consiste  in  un  meccanismo  di  interlocuzione
dell'indagato e della  persona  offesa,  che  possono  censurare  nel
merito  la  richiesta  di  archiviazione   formulata   dal   pubblico
ministero. 
    Orbene, al di la delle  condivisibili  finalita'  perseguite  dal
Legislatore, non puo' sfuggire all'operatore del diritto chiamato  ad
applicare la norma indicata  (art.  131-bis  c.p.),  che  il  sistema
normativo introdotto con il decreto legislativo 16 marzo 2015  n.  28
si pone in contrasto con principi e valori  di  rango  costituzionale
quali, per l'imputato: 
        il diritto alla difesa (art. 24 Cost.), inviolabile  in  ogni
stato e grado del procedimento; 
        il diritto ad un  giusto  processo  (art.  111  Cost.)  nella
misura in cui non viene consentito 1) che il processo si  svolga  nel
contraddittorio tra le parti, 2) di esercitare la  facolta',  davanti
al Giudice, di interrogare o far interrogare le persone  che  rendono
dichiarazioni  a  suo  carico,  di   ottenere   la   convocazione   e
l'interrogatorio di persone a  sua  difesa  nelle  stesse  condizioni
dell'accusa e l'acquisizione di ogni  altro  mezzo  di  prova  a  suo
favore, 3) che  il  processo  penale  sia  retto  dal  principio  del
contraddittorio nella formazione della prova. 
    Viene altresi' leso il diritto a non essere considerato colpevole
fino alla sentenza definitiva di condanna  (cd.  Presunzione  di  non
colpevolezza - art. 27 Cost., e  art.  48  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea)  nonche'  il  diritto  alla  tutela
della propria onorabilita' e reputazione (artt. 2 e 3 Cost. ed art. 3
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). E  neppure
si puo' sottacere che il decreto legislativo 16  marzo  2015  n.  98,
introduce degli aspetti di inquisitorieta' che si pongono  in  aperto
ed irragionevole contrasto con l'impianto del nostro sistema  penale,
riformato in questo senso nell'anno 1992 ed improntato  al  principio
accusatorio nell'ambito del quale la prova, specie quella  orale,  si
forma  in  dibattimento,  nel  contraddittorio  delle   parti   salvo
specifiche eccezioni espressamente regolamentate dalla legge. 
    Orbene,  l'art.  132-bis  c.p.  prevede  che,  dopo   l'esercizio
dell'azione penale, la definizione del giudizio  possa  avvenire  con
sentenza  anche  prima  del  dibattimento,   nella   ricorrenza   dei
presupposti di cui all'art. 469 c.p., ovvero all'esito  del  giudizio
(ergo, in esito all'udienza preliminare i in esito al dibattimento). 
    Proprio tale fattispecie - sentenza prima del dibattimento  -  e'
quella che manifesta le  maggiori  criticita'  di  contrasto  con  il
dettato costituzionale. 
    Difatti il Giudice, anziche' accertare il fatto in tutti  i  suoi
elementi essenziali attraverso il ricorso al dibattimento, si ritrova
a dover verificare, pre-dibattimentalmente (quindi attraverso l'esame
dei soli documenti contenuti  nel  fascicolo  del  dibattimento  -  e
pertanto attraverso l'esame del capo  di  imputazione  contenuto  nel
decreto di  citazione  a  giudizio,  il  certificato  del  Casellario
giudiziale ed eventuali atti dal contenuto irripetibile) soltanto  la
particolare tenuita' dell'offesa, le  modalita'  della  condotta,  la
esiguita' del danno o del  pericolo  derivato  dal  reato  e  la  non
abitualita' del comportamento. E' di tutta evidenza, che il  Giudice,
non  inoltrandosi  nel  merito,  e'  costretto  ad  abdicare  -   con
svilimento della funzione - dalle sue  prerogative  di  accertare  il
fatto  in  posizione  di  estraneita',  e  quindi  di  terzieta'   ed
imparzialita',   che   costituiscono   la   essenza   stessa    della
Giurisdizione,  (art.  111  Cost.  comma  2).  Difatti,  il  giudizio
(rectius   la   valutazione)    del    Giudice    rimane    vincolato
irragionevolmente alle valutazioni finali dell'Organo dell'accusa che
ha  raccolto  il  materiale  probatorio  nel   segreto   istruttorio,
unilateralmente,   nel   corso   delle   di   indagini   preliminari;
valutazioni,  inoltre,  basate  per  dato  di  esperienza   su   atti
provenienti  dalla  persona  offesa  (es:  querele,  dichiarazioni  o
produzioni) parte interessata per antonomasia. 
    Ebbene, il Giudice, viene cosi' spogliato delle  sue  prerogative
e, quasi fosse un mero organo rogante, e' chiamato ad avallare, senza
contraddittorio, le prospettazioni e valutazioni del  PM.  Il  tutto,
sacrificando anche il principio del proprio libero convincimento. 
    Grazie a questo meccanismo, introdotto dal decreto legislativo de
quo, l'imputato - magari innocente - senza  alcun  contraddittorio  e
senza la benche' minima possibilita' di difendersi, potrebbe  vedersi
attinto da sentenza di non doversi procedere ex  art.  131-bis  c.p.,
per  il  solo  fatto   di   essere   stato   rinviato   a   giudizio,
(l'inconveniente  e'  particolarmente  avvertito   nel   procedimento
innanzi al Giudice Pace disciplinato dal d.lgs. n. 274/2000, che  non
prevede l'istituto della chiusura delle indagini e  la  facolta'  per
l'indagato  nei  20  giorni  successivi  di  esercitare  le  facolta'
difensive di cui all'art. 415  c.p.p..  e  nel  quale  non  di  rado,
l'imputato viene rinviato a giudizio sulla base  della  sola  querela
sporta dalla persona offesa). 
    Ed a nulla varrebbe  una  manifestazione  di  volonta'  contraria
dell'imputato - diretta a voler sostenere il processo per  dimostrare
la propria innocenza - poiche' il decreto legislativo 16  marzo  2015
n. 28 non prevede che quest'ultimo possa dissentire  da  un'eventuale
sentenza di non doversi procedere per particolare tenuita'. 
    Orbene, si osserva che il meccanismo  adottato  dal  Legislatore,
come detto  finalizzato  alla  deflazione  processuale  non  porrebbe
problemi  di  sorta  circa  il  rispetto  dei   valori   lesi   della
Costituzione se  la  emissione  della  sentenza  di  declaratoria  di
improcedibilita'  non  avesse  ripercussioni  negative  sulla   sfera
giuridica dell'imputato (che, come si e' visto, nulla puo'  fare  per
opporsi alla declaratoria di non punibilita'). 
    Ed invece, a ben vedere  proprio  tale  declaratoria,  quando  e'
emessa dopo l'esercizio dell'azione penale ma prima del dibattimento,
incide  negativamente  sugli  interessi   giuridici   della   persona
sottoposta a processo. 
    Difatti, l'art. 4 del decreto legislativo  16  marzo  2015  rende
possibile l'iscrizione nel Casellario giudiziale dei provvedimenti in
materia di particolare tenuita' del fatto. 
    Cio' comporta che: 
    1) restera' traccia nel casellario giudiziale al fine di  evitare
che  l'iscritto,  in  caso  di  nuovo   procedimento   possa   essere
considerato un soggetto non abituale; 
    2) l'iscrizione finisce per ledere, indubitabilmente, il  diritto
all'onorabilita' dell'imputato che si ritrova nell'impossibilita'  di
difendere il suo buon nome. 
    Si avra' la indefettibile  conseguenza  che  l'imputato,  pur  se
innocente del reato ascrittogli, a causa dell'iscrizione intervenuta,
si  trovera'  nelle  condizioni  di  non  poter  usufruire   di   una
declaratoria di improcedibilita' qualora dovesse  davvero  commettere
un fatto rilevante penalmente che  rientrasse  nelle  previsioni  del
decreto legislativo. 
    Ma, ancor piu' grave e' la lesione della sua onorabilita' poiche'
si troverebbe, ingiustamente, soltanto perche' querelato a ritrovarsi
una iscrizione penale nel casellario giudiziale. 
    E' allora evidente che la norma  di  cui  all'art.  131-bis  c.p.
(derivante dall'art. 1 d.lgs. n. 28/2015) e quella di cui all'art.  4
del suddetto decreto (che ha modificato  il  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  14  novembre  2012  n.  313  recante  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di casellario  giudiziale,  di
anagrafe delle sanzioni amministrative  dipendenti  da  reato  e  dei
relativi carichi pendenti) risultano incostituzionali nella parte  in
cui statuiscono che il giudice, dopo l'esercizio dell'azione  penale,
senza   alcun   approfondimento   dibattimentale,   emetta   sentenza
declaratoria  di  non  punibilita'  che  dara'  luogo  alla  relativa
iscrizione nel casellario giudiziale; l'incostituzionalita' di  dette
norme e' pertanto legata alla mancata previsione che l'imputato possa
esprimere al Giudice, in maniera vincolante, il proprio  dissenso  in
ordine alla definizione del giudizio con sentenza di improcedibilita'
per lieve entita', in maniera tale che, una  volta  manifestato  tale
volonta'  negativa,  debba  procedersi  all'accertamento  del  fatto,
dibattimentalmente (e solo all'esito, in mancanza di presupposti  per
l'assoluzione, procedere con la declaratoria di improcedibilita'). 
    Il  Giudice,  ritenuta  pertanto  la  rilevanza  ai  fini   della
decisione  e  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale degli art. 131-bis c.p. e dell'art. 4 del
d.lgs. n. 29/2015 in riferimento ai principi di rango  costituzionale
di seguito indicati: 
        il diritto alla difesa (art. 24 Cost); 
        il diritto ad un  giusto  processo  (art.  111  Cost.)  nella
misura in cui non viene consentito 1) che il processo si  svolga  nel
contraddittorio tra le parti, 2) di esercitare la  facolta',  davanti
al Giudice, di interrogare o far interrogare le persone  che  rendono
dichiarazioni  a  suo  carico,  di   ottenere   la   convocazione   e
l'interrogatorio di persone a  sua  difesa  nelle  stesse  condizioni
dell'accusa e l'acquisizione di ogni  altro  mezzo  di  prova  a  suo
favore, 3) che  il  processo  penale  sia  retto  dal  principio  del
contraddittorio nella formazione della prova; 
        il diritto a  non  essere  considerato  colpevole  fino  alla
sentenza definitiva di condanna (cd. Presunzione di non  colpevolezza
- art. 27 Cost. e  art.  48  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea)  ed  il  diritto  alla  tutela  della   propria
onorabilita' e reputazione (artt. 2 e 3 Cost. ed art. 3  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea); 
        principio   di   ragionevolezza   in   quanto   il    Giudice
irragionevolmente e' chiamato ad esprimere una valutazione in  ordine
alla gravita' o tenuita' del fatto rimanendo  tuttavia  vincolato  in
maniera esclusiva alle valutazioni espresse dal P.M. a seguito  delle
indagini preliminari. 
    Letti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione e 23 comma 2°
legge 11 marzo 1953 n. 87; 
 
                                P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  la  sollevata,
ex  officio,  questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.
131-bis c.p. e dell'art. 4 del d.lgs. n. 29/2015  in  riferimento  ai
principi di rango  costituzionale  come  innanzi  indicati  (art.  24
Cost., art. 111 Cost., art. 27  Cost.  e  art.  48  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea,  artt.  2  e  3  Cost.,  in
relazione al diritto alla propria onorabilita' e dignita'  morale  ed
art. 3 della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,
criterio di ragionevolezza), nella parte in cui manca  la  previsione
che l'imputato possa esprimere al Giudice, e questi  ne  debba  tener
conto in maniera vincolante,  il  proprio  dissenso  in  ordine  alla
definizione del processo con sentenza declaratoria di non punibilita'
per tenuita' del fatto;  sentenza,  da  cui  scaturisce  per  dettato
normativa la iscrizione nel casellario giudiziale. 
    Dispone l'immediata trasmissione della presente ordinanza, in uno
agli atti del presente fascicolo alla Corte costituzionale e sospende
il giudizio in corso. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza, di cui si e' data lettura alle parti all'odierna  udienza,
al Presidente del Consiglio dei ministri e per la  sua  comunicazione
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Matera il 7 maggio 2015. 
 
                         Il giudice: Santoro