N. 242 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 2015

Ordinanza del 4 maggio 2015 della  Corte  d'appello  di  Firenze  nei
procedimenti  civili  riuniti  promossi  da   Caltagirone   Francesco
Gaetano, Capece Minutolo Del Sasso Massimiliano contro CONSOB. 
 
Sanzioni amministrative - Sanzioni amministrative emesse dalla CONSOB
  nei confronti di componenti del consiglio  di  amministrazione  del
  Monte dei  Paschi  di  Siena  -  Prevista  opposizione  alla  Corte
  d'appello  in  camera  di  consiglio  -  Violazione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 7. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.46 del 18-11-2015 )
 
                    LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                          Sezione I Civile 
 
    Composta dai Signori Magistrati: 
        Dott. Giulio De Simone Presidente rel., 
        Dott. Andrea Riccucci Consigliere; 
        Dott. Domenico Paparo Consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 309/2014 del ruolo della  volontaria  giurisdizione  di  questa
Corte, a cui e' stato riunito il proc. n. 311/2014  v.g.  e  vertenti
tra Francesco Gaetano Caltagirone, Massimiliano Capece  Minutolo  Del
Sasso, rappresentati e difesi  dagli  Avv.ti  Bruno  Manzone,  Proff.
Ilaria Pagni e Giuseppe Guizzi, in forza di  procura  a  margine  del
ricorso in opposizione ed elettivamente domiciliati in Firenze presso
Io studio degli ultimi due in via Ciro Menotti  n.  6,  ricorrenti  e
Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB) in  persona
del  presidente  e  legale  rappresentante   Dott.   Giuseppe   Carlo
Ferdinando Vegas,  rappresentata  e  difesa  dagli  Avv.ti  Salvatore
Providenti,   Gianfranco   Randisi,   ed   Elisabetta    Cappariello,
appartenenti alla  Consulenza  legale  interna,  come  da  procura  a
margine della comparsa  di  costituzione  e  risposta,  elettivamente
domiciliati in Firenze presso lo  studio  dell'Avv.  Andrea  Vannini,
studio Paratore Pasquetti & Partners, in via Pasquale Villari n.  39,
resistente e con intervento del P.G. 
    La Corte letti gli atti del procedimento, osserva quanto segue: 
        la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (d'ora in
avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18866 in  data  18/04/2014
ha applicato a Francesco Gaetano Caltagirone  e  Massimiliano  Capece
Minutolo Del Sasso (unitamente ad altri esponenti della  Banca  Monte
dei Paschi di Siena variamente sanzionati - obbligata  in  solido  la
Banca Monte dei Paschi  di  Siena  S.p.a.)  una  sanzione  pecuniaria
amministrativa per una serie  di  violazioni  asseritamente  compiute
nelle rispettive qualita' componenti del consiglio  d'amministrazione
della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a.; 
        avverso tale delibera hanno  proposto  opposizione  a  questa
Corte, ex art.  195  comma  4  del  d.lgs.  58/98,  gli  interessati,
deducendo, oltre a motivi di merito, motivi  attinenti  ai  connotati
del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob ed alla disciplina
dell'opposizione dinanzi alla corte d'appello; 
        in sintesi, gli opponenti hanno  sostenuto  che  la  delibera
sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati  violati  i
principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti  istruttori
e della distinzione fra funzioni  istruttorie  e  funzioni  decisorie
posti dall'art. 195 comma 2 del TUF,  e  quelli  posti  dall'art.  24
comma 1 della L. 262/2005, e cio' in quanto:  la  Consob  allo  scopo
della disciplina al suo interno del procedimento sanzionatorio  aveva
adottato le delibere n. 15131 del 05 agosto 2005 e n.  15086  del  21
giugno 2005 (la prima relativa ai  termini  ed  al  responsabile  del
procedimento, e  la  seconda  agli  altri  aspetti  funzionali);  per
effetto di quanto sopra gli  interessati  hanno  la  possibilita'  di
presentare deduzioni  all'Ufficio  Sanzioni  Amministrative  (cui  in
precedenza  la  Divisione  operativa  ha  trasmesso  gli   atti   del
procedimento  e  le  sue  valutazioni),  e  questo,  considerate   le
valutazioni   della    Divisione    operativa    e    le    deduzioni
dell'interessato,  formula  le  sue  conclusioni   in   ordine   alla
sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione  da
applicare, conclusioni delle quali  e'  destinataria  la  Commissione
che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se  accogliere  o
meno  la  proposta  dell'  Ufficio  Sanzioni   Amministrative;   tale
procedimento contrasta con il principio del contraddittorio in quanto
nella fase finale del procedimento ed  immediatamente  precedente  la
decisione della Commissione il soggetto interessato non e'  posto  in
grado di svolgere le sue difese; cio'  in  quanto  l'interessato  non
puo' interloquire con la Commissione (in sostanza la  Commissione  in
composizione collegiale non  puo'  "...  farsi  una  sua  idea  della
vicenda oggetto della proposta sanzionatoria e si limita a ratificare
l'operato  svolto  dagli  uffici"  cosi'  a  pag.  6   dell'atto   di
opposizione); la violazione del principio di  conoscenza  degli  atti
istruttori deriva dal fatto che  la  proposta  dell'Ufficio  Sanzioni
Amministrative non viene  portata  a  conoscenza  degli  interessati,
nonostante contenga sempre elementi nuovi quali quelli attinenti alla
quantificazione della sanzione amministrativa in relazione ai criteri
di cui all'art. 11 della L. 689/1989; e' esclusa la  distinzione  tra
funzioni istruttorie e decisorie in quanto,  nonostante  vi  sia  una
distinzione  di  ruoli  fra  gli  Uffici,  non  v'e'  una   "concreta
indipendenza nell'esame delle questioni sottoposte": cio'  in  quanto
la  Commissione,  ricevendo  la  proposta  dell'   Ufficio   Sanzioni
Amministrative "perde la sua autonomia di giudizio"  in  quanto  alla
proposta non si contrappone un'attivita' difensiva dell'interessato e
la  Commissione  non  ha  poteri  di  indagine   ed   approfondimento
cosicche',  di  fatto,  l'attivita'  decisoria  che  dovrebbe  essere
demandata  alla   Commissione   e'   rimessa   all'Ufficio   Sanzioni
Amministrative preposto ad attivita' istruttoria; elementi a conforto
della  tesi  della  illegittimita'   dello   specifico   procedimento
sanzionatorio devono trarsi dalla sentenza della  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso
n. 18640/10) con la quale, in relazione al procedimento sanzionatorio
di cui all'art. 187 septies TUF (eguale a quello di cui all'art.  195
dello stesso TUF), sono stati accertati vizi dovuti: a) al fatto  che
la  relazione  dell'Ufficio   Sanzioni   Amministrative   non   viene
comunicata agli interessati i quali, quindi, non  possono  difendersi
proprio sul documento in  relazione  al  quale  la  Consob  fonda  la
propria decisione; b) gli interessati non hanno  la  possibilita'  di
interrogare o far interrogare le persone ascoltate dagli Uffici della
Consob  durante  l'istruttoria;  c)  gli  interessati  non  hanno  la
possibilita' di partecipare alla seduta nella quale la Commissione in
composizione collegiale  decide.  sull'applicazione  della  sanzione;
sempre in tale sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo  e'
stata affermata per la Commissione la sussistenza della  indipendenza
ma  non  anche  dell'imparzialita'  in  quanto  gli  Uffici  preposti
all'istruttoria e la Commissione "... non sono  che  dei  rami  dello
stesso organo amministrativo, che agiscono  sotto  l'autorita'  e  la
supervisione di uno stesso Presidente" e cio' comporta "... esercizio
consecutivo delle funzioni di inchiesta e di decisione  nel  seno  di
una stessa istituzione, cio' che e' incompatibile,  ad  avviso  della
Corte, con l'esigenza di imparzialita'"; 
        il procedimento di opposizione dinanzi alla  corte  d'appello
(art. 195 comma 4 del d.lgs. 58/98) e' camerale, come  reso  evidente
dall'' art. 195 comma 7 del d.lgs. cit ("La  corte  d'appello  decide
sull'opposizione  in  camera  di  consiglio,  sentito   il   pubblico
ministero, con decreto motivato"); 
        gli opponenti nella sostanza deducono l'illegittimita'  della
delibera  sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio   che   si
collocano all'interno del procedimento Consob, ma non  pare  corretto
valutare  le  garanzie  di  difesa  per  segmenti  del  procedimento,
prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a  cognizione
piena,  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria;  al   riguardo   occorre
richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella  detta  sentenza
n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso  in  cui  si  discuteva  di
sanzioni per  illeciti  ex  art.  187  ter  TUF  dalla  Corte  stessa
qualificate come sostanzialmente di natura penale; giova al  riguardo
ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo  94)  al  fine  di
stabilire la sussistenza di una «accusa in materia  penale»,  occorre
tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della  misura
in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di  quest'ultima,  e
la natura e il grado di severita' della «sanzione» (Engel e altri  c.
Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sono
peraltro alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare  di
«accusa  in  materia  penale»  ai  sensi  dell'articolo  6  §  1,  e'
sufficiente che il reato in causa sia  di  natura  «penale»  rispetto
alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una  sanzione  che,
per  natura  e  livello  di  gravita',  rientri  in  linea   generale
nell'ambito della «materia penale». Cio' non impedisce di adottare un
approccio cumulativo se  l'analisi  separata  di  ogni  criterio  non
permette di  arrivare  ad  una  conclusione  chiara  in  merito  alla
sussistenza di una «accusa in materia penale» (Jussila  c.  Finlandia
(GC), n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia,
n. 65022/01, §  31,  CEDU  2007-IX  (estratti))";  parimenti  occorre
richiamare  la  giurisprudenza  della  Corte  cost.  (in  particolare
sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure  di  carattere
punitivo  afflittivo   (ivi   comprese   evidentemente   quelle   che
l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto (principio espresso agii effetti della irretroattivita'
delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative); 
        premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare
la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e'
la Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.); il rispetto  della
Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che  possano
essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene  assicurato
dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione
piena quale e' la corte d' appello; la conclusione cui e'  giunta  la
Corte EDU e' stata,  quindi,  nei  senso  che  "...  il  procedimento
dinanzi  alla  CONSOB  non  soddisfacesse  tutte  le  esigenze  dell'
articolo 6 della Convenzione,  soprattutto  per  quanto  riguarda  la
parita' della armi tra accusa e difesa e il  mancato  svolgimento  di
una udienza pubblica che permettesse un confronto orale";  nonostante
quanto  precede  la  Corte  ha  escluso  una  automatica   violazione
dell'art. 6 della Convenzione proprio in quanto: 1) non era contrario
alla Convenzione  che  le  sanzioni,  giusta  la  normativa  interna,
fossero inflitte da un'autorita' amministrativa quale e'  la  Consob;
2) occorreva che i soggetti  destinatari  passivi  dei  provvedimenti
sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di
dare una decisione nel rispetto dell'art.  6  della  Convenzione;  3)
cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto  gli  interessati  si
erano avvalsi della possibilita' di impugnare  le  sanzioni  inflitte
dinanzi alla corte d'appello di Torino; il problema secondo la  Corte
EDU atteneva allo stabilire se tale  Corte  d'appello  fosse  "organo
dotato di piena giurisdizione"  ai  sensi  della  sua  giurisprudenza
(questione risolta in senso affermativo), e se udienza svolta dinanzi
a tale giudice fosse stata pubblica; e' proprio in  riferimento  alla
assenza  di  udienza  pubblica  che  la  Corte  EDU  e'  giunta  alla
conclusione della violazione della Convenzione ("161.  Alla  luce  di
quanto esposto, la  Corte  ritiene  che,  anche  se  il  procedimento
dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di  equita'  e  di
imparzialita'  oggettiva  dell'articolo  6   della   Convenzione,   i
ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di  un
organo indipendente e imparziale dotato di  piena  giurisdizione,  in
questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima  non
ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso  di  specie,  ha
costituito una violazione dell'articolo 6 § 1  della  Convenzione.");
la pubblicita' dell' udienza, nell' assunto espresso dalla Corte  EDU
in tale decisione, ha, quindi, assunto una  funzione  centrale  e  di
necessaria chiusura del sistema delle garanzie; 
        per altro la giurisprudenza della Corte EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un  principio  assoluto
valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in data 23/11/2006 nel
caso Jussila contro Finlandia la Corte EDU  dopo  aver  ribadito  che
tenere  un'udienza  pubblica  e'  un  principio  fondamentale   posto
dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio e' di  particolare
importanza nella materia penale, ha osservato che "...  l'obbligo  di
tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'articolo  6  non  esige
necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio' vale,
in  particolare,  per  i  casi  che  non   sollevano   questione   di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai sensi  dell'  articolo  6  §  /...";  ancora  in  tale
sentenza e' stato osservato che "... in un procedimento di  prima  ed
ultima  istanza,  udienza  deve  essere  tenuta,  salvo   circostanze
eccezionali che giustifichino di farne a  meno  l'esistenza  di  tali
circostanze dipende in gran parte dalla natura dei problemi di cui  i
tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi  in  cui  si
presentano..."; 
        la sanzione inflitta agli opponenti deve  essere  qualificata
di natura  lato  sensu  penale,  nonostante  ordinamento  interno  la
qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in  quanto  sono
vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione  da
essa fornita dei criteri in relazione ai quali  vagliare  l'effettiva
natura  di  una  sanzione;  chiarito  che  la   qualificazione   data
dall'ordinamento  interno  non  e'  dirimente,  in   quanto   occorre
verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli effetti  della
applicazione  della  Convenzione,  non  puo'  non   considerarsi   la
particolare gravita' afflittiva della  sanzione  pecuniaria  prevista
dall'art. 190 del d.lgs. 58/98, per la violazione dell'art. 21  dello
stesso d.lgs. in un  importo  da  €  2.500,00  ad  €  250.000,00;  al
riguardo occorre precisare che deve aversi riguardo, agli effetti che
qui interessano, alla sanzione edittale e non a  quella  in  concreto
irrogata in quanto, ovviamente, l'individuazione della  natura  della
sanzione  prescinde  dalle  circostanze   che   ne   determinano   la
modulazione fra il minimo ed il massimo; convince ulteriormente della
detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta  dall'art.  190
del  d.lgs.  58/98  dell'applicabilita'  dell'art.   16   L.   689/81
(pagamento in misura ridotta), e soprattutto il regime  pubblicitario
proprio delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che
giusta l'art. 195 comma 3  del  d.lgs.  58/98  "Il  provvedimento  di
applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino
della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o  la  CONSOB,
tenuto  conto  della  natura  della  violazione  e  degli   interessi
coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dare pubblicita'
al provvedimento, ponendo le  relative  spese  a  carico  dell'autore
della violazione, ovvero escludere la pubblicita' del  provvedimento,
quando la  stessa  possa  mettere  gravemente  a  rischio  i  mercati
finanziari  o  arrecare  un  danno  sproporzionato  alle  parti':  la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio; 
        le considerazioni che precedono evidenziano una questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del  d.lgs.  58/98,
norma che potrebbe essere in contrasto con art. 117 Cost.  in  quanto
non conforme all'art. 6 della Convenzione; 
        la questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu  penale  della  sanzione  giusta  i   vincolanti   criteri   di
valutazione posti dalla Corte EDU,  dovendo  questa  Corte  d'appello
necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195  comma
7  del  d.lgs.  58/98  (senza   che   sia   possibile   una   diversa
interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma,
e senza che sia possibile introdurre il correttivo della  pubblicita'
dell'udienza  che,  di  per   se',   renderebbe   non   camerale   il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al  riguardo
inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
di procedimento sanzionatorio e del provvedimento  sanzionatorio  che
lo conclude; 
        preme  rilevare  che  il  sospetto  di  non   conformita'   a
Costituzione (art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del d.lgs.
58/98, e non anche le norme del codice di rito ch prevedono  il  rito
camerale; la Corte costituzionale in ordine a tale rito  si  e'  gia'
espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza 543/1989  con
la quale e' stato affermato ch  secondo  la  costante  giurisprudenza
della Corte stessa "... il procedimento camerale non e' di per se' in
contrasto  con  il  diritto  di  difesa,  in  quanto  l'esercizio  di
quest'ultimo e' variamene configurabile  dalla  legge,  in  relazione
alle  peculiari  esigenze  dei  vari  processi  'purche'  ne  vengano
assicurati  lo  scopo  e  la  funzione',  cioe'   la   garanzia   del
contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a  far  valere
le ragioni delle parti"; nella stessa sentenza e' stato osservato che
"... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e'
in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque
a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione  che  il
legislatore compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme
processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare  ed,
in quanto tale, sfugge quindi  al  sindacato  di  questa  Corte  'nei
limiti in  cui,  ovviamente,  non  si  risolve  nella  violazione  di
specifici   precetti   costituzionali   e   non   sia   viziata    da
irragionevolezza (ordinanza n. 748 del 1988 e  sentenza  n.  142  del
1970)"; la Corte cost.  nella  detta  sentenza,  non  ha  mancato  di
rilevare che il rito camerale non viola il diritto di prova in quanto
"... anche nel rito camerale in appello e' possibile  acquisire  ogni
specie  di  prova  precostituita  e  procedere  alla  formazione   di
qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione -
comunque non formale nonche' atipico - risulti, da  un  lato,  sempre
compatibile con natura camerale del procedimento, e, dall'altro,  non
violi il principio generale della idoneita' degli atti processuali al
raggiungimento del loro scopo..."; 
        la questione pero' non e' quella  di  stabilire  se  il  rito
camerale assicuri sufficientemente la difesa  o  il  contraddittorio,
bensi' quella di stabilire se un'opposizione  avanti  ad  un  giudice
dotato di giurisdizione piena ma vincolato  al  rito  camerale  possa
integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta
negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del d.lgs.  in
contrasto con l'art. 6 § 1 della Convenzione e,  quindi,  con  l'art.
117 Cost.; il dubbio al  riguardo  non  e'  manifestamente  infondato
stante  la  ricordata  giurisprudenza  della  Corte  EDU  laddove  ha
segnalato la particolare importanza dell'udienza pubblica  quando  si
discute di sanzioni penali; certo, come si  e'  detto,  il  principio
della pubblicita' dell'udienza  non  e'  stato  espresso  in  termini
assoluti,  e  la  necessita'  o  meno  di  una  pubblica  udienza  va
ricostruita in relazione alla natura della questione controversa,  ma
tale operazione si risolve nel giudizio di conformita'  all'art.  117
comma l Cost. della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte
non puo' non esprimere un  dubbio  sulla  base  della  giurisprudenza
della Corte EDU (analoga  questione,  per  altro,  risulta  sollevata
recentemente dalla Corte appello di Genova; con ordinanza  10/12/2014
- 08/01/2015). 
 
                               P. Q. M. 
 
    La Corte, visto l'art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87, dichiara
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 195 comma 7 del d.lgs. 24 febbraio  1998  n.
58 in relazione all'art. 117, comma 1 della Costituzione; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il presente giudizio; 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Dispone  altresi'  che  l'ordinanza  venga  comunicata  anche  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in Firenze, in camera di consiglio il 15 gennaio
2015. 
 
                      Il Presidente: De Simone