N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2016
Ordinanza del 10 maggio 2016 del Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da Manetti Massimo. Responsabilita' civile dei magistrati - Giudizio risarcitorio nei confronti dello Stato per fatto illecito del magistrato - Abolizione del "filtro" costituito dalla previa delibazione dell'ammissibilita' della domanda in camera di consiglio. - Legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati), art. 3, comma 2, abrogativo dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati).(GU n.27 del 6-7-2016 )
IL TRIBUNALE DI GENOVA Prima Sezione Composto dai magistrati: dott. Luigi Costanzo, Presidente; dott. Lorenza Calcagno, giudice; dott. Ada Lucca, giudice relatore, ha pronunciato la presente Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nella causa sopra indicata, promossa con ricorso depositato da Manetti Massimo nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri per la responsabilita' civile di alcuni magistrati del Tribunale di Firenze e della Corte di Appello di Firenze. Con ricorso depositato in data 2 aprile 2015, Massimo Manetti si doleva del fatto che, con la sentenza del 7 gennaio 2010, il Tribunale di Firenze avesse dichiarato fallita la FLAM SAS e contestualmente esteso il fallimento anche a lui, quale socio illimitatamente responsabile. Riguardo a tale declaratoria, riteneva il ricorrente che non gli fosse stato dato valido avviso dell'udienza a seguito della quale la stessa era stata pronunciata: in particolare, i giudici di primo grado avrebbero errato in fatto, affermando che dal 30 gennaio 2009 (data di spedizione della notifica ex art. 140 c.p.c.) al 7 gennaio 2010 fossero decorsi sette giorni liberi. Inoltre, una volta proposto reclamo, i giudici di secondo grado presso la Corte di appello di Firenze avrebbero errato a loro volta, in quanto - essendo intervenuta dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 140 c.p.c. - avrebbero dovuto ritenere la notifica perfezionata solo il 9 gennaio 2010 e quindi soltanto dopo che si era svolta l'udienza di primo grado (il giorno 7). Invece, la Corte di appello di Firenze aveva respinto il reclamo, facendo erronea applicazione della normativa fallimentare previgente ed affermando che fosse facoltativa la notifica dell'avviso. Il ricorso in cassazione di Manetti era stato accolto con sentenza del maggio 2013, che annullava la sentenza di fallimento e rimetteva al giudice di primo grado. Nel frattempo, nei 2011 era stata dichiarata la chiusura del fallimento per mancanza di attivo. Il ricorrente chiedeva allo Stato i danni derivati dall'estensione del fallimento, evidenziando la riduzione del proprio reddito e del proprio credito commerciale. L'Avvocatura dello Stato contestava le pretese del ricorrente sulla base di diverse considerazioni. Eccepiva la decadenza per tardivita', in quanto, trattandosi di fallimento chiuso nel 2011, sarebbe decorso il termine di decadenza previsto dalla legge n. 1988/117. Rilevava l'inammissibilita' per il mancato esperimento di tutti i mezzi di impugnazione, in quanto, dopo la cassazione con rinvio del provvedimento della Corte di appello di Firenze, il ricorrente non avrebbe riassunto il giudizio. Nel merito, quanto alle doglianze espresse nei confronti del Tribunale (che si era pronunciato prima della pronuncia della Corte costituzionale 10 gennaio 2010 che aveva dichiarato incostituzionale l'art. 140 c.p.c.), evidenziava che i sette giorni liberi previsti dal decreto fossero in realta' decorsi, poiche' si sarebbero dovuti conteggiare quali giorni intermedi anche quelli festivi; inoltre, la pronuncia di secondo grado non avrebbe fatto erronea applicazione di una disciplina abrogata (come riteneva il ricorrente), ma aveva ritenuto, sulla base di presunzioni, che Manetti si fosse consapevolmente sottratto alla conoscenza della convocazione. Evidenziava, comunque, che le uniche doglianze del reclamo attenevano alla mancanza di insolvenza e quindi alla dichiarazione di fallimento della societa' (che non era stata annullata), mentre nel giudizio di responsabilita' civile dei magistrati il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare per quali motivi di merito gli stessi non avrebbero dovuto pronunciare l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile, essendo sul merito mancata una pronuncia definitiva. Alla prima udienza del 21 luglio 2015, su richiesta della parte ricorrente, veniva autorizzata la rinnovazione della notifica del ricorso. Alla successiva udienza del 13 ottobre 2015, l'attrice chiedeva un termine per esame delle difese dell'avvocatura; il giudice istruttore rilevava la questione della mancanza della disciplina transitoria per quanto concerneva l'abrogazione del «filtro» e, su richiesta delle parti, concedeva un termine per memorie. Con ordinanza del 23 novembre 2015 (resa a seguito della successiva udienza del 16 novembre 2015), il G.I., ritenuta la non applicabilita' della abrogazione del cd. filtro di ammissibilita', rimetteva le parti dinanzi al collegio fissando l'udienza del 17 dicembre 2015. A questa udienza il Collegio sottoponeva all'attenzione dei difensori la sentenza della Suprema corte del 15 dicembre 2015, n. 25216, che si era pronunciata nel senso della immediata applicabilita' dell'abrogazione anche in relazione agli illeciti pregressi (in caso di domanda proposta dopo l'entrata in vigore della legge n. 18/2015), invitando le parti a prendere posizione in relazione alla questione di costituzionalita'. Alla successiva udienza del 3 marzo 2016 le parti si rimettevano circa la stessa questione e il collegio si riservava la presente decisione. Norma oggetto Trova applicazione in questo giudizio l'art. 3 comma 2 della legge 27 febbraio 2015, n. 18 che ha disposto l'abrogazione del filtro di costituzionalita' previsto dall'art. 5 della legge n. 117/1988. Esso prevedeva: Ammissibilita' della domanda 1. Il tribunale, sentite le parti, delibera in Camera di consiglio sull'ammissibilita' della domanda di cui all'art. 2. 2. A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette le parti dinanzi al collegio che e' tenuto a provvedere entro quaranta giorni dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore. 3. La domanda e' inammissibile quando non sono rispettati i termini o i presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 ovvero quando e' manifestamente infondata. 4. L'inammissibilita' e' dichiarata con decreto motivato, impugnabile con i modi e le forme di cui all'art. 739 del Codice di procedura civile, innanzi alla Corte d'appello che pronuncia anch'essa in Camera di consiglio con decreto motivato entro quaranta giorni dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilita' della Corte d'appello puo' essere proposto ricorso per cassazione, che deve essere notificato all'altra parte entro trenta giorni dalla notificazione del decreto da effettuarsi senza indugio a cura della Cancelleria e comunque non oltre dieci giorni. Il ricorso e' depositato nella Cancelleria della stessa Corte d'appello nei successivi dieci giorni e l'altra parte deve costituirsi nei dieci giorni successivi depositando memoria e fascicolo presso la Cancelleria. La corte, dopo la costituzione delle parti o dopo la scadenza dei termini per il deposito, trasmette gli atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni alla Corte di cassazione che decide entro sessanta giorni dal ricevimento degli atti stessi. La Corte di cassazione, ove annulli il provvedimento di inammissibilita' della Corte d'appello, dichiara ammissibile la domanda. Scaduto il quarantesimo giorno la parte puo' presentare, rispettivamente al tribunale o alla Corte d'appello o, scaduto il sessantesimo giorno, alla Corte di cassazione, secondo le rispettive competenze, l'istanza di cui all'art. 3. 5. Il tribunale che dichiara ammissibile la domanda dispone la prosecuzione del processo. La Corte d'appello o la Corte di cassazione che in sede di impugnazione dichiarano ammissibile la domanda rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad altra sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al tribunale che decide in composizione interamente diversa. Nell'eventuale giudizio di appello non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del collegio che ha pronunziato l'inammissibilita'. Se la domanda e' dichiarata ammissibile, il tribunale ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare; per gli estranei che partecipano all'esercizio di funzioni giudiziarie la copia degli atti e' trasmessa agli organi ai quali compete l'eventuale sospensione o revoca della loro nomina. Rilevanza Premesso che (Sentenza Corte costituzionale 9 aprile 2014, n. 94) neppure le norme abrogatrici di precedenti disposizioni processuali sono sottratte al vaglio del giudice delle leggi, la norma che dispone l'abrogazione e' applicabile al caso di specie, atteso che il ricorso e' stato depositato in data 2 aprile 2015 e quindi dopo l'entrata in vigore della riforma di cui alla legge n. 18/2015. Questo collegio, infatti, ritiene di dover superare il proprio precedente orientamento interpretativo in tema di diritto transitorio secondo il quale l'abrogazione del filtro, oltre agli evidenti effetti processuali, avrebbe anche valenza di sostanziale modifica dello statuto delle guarentigie costituzionali del magistrato. Sulla base di tale interpretazione, in altri procedimenti nel corso del 2015 questo tribunale si e' pronunciato per la perdurante applicabilita' del filtro di ammissibilita' per tutti i casi in cui la domanda lamentasse un illecito commesso prima dell'entrata in vigore della riforma. In ossequio a questo orientamento, il Giudice istruttore con ordinanza del 23 novembre 2015 ha rimesso al collegio questa causa per la fase del filtro in quanto relativa ad illeciti del Tribunale fallimentare e della Corte d'appello di Firenze asseritamente commessi da giudici prima dell'entrata in vigore della riforma. La pronuncia della S.C. Sez. 3 del 15 dicembre 2015 n. 25216 ha chiarito che la norma abrogatrice si applica ai giudizi promossi dopo l'entrata in vigore della legge n. 18/2015. In ossequio ai principi indicati dalla S.C., il collegio ritiene di dover riconsiderare il proprio orientamento (peraltro espresso, fino ad ora, in procedimenti sorti a seguito di ricorsi depositati prima dell'entrata in vigore della riforma). In adesione ai principi dettati da tale pronuncia, ritiene il collegio che nel caso di specie si debba applicare nella presente causa la norma che prevede l'abrogazione del filtro di ammissibilita'. Sulla scorta di tale interpretazione, il tribunale, a cui il Giudice istruttore ha rimesso la causa ai sensi della normativa abrogata, ritenuto non piu' applicabile il filtro di ammissibilita' per intervenuta abrogazione dell'istituto, dovrebbe rimettere la causa al Giudice istruttore per la prosecuzione del giudizio. La questione di costituzionalita' dell'abrogazione del filtro e' quindi rilevante. Non manifesta infondatezza I parametri di costituzionalita' che appaiono violati dall'abrogazione del filtro sono i seguenti e saranno esaminati, con una breve premessa, nel seguente ordine: 1) art. 111 Cost. - Art. 3 Cost.; 2) art. 101 e 104 Cost.; 3) art. 25 Cost. Due osservazioni valgono da premessa: la prima in relazione alla Convenzione dei diritti dell'uomo e al diritto dell'Unione europea; la seconda in relazione all'esigenza di effettivita' in materia di responsabilita' dei magistrati. Dal primo punto di vista, non appare pertinente invocare le pronunce della Corte di Strasburgo e il diritto dell'Unione europea in relazione a quanto infra si dira' relativamente all'incostituzionalita' dell'abolizione del filtro. Il giudice europeo non si poneva la questione della responsabilita' del singolo magistrato, ma quella dello Stato giudice in relazione alla sola violazione manifesta del diritto europeo e le pronunce dei giudici di Strasburgo non imponevano alcuna modifica della legge n. 117/1988 dal punto di vista processuale. Al riguardo si puo' far riferimento alla Cass. Civ. Sez. 3, 3 gennaio 2014 n. 41 che evidenzia che «questa prospettiva non e' stata mutata dal diritto eurounitario, in quanto l'interpretazione della legge n. 117 del 1988 ad opera della CGUE (sentenze 24 novembre 2011 in C-379/10; 30 settembre 2003 in C-224/01, e 13 giugno 2006 in C-173/03) non si pone in contrasto con la tutela dei principi di autonomia ed indipendenza del giudice, risultando questi posti su di un piano differente da quello cui attiene la responsabilita' dello Stato per l'illecito comunitario, comunque distinta dalla responsabilita' personale del magistrato». V'e' inoltre da aggiungere - quanto all'aspetto procedurale - che diversissime - infatti - sono le tradizioni all'interno degli Stati membri a riguardo della responsabilita' civile dei magistrati. La stessa risulta assolutamente inconcepibile per i paesi di common law che ritengono imprescindibile la judicial immunity per l'indipendenza della funzione; nel sistema tedesco e olandese, invece, esiste esclusivamente la responsabilita' dello Stato, senza alcuna rivalsa verso il magistrato. Nel sistema francese (come in quello belga e portoghese) e' prevista la responsabilita' dello Stato per azione risarcitoria, con rivalsa nei confronti del magistrato per il caso in cui l'errore di quest'ultimo sia intenzionale e grave. Soltanto in Spagna e' previsto il concorso delle azioni verso lo Stato e verso il magistrato, ma esso e' subordinato al previo assoggettamento ad una serie di filtri molto severi. Di conseguenza, a differenza di altri aspetti della riforma - quale la responsabilita' dello Stato per la violazione del diritto europeo i cui esatti termini sono stati ricostruiti dalle sentenze della S.C. del 22 febbraio 2012 n. 2560 e Sez. III, del 5 marzo 2015 n. 4446 - nell'abolizione del filtro non rilevava alcun vincolo europeo. Dal secondo punto di vista, il suddetto profilo di effettivita' e' stato indicato dall'art. 1 della riforma del 2015 quale finalita' orientatrice della stessa: si potrebbe quindi pensare che il filtro di ammissibilita' sia stato abolito nell'ottica di rendere piu' effettiva la tutela del cittadino (art. 1). Nei lavori preparatori della riforma si legge che la stragrande maggioranza delle azioni di responsabilita' civile magistrati sono state dichiarate inammissibili in sede di filtro (e di quelle inammissibili molte sono state rigettate). Si e' quindi ritenuto - da alcuni - che il mezzo processuale utilizzato (il filtro) fosse la causa della frequente dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi in materia. Ritiene, invece, questo Tribunale che il filtro favorisca una tutela dei diritti «effettivi» delle parti: la sua abrogazione - come di seguito approfondito - procrastina soltanto l'inevitabile dichiarazione di inammissibilita' delle domande inammissibili e svolge un'azione moltiplicatrice dei ricorsi «strumentali». Primo parametro: Il giusto processo nei «due» processi Art. 111 Cost. - Art. 3 Cost. Il filtro di ammissibilita' e' strumento imprescindibile per attuare il giusto processo in almeno due processi. Il primo - quello in cui e' chiesto il risarcimento - e' il processo tra il soggetto che si ritiene danneggiato da un provvedimento giurisdizionale (o da un comportamento tenuto durante un processo da un magistrato) e lo Stato italiano. Il secondo e' il processo all'interno del quale si e' - secondo il ricorrente - prodotto il danno. Quanto al primo processo, si tratta di un rapporto processuale assai complesso, sottoposto ai presupposti dettati dall'art. 5 comma 3 della legge n. 117 del 1988. In particolare, con riferimento alla vecchia normativa (qui applicabile in quanto normativa sostanziale che disciplina l'illecito), la domanda e' ammissibile se: a) siano rispettati i termini di decadenza di cui all'art. 4 e quindi non siano decorsi piu' di due anni dal momento in cui l'azione sarebbe stata proponibile; b) siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari oppure che non siano piu' possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si e' verificato il fatto che ha cagionato il danno; c) siano lamentati casi di dolo o colpa grave o diniego di giustizia rilevanti ai sensi degli articoli 2 e 3; d) l'azione non sia manifestamente infondata. Nella nuova normativa cambiano i termini di decadenza e la definizione della colpa grave e viene abrogata l'inammissibilita' per manifesta infondatezza, ma e' tuttora prevista la categoria della inammissibilita'. Dal punto di vista processuale, il meccanismo del filtro prevede una pronuncia del collegio entro 40 giorni dalla rimessione da parte del G.I. al Collegio, la reclamabilita' dinanzi alla Corte d'appello e alla Corte di cassazione per il solo caso di pronuncia di inammissibilita' e la non impugnabilita' del decreto di ammissibilita'. Quest'ultimo e' anche condizione per l'avvio dell'azione disciplinare. Il filtro e' funzionale all'attuazione del giusto processo nel processo di cui alla legge n. 117/1988, in particolare sotto il profilo della sua ragionevole durata e dell'economia processuale. Difatti, sia il cittadino che si ritiene leso, sia lo Stato hanno interesse che, in tutti i casi di inammissibilita', la pronuncia che questa dichiara pervenga al piu' presto, o comunque in tempi ristretti. Tale interesse sussiste quando si tratti di azioni manifestamente infondate (si pensi ai casi in cui quanto affermato dal ricorrente e' escluso dai documenti prodotti) oppure si sia verificata una decadenza per decorso del termine o l'azione non sia stata preceduta dai rimedi interni al sistema o non siano neppure allegati casi di dolo o colpa grave previsti dalla legge o non vi sia nesso eziologico tra illecito e danni lamentati. Lo Stato ha un evidente interesse a fermare al piu' presto le azioni inammissibili. Ma analoga convenienza ha il cittadino, che non ha certo alcun interesse a protrarre azioni infondate e a sentirsele dichiarare inammissibili all'esito di un giudizio ordinario (e quindi lungo come quello) quando potrebbe avere subito una valutazione di inammissibilita'. Ovviamente si devono prendere in considerazioni solo interessi apprezzabili e non atti emulativi o finalita' non meritevoli di tutela. Il filtro, come e' congegnato nella legge n. 117/1988, funziona da questo punto di vista per due ragioni: 1) nel caso di decreto di ammissibilita', non e' consentita allo Stato alcuna impugnazione; 2) inoltre, nel diritto vivente, l'inammissibilita' e' stata intesa nel senso che la valutazione da compiere debba tener conto della possibilita' da parte del ricorrente di provare in seguito alcuni fatti: essendo possibile ancora la prova, si deve dichiarare ammissibile l'azione che si presenta astrattamente come tale, anche se allo stato della stessa difetti alcuna prova. In particolare costituiva diritto vivente l'affermazione che «Il procedimento sull'ammissibilita' dell'azione risarcitoria in dipendenza di responsabilita' civile del magistrato, di cui all'art. 5 della legge n. 117 del 1988, mentre ha carattere pieno e definitivo in ordine alla configurabilita', nei fatti contestati, dei requisiti e delle condizioni cui la legge subordina detta responsabilita', ha necessariamente natura delibativa quanto al riscontro della sussistenza degli elementi addotti a sostegno della contestazione, sicche' la relativa indagine puo' essere condotta, in tale fase, esclusivamente «ex actis», cioe' alla stregua degli atti del procedimento, rimanendo devoluta al successivo giudizio di merito l'approfondita valutazione della fondatezza dell'azione (Nel caso concreto ne era conseguito che non potesse essere dichiarata inammissibile un'azione fondata su di una grave violazione di legge indotta da negligenza inescusabile, ex art. 2, terzo comma, lettera a), della legge n. 117 del 1988, ove non risulti «ex actis» la ricollegabilita' della violazione stessa a specifiche ragioni che la rendano comunque comprensibile. - Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8260 del 30 luglio 1999; nonche' Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14860 del 23 novembre 2001 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25133 del 27 novembre 2006). Nel giro di poco tempo nel sistema previgente si otteneva - cosi' - una valutazione sul punto. Attualmente, invece, appare evidente che i tempi sono quelli del processo ordinario, sicuramente superiore a quelli del filtro. Per pervenire ad una pronuncia sulla ammissibilita', occorrera' aggiungere i tempi delle tre memorie istruttorie, il tempo della decisione istruttoria, l'eventuale istruttoria, i tempi delle comparse conclusionali e delle note di replica, i tempi della decisione e della redazione della sentenza collegiale. Il risultato, dal punto di vista dei tempi del processo, e una lunghezza eccessiva ed irragionevole, specie se per giungere alla conclusione che l'attivita' processuale svolta era inutile. Per non parlare del tempo dell'impugnazione, appesantita dalla commistione tra profili di ammissibilita' e merito. Attraverso l'istituto del filtro il processo si avvantaggia del fatto che, in limine litis, il Collegio e non il giudice istruttore (con una pre-valutazione che il Collegio potrebbe non condividere in sede di decisione) valuta se la causa sia ammissibile. Se inammissibile lo dichiara subito, senza istruttoria e senza la fase delle memorie conclusionali. Anche un'eventuale impugnazione e' snella e compressa nei tempi sopra indicati e soprattutto alleggerita della valutazione del merito e concentrata sulle questioni di ammissibilita'. Se la decisione definitiva e' nel senso della inammissibilita', si saranno evitate lungaggini e spese inutili ad entrambe le parti. Se la decisione definitiva e' nel senso della ammissibilita', la decisione perviene in quaranta giorni ed e' esclusa l'impugnazione immediata. Con un ulteriore vantaggio che si presentava assai spesso: il Collegio doveva indicava quali fossero le doglianze ammissibili, con una chiara indicazione del thema decidendi e probandi che rendeva piu' celere la successiva istruttoria (concentrata sui soli profili ammissibili). In questi casi, ossia di ammissibilita', si otteneva il risultato che il Collegio e non il GI e - se il cittadino era insoddisfatto di una decisione di inammissibilita' - non il giudice di primo grado ma quello di secondo grado o la Suprema corte decidesse sull'ammissibilita' e tale indicazione dell'oggetto del processo orientasse la causa. L'abrogazione del filtro, quindi, nuoce alla celerita' del processo richiesta dal parametro costituzionale del giusto processo. Nel caso qui in esame, ad esempio, potrebbero in ipotesi rivelarsi fondate alcune delle cause di inammissibilita' evidenziate dalla convenuta che ha eccepito: la tardivita' della proposizione della domanda (questione qui complicata dal quesito se il termine di decadenza decorra dalla pronuncia della S.C. sulla revoca del fallimento o dalla chiusura del fallimento); il fatto di non aver proposto tutti i mezzi di impugnazione ordinari (questione complessa per il fatto che qui la parte non ha riassunto la causa nel giudizio di rinvio per affermata sopravvenuta carenza di interesse); il fatto che in ogni caso sia mancata una pronuncia sul merito della questione e si sia avuta solo una pronuncia processuale che necessitava di un completamento in sede di rinvio; il fatto che solo alcuni degli errori addebitati ai giudici che hanno trattato la causa rientrerebbero - per una parte - nella categoria degli errori di fatto (quale un errato conteggio di giorni nella valutazione di un termine), mentre per l'altra si tratterebbe di errori di diritto (circa la disciplina dei giorni festivi intermedi nei termini dettati a giorni liberi, circa la valenza di una notifica ex art. 140 c.p.c. nei confronti del notificato ed altri). E' evidente che pervenire ad una pronuncia in limine litis sulle precedenti questioni o anche soltanto su alcune delle stesse consentirebbe uno svolgimento della causa adeguato ai principi di effettivita' e celerita' della tutela imposti dal parametro costituzionale del giusto processo. Sempre in relazione al processo di responsabilita' civile magistrati e con riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost., si deve osservare che in campo processuale i meccanismi di filtro tendono ad avere sempre maggiore applicazione. Si pensi al filtro previsto quanto ai ricorsi per cassazione dall'art. 375 comma 1 n. 1 e 5 c.p.c. in relazione all'art. 360-bis (questioni di diritto gia' decise o manifesta infondatezza delle censure relative alla violazione dei principi del giusto processo) oppure per l'appello dagli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. «quando l'impugnazione non ha una ragionevole probabilita' di essere accolta». Mentre in via generale per tutte le impugnazioni ordinarie si introducono pronunce semplificate di inammissibilita' (tra l'altro - per gli appelli - in una situazione di mera «ragionevole probabilita'» di non accoglimento), con la riforma del 2015 viene abrogata la norma della pronuncia semplificata di inammissibilita' di cui alla legge n. 117/1988, che peraltro era collegata alla certezza di inammissibilita' della domanda. Si tratta di situazioni comparabili: la responsabilita' civile del giudice, infatti, assai spesso ha il carattere di «processo sul processo» e percio' presenta delle evidenti comunanze logiche con le impugnazioni. L'abrogazione appare quindi irragionevole e censurabile anche sotto il profilo della disparita' di trattamento (art. 3 Cost.), atteso che, mentre nell'ordinamento processuale per ogni tipo di «meta-processo» (ossia di processo sul processo) si introducono filtri, qui lo si abolisce. In merito a tale valutazione di ragionevolezza si rileva anche una violazione dei parametri di efficienza richiesti dall'art. 97 Cost., dovendosi l'amministrazione della giustizia occupare piu' a lungo delle cause inammissibili in materia di RC magistrati. Ma, come si e' accennato prima, i processi in cui applicare i principi costituzionali del giusto processo sono due. Il secondo processo che qui rileva e' quello - cronologicamente anteriore e che rimane sullo sfondo del primo - in cui l'attore della causa di responsabilita' civile ritiene di avere subito un torto e un danno. Questo processo non e' estraneo alla disciplina del filtro: al contrario, un obiettivo del legislatore nel disciplinare la RC dei magistrati non puo' che essere che questo processo (e quindi potenzialmente ogni processo) sia «giusto» sotto il profilo della parita' delle parti e della terzieta' del giudice. Se si considerano (a) alcune peculiarita' dell'attivita' giurisdizionale ed i rischi che essa comporta, (b) le notevoli difficolta' in capo alla parte di comprendere quando vi sia stato un cattivo esercizio della giurisdizione e la conseguente propensione alla introduzione di cause di responsabilita' anche inammissibili, si deve concludere che l'assenza di filtro puo' incidere (c) sulla serenita' di giudizio e indurre ad un atteggiamento difensivo (d) che puo' pregiudicare la terzieta' e l'imparzialita' del giudice. In primo luogo (a), l'attivita' del giudice si differenzia dalle attivita' professionali, per le quali si deve constatare che, per lo piu', il professionista che agisca secondo le regole dell'arte arreca solo vantaggi a chi ricorra alle sue prestazioni. Ogni processo, invece, comporta inevitabilmente un pregiudizio per almeno una delle parti. Il processo penale, anche se in ipotesi concluso con un' assoluzione (ma anche ogni indagine preliminare), comporta un «costo», spesso in senso economico e prima ancora morale e psicologico, quando non anche in termini di liberta' personale, onorabilita' e diritti fondamentali dell'individuo. Il processo civile, nell'attribuire un bene della vita ad un soggetto, contestualmente lo nega ad un altro. Il giudice cagiona sempre una perdita in capo a qualcuno, anche quando non si tratta di un «danno ingiusto». Se poi si considera pure il fatto che, a volte, una parte perde un processo e quindi (per il principio del giudicato che facit de albo nigrum) «perde» un diritto per ragioni meramente processuali, ne risulta che molteplici sono per un giudice le possibilita' di arrecare un pregiudizio, sia pure in modo del tutto lecito. Cio' spiega anche, da un punto di vista sociologico, (b) la proposizione di molte azioni di R.C. che risultano infondate, evidenziate dalle statistiche esaminate in sede parlamentare: la parte che e' entrata nel meccanismo (quando non nel «tunnel») di un processo e ne e' uscita con un pregiudizio spesso non sa distinguere se la causa della soccombenza sia il fatto di aver avuto originariamente torto oppure eventuali carenze probatorie o ancora se siano stati determinanti incertezze interpretative o ragioni processuali o se, invece, il problema sia davvero l'errore del giudice, accompagnato o meno dal cattivo esercizio della giurisdizione. Se poi la situazione logistica degli uffici giudiziari in cui si e' svolto il processo, una durata intollerabile ed il sovraffollamento di cause nei ruoli hanno contribuito a fornire al cittadino l'impressione di un esercizio superficiale della giurisdizione e' chiaro che il giudice in molti casi appare - per le persone coinvolte nel processo - il vero problema. In tutti i casi in cui il problema non e' il giudice (ma lo puo' sembrare al cittadino, che purtroppo a volte non trova nel linguaggio tecnico delle sentenze una spiegazione comprensibile), il filtro delle azioni inammissibili (c) serve bene alla giustizia del primo processo, ossia, potenzialmente, di qualunque processo e specialmente in relazione alle questioni complesse in fatto o in diritto. Difatti il giudice che si pone diligentemente all'opera e si accinge alla decisione e' spesso consapevole della opinabilita' della decisione, poiche' sovente sussistono margini di apprezzamento non solo nell'interpretazione delle norme sostanziali e processuali applicabili, ma anche nella valutazione delle prove. Alcune decisioni debbono essere prese «allo stato degli atti» (e quindi necessariamente senza piena cognizione di causa) ed altre, pur intervenendo dopo lunghe istruttorie, sono da assumere sulla base di presunzioni. Esistono fascicoli composti da centinaia di documenti - ora prodotti anche in via telematica - spesso contrastanti tra loro. Il giudice che, al momento in cui decide, sa che esiste un filtro delle azioni di RC infondate (che le parti potranno proporre anche quando il vero problema «non e' il giudice»), e che tali domande saranno fermate in tempi relativamente brevi, e' un giudice che non si deve preoccupare affatto della propria posizione. Il filtro svolge tale funzione di tutela esclusivamente a favore delle «buone decisioni» (o almeno alle decisioni non viziate dai difetti che fondano la responsabilita' civile del magistrato ai sensi di legge). Infatti il filtro non e' utile per tutelare il giudice dalle conseguenze delle proprie decisioni negligenti, per coprire mancanze di studio dei fascicoli o dinieghi di giustizia: tutte queste negligenti condotte non vengono «filtrate». Il giudice sa che se non guarda con attenzione le carte puo' incorrere in una responsabilita' che nessun filtro puo' eliminare. In quest'ottica, il filtro tutela la serenita' del giudizio e quindi (ed esclusivamente) le buone decisioni. Il principio del giusto processo da' al giudice le coordinate in cui muoversi: non il proprio interesse, non la difesa della propria posizione in un eventuale processo di RC deve essere la sua ottica, ma quella tutta interna al processo di un giudice imparziale. Le parti sono altri soggetti, che hanno diritto al contraddittorio e alla condizione di parita'. In altre parole occorre non nascondersi che un possibile rischio dell'abolizione del filtro sono i danni della giurisprudenza «difensiva» (d). Il primo e piu' grave di tutti e' che non e' piu' tale un giudice che abdica alla propria posizione di imparzialita' e si cura - gia' nel processo - del proprio interesse e della propria difesa. I danni poi potrebbero essere di diverso grado, a partire da motivazioni ridondanti e magari poco aderenti al caso concreto (che sottraggono al cittadino le garanzie di cui all'art. 111 Cost.) sino ad arrivare a snaturare il contenuto delle decisioni. Tale atteggiamento difensivo potrebbe portare il giudice a chiedersi quale parte puo' piu' facilmente proporre causa di responsabilita', con quale decisione possa arrecare maggiore «danno», specie di fronte a parti particolarmente agguerrite o gia' larvatamente minacciose. Si tratta di casi che appaiono assai lontani dalla attuale prassi, ma gia' le prime ordinanze di rimessione della riforma 2015 alla Corte (del Tribunale civile di Verona del 12 maggio 2015 in relazione ad una decisione sulla provvisoria esecutorieta' di un decreto ingiuntivo milionario e del Tribunale penale di Treviso dell'8 maggio 2015, in merito ad un processo penale indiziario) hanno in qualche modo mostrato questa preoccupazione. Le considerazioni di cui sopra inducono a ritenere che, se manca un filtro rapido alle azioni inammissibili, difetta un elemento importante per garantire al giudice la serenita' indispensabile per esaminare le questioni col proprio prudente apprezzamento, dopo uno studio serio delle norme e delle evidenze processuali, senza doversi curare del proprio interesse. La terzieta' del giudice e il contraddittorio su posizioni di parita' sono diritti anche dell'altra parte, ossia, la parte che per sua condizione e' meno incline a proporre azione di RC (si pensi alla parte pubblica, oppure alla parte meno abbiente): questo cittadino e' tutelato dal filtro perche' l'esistenza del filtro costituisce per lui garanzia dell'imparzialita' del giudice, prima di tutto nei confronti dei propri stessi interessi. Se poi si riflette sui presupposti della inammissibilita' (pre-riforma), si puo' agevolmente rilevare che in ciascuno di questi casi l'esercizio di un'azione di RC magistrati inammissibile e' potenzialmente dannosa per il processo (quello anteriore in senso cronologico). Il primo caso e' quello della manifesta infondatezza che gia' risulti dagli atti processuali. E' evidente che la proposizione di un'azione manifestamente infondata e' particolarmente pericolosa per la correttezza del primo processo perche', nella sua strutturale emulativita', puo' recare in qualche modo turbamento all'attivita' giudiziaria. Si pensi ad esempio alle conseguenze disciplinari di azioni di RC ora sganciate dal «filtro». Un secondo caso e' quello della mancanza di definizione dei gradi di giudizio. Dopo la riforma, sono state proposte - per la prima volta - dinanzi a questo Tribunale alcune cause di RC riferite a giudizi per i quali pendeva ancora il primo grado in sede civile o penale. In questi casi il vulnus al giusto processo (ossia al primo processo tuttora pendente) e' particolarmente evidente. L'attivita' di un giudice che in altra sede sta dirigendo un processo si trova in qualche modo «oggetto» di altro giudizio, ad opera di una delle parti. Senza un filtro, e' evidente che il rimedio della inammissibilita' in questo caso e' destinato ad essere proprio lettera morta: dichiarare solo alla fine della causa di RC che il giudizio e' inammissibile perche' pende ancora il processo de quo, e' come consentire praticamente che i due processi coesistano. Se la pronuncia non e' immediata, si avra' pendenza contemporanea, vanificandosi cosi' lo stesso presupposto. Oltre che relativamente alla terzieta' del giudice, in questo caso, il filtro tutela anche il contraddittorio, poiche' difficilmente un giudice puo' serenamente valutare la causa mentre pende un processo che ha il suo primo processo come oggetto. D'altra parte, e' difficile che la controparte di un soggetto che ha proposto causa di RC possa essere certa di non avere un trattamento diverso da parte di un giudice «coinvolto». Quanto al caso del termine di decadenza, si deve ritenere che il termine da un lato impone alla parte di valutare in tempi brevi se esperire o no l'azione; dall'altro rende piu' agevole allo Stato (e poi se del caso al magistrato in caso di intervento o di rivalsa) una difesa. Difatti, dopo un certo tempo (inversamente proporzionale al numero di cause trattate) un magistrato non puo' neppure ricordare le cause e i loro particolari. Se non c'e' un filtro, poco rileva che il processo de quo sia antico o recente: la difesa pubblica (e, se interviene, anche quella del magistrato) dovra' svolgersi a tutto campo e quindi anche nel merito. Cio' potrebbe indurre il giudice, quando decide, a conservare traccia degli aspetti rilevanti delle cause trattate, ponendosi cosi' in una prospettiva difensiva e quindi, per cio' solo, gia' distorta e foriera di parzialita'. Si puo' concludere che, affinche' il processo cui hanno diritto tutti i cittadini sia condotto con vera imparzialita' e senza che le parti si trovino tra loro in posizioni impari perche' diversamente atteggiate rispetto ai profili di responsabilita' del giudice, occorre che il processo sulla RC del giudice sia reso effettivo e possibile in tutti, i casi in cui e' ammissibile, ma sia filtrato subito nei numerosi casi in cui il vero problema non e' il giudice. Soggezione del giudice alla legge Autonomia e indipendenza della Magistratura Art. 101 Cost. - Art. 104 Cost. Quanto sopra argomentato fa comprendere anche come l'inesistenza del filtro di ammissibilita' possa porre in discussione la soggezione dovuta dal giudice alla legge e solo alla legge, senza pressioni indebite. La previsione di un filtro della domanda risarcitoria costituisce un istituto fondamentale per la tutela delle garanzie costituzionali della giurisdizione, escludendosi attraverso la declaratoria di inammissibilita' in limine le domande temerarie ed intimidatorie. Si tratta di aspetti gia' affermati dalla Corte in precedenti pronunce, nelle quali il filtro e' stato ritenuto indispensabile per la tutela di questo principio, e in diverse decisioni e' stato considerato quale punto di equilibrio tra il principio di responsabilita' del giudice e la tutela della giurisdizione. In particolare, gia' nella sentenza Corte costituzionale 14 marzo 1968, n. 2, la Corte rilevava che «la singolarita' della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziari, la stessa posizione super partes del magistrato possono suggerire condizioni e limiti alla sua responsabilita'»: percio' respingeva la questione di costituzionalita' della degli articoli 55 e 74 c.p.c. che limitavano a dolo frode, concussione e alla omissione di atti d'ufficio la responsabilita' civile dei magistrati. Con la sentenza Corte costituzionale 19 gennaio 1989, n. 18 la Corte respingeva la questione di costituzionalita' della estensione della responsabilita' civile alla colpa grave sollevata quale possibile vulnus all'imparzialita' e alla indipendenza della magistratura affermando che «la previsione del giudizio di ammissibilita' della domanda (art. 5 l. cit), garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni manifestamente infondate, che possano turbarne la serenita'». In modo ancor piu' chiaro, nella sentenza 22 ottobre 1990, n. 468 si legge: «Questa Corte ha riconosciuto il rilievo costituzionale di un meccanismo di filtro della domanda giudiziale, diretta a far valere la responsabilita' civile del giudice, perche' un controllo preliminare della non manifesta infondatezza della domanda, portando ad escludere azioni temerarie ed intimidatorie, garantisce la protezione dei valori di indipendenza e di autonomia della funzione giurisdizionale sanciti negli articoli da 101 a 113 della Costituzione nel piu' ampio quadro di quelle condizioni e limiti alla responsabilita' dei magistrati che la peculiarita' delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono». In tale pronuncia, dopo aver richiamato il proprio precedente dictum (nella sentenza sui quesiti referendari) per «l'indispensabilita' di un filtro a garanzia della indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale» e dei «valori di cui agli articoli 101 a 113 della Carta costituzionale», a fronte della soluzione temporale di continuita' che si era verificata in materia tra il 7 aprile 1988 (data cui era stata posticipata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 497/1987 l'efficacia dell'abrogazione referendaria) e il 16 aprile 1988, data di entrata in vigore della legge n. 117/1988, dichiarava incostituzionale la normativa di cui alla legge n. 117/1988 nella parte in cui non aveva previsto - per i casi cosi' privi di normativa speciale (ossia i fatti anteriori al 16 aprile 1988 per ricorsi proposti successivamente al 7 aprile 1988) - che «il Tribunale competente verificasse con rito camerale la non manifesta infondatezza della domanda ai fini della sua inammissibilita'». Come la dottrina ha evidenziato, in questo caso la Corte ha ritenuto necessario costruire un filtro laddove esso mancava per un vuoto temporale di pochi giorni. Per ragioni di sintesi, una completa disamina storica dell'evoluzione del filtro, si puo' trovare nella Sentenza Cassa Civ. Sez. 1 del 4 maggio 2005 n. 9288. Piu' recentemente la Suprema Corte ha evidenziato gli stessi principi affermando che «In materia di responsabilita' civile dei magistrati, la previsione di un giudizio di ammissibilita' per l'azione risarcitoria diretta, agli effetti dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, costituisce attuazione delle previsioni di cui agli articoli 101 e seguenti della Costituzione in tema di tutela della funzione giurisdizionale, e segnatamente dei principi di autonomia e indipendenza del giudice, che contribuiscono all'identificazione della stessa forma repubblicana dello Stato. Ne consegue che il meccanismo del filtro di ammissibilita' - salvi i casi di costituzione di parte civile nel processo penale e di sentenza penale passata in giudicato, di cui all'art. 13 della stessa legge n. 117 del 1988 - con riferimento all'attivita' giurisdizionale, e in generale avuto riguardo agli atti del magistrato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, assume rilievo costituzionale, poiche' finalizzato ad escludere azioni risarcitorie temerarie ed intimidatorie proposte direttamente nei confronti del singolo funzionario». (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 41 del 3 gennaio 2014). Richiamando i medesimi principi, gia' alcune sentenze della SC avevano chiarito come il filtro qui in esame tendesse ad evitare «l'abuso o l'eccesso della giurisdizione in vista di un interesse della stessa funzione giurisdizionale, risolvendosi in un preliminare scrutinio nel contraddittorio delle parti della astratta possibilita' di successo della stessa, ne' ritarda eccessivamente data la errata sequenza cronologica prevista. (Cass. Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25123, ma anche Cass. Civ. Sez. III, 20 ottobre 2006, n. 22540). Per una disamina assai ampia si puo' far riferimento alla ordinanza Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 1715 del 29 gennaio 2015, nella quale la SC ha chiarito che «In tema di responsabilita' civile dei magistrati, la previsione dell'esclusione della proponibilita' di un'azione risarcitoria diretta nei confronti del singolo magistrato non integra alcuna limitazione del diritto di agire del danneggiato, ne' sotto il profilo costituzionale (articoli 2, 3, 24, 32, 111, 117 Cost.), ne' sotto quello eurounitario (articoli 1, 20, 21, 47, 53, 54 e 55 della Carta di Nizza), ne' sotto quello sovranazionale (articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo, art. 8 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'ONU e dal Patto dei diritti civili di New York) in quanto la posizione soggettiva del danneggiato trova piena ed appagante tutela nella responsabilita' diretta dello Stato, mentre l'anzidetta esclusione non costituisce privilegio ma estrinsecazione della autonomia e indipendenza di ciascun appartenente all'ordine giudiziario nell'esercizio della funzione giurisdizionale». Giudice naturale Un ultimo profilo e' quello della garanzia del Giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Carta costituzionale). Condivide questo collegio quanto anche di recente ritenuto dalla SC: certamente il giudice per la cui responsabilita', pendente ancora il primo giudizio, venga proposto un ricorso ai sensi della legge n. 117 del 1988 non e' obbligato ad astenersi. Di conseguenza, una domanda di RC non comporta automaticamente che una delle parti possa ricusare il giudice. Tuttavia, alcuni attenti commentatori della riforma hanno rilevato che l'assenza del filtro moltiplica anche le ipotesi in cui al magistrato converra' intervenire nel processo proposto ai sensi della legge n. 117/1988: non essendo piu' nettamente distinto l'esame dell'ammissibilita' da quello del merito, diminuirebbe la convenienza ad attendere il giudizio di ammissibilita'. Di conseguenza, piu' frequentemente il magistrato sarebbe indotto ad intervenire nel giudizio con conseguente aumento delle ipotesi in cui lo stesso da estraneo diventa parte del giudizio di responsabilita' e, specialmente, con il conseguente obbligo di astensione ex art. 51 comma 1 n. 3 c.p.c. nel processo originario. In ogni caso, anche quando non sussiste obbligo di astenersi e quindi alcuna causa di ricusazione, il singolo giudice potrebbe ritenere di non avere piu' la necessaria serenita' di giudizio riguardo alla causa. Potrebbe ritenere la valutazione proposta dal ricorrente come ingiusta oppure, ritenendo di aver davvero fatto qualche errore o temendo comunque di essere un giorno destinatario di un'azione di rivalsa, potrebbe sentirsi quasi indotto a migliorare la posizione di chi ha esercitato altrove una causa di RC. In ogni caso, quindi, potrebbe ravvisare gravi ragioni di convenienza per un'astensione facoltativa, che difficilmente gli verrebbe negata. Ma, come si e' visto, il processo quasi mai e' faccenda solitaria: chi perde il giudice naturale e' anche la controparte del ricorrente. La proposizione di un ricorso, in un sistema privo di filtro, potrebbe cosi' costituire uno strumento per ottenere la modifica dell'assegnazione della causa, magari dopo che un giudice aveva preso decisioni interinali che facevano presagire la soccombenza di una delle parti. Instaurare il processo di RC puo' essere quindi uno strumento di coazione indiretta nei confronti del giudice, distogliendo la causa dal Giudice naturale per evitare che certe decisioni processuali o sostanziali vengano prese. Per non parlare del rischio che tali coazioni indirette comportano nel processo penale e nelle indagini, al punto che un processo di RC senza filtro, in grado quindi di incidere sul «Giudice naturale», potrebbe rivelarsi uno strumento formidabile per la criminalita' organizzata.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e seg. legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge 27 febbraio 2015, n. 18, che ha abrogato l'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, in relazione agli articoli 3, 25, 101, 104 e 111 Cost.; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Manda la Cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Genova, 10 maggio 2016 Il Presidente: Costanzo Il Giudice relatore: Lucca