N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2016

Ordinanza del 10 maggio 2016 del Tribunale di Genova nel procedimento
civile promosso da Manetti Massimo. 
 
Responsabilita' civile dei magistrati  -  Giudizio  risarcitorio  nei
  confronti  dello  Stato  per  fatto  illecito  del   magistrato   -
  Abolizione  del  "filtro"  costituito  dalla   previa   delibazione
  dell'ammissibilita' della domanda in camera di consiglio. 
- Legge 27 febbraio 2015, n.  18  (Disciplina  della  responsabilita'
  civile dei magistrati), art. 3, comma  2,  abrogativo  dell'art.  5
  della  legge  13  aprile  1988,  n.  117  (Risarcimento  dei  danni
  cagionati   nell'esercizio    delle    funzioni    giudiziarie    e
  responsabilita' civile dei magistrati). 
(GU n.27 del 6-7-2016 )
 
                       IL TRIBUNALE DI GENOVA 
                            Prima Sezione 
 
    Composto dai magistrati: 
        dott. Luigi Costanzo, Presidente; 
        dott. Lorenza Calcagno, giudice; 
        dott. Ada Lucca, giudice relatore, 
ha pronunciato la presente 
 
                              Ordinanza 
 
di rimessione alla Corte costituzionale nella causa  sopra  indicata,
promossa con ricorso depositato  da  Manetti  Massimo  nei  confronti
della Presidenza del Consiglio dei ministri  per  la  responsabilita'
civile di alcuni magistrati del Tribunale di Firenze e della Corte di
Appello di Firenze. 
    Con ricorso depositato in data 2 aprile 2015, Massimo Manetti  si
doleva del fatto  che,  con  la  sentenza  del  7  gennaio  2010,  il
Tribunale  di  Firenze  avesse  dichiarato  fallita  la  FLAM  SAS  e
contestualmente  esteso  il  fallimento  anche  a  lui,  quale  socio
illimitatamente responsabile. Riguardo a tale declaratoria,  riteneva
il ricorrente che non gli fosse stato dato valido avviso dell'udienza
a  seguito  della  quale  la  stessa  era   stata   pronunciata:   in
particolare, i giudici di primo  grado  avrebbero  errato  in  fatto,
affermando che dal 30 gennaio 2009 (data di spedizione della notifica
ex art. 140 c.p.c.) al 7 gennaio 2010 fossero  decorsi  sette  giorni
liberi. Inoltre, una volta proposto reclamo,  i  giudici  di  secondo
grado presso la Corte di appello di Firenze avrebbero errato  a  loro
volta,   in   quanto   -   essendo   intervenuta   dichiarazione   di
incostituzionalita' dell'art. 140 c.p.c. - avrebbero dovuto  ritenere
la notifica perfezionata solo il 9 gennaio  2010  e  quindi  soltanto
dopo che si era svolta  l'udienza  di  primo  grado  (il  giorno  7).
Invece, la Corte di appello di Firenze  aveva  respinto  il  reclamo,
facendo erronea applicazione della normativa fallimentare  previgente
ed affermando che  fosse  facoltativa  la  notifica  dell'avviso.  Il
ricorso in cassazione di Manetti era stato accolto con  sentenza  del
maggio 2013, che annullava la sentenza di fallimento e  rimetteva  al
giudice di primo grado. Nel frattempo, nei 2011 era stata  dichiarata
la chiusura del fallimento per  mancanza  di  attivo.  Il  ricorrente
chiedeva allo Stato i danni derivati dall'estensione del  fallimento,
evidenziando la riduzione del proprio reddito e del  proprio  credito
commerciale. 
    L'Avvocatura dello Stato contestava  le  pretese  del  ricorrente
sulla base di  diverse  considerazioni.  Eccepiva  la  decadenza  per
tardivita', in quanto, trattandosi di  fallimento  chiuso  nel  2011,
sarebbe decorso il termine  di  decadenza  previsto  dalla  legge  n.
1988/117. Rilevava l'inammissibilita' per il mancato  esperimento  di
tutti i mezzi di impugnazione, in  quanto,  dopo  la  cassazione  con
rinvio del provvedimento  della  Corte  di  appello  di  Firenze,  il
ricorrente non avrebbe riassunto il giudizio. Nel merito, quanto alle
doglianze  espresse  nei  confronti  del  Tribunale   (che   si   era
pronunciato prima  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  10
gennaio  2010  che  aveva  dichiarato  incostituzionale  l'art.   140
c.p.c.), evidenziava che i sette giorni liberi previsti  dal  decreto
fossero in realta' decorsi, poiche' si sarebbero  dovuti  conteggiare
quali giorni intermedi anche quelli festivi; inoltre, la pronuncia di
secondo  grado  non  avrebbe  fatto  erronea  applicazione   di   una
disciplina abrogata (come riteneva il ricorrente), ma aveva ritenuto,
sulla base di  presunzioni,  che  Manetti  si  fosse  consapevolmente
sottratto alla conoscenza della convocazione. Evidenziava,  comunque,
che le uniche doglianze  del  reclamo  attenevano  alla  mancanza  di
insolvenza e quindi alla dichiarazione di fallimento  della  societa'
(che non era stata annullata), mentre nel giudizio di responsabilita'
civile dei magistrati il ricorrente  avrebbe  dovuto  dimostrare  per
quali motivi di merito gli stessi non  avrebbero  dovuto  pronunciare
l'estensione del fallimento al  socio  illimitatamente  responsabile,
essendo sul merito mancata una pronuncia definitiva. 
    Alla prima udienza del 21 luglio 2015, su richiesta  della  parte
ricorrente, veniva autorizzata la  rinnovazione  della  notifica  del
ricorso. Alla successiva  udienza  del  13  ottobre  2015,  l'attrice
chiedeva un  termine  per  esame  delle  difese  dell'avvocatura;  il
giudice  istruttore  rilevava  la  questione  della  mancanza   della
disciplina  transitoria  per  quanto  concerneva  l'abrogazione   del
«filtro» e, su  richiesta  delle  parti,  concedeva  un  termine  per
memorie. Con ordinanza del 23 novembre 2015  (resa  a  seguito  della
successiva udienza del 16 novembre 2015), il G.I.,  ritenuta  la  non
applicabilita' della abrogazione del cd.  filtro  di  ammissibilita',
rimetteva le parti dinanzi al  collegio  fissando  l'udienza  del  17
dicembre   2015.   A   questa   udienza   il   Collegio   sottoponeva
all'attenzione dei difensori la sentenza della Suprema corte  del  15
dicembre 2015, n. 25216, che  si  era  pronunciata  nel  senso  della
immediata applicabilita' dell'abrogazione  anche  in  relazione  agli
illeciti pregressi (in caso di domanda  proposta  dopo  l'entrata  in
vigore della  legge  n.  18/2015),  invitando  le  parti  a  prendere
posizione in relazione alla questione di costituzionalita'. 
    Alla successiva udienza del 3 marzo 2016 le parti si  rimettevano
circa la stessa questione e il  collegio  si  riservava  la  presente
decisione. 
 
                            Norma oggetto 
 
    Trova applicazione in questo giudizio  l'art.  3  comma  2  della
legge 27 febbraio 2015, n.  18  che  ha  disposto  l'abrogazione  del
filtro di costituzionalita'  previsto  dall'art.  5  della  legge  n.
117/1988. Esso prevedeva: 
 
                    Ammissibilita' della domanda 
 
    1.  Il  tribunale,  sentite  le  parti,  delibera  in  Camera  di
consiglio sull'ammissibilita' della domanda di cui all'art. 2. 
    2. A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette
le parti dinanzi  al  collegio  che  e'  tenuto  a  provvedere  entro
quaranta  giorni  dal  provvedimento  di   rimessione   del   giudice
istruttore. 
    3. La domanda e'  inammissibile  quando  non  sono  rispettati  i
termini o i presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4  ovvero  quando
e' manifestamente infondata. 
    4.  L'inammissibilita'  e'  dichiarata  con   decreto   motivato,
impugnabile con i modi e le forme di cui all'art. 739 del  Codice  di
procedura  civile,  innanzi  alla  Corte  d'appello   che   pronuncia
anch'essa in Camera di consiglio con decreto motivato entro  quaranta
giorni  dalla  proposizione  del  reclamo.  Contro  il   decreto   di
inammissibilita' della Corte d'appello puo' essere  proposto  ricorso
per cassazione, che deve  essere  notificato  all'altra  parte  entro
trenta giorni dalla notificazione del decreto  da  effettuarsi  senza
indugio a cura della Cancelleria e comunque non oltre  dieci  giorni.
Il  ricorso  e'  depositato  nella  Cancelleria  della  stessa  Corte
d'appello  nei  successivi  dieci  giorni  e   l'altra   parte   deve
costituirsi  nei  dieci  giorni  successivi  depositando  memoria   e
fascicolo presso la Cancelleria. La corte, dopo la costituzione delle
parti o dopo la scadenza dei termini per il deposito,  trasmette  gli
atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni  alla  Corte  di
cassazione che decide entro sessanta  giorni  dal  ricevimento  degli
atti stessi. La Corte di cassazione, ove annulli il provvedimento  di
inammissibilita'  della  Corte  d'appello,  dichiara  ammissibile  la
domanda. Scaduto il quarantesimo giorno  la  parte  puo'  presentare,
rispettivamente al tribunale o alla Corte  d'appello  o,  scaduto  il
sessantesimo giorno, alla Corte di cassazione, secondo le  rispettive
competenze, l'istanza di cui all'art. 3. 
    5. Il tribunale che dichiara ammissibile la  domanda  dispone  la
prosecuzione  del  processo.  La  Corte  d'appello  o  la  Corte   di
cassazione che in sede  di  impugnazione  dichiarano  ammissibile  la
domanda rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad  altra
sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al  tribunale
che  decide  in  composizione  interamente  diversa.   Nell'eventuale
giudizio di appello non possono far parte della  corte  i  magistrati
che  abbiano  fatto   parte   del   collegio   che   ha   pronunziato
l'inammissibilita'. Se  la  domanda  e'  dichiarata  ammissibile,  il
tribunale ordina la trasmissione di  copia  degli  atti  ai  titolari
dell'azione  disciplinare;   per   gli   estranei   che   partecipano
all'esercizio  di  funzioni  giudiziarie  la  copia  degli  atti   e'
trasmessa agli organi ai  quali  compete  l'eventuale  sospensione  o
revoca della loro nomina. 
 
                              Rilevanza 
 
    Premesso che (Sentenza Corte costituzionale 9 aprile 2014, n. 94)
neppure le norme abrogatrici di precedenti  disposizioni  processuali
sono sottratte al vaglio  del  giudice  delle  leggi,  la  norma  che
dispone l'abrogazione e' applicabile al caso di specie, atteso che il
ricorso e' stato depositato in data  2  aprile  2015  e  quindi  dopo
l'entrata in vigore della riforma di cui alla legge n. 18/2015. 
    Questo collegio, infatti, ritiene di dover  superare  il  proprio
precedente orientamento interpretativo in tema di diritto transitorio
secondo il  quale  l'abrogazione  del  filtro,  oltre  agli  evidenti
effetti processuali, avrebbe anche valenza  di  sostanziale  modifica
dello statuto delle guarentigie costituzionali del magistrato.  Sulla
base di tale interpretazione, in altri  procedimenti  nel  corso  del
2015  questo  tribunale  si  e'   pronunciato   per   la   perdurante
applicabilita' del filtro di ammissibilita' per tutti i casi  in  cui
la domanda lamentasse un  illecito  commesso  prima  dell'entrata  in
vigore della riforma. In ossequio a questo orientamento,  il  Giudice
istruttore con ordinanza del 23 novembre 2015 ha rimesso al  collegio
questa causa per la fase del filtro in quanto  relativa  ad  illeciti
del  Tribunale  fallimentare  e  della  Corte  d'appello  di  Firenze
asseritamente commessi da giudici prima dell'entrata in vigore  della
riforma. La pronuncia della S.C. Sez. 3 del 15 dicembre 2015 n. 25216
ha chiarito che la norma abrogatrice si applica ai  giudizi  promossi
dopo l'entrata in vigore della  legge  n.  18/2015.  In  ossequio  ai
principi  indicati  dalla  S.C.,  il  collegio   ritiene   di   dover
riconsiderare il proprio orientamento  (peraltro  espresso,  fino  ad
ora, in procedimenti sorti a  seguito  di  ricorsi  depositati  prima
dell'entrata in  vigore  della  riforma).  In  adesione  ai  principi
dettati da tale pronuncia, ritiene il collegio che nel caso di specie
si  debba  applicare  nella  presente  causa  la  norma  che  prevede
l'abrogazione del filtro di  ammissibilita'.  Sulla  scorta  di  tale
interpretazione, il tribunale, a cui il Giudice istruttore ha rimesso
la causa  ai  sensi  della  normativa  abrogata,  ritenuto  non  piu'
applicabile il filtro di ammissibilita' per  intervenuta  abrogazione
dell'istituto, dovrebbe rimettere la causa al Giudice istruttore  per
la prosecuzione del giudizio. 
    La questione di costituzionalita' dell'abrogazione del filtro  e'
quindi rilevante. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    I   parametri   di   costituzionalita'   che   appaiono   violati
dall'abrogazione del filtro sono i seguenti e saranno esaminati,  con
una breve premessa, nel seguente ordine: 
        1) art. 111 Cost. - Art. 3 Cost.; 
        2) art. 101 e 104 Cost.; 
        3) art. 25 Cost. 
    Due osservazioni valgono da premessa: la prima in relazione  alla
Convenzione dei diritti dell'uomo e al diritto  dell'Unione  europea;
la seconda in relazione all'esigenza di effettivita'  in  materia  di
responsabilita' dei magistrati. 
    Dal primo punto di  vista,  non  appare  pertinente  invocare  le
pronunce della Corte di Strasburgo e il diritto  dell'Unione  europea
in   relazione   a    quanto    infra    si    dira'    relativamente
all'incostituzionalita'  dell'abolizione  del  filtro.   Il   giudice
europeo non si poneva la questione della responsabilita' del  singolo
magistrato, ma quella dello Stato  giudice  in  relazione  alla  sola
violazione manifesta del diritto europeo e le pronunce dei giudici di
Strasburgo non imponevano alcuna modifica della legge n. 117/1988 dal
punto di vista processuale. Al riguardo si puo' far riferimento  alla
Cass. Civ. Sez. 3, 3 gennaio 2014 n. 41  che  evidenzia  che  «questa
prospettiva non e' stata mutata dal diritto eurounitario,  in  quanto
l'interpretazione della legge n. 117 del 1988  ad  opera  della  CGUE
(sentenze  24  novembre  2011  in  C-379/10;  30  settembre  2003  in
C-224/01, e 13 giugno 2006 in C-173/03) non si pone in contrasto  con
la tutela dei principi di  autonomia  ed  indipendenza  del  giudice,
risultando questi posti su di  un  piano  differente  da  quello  cui
attiene la responsabilita' dello Stato  per  l'illecito  comunitario,
comunque distinta dalla responsabilita' personale del magistrato». 
    V'e' inoltre da aggiungere - quanto all'aspetto procedurale - che
diversissime - infatti - sono le tradizioni all'interno  degli  Stati
membri a riguardo della responsabilita'  civile  dei  magistrati.  La
stessa risulta assolutamente inconcepibile per i paesi di common  law
che ritengono imprescindibile la judicial immunity per l'indipendenza
della funzione;  nel  sistema  tedesco  e  olandese,  invece,  esiste
esclusivamente la responsabilita' dello Stato, senza  alcuna  rivalsa
verso il magistrato. Nel sistema francese (come  in  quello  belga  e
portoghese) e' prevista la responsabilita'  dello  Stato  per  azione
risarcitoria, con rivalsa nei confronti del magistrato per il caso in
cui l'errore di quest'ultimo sia intenzionale e  grave.  Soltanto  in
Spagna e' previsto il concorso delle azioni verso lo Stato e verso il
magistrato, ma esso e' subordinato al previo assoggettamento  ad  una
serie di filtri molto severi. 
    Di conseguenza, a differenza di altri  aspetti  della  riforma  -
quale la responsabilita' dello Stato per la  violazione  del  diritto
europeo i cui esatti termini sono stati  ricostruiti  dalle  sentenze
della S.C. del 22 febbraio 2012 n. 2560 e Sez. III, del 5 marzo  2015
n. 4446 - nell'abolizione  del  filtro  non  rilevava  alcun  vincolo
europeo. 
    Dal secondo punto di vista, il suddetto profilo  di  effettivita'
e' stato indicato dall'art. 1 della riforma del 2015 quale  finalita'
orientatrice della stessa: si potrebbe quindi pensare che  il  filtro
di ammissibilita' sia  stato  abolito  nell'ottica  di  rendere  piu'
effettiva la tutela del cittadino (art. 1).  Nei  lavori  preparatori
della riforma si legge che la stragrande maggioranza delle azioni  di
responsabilita' civile magistrati sono state dichiarate inammissibili
in sede di  filtro  (e  di  quelle  inammissibili  molte  sono  state
rigettate). Si e'  quindi  ritenuto  -  da  alcuni  -  che  il  mezzo
processuale utilizzato (il filtro) fosse  la  causa  della  frequente
dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi  in  materia.  Ritiene,
invece, questo Tribunale che  il  filtro  favorisca  una  tutela  dei
diritti «effettivi» delle parti: la sua abrogazione - come di seguito
approfondito - procrastina soltanto  l'inevitabile  dichiarazione  di
inammissibilita'  delle  domande  inammissibili  e  svolge  un'azione
moltiplicatrice dei ricorsi «strumentali». 
 
       Primo parametro: Il giusto processo nei «due» processi 
 
Art. 111 Cost. - Art. 3 Cost. 
    Il filtro di  ammissibilita'  e'  strumento  imprescindibile  per
attuare il giusto processo in almeno due processi. 
    Il primo - quello in cui e'  chiesto  il  risarcimento  -  e'  il
processo  tra  il  soggetto  che  si  ritiene   danneggiato   da   un
provvedimento giurisdizionale (o da un comportamento  tenuto  durante
un processo da un magistrato) e lo Stato italiano. Il secondo  e'  il
processo all'interno del quale  si  e'  -  secondo  il  ricorrente  -
prodotto il danno. 
    Quanto al primo processo, si tratta di  un  rapporto  processuale
assai complesso, sottoposto ai presupposti dettati dall'art. 5  comma
3 della legge n. 117 del 1988. In particolare, con  riferimento  alla
vecchia normativa (qui applicabile in  quanto  normativa  sostanziale
che disciplina l'illecito), la domanda e' ammissibile se: 
        a) siano rispettati i termini di decadenza di cui all'art.  4
e quindi non siano decorsi piu'  di  due  anni  dal  momento  in  cui
l'azione sarebbe stata proponibile; 
        b) siano stati esperiti i mezzi ordinari  di  impugnazione  o
gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari
oppure che non siano piu' possibili  la  modifica  o  la  revoca  del
provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, sia  esaurito
il grado del procedimento nell'ambito del quale si e'  verificato  il
fatto che ha cagionato il danno; 
        c) siano lamentati casi di dolo o colpa grave  o  diniego  di
giustizia rilevanti ai sensi degli articoli 2 e 3; 
        d) l'azione non sia manifestamente infondata. 
    Nella nuova normativa  cambiano  i  termini  di  decadenza  e  la
definizione della colpa grave e viene abrogata l'inammissibilita' per
manifesta infondatezza, ma e' tuttora  prevista  la  categoria  della
inammissibilita'. 
    Dal punto di vista processuale, il meccanismo del filtro  prevede
una pronuncia del collegio entro 40 giorni dalla rimessione da  parte
del G.I. al Collegio, la reclamabilita' dinanzi alla Corte  d'appello
e alla  Corte  di  cassazione  per  il  solo  caso  di  pronuncia  di
inammissibilita'   e   la   non   impugnabilita'   del   decreto   di
ammissibilita'.  Quest'ultimo  e'  anche   condizione   per   l'avvio
dell'azione disciplinare. 
    Il filtro e' funzionale all'attuazione del  giusto  processo  nel
processo di cui alla legge  n.  117/1988,  in  particolare  sotto  il
profilo della sua ragionevole durata e dell'economia processuale. 
    Difatti, sia il cittadino che si ritiene leso, sia lo Stato hanno
interesse che, in tutti i casi di inammissibilita', la pronuncia  che
questa  dichiara  pervenga  al  piu'  presto,  o  comunque  in  tempi
ristretti.  Tale  interesse  sussiste  quando  si  tratti  di  azioni
manifestamente infondate (si pensi ai casi in  cui  quanto  affermato
dal ricorrente e' escluso  dai  documenti  prodotti)  oppure  si  sia
verificata una decadenza per decorso del termine o l'azione  non  sia
stata preceduta dai rimedi interni al sistema  o  non  siano  neppure
allegati casi di dolo o colpa grave previsti dalla legge o non vi sia
nesso eziologico tra illecito e danni lamentati. 
    Lo Stato ha un evidente interesse a fermare  al  piu'  presto  le
azioni inammissibili. 
    Ma analoga convenienza ha il cittadino, che non  ha  certo  alcun
interesse a protrarre azioni  infondate  e  a  sentirsele  dichiarare
inammissibili all'esito di un giudizio ordinario (e quindi lungo come
quello)   quando   potrebbe   avere   subito   una   valutazione   di
inammissibilita'. Ovviamente si  devono  prendere  in  considerazioni
solo interessi apprezzabili e non  atti  emulativi  o  finalita'  non
meritevoli di tutela. 
    Il filtro, come e' congegnato nella legge n.  117/1988,  funziona
da questo punto di vista per due ragioni: 
        1) nel caso di decreto di ammissibilita', non  e'  consentita
allo Stato alcuna impugnazione; 
        2) inoltre, nel diritto vivente, l'inammissibilita' e'  stata
intesa nel senso che la valutazione da  compiere  debba  tener  conto
della possibilita' da parte del  ricorrente  di  provare  in  seguito
alcuni fatti: essendo possibile ancora la prova, si  deve  dichiarare
ammissibile l'azione che si presenta astrattamente come  tale,  anche
se allo stato della  stessa  difetti  alcuna  prova.  In  particolare
costituiva  diritto  vivente  l'affermazione  che  «Il   procedimento
sull'ammissibilita'  dell'azione  risarcitoria   in   dipendenza   di
responsabilita' civile del magistrato, di cui all'art. 5 della  legge
n. 117 del 1988, mentre ha carattere pieno  e  definitivo  in  ordine
alla configurabilita', nei fatti contestati, dei  requisiti  e  delle
condizioni  cui  la  legge  subordina   detta   responsabilita',   ha
necessariamente  natura  delibativa   quanto   al   riscontro   della
sussistenza degli elementi addotti a  sostegno  della  contestazione,
sicche' la relativa indagine puo'  essere  condotta,  in  tale  fase,
esclusivamente  «ex  actis»,  cioe'  alla  stregua  degli  atti   del
procedimento, rimanendo devoluta al  successivo  giudizio  di  merito
l'approfondita valutazione della  fondatezza  dell'azione  (Nel  caso
concreto  ne  era  conseguito  che  non  potesse  essere   dichiarata
inammissibile un'azione fondata su di una grave violazione  di  legge
indotta da negligenza inescusabile, ex art. 2, terzo  comma,  lettera
a), della legge n. 117 del  1988,  ove  non  risulti  «ex  actis»  la
ricollegabilita' della violazione stessa a specifiche ragioni che  la
rendano comunque comprensibile. - Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8260  del
30 luglio 1999; nonche' Cass.  Sez.  1,  Sentenza  n.  14860  del  23
novembre 2001 e Cass. Sez. 3,  Sentenza  n.  25133  del  27  novembre
2006). 
    Nel giro di poco tempo nel sistema previgente si otteneva - cosi'
- una valutazione sul punto. 
    Attualmente, invece, appare evidente che i tempi sono quelli  del
processo ordinario, sicuramente superiore a quelli  del  filtro.  Per
pervenire  ad  una   pronuncia   sulla   ammissibilita',   occorrera'
aggiungere i tempi delle tre  memorie  istruttorie,  il  tempo  della
decisione  istruttoria,  l'eventuale  istruttoria,  i   tempi   delle
comparse conclusionali  e  delle  note  di  replica,  i  tempi  della
decisione e della redazione della sentenza collegiale. Il  risultato,
dal punto di vista dei tempi del processo, e una lunghezza  eccessiva
ed  irragionevole,  specie  se  per  giungere  alla  conclusione  che
l'attivita' processuale svolta era inutile. Per non parlare del tempo
dell'impugnazione,  appesantita  dalla  commistione  tra  profili  di
ammissibilita' e merito. 
    Attraverso l'istituto del filtro il processo si  avvantaggia  del
fatto che, in limine litis, il Collegio e non il  giudice  istruttore
(con una pre-valutazione che il Collegio potrebbe non condividere  in
sede  di  decisione)  valuta  se  la  causa   sia   ammissibile.   Se
inammissibile lo dichiara subito, senza istruttoria e senza  la  fase
delle  memorie  conclusionali.  Anche  un'eventuale  impugnazione  e'
snella e compressa nei tempi sopra indicati e soprattutto alleggerita
della  valutazione  del  merito  e  concentrata  sulle  questioni  di
ammissibilita'.  Se  la  decisione  definitiva  e'  nel  senso  della
inammissibilita', si saranno evitate lungaggini e  spese  inutili  ad
entrambe le parti. Se la decisione  definitiva  e'  nel  senso  della
ammissibilita', la  decisione  perviene  in  quaranta  giorni  ed  e'
esclusa l'impugnazione immediata. Con un ulteriore vantaggio  che  si
presentava assai spesso: il Collegio doveva indicava quali fossero le
doglianze ammissibili, con una chiara indicazione del thema decidendi
e  probandi  che  rendeva  piu'  celere  la  successiva   istruttoria
(concentrata sui soli profili ammissibili). In questi casi, ossia  di
ammissibilita', si otteneva il risultato che il Collegio e non il  GI
e  -  se  il  cittadino  era  insoddisfatto  di  una   decisione   di
inammissibilita' - non il giudice di primo grado ma quello di secondo
grado  o  la  Suprema  corte  decidesse  sull'ammissibilita'  e  tale
indicazione dell'oggetto del processo orientasse la causa. 
    L'abrogazione  del  filtro,  quindi,  nuoce  alla  celerita'  del
processo richiesta dal parametro costituzionale del giusto processo. 
    Nel  caso  qui  in  esame,  ad  esempio,  potrebbero  in  ipotesi
rivelarsi fondate alcune delle cause di inammissibilita'  evidenziate
dalla convenuta che ha eccepito:  la  tardivita'  della  proposizione
della domanda (questione qui complicata dal quesito se il termine  di
decadenza  decorra  dalla  pronuncia  della  S.C.  sulla  revoca  del
fallimento o dalla chiusura del fallimento); il  fatto  di  non  aver
proposto tutti i mezzi di impugnazione ordinari (questione  complessa
per il fatto che qui la parte non ha riassunto la causa nel  giudizio
di rinvio per affermata sopravvenuta carenza di interesse); il  fatto
che in ogni caso sia mancata una pronuncia sul merito della questione
e si sia avuta solo una pronuncia processuale che necessitava  di  un
completamento in sede di rinvio;  il  fatto  che  solo  alcuni  degli
errori  addebitati  ai  giudici   che   hanno   trattato   la   causa
rientrerebbero - per una parte -  nella  categoria  degli  errori  di
fatto (quale un errato conteggio di giorni nella  valutazione  di  un
termine), mentre per l'altra si  tratterebbe  di  errori  di  diritto
(circa la disciplina dei giorni festivi intermedi nei termini dettati
a giorni liberi, circa la valenza di una notifica ex art. 140  c.p.c.
nei confronti del notificato ed altri). 
    E' evidente che pervenire ad una pronuncia in limine litis  sulle
precedenti  questioni  o  anche  soltanto  su  alcune  delle   stesse
consentirebbe uno svolgimento della causa  adeguato  ai  principi  di
effettivita'  e  celerita'  della  tutela   imposti   dal   parametro
costituzionale del giusto processo. 
    Sempre  in  relazione  al  processo  di  responsabilita'   civile
magistrati e con riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost., si
deve osservare che  in  campo  processuale  i  meccanismi  di  filtro
tendono ad avere sempre maggiore applicazione.  Si  pensi  al  filtro
previsto quanto ai ricorsi per cassazione dall'art. 375 comma 1 n.  1
e 5 c.p.c. in relazione all'art. 360-bis (questioni di  diritto  gia'
decise  o  manifesta  infondatezza  delle   censure   relative   alla
violazione dei principi del giusto  processo)  oppure  per  l'appello
dagli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. «quando l'impugnazione non ha
una ragionevole probabilita' di essere accolta». 
    Mentre in via generale per tutte  le  impugnazioni  ordinarie  si
introducono pronunce semplificate di inammissibilita' (tra l'altro  -
per  gli  appelli  -  in  una   situazione   di   mera   «ragionevole
probabilita'» di non accoglimento), con la  riforma  del  2015  viene
abrogata la norma della pronuncia semplificata di inammissibilita' di
cui alla legge n. 117/1988, che peraltro era collegata alla  certezza
di inammissibilita' della domanda. 
    Si tratta di situazioni comparabili:  la  responsabilita'  civile
del giudice, infatti, assai spesso ha il carattere di  «processo  sul
processo» e percio' presenta delle evidenti comunanze logiche con  le
impugnazioni. 
    L'abrogazione appare quindi  irragionevole  e  censurabile  anche
sotto il profilo della disparita'  di  trattamento  (art.  3  Cost.),
atteso che, mentre nell'ordinamento  processuale  per  ogni  tipo  di
«meta-processo» (ossia  di  processo  sul  processo)  si  introducono
filtri,  qui  lo  si  abolisce.  In  merito  a  tale  valutazione  di
ragionevolezza si  rileva  anche  una  violazione  dei  parametri  di
efficienza richiesti dall'art. 97 Cost., dovendosi  l'amministrazione
della giustizia occupare piu' a lungo delle  cause  inammissibili  in
materia di RC magistrati. 
    Ma, come si e' accennato prima, i processi  in  cui  applicare  i
principi costituzionali del giusto processo sono due. 
    Il secondo processo che qui rileva e' quello  -  cronologicamente
anteriore e che rimane sullo sfondo del primo - in cui l'attore della
causa di responsabilita' civile ritiene di avere subito un torto e un
danno. Questo processo non e' estraneo alla disciplina del filtro: al
contrario, un obiettivo del legislatore nel disciplinare  la  RC  dei
magistrati  non  puo'  che  essere  che  questo  processo  (e  quindi
potenzialmente ogni processo) sia «giusto»  sotto  il  profilo  della
parita' delle parti e della terzieta' del giudice. 
    Se  si  considerano  (a)   alcune   peculiarita'   dell'attivita'
giurisdizionale ed i  rischi  che  essa  comporta,  (b)  le  notevoli
difficolta' in capo alla parte di comprendere quando vi sia stato  un
cattivo esercizio della giurisdizione e  la  conseguente  propensione
alla introduzione di cause di responsabilita' anche inammissibili, si
deve concludere che l'assenza  di  filtro  puo'  incidere  (c)  sulla
serenita' di giudizio e indurre ad un atteggiamento difensivo (d) che
puo' pregiudicare la terzieta' e l'imparzialita' del giudice. 
    In primo luogo (a), l'attivita' del giudice si differenzia  dalle
attivita' professionali, per le quali si deve constatare che, per  lo
piu', il professionista che agisca secondo le regole dell'arte arreca
solo vantaggi a chi ricorra  alle  sue  prestazioni.  Ogni  processo,
invece, comporta inevitabilmente un pregiudizio per almeno una  delle
parti. Il processo penale, anche  se  in  ipotesi  concluso  con  un'
assoluzione  (ma  anche  ogni  indagine  preliminare),  comporta   un
«costo»,  spesso  in  senso  economico  e  prima  ancora   morale   e
psicologico, quando non  anche  in  termini  di  liberta'  personale,
onorabilita'  e  diritti  fondamentali  dell'individuo.  Il  processo
civile,  nell'attribuire  un  bene  della  vita   ad   un   soggetto,
contestualmente lo nega ad un altro. Il giudice  cagiona  sempre  una
perdita in capo a qualcuno, anche quando non si tratta di  un  «danno
ingiusto». Se poi si considera pure il fatto che, a volte, una  parte
perde un processo e quindi (per il principio del giudicato che  facit
de albo nigrum) «perde» un diritto per ragioni meramente processuali,
ne risulta che molteplici sono per  un  giudice  le  possibilita'  di
arrecare un pregiudizio, sia pure in modo del tutto lecito. 
    Cio' spiega anche, da un  punto  di  vista  sociologico,  (b)  la
proposizione  di  molte  azioni  di  R.C.  che  risultano  infondate,
evidenziate dalle statistiche  esaminate  in  sede  parlamentare:  la
parte che e' entrata nel meccanismo (quando non nel «tunnel»)  di  un
processo e ne e' uscita con un pregiudizio spesso non sa  distinguere
se  la  causa  della  soccombenza  sia  il  fatto   di   aver   avuto
originariamente torto oppure eventuali carenze probatorie o ancora se
siano  stati  determinanti  incertezze   interpretative   o   ragioni
processuali o se,  invece,  il  problema  sia  davvero  l'errore  del
giudice,  accompagnato   o   meno   dal   cattivo   esercizio   della
giurisdizione. Se poi la situazione logistica degli uffici giudiziari
in cui si e' svolto il  processo,  una  durata  intollerabile  ed  il
sovraffollamento di cause nei ruoli hanno contribuito  a  fornire  al
cittadino  l'impressione   di   un   esercizio   superficiale   della
giurisdizione e' chiaro che il giudice in molti casi appare - per  le
persone coinvolte nel processo - il vero problema. 
    In tutti i casi in cui il problema non e' il giudice (ma lo  puo'
sembrare al cittadino, che purtroppo a volte non trova nel linguaggio
tecnico delle sentenze  una  spiegazione  comprensibile),  il  filtro
delle azioni inammissibili (c) serve bene alla  giustizia  del  primo
processo, ossia, potenzialmente, di qualunque processo e specialmente
in relazione alle questioni complesse in fatto o in diritto. 
    Difatti il giudice che si  pone  diligentemente  all'opera  e  si
accinge alla decisione e' spesso consapevole della opinabilita' della
decisione, poiche' sovente sussistono margini  di  apprezzamento  non
solo  nell'interpretazione  delle  norme  sostanziali  e  processuali
applicabili, ma anche nella valutazione delle prove. Alcune decisioni
debbono  essere   prese   «allo   stato   degli   atti»   (e   quindi
necessariamente senza  piena  cognizione  di  causa)  ed  altre,  pur
intervenendo dopo lunghe istruttorie, sono da assumere sulla base  di
presunzioni. Esistono fascicoli composti da centinaia di documenti  -
ora prodotti anche in via telematica - spesso contrastanti tra loro. 
    Il giudice che, al momento in cui decide, sa che esiste un filtro
delle azioni di RC infondate (che le parti  potranno  proporre  anche
quando il vero problema «non e' il  giudice»),  e  che  tali  domande
saranno fermate in tempi relativamente brevi, e' un giudice  che  non
si deve preoccupare affatto della propria posizione. 
    Il filtro svolge tale funzione di tutela esclusivamente a  favore
delle «buone decisioni» (o almeno  alle  decisioni  non  viziate  dai
difetti che fondano la responsabilita' civile del magistrato ai sensi
di legge). Infatti il filtro non e' utile  per  tutelare  il  giudice
dalle conseguenze delle proprie  decisioni  negligenti,  per  coprire
mancanze di studio dei  fascicoli  o  dinieghi  di  giustizia:  tutte
queste negligenti condotte non vengono «filtrate». Il giudice sa  che
se  non  guarda  con  attenzione  le  carte  puo'  incorrere  in  una
responsabilita' che nessun filtro puo' eliminare. 
    In quest'ottica, il filtro tutela la  serenita'  del  giudizio  e
quindi (ed esclusivamente)  le  buone  decisioni.  Il  principio  del
giusto processo da' al giudice le coordinate in cui muoversi: non  il
proprio interesse, non  la  difesa  della  propria  posizione  in  un
eventuale processo di RC deve essere la sua ottica, ma  quella  tutta
interna al processo di un giudice imparziale. 
    Le  parti   sono   altri   soggetti,   che   hanno   diritto   al
contraddittorio e alla condizione di parita'. 
    In altre parole occorre non nascondersi che un possibile  rischio
dell'abolizione  del  filtro  sono  i  danni   della   giurisprudenza
«difensiva» (d). Il primo e piu' grave di tutti e' che  non  e'  piu'
tale un giudice che abdica alla propria posizione di imparzialita'  e
si cura - gia' nel processo - del proprio interesse e  della  propria
difesa. I danni poi potrebbero essere di diverso grado, a partire  da
motivazioni ridondanti e magari poco aderenti al caso  concreto  (che
sottraggono al cittadino le garanzie di cui all'art. 111 Cost.)  sino
ad  arrivare  a  snaturare  il  contenuto   delle   decisioni.   Tale
atteggiamento difensivo potrebbe portare il giudice a chiedersi quale
parte puo' piu' facilmente proporre  causa  di  responsabilita',  con
quale decisione possa arrecare maggiore «danno», specie di  fronte  a
parti particolarmente agguerrite o gia' larvatamente  minacciose.  Si
tratta di casi che appaiono assai lontani dalla  attuale  prassi,  ma
gia' le prime ordinanze di rimessione della riforma 2015  alla  Corte
(del Tribunale civile di Verona del 12 maggio 2015  in  relazione  ad
una  decisione  sulla  provvisoria  esecutorieta'   di   un   decreto
ingiuntivo milionario e del Tribunale penale di Treviso dell'8 maggio
2015, in merito ad un processo penale indiziario)  hanno  in  qualche
modo mostrato questa preoccupazione. 
    Le considerazioni di cui sopra inducono a ritenere che, se  manca
un filtro rapido  alle  azioni  inammissibili,  difetta  un  elemento
importante per garantire al giudice la serenita'  indispensabile  per
esaminare le questioni col proprio prudente apprezzamento,  dopo  uno
studio serio delle norme e delle evidenze processuali, senza  doversi
curare del proprio interesse. 
    La terzieta' del giudice e il  contraddittorio  su  posizioni  di
parita' sono diritti anche dell'altra parte, ossia, la parte che  per
sua condizione e' meno incline a proporre azione di RC (si pensi alla
parte pubblica, oppure alla parte meno abbiente): questo cittadino e'
tutelato dal filtro perche' l'esistenza del  filtro  costituisce  per
lui garanzia dell'imparzialita'  del  giudice,  prima  di  tutto  nei
confronti dei propri stessi interessi. 
    Se  poi  si  riflette  sui  presupposti  della   inammissibilita'
(pre-riforma), si puo' agevolmente rilevare che in ciascuno di questi
casi l'esercizio di  un'azione  di  RC  magistrati  inammissibile  e'
potenzialmente dannosa per il processo  (quello  anteriore  in  senso
cronologico). 
    Il primo caso e' quello della  manifesta  infondatezza  che  gia'
risulti dagli atti processuali. E' evidente che  la  proposizione  di
un'azione manifestamente infondata e' particolarmente pericolosa  per
la correttezza del primo  processo  perche',  nella  sua  strutturale
emulativita', puo' recare in qualche  modo  turbamento  all'attivita'
giudiziaria. Si pensi ad esempio  alle  conseguenze  disciplinari  di
azioni di RC ora sganciate dal «filtro». 
    Un secondo caso e' quello della mancanza di definizione dei gradi
di giudizio. Dopo la riforma, sono state  proposte  -  per  la  prima
volta - dinanzi a questo Tribunale alcune  cause  di  RC  riferite  a
giudizi per i quali pendeva ancora il primo grado in  sede  civile  o
penale. In questi casi il vulnus al giusto processo (ossia  al  primo
processo tuttora pendente) e' particolarmente  evidente.  L'attivita'
di un giudice che in altra sede sta dirigendo un processo si trova in
qualche modo «oggetto» di altro  giudizio,  ad  opera  di  una  delle
parti.  Senza  un  filtro,  e'  evidente   che   il   rimedio   della
inammissibilita' in  questo  caso  e'  destinato  ad  essere  proprio
lettera morta: dichiarare solo alla fine della causa  di  RC  che  il
giudizio e' inammissibile perche' pende ancora il processo de quo, e'
come consentire praticamente che i due  processi  coesistano.  Se  la
pronuncia  non  e'  immediata,  si  avra'   pendenza   contemporanea,
vanificandosi cosi' lo stesso presupposto. 
    Oltre che relativamente alla terzieta'  del  giudice,  in  questo
caso,  il   filtro   tutela   anche   il   contraddittorio,   poiche'
difficilmente un giudice puo' serenamente valutare  la  causa  mentre
pende un processo che ha il suo primo processo come oggetto.  D'altra
parte, e' difficile che la controparte di un soggetto che ha proposto
causa di RC possa essere certa di non avere un trattamento diverso da
parte di un giudice «coinvolto». 
    Quanto al caso del termine di decadenza, si deve ritenere che  il
termine da un lato impone alla parte di valutare in  tempi  brevi  se
esperire o no l'azione; dall'altro rende piu' agevole allo  Stato  (e
poi se del caso al magistrato in caso di intervento o di rivalsa) una
difesa. Difatti, dopo un certo tempo (inversamente  proporzionale  al
numero di cause trattate) un magistrato non puo' neppure ricordare le
cause e i loro particolari. Se non c'e' un filtro, poco rileva che il
processo de quo sia antico o  recente:  la  difesa  pubblica  (e,  se
interviene, anche quella del magistrato)  dovra'  svolgersi  a  tutto
campo e quindi anche nel merito. Cio' potrebbe  indurre  il  giudice,
quando decide, a conservare traccia  degli  aspetti  rilevanti  delle
cause trattate,  ponendosi  cosi'  in  una  prospettiva  difensiva  e
quindi, per cio' solo, gia' distorta e foriera di parzialita'. 
    Si puo' concludere che, affinche' il processo cui  hanno  diritto
tutti i cittadini sia condotto con vera imparzialita' e senza che  le
parti si trovino tra loro in posizioni  impari  perche'  diversamente
atteggiate  rispetto  ai  profili  di  responsabilita'  del  giudice,
occorre che il processo sulla RC del giudice  sia  reso  effettivo  e
possibile in tutti, i casi in cui e'  ammissibile,  ma  sia  filtrato
subito nei numerosi casi in cui il vero problema non e' il giudice. 
 
                  Soggezione del giudice alla legge 
             Autonomia e indipendenza della Magistratura 
 
Art. 101 Cost. - Art. 104 Cost. 
    Quanto sopra argomentato fa comprendere anche come  l'inesistenza
del filtro di ammissibilita' possa porre in discussione la soggezione
dovuta dal giudice alla legge e  solo  alla  legge,  senza  pressioni
indebite. 
    La previsione di un filtro della domanda risarcitoria costituisce
un istituto fondamentale per la tutela delle garanzie  costituzionali
della  giurisdizione,  escludendosi  attraverso  la  declaratoria  di
inammissibilita' in limine le domande temerarie ed intimidatorie.  Si
tratta di aspetti gia' affermati dalla Corte in precedenti  pronunce,
nelle quali il filtro e' stato ritenuto indispensabile per la  tutela
di questo principio, e in  diverse  decisioni  e'  stato  considerato
quale punto di equilibrio tra il  principio  di  responsabilita'  del
giudice e la tutela della giurisdizione. 
    In particolare, gia' nella sentenza Corte costituzionale 14 marzo
1968, n. 2, la Corte rilevava che  «la  singolarita'  della  funzione
giurisdizionale, la natura dei provvedimenti  giudiziari,  la  stessa
posizione super partes del magistrato possono suggerire condizioni  e
limiti alla sua responsabilita'»: percio' respingeva la questione  di
costituzionalita' della degli articoli 55 e 74 c.p.c. che  limitavano
a dolo frode, concussione e  alla  omissione  di  atti  d'ufficio  la
responsabilita'  civile  dei  magistrati.  Con  la   sentenza   Corte
costituzionale  19  gennaio  1989,  n.  18  la  Corte  respingeva  la
questione di costituzionalita' della estensione della responsabilita'
civile  alla   colpa   grave   sollevata   quale   possibile   vulnus
all'imparzialita' e alla indipendenza della  magistratura  affermando
che «la previsione del giudizio di ammissibilita' della domanda (art.
5 l. cit), garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione  di
azioni manifestamente infondate, che possano turbarne la serenita'». 
    In modo ancor piu' chiaro, nella sentenza 22 ottobre 1990, n. 468
si legge: «Questa Corte ha riconosciuto il rilievo costituzionale  di
un meccanismo di filtro  della  domanda  giudiziale,  diretta  a  far
valere la responsabilita' civile del giudice,  perche'  un  controllo
preliminare della non manifesta infondatezza della domanda,  portando
ad  escludere  azioni  temerarie  ed  intimidatorie,  garantisce   la
protezione dei valori di indipendenza e di autonomia  della  funzione
giurisdizionale  sanciti  negli  articoli  da   101   a   113   della
Costituzione nel piu' ampio quadro di quelle condizioni e limiti alla
responsabilita' dei magistrati che  la  peculiarita'  delle  funzioni
giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono». 
    In tale pronuncia, dopo aver  richiamato  il  proprio  precedente
dictum    (nella    sentenza    sui    quesiti    referendari)    per
«l'indispensabilita' di un filtro a garanzia  della  indipendenza  ed
autonomia della funzione giurisdizionale» e dei «valori di  cui  agli
articoli 101 a  113  della  Carta  costituzionale»,  a  fronte  della
soluzione temporale di continuita' che si era verificata  in  materia
tra il 7 aprile 1988 (data cui era stata  posticipata  ai  sensi  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  497/1987  l'efficacia
dell'abrogazione referendaria) e il 16 aprile 1988, data  di  entrata
in vigore della legge n.  117/1988,  dichiarava  incostituzionale  la
normativa di cui alla legge n. 117/1988 nella parte in cui non  aveva
previsto - per i casi cosi' privi  di  normativa  speciale  (ossia  i
fatti  anteriori   al   16   aprile   1988   per   ricorsi   proposti
successivamente al 7 aprile 1988)  -  che  «il  Tribunale  competente
verificasse con rito camerale la  non  manifesta  infondatezza  della
domanda ai fini della sua  inammissibilita'».  Come  la  dottrina  ha
evidenziato, in questo caso la Corte ha ritenuto necessario costruire
un filtro laddove esso  mancava  per  un  vuoto  temporale  di  pochi
giorni. 
    Per  ragioni  di   sintesi,   una   completa   disamina   storica
dell'evoluzione del filtro, si puo' trovare nella Sentenza Cassa Civ.
Sez. 1 del 4 maggio 2005 n. 9288. 
    Piu' recentemente la Suprema  Corte  ha  evidenziato  gli  stessi
principi affermando che «In materia  di  responsabilita'  civile  dei
magistrati, la  previsione  di  un  giudizio  di  ammissibilita'  per
l'azione risarcitoria diretta, agli effetti dell'art. 5  della  legge
13 aprile 1988, n. 117, costituisce attuazione  delle  previsioni  di
cui agli articoli 101 e seguenti della Costituzione in tema di tutela
della  funzione  giurisdizionale,  e  segnatamente  dei  principi  di
autonomia   e   indipendenza   del   giudice,   che    contribuiscono
all'identificazione della stessa forma repubblicana dello  Stato.  Ne
consegue che il meccanismo del filtro di  ammissibilita'  -  salvi  i
casi di costituzione  di  parte  civile  nel  processo  penale  e  di
sentenza penale passata in giudicato, di cui all'art. 13 della stessa
legge   n.   117   del   1988   -   con   riferimento   all'attivita'
giurisdizionale,  e  in  generale  avuto  riguardo  agli   atti   del
magistrato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, assume  rilievo
costituzionale, poiche' finalizzato ad escludere azioni  risarcitorie
temerarie ed intimidatorie proposte direttamente  nei  confronti  del
singolo funzionario». (Cass. Sez. 3, Sentenza n.  41  del  3  gennaio
2014). 
    Richiamando i medesimi principi, gia' alcune  sentenze  della  SC
avevano chiarito come il filtro qui  in  esame  tendesse  ad  evitare
«l'abuso o l'eccesso della giurisdizione in  vista  di  un  interesse
della stessa funzione giurisdizionale, risolvendosi in un preliminare
scrutinio nel contraddittorio delle parti della astratta possibilita'
di successo della stessa, ne' ritarda eccessivamente data  la  errata
sequenza cronologica prevista. (Cass. Sez. III, 27 novembre 2006,  n.
25123, ma anche Cass. Civ. Sez. III, 20 ottobre 2006, n. 22540). 
    Per una  disamina  assai  ampia  si  puo'  far  riferimento  alla
ordinanza Cass. Sez. 6-3, ordinanza n.  1715  del  29  gennaio  2015,
nella quale la SC ha chiarito che «In tema di responsabilita'  civile
dei magistrati, la previsione dell'esclusione della proponibilita' di
un'azione risarcitoria diretta nei confronti del  singolo  magistrato
non integra alcuna limitazione del diritto di agire del  danneggiato,
ne' sotto il profilo costituzionale (articoli 2, 3, 24, 32, 111,  117
Cost.), ne' sotto quello eurounitario (articoli 1, 20, 21, 47, 53, 54
e 55 della Carta di Nizza), ne' sotto quello sovranazionale (articoli
6 e 13 della  Convenzione  europea  dei  Diritti  dell'uomo,  art.  8
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo  adottata  dall'ONU  e
dal Patto dei diritti civili di New  York)  in  quanto  la  posizione
soggettiva del danneggiato trova  piena  ed  appagante  tutela  nella
responsabilita' diretta dello Stato,  mentre  l'anzidetta  esclusione
non costituisce  privilegio  ma  estrinsecazione  della  autonomia  e
indipendenza   di   ciascun   appartenente   all'ordine   giudiziario
nell'esercizio della funzione giurisdizionale». 
 
                          Giudice naturale 
 
    Un ultimo profilo e' quello della garanzia del  Giudice  naturale
precostituito per legge (art. 25 Carta costituzionale). 
    Condivide questo collegio quanto anche di recente ritenuto  dalla
SC: certamente il giudice per la cui responsabilita', pendente ancora
il primo giudizio, venga proposto un ricorso ai sensi della legge  n.
117 del 1988 non e'  obbligato  ad  astenersi.  Di  conseguenza,  una
domanda di RC non comporta automaticamente che una delle parti  possa
ricusare il giudice. 
    Tuttavia,  alcuni  attenti  commentatori  della   riforma   hanno
rilevato che l'assenza del filtro moltiplica anche le ipotesi in  cui
al magistrato converra' intervenire nel processo  proposto  ai  sensi
della legge n. 117/1988: non essendo piu' nettamente distinto l'esame
dell'ammissibilita' da quello del merito, diminuirebbe la convenienza
ad attendere il giudizio  di  ammissibilita'.  Di  conseguenza,  piu'
frequentemente il  magistrato  sarebbe  indotto  ad  intervenire  nel
giudizio con conseguente aumento delle ipotesi in cui  lo  stesso  da
estraneo  diventa  parte   del   giudizio   di   responsabilita'   e,
specialmente, con il conseguente obbligo di  astensione  ex  art.  51
comma 1 n. 3 c.p.c. nel processo originario. 
    In ogni caso, anche quando non sussiste obbligo  di  astenersi  e
quindi alcuna causa  di  ricusazione,  il  singolo  giudice  potrebbe
ritenere di non  avere  piu'  la  necessaria  serenita'  di  giudizio
riguardo alla causa. Potrebbe ritenere la  valutazione  proposta  dal
ricorrente come ingiusta oppure,  ritenendo  di  aver  davvero  fatto
qualche errore o temendo comunque di essere un giorno destinatario di
un'azione di rivalsa, potrebbe sentirsi quasi indotto a migliorare la
posizione di chi ha esercitato altrove una causa di RC. In ogni caso,
quindi,  potrebbe  ravvisare  gravi  ragioni   di   convenienza   per
un'astensione facoltativa, che difficilmente gli verrebbe negata. 
    Ma,  come  si  e'  visto,  il  processo  quasi  mai  e'  faccenda
solitaria: chi perde il giudice naturale e' anche la controparte  del
ricorrente. 
    La proposizione di un ricorso, in un  sistema  privo  di  filtro,
potrebbe cosi' costituire uno  strumento  per  ottenere  la  modifica
dell'assegnazione della causa, magari dopo che un giudice aveva preso
decisioni interinali che facevano presagire  la  soccombenza  di  una
delle parti. 
    Instaurare il processo di RC puo' essere quindi uno strumento  di
coazione indiretta nei confronti del giudice, distogliendo  la  causa
dal Giudice naturale per evitare che certe  decisioni  processuali  o
sostanziali vengano prese. Per  non  parlare  del  rischio  che  tali
coazioni indirette comportano nel processo penale e  nelle  indagini,
al punto che un processo di RC  senza  filtro,  in  grado  quindi  di
incidere sul «Giudice naturale»,  potrebbe  rivelarsi  uno  strumento
formidabile per la criminalita' organizzata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e seg. legge n. 87/1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  2,  della  legge  27
febbraio 2015, n. 18, che ha abrogato l'art. 5 della legge 13  aprile
1988, n. 117, in relazione agli articoli 3, 25, 101, 104 e 111 Cost.; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Sospende il processo sino all'esito del giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Manda  la  Cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
      Genova, 10 maggio 2016 
 
                       Il Presidente: Costanzo 
 
 
                                           Il Giudice relatore: Lucca