N. 75 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 novembre 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 10 novembre 2016 (della Regione Veneto). 
 
Sanita' pubblica - Impiego pubblico - Delegazione legislativa - Norme
  in materia di dirigenza sanitaria in attuazione della delega di cui
  all'art. 11, comma 1, lett. p), della legge n. 124 del 2015. 
- Decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 (Attuazione della  delega
  di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015,
  n. 124, in materia di dirigenza sanitaria), artt. 1, commi 1, 2, 3,
  4, 5, 6, 7 e 8; 2, commi 1, 2, 5, 6 e 7; 6; e 9, commi 1 e 2. 
(GU n.52 del 28-12-2016 )
    Ricorso  proposto  dalla  Regione  Veneto  (codice   fiscale   n.
80007580279  -  partita  I.V.A.  n.  02392630279),  in  persona   del
Presidente della Giunta regionale dott.  Luca  Zaia  (codice  fiscale
ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n.
1723 del 2 novembre  2016  (all.  1),  rappresentato  e  difeso,  per
mandato  a  margine  del  presente  atto,  tanto  unitamente   quanto
disgiuntamente,   dagli   avv.ti   Ezio   Zanon    (codice    fiscale
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (codice fiscale NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi
Manzi  (codice  fiscale  MNZLGU34E15H501V)  del  Foro  di  Roma,  con
domicilio eletto presso  lo  studio  di  quest'ultimo  in  Roma,  via
Confalonieri, n. 5  (per  eventuali  comunicazioni:  fax  06/3211370,
posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org). 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12. 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
seguenti disposizioni del decreto legislativo 4 agosto 2016, n.  171,
recante «Attuazione della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera
p), della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di  dirigenza
sanitaria» (nella Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 2016, n. 206): 
        art. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8; 
        art. 2, commi 1, 2, 5, 6, 7; 
        art. 6; 
        art. 9, commi 1 e 2. 
 
                               Motivi 
 
1) Premessa e motivi comuni alle disposizioni impugnate. 
    Le norme  impugnate,  strutturando  un  meccanismo  di  selezione
nazionale per l'accesso alla dirigenza sanitaria regionale,  abrogano
espressamente l'art. 3-bis del decreto legislativo n.  502  del  1992
(cosi' come modificato dal decreto legislativo n. 229/1999  e  quindi
dal decreto legge 13 settembre 2012, n. 158) nei commi: 1, da 3 a  7,
13 e 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992;  altre  disposizioni
dello  stesso  articolo,  invece,  sono  abrogate  solo   in   quanto
incompatibili. 
    Queste disposizioni, benche' (almeno  in  gran  parte)  anteriori
alla  riforma  del  Titolo  V  della   Costituzione,   riconoscevano,
tuttavia, una ben piu' ampia autonomia regionale. 
    Secondo l'art. 3-bis, infatti,  veniva  previsto:  i)  un  elenco
regionale di idonei; ii) una selezione effettuata, secondo  modalita'
e criteri individuati dalla Regione,  da  parte  di  una  commissione
costituita dalla regione medesima; iii) che le Regioni organizzassero
e attivassero corsi obbligatori «di formazione in materia di  sanita'
pubblica e di  organizzazione  e  gestione  sanitaria»;  iv)  che  le
Regioni concordassero «in sede di Conferenza delle  regioni  e  delle
province autonome, criteri e sistemi per valutare e  verificare  tale
attivita'»; v) che le stesse Regioni  disciplinassero  «le  cause  di
risoluzione  del  rapporto  con  il  direttore  amministrativo  e  il
direttore sanitario». 
    Questo impianto normativo viene cancellato  e  sostituito  da  un
sistema di selezione sostanzialmente nazionale. 
    Eppure la materia relativa all'accesso alla  dirigenza  sanitaria
non attiene, come ha avuto modo di chiarire,  con  estrema  chiarezza
codesta ecc.ma Corte costituzionale - sentenza n. 181 del 2006 - alla
materia ordinamento civile («deve escludersi «che ogni disciplina, la
quale tenda a regolare  e  vincolare  l'opera  dei  sanitari,  (...),
rientri per cio' stesso nell'area dell'ordinamento civile», riservata
al legislatore statale»  (cosi'  la  sentenza  n.  282  del  2002)»),
rientrando invece nella  materia  dell'organizzazione  amministrativa
rimessa alla competenza residuale regionale, o semmai, in base  a  un
criterio di prevalenza, nella materia concorrente della tutela  della
salute. 
    Le norme impugnate, invece, hanno disciplinato  l'intera  materia
dell'accesso  alla  dirigenza  sanitaria  attribuendone  le  relative
funzioni  amministrative  al  livello  centrale  e  al  tempo  stesso
regolandone puntualmente l'esercizio senza che sia intervenuta alcuna
intesa con le Regioni. 
    Alle Regioni, infatti, e' stato richiesto un mero parere,  quindi
in pieno ed evidente contrasto della  consolidata  giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale sui canoni necessari per  un  uso
legittimo dello «strumento della chiamata in sussidiarieta',  cui  lo
Stato puo' ricorrere al fine di allocare e disciplinare una  funzione
amministrativa (sentenza n. 303 del  2003)  pur  quando  la  materia,
secondo  un  criterio  di  prevalenza,  appartenga  alla   competenza
regionale concorrente, ovvero residuale». 
    Infatti, secondo tali criteri:  «perche'  nelle  materie  di  cui
all'art. 117, terzo e quarto comma,  della  Costituzione,  una  legge
statale possa legittimamente  attribuire  funzioni  amministrative  a
livello  centrale  ed  al  tempo  stesso  regolarne  l'esercizio,  e'
necessario  che  essa  innanzi   tutto   rispetti   i   principi   di
sussidiarieta', differenziazione  ed  adeguatezza  nella  allocazione
delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze  di  esercizio
unitario di tali funzioni. 
    E' necessario, inoltre,  che  tale  legge  detti  una  disciplina
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette
funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile
a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare  adottata  a  seguito  di
procedure che assicurino la partecipazione  dei  livelli  di  governo
coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione  o,  comunque,
deve prevedere adeguati meccanismi di  cooperazione  per  l'esercizio
concreto delle funzioni amministrative allocate in capo  agli  organi
centrali. Quindi, (...) la legislazione statale di questo  tipo  puo'
aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo  in
presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui  assumano  il
dovuto  risalto  le  attivita'  concertative   e   di   coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in  base
al principio di  lealta'»  (sentenza  n.  6  del  2004  punto  7  del
Considerato in diritto)». 
    Cosi', con estrema chiarezza, si esprime la sentenza n.  278  del
2010, precisando, fra l'altro, che nel vigente «titolo V della  Parte
seconda della Costituzione non sussiste piu' «l'equazione  elementare
interesse nazionale = competenza statale» e che  quindi  di  per  se'
«l'interesse  nazionale  non  costituisce  piu'  un  limite,  ne'  di
legittimita' ne' di merito, alla  competenza  legislativa  regionale»
(sentenza n. 303 del 2003, punto 2.2 del Considerato in diritto)». 
    Nel caso di specie nessuna intesa e'  stata  prevista.  E'  stato
previsto, invece, solo un semplice parere, in  violazione  quindi  di
quanto anche piu' recentemente ribadito  nella  sentenza  n.  21  del
2016: «deve, pertanto, trovare applicazione  il  principio  generale,
costantemente ribadito  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  (da
ultimo, sentenza n. 1 del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati da
una pluralita' di competenze, qualora non risulti possibile  comporre
il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di
prevalenza, non e' costituzionalmente  illegittimo  l'intervento  del
legislatore statale, «purche' agisca nel rispetto  del  principio  di
leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di se' i rapporti
tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis,  sentenze  n.
44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del  2008)  e  che  puo'
ritenersi congruamente attuato mediante  la  previsione  dell'intesa»
(sentenza n. 1 del 2016)». 
    Va peraltro precisato che la legge delega  n.  124  del  2015  ha
previsto una intesa solo ed unicamente per  l'istituzione  del  ruolo
unico dei dirigenti regionali, la cui istituzione, nella  sistematica
della delega era contenuta all'interno della disciplina dettata  «con
riferimento all'inquadramento» (art. 11, comma 1,  lettera  b,  della
legge n. 124 del 2015), mentre le norme impugnate sono state  emanate
in attuazione dell'art. 11, comma 1, lettera p) della  legge  n.  124
del 2015, cioe' con riferimento all'accesso, ovvero - per  utilizzare
le  stesse  parole  della  legge  delega  -  «al  conferimento  degli
incarichi». Ne e' peraltro evidente riprova  che  nel  preambolo  del
decreto legislativo n. 171 del 2016 non si faccia alcun riferimento a
quella intesa, bensi' venga solo richiamato il parere espresso  dalla
Conferenza unificata nella seduta del 3 marzo 2016. 
    Peraltro, occorre anche ricordare che la  regolamentazione  delle
modalita'  di  accesso  al  lavoro  pubblico   regionale   e'   stata
riconosciuta da questa  ecc.ma  Corte  nel  novero  della  competenza
residuale regionale in materia di organizzazione amministrativa delle
Regioni (sentenze n. 235 del 2010, n. 100 del 2010, n. 95 del  2008).
Al punto che la sentenza n. 380 del 2004  ha  dichiarato  illegittime
norme statali relative alla valutazione dei titoli dei  medici  nella
parte in cui si applicavano ai concorsi banditi dalle Regioni o dagli
enti regionali. 
    Ma non solo. 
    E' altrettanto evidente che la nuova disciplina non  lascia  alle
Regioni alcuno spazio normativo adeguato  per  poter  sviluppare  una
normativa di dettaglio in conformita' al carattere concorrente  della
materia «tutela della salute». 
    E' significativo quindi ricordare  come,  sempre  in  materia  di
tutela della salute, la sentenza n. 371 del 2008  di  codesta  ecc.ma
Corte, pur in relazione a  una  normativa  di  ben  minore  rilevanza
rispetto a quelle qui impugnate, abbia precisato: «Merita, viceversa,
parziale accoglimento la censura che investe la prima parte del comma
4, giacche' - nell'ambito  di  una  disposizione  che  pur  riconosce
un'ampia facolta' a Regioni e Province autonome  nella  scelta  degli
strumenti  piu'  idonei  ad  assicurare  il  reperimento  dei  locali
occorrenti per lo svolgimento  della  attivita'  intra  moenia  -  si
prevede un parere «vincolante» (da esprimersi da parte  del  Collegio
di direzione di cui all'art. 17 del decreto legislativo  n.  502  del
1992, o, in mancanza, della commissione paritetica dei  sanitari  che
esercitano l'attivita' libero  professionale  intramuraria)  ai  fini
dell'acquisto, della locazione  o  della  stipula  delle  convenzioni
finalizzate al reperimento di  quegli  spazi  ambulatoriali  esterni,
aziendali e pluridisciplinari,  da  adibire  anche  allo  svolgimento
dell'attivita' libero-professionale intramuraria. 
    In  tal  modo  e'  stata  posta  una  prescrizione   che,   lungi
dall'essere espressiva di un principio fondamentale, regola  in  modo
dettagliato ed autoapplicativo l'attivita' di reperimento dei  locali
in questione. Cosi' disponendo, pero', la  norma  statale  opera  una
eccessiva  compressione  della  facolta'  di  scelta  spettante  alle
Regioni e alle Province autonome. Essa e', quindi, lesiva della  loro
potesta'  di  disciplinare  aspetti  relativi   alle   modalita'   di
organizzazione dell'esercizio della libera professione  intra  moenia
da parte  dei  sanitari  che  abbiano  optato  per  il  tempo  pieno.
Pertanto,  deve  essere  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, limitatamente alla
parola "vincolante".» 
    Ma vi e' di piu'. 
    Quello della sanita', infatti, costituisce uno dei pochi  settori
pubblici in cui l'Italia si trova ai primi  posti  nelle  classifiche
internazionali: secondo i dati  OCSE  infatti  il  sistema  sanitario
italiano si colloca al  secondo  posto  per  livello  di  qualita'  e
all'undicesimo per livello di spesa (all. 2 e 3). 
    Tuttavia, nella sanita' italiana si trova il meglio e  il  peggio
dei Paesi industrializzati. L'inefficienza in passato,  ma  anche  in
tempi recenti, continua a concentrarsi in  alcune  Regioni,  dove  la
situazione e', da un lato, figlia del passato perche' le risorse  per
garantire  i  servizi  vengono  drenate  per  coprire  il  pregresso;
dall'altro, e' generata dall'oggi essendo spesso  disatteso  il  vero
problema:  una  seria  capacita'   di   programmazione   e   gestione
dell'organizzazione della sanita'. 
    Il  dato  di  media   rilevato   dall'OCSE   (che   e'   riferito
complessivamente  all'Italia)  e'  quindi   possibile   grazie   alle
straordinarie performances che  ottengono  Regioni  come  il  Veneto,
Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche. 
    La sintesi e'  questa:  ci  sono  poche  Regioni  che  funzionano
eccezionalmente bene e molte eccezionalmente male, dove continuano  a
sussistere gravi problemi sulla rilevazione dei costi, sulla qualita'
dei dati contabili e sul sistema di controlli interni. 
    E' quindi del tutto assente una adeguata  esigenza  unitaria  che
imponga la centralizzazione dell'accesso alla dirigenza sanitaria  in
quelle Regioni che hanno raggiunto risultati di assoluta  eccellenza,
rilevati con  indubbia  chiarezza  da  organismi  sia  nazionali  (in
termini di garanzia dei Lea e di  raggiungimento  dell'equilibrio  di
bilancio) che internazionali (in termini di  valutazione  comparativa
con altri sistemi sanitari). 
    Vengono  chiaramente  violati  in  questo  caso   i   canoni   di
adeguatezza e «di  proporzionalita'  richiesti  dalla  giurisprudenza
costituzionale al fine di riconoscere la legittimita' di'  previsioni
legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di  competenza
delle Regioni» (cosi' sentenza n. 215 del 2010). 
    Inoltre, i modelli di organizzazione sanitaria di queste  Regioni
sono diversissimi tra di loro: il modello lombardo e'  l'antitesi  di
quello toscano, quello veneto e' molto diverso da quello  emiliano  e
cosi' via. E questo e' proprio il punto di  forza  di  tali  modelli,
costruiti nel  tempo  su  specificita'  amministrative  e  giuridiche
regionali. Un sistema indistinto di selezione a livello nazionale  e'
destinato certamente a compromettere la possibilita'  di  selezionare
adeguatamente figure capaci di gestire tali modelli. 
    In conclusione: la creazione di un sistema nazionale di selezione
della dirigenza sanitaria, se potrebbe risultare (in  ogni  caso  nel
rispetto  delle  procedure  concertative  richieste)   proporzionato,
ragionevole e votato al conseguimento del buon  andamento  in  alcune
Regioni   che   non   conseguono   (in   alcuni   casi    addirittura
sistematicamente)  risultati  di   eccellenza,   appare   del   tutto
ingiustificato rispetto a  quelle  realta'  dove  in  alcun  modo  e'
configurabile l'esigenza di un intervento uniformatore dello Stato. 
    In questi ambiti (tra i quali  oggettivamente  rientra  anche  la
regione Veneto, assunta dallo stesso governo  nazionale  a  benchmark
per la determinazione dei costi standard) la creazione di un  sistema
nazionale  di   selezione,   con   una   conseguente   ingiustificata
retrocessione della autonomia, puo' con tutta  probabilita'  condurre
al risultato opposto a quello che  il  legislatore  nazionale  sembra
voler perseguire. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n.  171,  per  violazione
degli articoli 3, 32, 97, 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 1 del  decreto  legislativo  n.  171  del  2016  introduce
diverse  disposizioni  che  concretizzano  un  deciso   vulnus   alla
posizione  costituzionalmente  garantita  alle   Regioni,   sia   con
riferimento alla relativa autonomia legislativa e amministrativa, sia
con riguardo ai  fattori  organizzativi  che  hanno  consentito  alla
regione Veneto di raggiungere un riconosciuto livello  di  eccellenza
in materia sanitaria a livello globale. 
    Nello specifico, l'articolo dispone quanto segue: 
        comma 1: «I provvedimenti di nomina  dei  direttori  generali
delle aziende sanitarie locali, delle  aziende  ospedaliere  e  degli
altri  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale  sono  adottati  nel
rispetto di quanto previsto dal presente articolo»; 
        comma 2: «E' istituito, presso  il  Ministero  della  salute,
l'elenco nazionale dei  soggetti  idonei  alla  nomina  di  direttore
generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere  e
degli altri enti del Servizio  sanitario  nazionale,  aggiornato  con
cadenza   biennale.   Fermo   restando   l'aggiornamento    biennale,
l'iscrizione nell'elenco e' valida per  quattro  anni,  salvo  quanto
previsto dall'art. 2, comma 7. L'elenco nazionale e'  alimentato  con
procedure informatizzate ed  e'  pubblicato  sul  sito  internet  del
Ministero della salute»; 
        comma 3: «Ai fini della  formazione  dell'elenco  di  cui  al
comma 2, con decreto del Ministro della salute e' nominata  ogni  due
anni, senza nuovi o maggiori oneri  per  la  .finanza  pubblica,  una
commissione composta da cinque  membri,  di  cui  uno  designato  dal
Ministro  della  salute  con  funzioni  di  presidente   scelto   tra
magistrati ordinari amministrativi, contabili e avvocati dello Stato,
e  quattro  esperti  di  comprovata  competenza  ed  esperienza,   in
particolare in materia di  organizzazione  sanitaria  o  di  gestione
aziendale, di cui  uno  designato  dal  Ministro  della  salute,  uno
designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali,  e
due designati dalla Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano.  I
componenti della commissione possono essere nominati una sola volta e
restano in carica per il tempo necessario alla formazione dell'elenco
e all'espletamento delle attivita' connesse e consequenziali. In fase
di prima applicazione, la commissione e' nominata entro trenta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto»; 
        comma 4: «La commissione di  cui  al  comma  3  procede  alla
formazione dell'elenco nazionale di cui al comma 2, entro  centoventi
giorni  dalla  data  di  insediamento,  previa  pubblicazione   nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sul sito internet  del
Ministero della salute di un avviso pubblico di selezione per titoli.
Alla selezione sono ammessi i  candidati  che  non  abbiano  compiuto
sessantacinque anni di eta' in possesso di: a) diploma di  laurea  di
cui all'ordinamento previgente al  decreto  ministeriale  3  novembre
1999, n. 509, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 2000,  n.
2, ovvero laurea specialistica o magistrale; b) comprovata esperienza
dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale
in altri settori, con autonomia gestionale e diretta  responsabilita'
delle risorse umane, tecniche e o finanziarie, maturata  nel  settore
pubblico o nel settore privato; c) attestato rilasciato all'esito del
corso  di  formazione  in  materia   di   sanita'   pubblica   e   di
organizzazione  e  gestione  sanitaria.   I   predetti   corsi   sono
organizzati e attivati dalle regioni, anche in ambito interregionale,
avvalendosi anche  dell'Agenzia  nazionale  per  i  servizi  sanitari
regionali, e in collaborazione con le universita'  o  altri  soggetti
pubblici o privati accreditati ai sensi dell'art. 16-ter, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n.  502,  e  successive  modificazioni,
operanti nel campo della  formazione  manageriale,  con  periodicita'
almeno biennale. Entro centoventi giorni dalla  data  di  entrata  in
vigore del presente  decreto,  con  Accordo  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e  di  Bolzano,  sono  definiti  i  contenuti,  la
metodologia delle attivita' didattiche tali  da  assicurare  un  piu'
elevato livello della formazione, la durata dei corsi  e  il  termine
per l'attivazione degli stessi, nonche' le modalita' di conseguimento
della certificazione. Sono, fatti salvi gli attestati  di  formazione
conseguiti alla data di entrata in vigore del  presente  decreto,  ai
sensi delle  disposizioni  previgenti  e,  in  particolare  dell'art.
3-bis, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502,  e
successive  modificazioni,  nonche'  gli  attestati   in   corso   di
conseguimento ai sensi di quanto previsto dal  medesimo  art.  3-bis,
comma 4, anche se conseguiti in data posteriore all'entrata in vigore
del  presente  decreto,  purche'  i  corsi  siano  iniziati  in  data
antecedente alla data di stipula  dell'accordo  di  cui  al  presente
comma»; 
        comma 5: «I requisiti indicati  nel  comma  4  devono  essere
posseduti  alla  data  di  scadenza  del  termine  stabilito  per  la
presentazione della domanda  di  ammissione.  Alle  domande  dovranno
essere allegati il curriculum formativo e  professionale  e  l'elenco
dei titoli valutabili ai sensi del comma 6.  La  partecipazione  alla
procedura di selezione  e'  subordinata  al  versamento  ad  apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato di un contributo pari ad
euro 30, non rimborsabile. I relativi introiti  sono  riassegnati  ad
apposito capitolo di spesa dello stato di  previsione  del  Ministero
della  salute  per  essere  destinati  alle  spese   necessarie   per
assicurare il supporto allo svolgimento delle procedure  selettive  e
per la gestione dell'elenco di idonei cui al presente articolo»; 
        comma 6: «La commissione procede alla valutazione dei  titoli
formativi e professionali e della comprovata esperienza  dirigenziale
assegnando un punteggio secondo parametri definiti  con  decreto  del
Ministro della salute, da emanare entro trenta giorni dalla  data  di
entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  e   criteri   specifici
predefiniti nell'avviso pubblico di cui al comma 4,  considerando  in
modo  paritario:  a)   relativamente   alla   comprovata   esperienza
dirigenziale, la tipologia e dimensione delle strutture  nelle  quali
e' stata maturata, anche in termini di risorse  umane  e  finanziarie
gestite, la posizione di coordinamento e responsabilita' di strutture
con incarichi di durata non inferiore a un  anno,  nonche'  eventuali
provvedimenti  di  decadenza,  o   provvedimenti   assimilabili;   b)
relativamente ai titoli formativi  e  professionali,  l'attivita'  di
docenza svolta in  corsi  universitari  e  post  universitari  presso
istituzioni pubbliche e private  di'  riconosciuta  rilevanza,  delle
pubblicazioni e delle produzioni  scientifiche  degli  ultimi  cinque
anni, il  possesso  di  diplomi  di  specializzazione,  dottorati  di
ricerca, master, abilitazioni professionali»; 
        comma 7: «Il punteggio massimo complessivamente  attribuibile
dalla commissione a ciascun candidato  e'  di  100  punti  e  possono
essere  inseriti  nell'elenco  nazionale  i  candidati  che   abbiano
conseguito un punteggio minimo non inferiore a 75 punti. Il punteggio
e' assegnato  ai  fini  dell'inserimento  del  candidato  nell'elenco
nazionale»; 
        comma 8: «Non possono essere reinseriti nell'elenco nazionale
coloro che siano stati dichiarati decaduti dal precedente incarico di
direttore generale per violazione degli obblighi  di  trasparenza  di
cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato  dal
decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97». 
    In questi termini, alle Regioni - con una disciplina di dettaglio
che illegittimamente riformula, come chiarito nella  Premessa  comune
di cui al p.to 1 che viene qui interamente richiamata, l'accesso alla
dirigenza  regionale  -  viene  interamente   sottratta   l'attivita'
(precedentemente riconosciuta dall'art. 3-bis del decreto legislativo
n. 502 del 1992) relativa alla formazione dell'elenco  degli  idonei,
che  viene  sostituito  da  un  elenco  nazionale,  formato  da   una
commissione nazionale, a seguito di una valutazione nazionale i)  dei
titoli formativi e professionali e ii)  della  comprovata  esperienza
dirigenziale. Inoltre,  a  un  decreto  del  Ministro  della  salute,
adottato senza alcuna partecipazione delle Regioni,  viene  demandata
la fissazione dei parametri del punteggio. 
    Nessuno spazio normativo rimane piu' riconosciuto  alle  Regioni,
che  vengono  completamente   espropriate   delle   loro   competenze
legislative e amministrative di cui agli articoli 117, III e IV comma
e 118 della Costituzione. 
    L'unico    spazio    riconosciuto    alle    Regioni     riguarda
l'organizzazione del  corso  di  formazione  in  materia  di  sanita'
pubblica  e  di  organizzazione  e  gestione  sanitaria:  si   tratta
evidentemente di uno spazio irrisorio e che non vale in alcun modo  a
superare le censure di costituzionalita' prospettate. 
    Come  affermato  nella  Premessa  comune  di  cui  al   p.to   1,
considerando che la regione Veneto consegue, nell'ambito della tutela
salute, risultati di eccellenza e rispetta pienamente  gli  obiettivi
di bilancio, al punto che  e'  stata  assunta  dallo  stesso  Governo
nazionale a benchmark per la determinazione dei costi standard  nella
sanita',  le  disposizioni  impugnate  non  traducono  alcuna  valida
esigenza unitaria, rischiano anzi di compromettere  la  garanzia  dei
diritti sociali in materia di tutela  della  salute  garantiti  nella
Regione Veneto e non rispettano  il  principio  di  proporzionalita',
ponendosi in violazione degli articoli 3, 32, 97 della Costituzione. 
    La  ridondanza  delle  predette   violazioni   sulla   competenza
regionale in materia di tutela della salute  deriva  chiaramente  dal
fatto che la Regione viene espropriata delle  proprie  competenze  in
relazione alla disciplina dell'accesso alla  figura  della  dirigenza
sanitaria. 
    Infine, viene violato anche l'art.  119  della  Costituzione  dal
momento che l'ingerenza statale nella procedura relativa  all'accesso
alla dirigenza non considera che  e'  sulla  Regione  che  ricade  la
responsabilita' del corretto governo, anche finanziario, dei  sistemi
sanitari regionali. 
    Viene altresi' violato il principio di  leale  collaborazione  di
cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento  che,  come
precisato nella richiamata Premessa comune di cui al punto 1, non  e'
stata prevista alcuna intesa. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 5, 6, 7 del
decreto legislativo 4 agosto  2016,  n.  171,  per  violazione  degli
articoli  3,  32,  97,  117,  III  e  IV  comma,  118  e  119   della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    Anche l'art. 2 del decreto legislativo n. 171 del 2016  introduce
- ai commi 1, 2, 5,  6  e  7  -  diverse  disposizioni  lesive  della
posizione costituzionalmente garantita alle Regioni e che determinano
un vulnus per la tutela della salute e  per  il  buon  governo  della
sanita' regionale. 
    Nello specifico, le norme impugnate prevedono quanto segue: 
        comma   1:   «Le   regioni   nominano   direttori    generali
esclusivamente  gli  iscritti  all'elenco  nazionale  dei   direttori
generali di cui all'art. 1. A tale fine, la regione rende  noto,  con
apposito avviso pubblico, pubblicato sul sito internet  istituzionale
della regione  l'incarico  che  intende  attribuire,  ai  fini  della
manifestazione  di  interesse  da   parte   dei   soggetti   iscritti
nell'elenco nazionale. La valutazione  dei  candidati  per  titoli  e
colloquio e' effettuata da una commissione regionale,  anche  tenendo
conto di eventuali provvedimenti  di  accertamento  della  violazione
degli obblighi in materia di trasparenza. La commissione, composta da
esperti,   indicati   da   qualificate    istituzioni    scientifiche
indipendenti  che  non  si  trovino  in   situazioni   di   conflitto
d'interessi, di  cui  uno  designato  dall'Agenzia  nazionale  per  i
servizi sanitari regionali,  e  uno  dalla  regione,  senza  nuovi  o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, propone al presidente
della regione una rosa di  candidati,  non  inferiore  a  tre  e  non
superiore a cinque, nell'ambito dei quali  viene  scelto  quello  che
presenta  requisiti  maggiormente  coerenti  con  le  caratteristiche
dell'incarico da attribuire. Nella rosa proposta non  possono  essere
inseriti  coloro  che  abbiano  ricoperto  l'incarico  di   direttore
generale, per due  volte  consecutive,  presso  la  medesima  azienda
sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo  ente
del Servizio sanitario nazionale»; 
        comma 2: «Il provvedimento di nomina, di conferma o di revoca
del direttore generale e' motivato e  pubblicato  sul  sito  internet
istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati,
unitamente al curriculum del nominato,  nonche'  ai  curricula  degli
altri candidati inclusi nella rosa. All'atto della nomina di  ciascun
direttore generale, le regioni definiscono e assegnano, aggiornandoli
periodicamente, gli  obiettivi  di  salute  e  di  funzionamento  dei
servizi con riferimento  alle  relative  risorse,  gli  obiettivi  di
trasparenza, finalizzati a rendere i  dati  pubblicati  di  immediata
comprensione  e  consultazione  per  il  cittadino,  con  particolare
riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale,
da indicare sia in modo aggregato che analitico,  tenendo  conto  dei
canoni valutativi di cui al  comma  3,  e  ferma  restando  la  piena
autonomia gestionale dei direttori stessi. La durata dell'incarico di
direttore generale non puo' essere inferiore a tre anni e superiore a
cinque anni. Alla scadenza dell'incarico, ovvero,  nelle  ipotesi  di
decadenza e di mancata conferma dell'incarico, le  regioni  procedono
alla  nuova  nomina,  previo  espletamento  delle  procedure  di  cui
presente  articolo.  In  caso  di  commissariamento   delle   aziende
sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli  altri  enti  del
Servizio sanitario nazionale, il commissario e' scelto tra i soggetti
inseriti nell'elenco nazionale»; 
        comma 5: «La regione, previa contestazione e nel rispetto del
principio  del  contraddittorio,  provvede,   entro   trenta   giorni
dall'avvio del procedimento, a risolvere  il  contratto,  dichiarando
l'immediata  decadenza  del  direttore  generale  con   provvedimento
motivato e provvede alla sua sostituzione con le procedure di cui  al
presente articolo, se ricorrono gravi e comprovati motivi,  o  se  la
gestione presenta una situazione di  grave  disavanzo  imputabile  al
mancato raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 3, o  in  caso
di manifesta violazione di legge o regolamenti  o  del  principio  di
buon andamento e di imparzialita'  dell'amministrazione,  nonche'  di
violazione degli obblighi in materia di trasparenza di cui al decreto
legislativo 14  marzo  2013,  n.  33,  come  modificato  dal  decreto
legislativo 25 maggio 2016, n. 97. In tali casi la  regione  provvede
previo parere della Conferenza di cui all'art. 2,  comma  2-bis,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.   502,   e   successive
modificazioni, che si esprime  nel  termine  di  dieci  giorni  dalla
richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione  del  contratto
puo' avere comunque corso.  Si  prescinde  dal  parere  nei  casi  di
particolare gravita' e  urgenza.  Il  sindaco  o  la  Conferenza  dei
sindaci di cui all'art. 3,  comma  14,  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502, e successive  modificazioni,  ovvero,  per  le
aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all'art.  2,  comma  2-bis,
del medesimo decreto legislativo, nel caso di manifesta  inattuazione
nella realizzazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla
regione di revocare  l'incarico  del  direttore  generale.  Quando  i
procedimenti di valutazione e di decadenza dall'incarico  di  cui  al
comma 4 e al presente comma riguardano  i  direttori  generali  delle
aziende ospedaliere, la Conferenza di cui al medesimo art.  2,  comma
2-bis, e'  integrata  con  il  sindaco  del  comune  capoluogo  della
provincia in cui e' situata l'azienda»; 
        comma 6: «E' fatto salvo quanto previsto dall'art. 52,  comma
4, lettera d), della  legge  27  dicembre  2002,  n.  289,  e  quanto
previsto dall'art. 3-bis, comma 7-bis,  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502, e successive  modificazioni,  e  dall'art.  1,
commi 534 e 535, della legge 28 dicembre 2015, n. 208»; 
        comma 7: «I provvedimenti di decadenza di cui ai commi 4 e  5
e di decadenza automatica di  cui  al  comma  6  sono  comunicati  al
Ministero  della  salute  ai  fini  della  cancellazione  dall'elenco
nazionale del soggetto decaduto dall'incarico. Fermo restando  quanto
disposto al comma 6, lettera a), dell'art. 1,  i  direttori  generali
decaduti possono essere reinseriti nell'elenco esclusivamente  previa
nuova selezione. 
    In questi termini le suddette disposizioni  si  strutturano  come
conseguenziali rispetto a quanto prevede l'art. 1. 
    Il comma 1 dell'art. 2, infatti, prevede che le Regioni  nominino
quali  direttori  generali  esclusivamente  gli  iscritti  all'elenco
nazionale di cui all'art. 1. 
    Il  comma  2  dell'art.  2  prevede  che  anche  la  scelta   del
commissario  -nelle  ipotesi  di   commissariamento   delle   aziende
sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli  altri  enti  del
Servizio sanitario nazionale - debba avvenire tra i soggetti iscritti
nel citato elenco nazionale. 
    Il comma 5 richiama tali procedure previste dall'art.  2  qualora
sia necessario sostituire un direttore generale  decaduto.  Anche  il
sostituto, pertanto, dovra' essere scelto  tra  i  soggetti  iscritti
nell'elenco nazionale. 
    Il comma 7, poi, prevede che, in relazione ai direttori  generali
decaduti, il loro reinserimento in detto elenco possa  avvenire  solo
previa nuova selezione da effettuarsi secondo le  modalita'  previste
dalle norme impugnate. 
    Il comma 6 dell'art. 2, infine, richiama  le  disposizioni  sulla
decadenza del direttore generale di cui ai  commi  534  e  535  della
legge 28 dicembre 2015, n. 208 che sono gia'  stati  impugnati  dalla
regione Veneto innanzi a codesta ecc.ma Corte con il ricorso iscritto
al n. 17 del 2016 per violazione degli articoli  3,  32  e  97  della
Costituzione, 117, III e IV comma, 118,  119,  123,  5  e  120  della
Costituzione con riguardo al principio di leale collaborazione. 
    Oltre a questo occorre rilevare, piu' puntualmente, che l'art. 2,
comma 1, prevede anche  una  sostanziale  modifica  della  precedente
modalita' di selezione dei direttori generali. 
    Infatti,  non  solo  l'elenco  regionale   degli   idonei   viene
sostituito da quello nazionale, ma, mentre  l'art.  3-bis,  comma  3,
prevedeva che fosse la Regione a disciplinare «modalita'  e  criteri»
della selezione, tale  procedura  viene  ora  stabilita  direttamente
dall'art. 2, comma 1, prevedendo che sia una commissione regionale (i
cui componenti vengono pero' direttamente  individuati  dalla  norma,
prevedendo che solo uno sia nominato dalla Regione)  a  indicare  una
rosa di candidati (il cui numero e' fissato dalla norma impugnata tra
tre e cinque) all'interno della quale il Presidente della Regione  e'
obbligato a nominare il direttore generale. 
    Inoltre, un  altro  nuovo  limite  alla  autonomia  regionale  e'
costituito dalla previsione  che  nella  rosa  proposta  non  possano
essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di  direttore
generale, per due  volte  consecutive,  presso  la  medesima  azienda
sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo  ente
del Servizio sanitario. 
    In  questo  modo  le  Regioni   vengono   espropriate   di   ogni
significativo spazio nella disciplina dell'accesso  alla  figura  dei
direttori  generali,  nonche'  della  possibilita',   precedentemente
riconosciuta dall'ordinamento, di selezionare i direttori  secondo  i
criteri maggiormente funzionali al buon andamento del proprio modello
di organizzazione sanitaria. 
    In altre parole, il  Presidente  della  regione  Veneto  potrebbe
vedersi costretto a scegliere tra una rosa  di  figure  professionali
interamente provenienti da una o piu' Regioni altamente  inefficienti
nella gestione sanitaria,  nonostante  la  responsabilita'  del  buon
andamento della gestione sanitaria regionale  ricada  poi,  comunque,
sull'autonomia regionale. 
    Si  determina  pertanto,  anche  per  i  motivi  riportati  nella
Premessa comune di cui  al  punto  1,  che  vengono  qui  interamente
richiamati, la violazione degli articoli 117, III e IV  comma  e  118
della Costituzione. 
    Considerato  quanto  in  precedenza   affermato   sui   risultati
conseguiti  dalla  regione  Veneto  nell'ambito  della  tutela  della
salute, si tratta, anche in questo  caso,  di  disposizioni  che  non
traducono alcuna valida esigenza  unitaria,  rischiano  piuttosto  di
compromettere i diritti sociali in materia  di  tutela  della  salute
oggi efficacemente garantiti nella regione Veneto e non rispettano il
principio di proporzionalita', ponendosi quindi in  violazione  degli
articoli 3, 32 e 97 della Costituzione. 
    La  ridondanza  delle  predette   violazioni   sulla   competenza
regionale in materia di tutela della salute deriva, anche  in  questo
caso, chiaramente dal fatto che la Regione  viene  espropriata  delle
proprie competenze in relazione  alla  disciplina  dell'accesso  alla
figura della dirigenza sanitaria. 
    Infine, viene violato anche l'art.  119  della  Costituzione  dal
momento che l'ingerenza statale nella procedura relativa  all'accesso
alla dirigenza non considera che, come detto, e'  sulle  Regioni  che
ricade la responsabilita' del corretto  governo,  anche  finanziario,
dei sistemi sanitari regionali. 
    Viene altresi' violato il principio di  leale  collaborazione  di
cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento  che,  come
precisato nella richiamata Premessa comune di cui al punto 1, non  e'
stata prevista alcuna intesa. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del decreto  legislativo
4 agosto 2016, n. 171, per violazione degli articoli 3, 97, 117,  III
e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche'  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    La norma impugnata afferma  che  «Le  disposizioni  di  cui  agli
articoli 1, 2, 3, 4 e 5, si applicano anche alle aziende  ospedaliero
universitarie, ferma restando per la nomina  del  direttore  generale
l'intesa della regione con il rettore». 
    La norma, estendendo le modalita' e i criteri di nomina  previsti
per   i   direttori   generali   anche   alle   aziende   ospedaliere
universitarie, impone  di  riproporre,  anche  in  relazione  a  tale
disposizione, gli identici profili di  illegittimita'  costituzionale
specificati in relazione agli articoli 1 e 2, nonche' le  motivazioni
indicate nella Premessa comune di cui al punto 1. 
    Anche l'art. 6 del decreto legislativo n. 171/2016, pertanto,  si
pone contrasto con gli articoli 3, 32 e 97  della  Costituzione,  che
ridonda nella  violazione,  anche  autonomamente  considerata,  degli
articoli 117, III e IV comma, 118, 119 e degli articoli 5 e 120 della
Costituzione. 
5) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  9,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 4 agosto  2016,  n.  171,  per  violazione  degli
articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e  119  della  Costituzione,
nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli  5
e 120 della Costituzione. 
    Le norme impugnate dispongono quanto segue: 
        comma 1: «A decorrere dalla data di  istituzione  dell'elenco
nazionale di cui  all'art.  1,  sono  abrogate  le  disposizioni  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.   502,   e   successive
modificazioni, di cui all'art. 3-bis, comma 1, commi  da  3  a  7,  e
commi 13 e 15.  Tutti  i  riferimenti  normativi  ai  commi  abrogati
dell'art. 3-bis devono, conseguentemente, intendersi come riferimenti
alle disposizioni del presente decreto»; 
        comma  2:  «Restano  altresi'  ferme,  in   ogni   caso.   le
disposizioni recate dai commi 2, 7-bis, 8 per  la  parte  compatibile
con le disposizioni del presente decreto, e da 9 a 12 e 14  dell'art.
3-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni, non abrogate dal presente decreto». 
    L'art.  9,  dunque,  per  fare  spazio  alla   nuova   disciplina
introdotta dal  decreto  legislativo  n.  171  del  2016,  abroga  le
precedenti disposizioni dell'art. 3-bis del  decreto  legislativo  n.
502 del 1992 che garantivano invece un ampio spazio alla legislazione
regionale; anche esso si pone, di conseguenza, in contrasto, per  gli
stessi motivi prima indicati in relazione agli articoli 1  e  2,  con
gli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, con  una  violazione  che
ridonda nella  violazione,  anche  autonomamente  considerata,  degli
articoli 117, III e IV comma, 118, 119  della  Costituzione  e  degli
articoli 5 e 120 della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Regione del Veneto chiede che  l'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti  disposizioni
del decreto legislativo 4 agosto 2016, n.  171,  recante  «Attuazione
della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della  legge  7
agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza  sanitaria»,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 2016, n. 206: 
        dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6,  7,  8,  per  violazione
degli articoli 3, 32, 97, 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
        dell'art. 2, commi 1,  2,  5,  6,  7,  per  violazione  degli
articoli  3,  32,  97,  117,  III  e  IV  comma,  118  e  119   della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
        dell'art. 6, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III  e
IV comma, 118 e 119 della  Costituzione,  nonche'  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
        dell'art. 9, commi 1 e 2, per violazione  degli  articoli  3,
97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
    Si depositano: 
        1) delibera della Giunta regionale n.  1723  del  2  novembre
2016 di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico
di patrocinio per la difesa regionale; 
        2) documento OCSE sulla qualita' della sanita' italiana; 
        3) documento OCSE sulla spesa sanitaria italiana. 
 
          Venezia-Treviso-Roma, 2 novembre 2016 
 
            Avv. Zanon - avv. prof. Antonini - avv. Manzi