N. 52 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2017
Ordinanza dell'8 febbraio 2017 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Severini Giuseppe e altri contro Presidenza del Consiglio dei ministri . Consiglio di Stato - Consiglieri vincitori di concorso - Trattamento economico - Benefici attribuiti ai sensi del nono comma dell'art. 4 della legge n. 425 del 1984 - Previsione, con norma d'interpretazione autentica, dell'abrogazione di tale disposizione dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992 - Previsione della perdita di efficacia dei provvedimenti e delle decisioni di autorita' giurisdizionali comunque adottati in difformita' dalla predetta interpretazione. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)"), art. 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo.(GU n.16 del 19-4-2017 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 5044 del 2013, proposto dai signori Giuseppe Severini, Luigi Maruotti, Carmine Volpe, Giampiero Paolo Cirillo, Luigi Carbone, Luciano Barra Caracciolo, Alessandro Botto, Rosanna De Nictolis, Marco Lipari, rappresentati e difesi dall'avvocato Massimo Congedo C.F. CNGMSM57P01E506U, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato, costituitosi in giudizio; per la ottemperanza al decreto del Presidente della Repubblica con cui si e' deciso il ricorso straordinario - diniego applicazione art. 4, comma 9, legge n. 425/84 - trattamento economico superiore - risarcimento dei danni; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella Camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l'avvocato Pietro Quinto, su delega dell'avv. Massimo Congedo, per la parte ricorrente, nonche', l'Avvocato dello Stato Chiarina Aiello per l'Amministrazione resistente; Fatto 1. Con il ricorso per l'ottemperanza al giudicato che viene alla decisione del Collegio e' stata chiesta dalla odierna parte impugnante la esecuzione di 9 decreti resi in sede di ricorso straordinario. 2. La risalente vicenda che aveva originato il contenzioso puo' essere cosi' sintetizzata: la odierna parte ricorrente in ottemperanza (nove Consiglieri di Stato vincitori di concorso) aveva chiesto il calcolo del trattamento economico ad essa spettante ai sensi dell'art. 4, comma 9, della legge n. 425/1984 (abrogato dall'art. 50 della legge n. 388/2000) ed aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso gli atti con i quali la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva respinto le relative istanze. Le decisioni assunte dal Capo dello Stato a fronte dell'esperimento del suddetto rimedio giustiziale avevano positivamente affermato l'obbligo per l'Amministrazione di determinare i trattamenti economici dei ricorrenti ai sensi del citato art. 4, comma 9, della legge n. 425/1984, tenendo conto del superiore trattamento spettante ai colleghi dei ricorrenti collocati in ruolo in posizione postergata rispetto a quella occupata dai ricorrenti stessi. In data 9 luglio 2000, la Presidenza del Consiglio aveva pero' escluso l'attribuzione, in favore degli interessati, del trattamento economico come sopra determinato, fornendo parziale esecuzione a quattro delle nove decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari proposti. 2.1. Gli odierni impugnanti avevano allora proposto ricorso per l'esecuzione del giudicato; esso era stato accolto dal Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6697) ma la decisione ad essi favorevole da quest'ultimo adottata era stata annullata da parte della Suprema Corte di cassazione per difetto di giurisdizione (Cass. civ. Sez. Unite, 18 dicembre 2001, n. 15978). 2.1.1. Medio tempore, essi avevano proposto ulteriori istanze di esecuzione: la Presidenza del Consiglio, con nota del 3 febbraio 2003 (resa in esito alla trasmissione, da parte della Segreteria generale del Consiglio di Stato, degli schemi aggiornati dei rispettivi decreti individuali), aveva respinto le nuove richieste degli istanti, opponendo loro il disposto dell'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000. 2.2. La odierna parte ricorrente in ottemperanza aveva impugnato detta nota, ma il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - con la sentenza n. 4104/2010 aveva respinto il ricorso (avverso detta decisione reiettiva essi hanno proposto il ricorso in appello n. 7594/2010). 2.2.1. In seno al processo successivamente sfociato nella decisione reiettiva del Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - n. 4104/2010, detto Giudice, con la ordinanza collegiale n. 6971 del 14 luglio 2004 aveva ritenuto non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388/2000 per contrasto con gli articoli 3, 24, 100, 103 e 113 della Carta Fondamentale (nella parte in cui tale norma, esplicitando la portata retroattiva dell'abrogazione da essa contemplata, prevedeva che questa potesse travolgere anche posizioni individuali gia' riconosciute mediante sentenze o decisioni di ricorsi straordinari che erano ormai divenute definitive) rimettendo il relativo giudizio alla Corte costituzionale. La Corte costituzionale con la sentenza n. 282 del 15 luglio 2005, aveva affermato l'infondatezza della sollevata questione di costituzionalita'. 2.2.2. Avverso la sentenza reiettiva del Tribunale amministrativo regionale n. 4104/2010 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha quindi proposto il ricorso in appello n. 7594/2010. 3. Successivamente, ha proposto il ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio (notificato il 16 giugno 2013 e depositato il 2 luglio 2013) merce' il quale si e' sostenuto che l'avvenuta piena giurisdizionalizzazione retroattiva del ricorso straordinario a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «disposizioni per lo sviluppo economico, la competitivita' nonche' in materia di processo civile» impedisse di ricomprendere i decreti decisori nel perimetro applicativo di cui all'art. 50 della legge n. 388/2000 e, conseguentemente, non vi fossero ragioni ostative alla esecuzione del «giudicato» formatosi in favore di parte appellante; in via subordinata sono stati riproposti i parametri di asserito conflitto della disposizione normativa suddetta non esaminati dalla Corte costituzionale nella decisione n. 282 del 2005 da essa resa nell'ambito del giudizio cognitorio innanzi al Tribunale amministrativo regionale cui si e' dianzi fatto riferimento ed in ogni caso, ex art. 112 comma III del cpa, e' stato proposto un petitum risarcitorio anche ex art. 2059 del codice civile nella eventuale e denegata ipotesi in cui si fosse affermata la impossibilita' di esecuzione dei detti decreti decisori. 4. In data 5 luglio 2013 la Presidenza del Consiglio dei ministri si e' costituita con atto di stile. 5. In data 26 giugno 2014 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi. 6. In data 18 settembre 2014 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi. 7. In data 20 settembre 2014 la Presidenza del Consiglio dei ministri depositato una memoria chiedendo la reiezione del ricorso in ottemperanza in quanto inammissibile, e comunque infondato. 8. In data 25 settembre 2014 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una memoria di replica, puntualizzando le proprie tesi e confutando le deduzioni dell'intimata Presidenza del Consiglio dei ministri. 9. Con nota depositata il 29 settembre 2014 in vista della Camera di consiglio del 7 ottobre 2014 la parte ricorrente in ottemperanza ha dichiarato di rinunciare subordinatamente al petitum risarcitorio proposto: piu' in particolare, essa ha fatto presente che, per senso dello Stato, ove il petitum principale contenuto nel ricorso in ottemperanza fosse stato accolto, ovvero fosse stato accolto il petitum principale proposto nella parallela causa n. 7594/2010 del pari chiamata in decisione alla pubblica udienza del 7 ottobre 2014, essa avrebbe rinunciato alle domande risarcitorie proposte. 10. Alla Camera di consiglio del 7 ottobre 2014 la causa e' stata posta in decisione dal Collegio ed e' stata resa l'ordinanza collegiale n. 5538/2014, da intendersi integralmente richiamata e trascritta nel presente provvedimento, nell'ambito della quale il Collegio: a) in primo luogo non ha aderito alla richiesta di trattazione congiunta del presente ricorso in ottemperanza con il ricorso n. 7594/2010 del pari chiamato in decisione alla pubblica udienza del 7 ottobre 2014; b) secondariamente, datosi atto che nell'ambito del ricorso n. 7594/2010 del pari chiamato in decisione alla pubblica udienza del 7 ottobre 2014 la Sezione aveva deferito con ordinanza collegiale la controversia all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, e' stata disposta la sospensione facoltativa del presente giudizio ex art. 295 cpc ed art. 79 del cpa, in attesa del pronunciamento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella surrichiamata causa connessa. 11. In data 4 maggio 2016 la parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una richiesta di revoca della ordinanza collegiale n. 5538/2014 suindicata, deducendo che: a) a seguito del deferimento del ricorso n. 7594/2010 all'Adunanza alenaria del Consiglio di Stato, quest'ultima con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 aveva sollevato una questione di costituzionalita' dell'art. 50 comma 4 della legge n. 388/2000 e sospeso il giudizio in attesa della decisione dalla Corte costituzionale adita; b) sussisteva l'interesse alla immediata decisione del ricorso in ottemperanza (ed all'accoglimento del medesimo) ovvero, in via subordinata, l'interesse a che le ulteriori questioni di costituzionalita' sollevate nel presente giudizio venissero sollecitamente rimesse alla Corte costituzionale affinche', (ove quest'ultima lo avesse ritenuto opportuno e conducente) potessero essere riunite al giudizio gia' pendente in conseguenza dell'ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 suindicata. 12. In data 6 ottobre 2016 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi. 13. Alla Camera di consiglio del 3 novembre 2016 la Sezione con la ordinanza collegiale n. 4624 pubblicata il 4 novembre 2016 ha revocato l'ordinanza collegiale n. 5538/2014 ed ha fissato la trattazione della causa alla odierna Camera di consiglio del 1° dicembre 2016. 14. Alla odierna Camera di consiglio del 1° dicembre 2016 la causa e' stata trattenuta in decisione. Diritto In via preliminare appare opportuno chiarire - anche ai fini del giudizio di rilevanza - il rapporto che sussiste tra l'odierno ricorso in ottemperanza n. 5044/2013 e l'appello n. 7594/2010 attualmente sospeso in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388/2000 rimessale dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015. Si tratta di due giudizi attinenti alla medesima vicenda sostanziale che pero' si e' sviluppata lungo due direttrici - la richiesta ottemperanza ai decreti decisori e l'impugnazione in via ordinaria del riesame sfavorevole ai ricorrenti - che mantengono la loro autonomia sul piano processuale e in ordine ai quali persiste l'interesse di parte ricorrente (in ottemperanza e in appello) alla decisione, al fine di soddisfare la pretesa sostanziale a vedersi riconoscere quanto statuito dai richiamati decreti decisori e negato dall'Amministrazione (anche) in sede di riesame. La presente vicenda processuale si e' dipanata, in larga parte, in epoca in cui si dibatteva in ordine ai rapporti tra impugnazione ordinaria e ottemperanza al giudicato a fronte di un medesimo atto asseritamente elusivo (rapporti poi chiariti dalla decisione n. 2 del 15 gennaio 2013 dell'Adunanza Plenaria). E peraltro, nel presente giudizio, non si controverte sull'impugnazione di un medesimo atto, in quanto - come si e' rilevato - l'esecuzione del giudicato riguarda l'ottemperanza diretta dei decreti decisori, mentre l'impugnazione ordinaria concerne il provvedimento di diniego emesso a seguito di istanza di riesame. Questo spiega perche', sul piano cronologico, l'odierna parte ricorrente in ottemperanza aveva prima proposto un ricorso per l'esecuzione del giudicato (ritenuto inammissibile a seguito della richiamata decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione 18 dicembre 2001, n. 15978); ha poi esercitato l'azione impugnatoria in sede di legittimita' contro il diniego in sede di riesame (ricorso al innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - numero di registro generale 3625 del 2003 sfociato nella sentenza n. 4104/2010, appellata merce' il ricorso in appello n. 7594/2010) e infine, a seguito delle intervenute modifiche normative, asseritamente aventi portata retroattiva, ha proposto l'odierno ricorso in ottemperanza. 2. Come premesso nella parte in fatto della presente ordinanza, va ricordato che, nell'ambito del ricorso in appello n. 7594/2010 attinente all'impugnazione ordinaria del diniego in sede di riesame, questa Sezione ha deferito la controversia suddetta all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; quest'ultima con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 ha sollevato questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388/2000 e sospeso il giudizio in attesa della decisione dalla Corte costituzionale adita e non risulta che la Corte costituzionale abbia deciso la questione rimessagli con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015. La parte odierna ricorrente in ottemperanza ha quindi presentato una istanza chiedendo che venisse revocata l'ordinanza collegiale n. 5538/2014 di sospensione del presente giudizio di ottemperanza, anche e soprattutto al fine di esaminare sollecitamente le doglianze direttamente proposte nell'odierno ricorso in ottemperanza e le questioni di costituzionalita' quivi prospettate, evidenziando che, laddove queste ultime fossero state ritenute rilevanti e non manifestamente infondate, sarebbe stato utile ed opportuno che il Collegio le sollevasse immediatamente, anche per eventualmente consentire alla Corte costituzionale un esame delle stesse congiunto alla questione gia' rimessa dall'Adunanza Plenaria con l'ordinanza n. 7 del 2015. 3. Venendo alla disamina del merito delle questioni prospettate nell'odierno ricorso in ottemperanza, e tenuto conto della circostanza che nella causa n. 7594/2010 risultano prospettate le medesime censure e rappresentate le medesime tesi contenute nel ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio, appare evidente che: a) la richiesta (preliminare) diretta ad ottenere un espresso riconoscimento della ammissibilita' dell'odierno ricorso in ottemperanza di cui al punto n. 2 della memoria depositata in data 6 ottobre 2016 e' senz'altro ammissibile, ed e' anche fondata in quanto: I) numerose sentenze della Suprema Corte di cassazione e del Consiglio di Stato hanno a piu' riprese ritenuto esperibile il rimedio dell'ottemperanza anche per decreti decisori del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica resi antecedentemente alle modifiche legislative di cui all'art. 69 della legge n. 69 del 2009; II) in effetti, la Sezione, con la ordinanza collegiale n. 5506/2014 resa nell'ambito del parallelo giudizio di cognizione n. 7594/2010 con la quale ha deferito la controversia suddetta all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sulla scorta della decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione del 6 settembre 2013, n. 20569 (in particolare capi 3.5. e 4 di quest'ultima, ma si veda anche Cassazione civ. Sez. III, 2 settembre 2013, n. 2005, capi 3.1. e segg.) aveva sollevato dubbi in ordine alla predicabilita' di tale opzione ermeneutica e su tale tematica aveva chiesto l'intervento dell'Adunanza Plenaria (in questi termini, infatti, era stato formulato il quesito: «se anche i decreti decisorii di ricorsi straordinarii resi allorche' il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva non era ex lege vincolante - ed ancorche' in concreto esso non sia stato disatteso dall'Autorita' decidente - siano eseguibili con il rimedio dell'ottemperanza ed integrino "giudicato" sin dal momento della loro emissione ovvero se tale qualita' sia da riconoscere esclusivamente ai decreti decisorii di ricorsi straordinarii che, a prescindere dall'epoca di proposizione dei ricorsi, medesimi siano stati resi allorche' il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva era stato licenziato in epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 69/2009, e quindi rivestiva portata vincolante.»); III) l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 con la quale ha sollevato questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388/2000 e sospeso quel giudizio cognitorio, ha condiviso la prospettazione della parte odierna ricorrente in ottemperanza (punto 4.3 dell'ordinanza di rimessione) facendo riferimento al «maggioritario indirizzo pretorio che ammette il rimedio dell'ottemperanza, ex art. 112 c.p.a., anche per le decisioni rese su ricorso straordinario nell'assetto normativo tradizionale», e, anzi, su tale premessa maggiore ha fondato il giudizio di rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata (cosi' l'Adunanza Plenaria: «si deve, al riguardo, convenire con l'amministrazione appellata nel senso che l'ottemperabilita' di una decisione e' una qualitas non sovrapponibile a quella diversa della sussistenza di un giudicato resistente al potere della legge.»). IV) in coerenza con il richiamato indirizzo, va ribadito che il rimedio dell'ottemperanza, ex art. 112 c.p.a., sia oggi ammissibile anche per le decisioni rese prima delle modifiche del 2009, su ricorso straordinario nell'assetto normativo tradizionale. 3.1 Non puo' invece essere accolta la domanda volta a ottenere una immediata decisione favorevole, nel merito, prescindendo dalla questione di costituzionalita' rimessa dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato alla Corte costituzionale con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 in quanto: a) il capo 4.2. della citata ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 ha espressamente escluso «che si possa accedere alla tesi, sostenuta in via poziore dagli appellanti, secondo cui anche le decisioni su ricorsi straordinari rese prima della riforma del 2009 esibirebbero carattere giurisdizionale e, quindi, sarebbero dotate di una forza resistente all'intervento caducatorio del legislatore»; b) i capi 4.2.2. e 4.2.3 della richiamata ordinanza - che il Collegio condivide - hanno affermato la portata sostanziale delle modifiche apportate alla disciplina dell'istituto del ricorso straordinario e la natura non retroattiva della novella di cui all'art. 69 della legge n. 69/2009. Il soddisfacimento della pretesa della odierna parte ricorrente, infatti, trova ostacolo nella permanente vigenza degli ultimi due periodi del comma 4 dell'art. 50 della legge n. 388/2000; mentre la circostanza che sia in via di principio esperibile il rimedio dell'ottemperanza anche per decreti decisori del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica resi antecedentemente alle modifiche legislative di cui all'art. 69 della legge n. 69 del 2009, non e' decisiva, perche' profilo incompatibile con quello diverso della sussistenza di un giudicato resistente al potere della legge (cfr. il richiamato paragrafo 4.3. dell'ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015). 3.2. Parte ricorrente in ottemperanza, infine, non ha interesse nel prospettare la richiesta di cui alla parte seconda della memoria depositata in data 6 ottobre 2016 (pagg. 7 ed 8) e volta ad ottenere la declaratoria di espressa applicazione inter partes degli articoli 395 n. 5 c.p.c. e 15 del decreto legislativo n. 1199/1971 in quanto assorbita dalla affermata ammissibilita' del giudizio di ottemperanza relativamente ai decreti decisori resi antecedentemente alle modifiche introdotte con l'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69. 4. Come illustrato nella premessa in fatto, parte ricorrente in ottemperanza, da ultimo con la memoria depositata in data 6 ottobre 2016 (pag.1), ha dato atto della circostanza della avvenuta proposizione di una questione di costituzionalita' rimessa dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato alla Corte costituzionale con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015; ha quindi chiesto che in seno a questo processo di ottemperanza vengano sollevate le altre questioni di costituzionalita' prospettate (quelle elencate alle pagine 9 e seguenti della memoria indicata), facendo presente che dalla omessa riunione del presente processo con quello di cognizione n. 7954/2010 non puo' discendere un pregiudizio alle proprie ragioni. 4.1. Per il vero, il pregiudizio che deriverebbe alla parte odierna ricorrente dall'omessa riunione del presente giudizio di ottemperanza con il procedimento cognitorio n. 7594/2010 non sembra sussistere, in quanto parte ricorrente ha sollevato nel presente giudizio e nell'ambito del procedimento cognitorio n. 7594/2010 le medesime censure di costituzionalita' ed «incompatibilita' comunitaria» (cfr. la memoria difensiva del 26 giugno 2014 versata nel procedimento cognitorio n. 7594/2010, ma anche l'atto di appello che vi ha dato origine al quarto e quinto motivo, ed al punto II delle conclusioni). 4.2. Piuttosto, l'argomento sollevato da parte odierna ricorrente in ottemperanza consente al Collegio di evidenziare una circostanza: salvo quanto si dira' di qui a breve con riferimento alla disamina dell'evocato parametro di incostituzionalita' di cui all'art. 102 della Costituzione, la ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015, nel sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388/2000 con riferimento all'art. 117 della Costituzione, non ha preso espressa posizione sulle ulteriori questioni di costituzionalita' prospettate in quel giudizio (analoghe a quelle prospettate nel presente giudizio): non le ha accolte (che' altrimenti avrebbe indicato tali ulteriori parametri di «dubbio» di legittimita' costituzionale) ma non le ha neppure espressamente disattese. Il che esclude che l'esame di tali dedotti profili di costituzionalita' siano preclusi nel presente giudizio. E invero: a) sussiste l'interesse dalla parte odierna ricorrente in ottemperanza a sollevarli, per evidenti ragioni: ove anche uno solo di essi venisse accolto, ne conseguirebbe, in tesi, la caducazione della disposizione di cui dell'art. 50 comma 4 della legge n. 388/2000 che, nella prospettazione dei ricorrenti, costituisce l'unico ostacolo al conseguimento del bene della vita cui essi aspirano; b) le tematiche prospettate sono certamente rilevanti nel presente giudizio (e, per il vero, lo erano anche in seno al procedimento cognitorio n. 7594/2010); c) in carenza di espressa od implicita reiezione di detti argomenti critici da parte della ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 resa dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, non puo' ravvisarsi preclusione a che i detti argomenti siano presi in esame dal Collegio. 5. Puo' quindi procedersi alla disamina delle ulteriori questioni prospettate dalla parte odierna ricorrente in ottemperanza. 5.1. Va nuovamente posto in luce in proposito che la Corte costituzionale (adita dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con la ordinanza n. 6971 del 14 luglio 2014 in seno al procedimento n. 3625/2003 conclusosi con la sentenza reiettiva n. 4104/2010) con la sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 ha: a) evidenziato che ad avviso del Giudice remittente, l'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000, si poneva in contrasto con gli articoli 3, 24, 100, 103 e 113 della Costituzione; b) espresso il convincimento che la questione dovesse essere esaminata «entro i limiti del thema decidendum individuato dall'ordinanza di remissione» e che doveva «rimanere estraneo al giudizio l'esame della questione di legittimita' costituzionale con riferimento anche agli ulteriori parametri e profili prospettati dalla difesa delle parti private costituite, in quanto, con essi, veniva introdotto un tema del tutto nuovo rispetto a quello devoluto dal giudice a quo;»; c) respinto i dubbi di costituzionalita' prospettati, in quanto: I) non risultavano vulnerati «gli articoli 24 e 113 della Costituzione, perche' la garanzia costituzionale da essi prevista si riferisce al diritto di agire nella sede giurisdizionale e non nella sede amministrativa del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica»; II) non era «violato l'art. 100 della Costituzione, che individua nel Consiglio di Stato l'organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione, essendo l'atto in esame del Consiglio di Stato espressione di una funzione consultiva su cui peraltro la norma non incide»; III) non era «pertinente il richiamo all'art. 103 della Costituzione, giacche' nella questione di costituzionalita' non venivano in considerazione profili concernenti l'attivita' giurisdizionale affidata al Consiglio di Stato»; IV) quanto alla prospettata lesione dell'art. 3 della Costituzione, la norma denunciata, infine, «non viola l'affidamento nella sicurezza giuridica, perche' il legislatore, in sede di interpretazione autentica, puo' modificare sfavorevolmente, in vista del raggiungimento di finalita' perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati (cfr. sentenza n. 6 del 1994)». 5.2. La parte odierna ricorrente in ottemperanza di cio' e' consapevole, pur avendo sostenuto, per il vero, che la predetta sentenza della Corte costituzionale «sia completamente superata» (pag. 5 del ricorso in ottemperanza, paragrafo 3.4.); ma si e' limitata a chiedere di sollevare ulteriori questioni di legittimita' costituzionale, gia' prospettate, che non hanno trovato ingresso nel giudizio sfociato nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005, diverse altresi' da quelle gia' rimesse al giudizio della Corte costituzionale con la ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015 (avendo a tal riguardo sottolineato che dal considerando n. 6 del provvedimento in ultimo citato, e dal dispositivo del medesimo, emergeva che i parametri gia' devoluti al giudizio della Corte costituzionale erano quelli di cui agli articoli agli articoli 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione - pag. 1 memoria depositata in data 6 ottobre 2016). 6. Il compito demandato a questo Collegio e' quindi quello di verificare se e quale, dei molteplici ulteriori dubbi di costituzionalita' prospettati, sia rilevante e non manifestamente infondato, ed a tale proposito, si osserva immediatamente che: a) il dubbio di costituzionalita' prospettato in relazione al supposto contrasto dell'art. 112 del c.p.a. con l'art. 102 della Costituzione (e/o alternativamente, con la VI disposizione transitoria della Costituzione) e' inammissibile, o comunque e' divenuto improcedibile. Esso, per il vero (pag. 6 e 7 della memoria depositata in data 6 ottobre 2016), sembrerebbe riferito esclusivamente alla ipotesi in cui non si fosse ritenuto ammissibile l'odierno ricorso in ottemperanza: una volta che l'ammissibilita' del mezzo e' stata definitivamente accertata, parrebbe quindi insussistente l'interesse della parte impugnante a sollevare tale profilo; b) sennonche', anche nel corso della discussione in Camera di consiglio, la difesa ha lungamente insistito sul punto, ribadendo la fondatezza della tesi della «revisione» retroattiva che il Legislatore avrebbe operato con l'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e con l'art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, «riconoscendo» al decreto decisorio del ricorso straordinario la natura giurisdizionale che esso gia' possedeva; c) ha pertanto sottolineato la centralita' della proposta questione, facendo presente che se non si convenisse con la tesi della «revisione ex tunc» si dovrebbe affermare che le disposizioni di cui all'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ed all'art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sarebbero illegittime nella parte in cui avrebbero contravvenuto al divieto di istituire «giudici speciali». 6.1. Il Collegio ritiene che la questione sia inammissibile - per piu' ragioni - e comunque non fondata, dovendosi osservare in proposito che: a) la Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 ha statuito che «la giurisprudenza della Corte delle leggi e della Corte di legittimita' sulla portata sostanziale delle modifiche apportate alla disciplina dell'istituto, e sulla conseguente riconducibilita' a dette novita' del superamento della connotazione amministrativa del rimedio» ha espressamente respinto il presupposto maggiore della tesi prospettata dalla parte, espressamente affermando che non e' possibile «ritenere che anche alle decisioni rese in precedenza possa essere riconosciuta una valenza giurisdizionale e, quindi, l'intangibilita' propria della res iudicata»; e l'incipit del paragrafo 5 della citata decisione e' stato chiarissimo nell'escludere «la praticabilita' della via dell'interpretazione della norma in esame secondo un'accezione compatibile con la salvaguardia delle precedenti decisioni rese in via definitiva su ricorsi straordinari»; b) laddove si consideri che - come prima fatto presente - la medesima questione di costituzionalita' prospettata in seno all'odierno giudizio era stata altresi' prospettata nel giudizio cognitorio scrutinato dalla Adunanza Plenaria, si deve ritenere che la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 abbia implicitamente respinto la questione medesima; c) la Corte costituzionale, con la sentenza del 2 aprile 2014, n. 73 ha esaustivamente chiarito che l'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 avrebbe operato (il che e' in antitesi con la tesi dei ricorrenti) una «traslazione del suddetto ricorso straordinario dall'area dei ricorsi amministrativi a quella dei rimedi giustiziali»; d) questo Collegio, per un verso, condivide la ricostruzione della Adunanza Plenaria, e, per altro verso, ritiene che la evocazione a parametro della VI disposizione transitoria della Costituzione non sia pertinente; e) in sostanza, l'evocazione della VI disposizione transitoria della Costituzione mirerebbe ad ottenere la caducazione delle disposizioni di cui alla legge n. 69/2009 e del c.p.a. laddove interpretate nel senso che esse abbiano sostanzialmente (e quindi soltanto ex nunc) «giurisdizionalizzato» il rimedio del decreto decisorio del ricorso straordinario; f) senonche', da un canto, e' evidente che i ricorrenti in ottemperanza non hanno alcun concreto interesse a sollevare la detta questione che, ove accolta, non gioverebbe affatto alla loro posizione (risolvendosi nella affermazione della persistente natura amministrativa del rimedio) e per altro verso ne appare palese la inconciliabilita' ontologica con i presupposti sottesi alla pendente questione di legittimita' sollevata dall'Adunanza Plenaria proprio con la ordinanza suindicata; g) in ultimo, non e' superfluo rilevarne la manifesta infondatezza, in quanto comunque, a tutto concedere, il legislatore, con la legge 18 giugno 2009, n. 69, non avrebbe affatto istituito alcun «giudice speciale», ma avrebbe semmai attribuito ad un organo gia' previsto dalla Costituzione un ulteriore rimedio «giurisdizionale», alternativo a quello gia' esistente, e per di piu' con latitudine applicativa minore rispetto al passato; h) il vero e', conclusivamente, che non si e' in presenza di un vero e proprio dubbio di costituzionalita', (tanto e' vero che esso non e' diretto affatto nei confronti della disposizione di cui all'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000), ma di un tentativo di porre il Giudice delle leggi nell'alternativa tra dichiarare la illegittimita' costituzionale delle norme suindicate di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69 ovvero di convenire con la tesi principale esposta nel ricorso in ottemperanza secondo cui si sarebbe in presenza di una revisione retroattiva, con preclusione alla applicabilita' dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388 del 2000. Sicche' la questione, al piu', puo' assumere portata argomentativa volta a rafforzare il dubbio di costituzionalita' in relazione agli altri profili dedotti. 6.2. Appare del pari manifestamente infondata, oltre che genericamente formulata, la questione di legittimita' costituzionale riposante sull'asserito contrasto della disposizione dell'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 con il precetto di cui all'art. 10 della Costituzione laddove si prescrive la necessaria conformita' dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ai principi generali e alle norme di carattere consuetudinario in quanto: a) va premesso che, al momento in cui propose il ricorso in sede straordinaria, parte originaria ricorrente ben conosceva che il rimedio adito (seppur alternativo a quello giurisdizionale), offriva minori garanzie rispetto a quest'ultimo (il diritto potestativo conferito alle parti intimate di chiedere la trasposizione del proposto ricorso straordinario in sede giurisdizionale trova la propria ratio proprio in siffatta constatazione: vd. Corte costituzionale nn. 1 del 1964, 78 del 1966, e 148 del 1982); b) non si ravvisa alcun principio di diritto consuetudinario che equipari la portata ed intangibilita' della statuizione giurisdizionale a quella di un rimedio «giustiziale» (sia pure emesso a seguito di un procedimento contenzioso alternativo a quello giurisdizionale); c) il Collegio dubita che, in materia, sia possibile enucleare principi consuetudinari di diritto internazionale diversi ed ulteriori rispetto a quelli consacrati nella Convenzione Edu, che offrano in subiecta materia garanzie superiori rispetto a quelle offerte da quest'ultima: di certo v'e' che neppure i ricorrenti indicano persuasivamente tali principi, ed i loro referenti, e che, per altro verso, l'insegnamento della Corte europea dei diritti dell'uomo e' stato, in passato, quello della assimilabilita' dei rimedi in comparazione (Corte EDU, 28 settembre 1999, n. 45814, Nardella c. Italia: «il ricorso giurisdizionale offre maggiori garanzie rispetto al ricorso straordinario - «[p]uisque ce dernier offre des garanties majeures par rapport au recours extraordinaire»-, il controinteressato puo', entro un termine di sessanta giorni dalla notificazione, richiedere che il ricorso sia trattato innanzi al giudice amministrativo -«l'autre partie - controinteressato - peut, dans un delai de soixante jours a' compter de la notification, demander a' ce que le recours soit porte' devant le juge administratif»); e) quanto sopra rilevato vale anche ad affermare la manifesta infondatezza del supposto contrasto della disposizione dell'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 con l'art. 113 della Costituzione; la tesi di parte impugnante si fonda, ancora una volta, sulla totale assimilazione del decreto decisorio del ricorso straordinario alla decisione resa in sede giurisdizionale, ma il presupposto di partenza non e' condivisibile: nel 1999, all'epoca in cui di decreti decisori vennero emessi, la regola della alternativita' concerneva un «rimedio» meno garantito rispetto a quello giurisdizionale e praticabile soltanto in virtu' della ricorrenza di una duplice condizione (la «scelta» di avvalersene esercitata dalla parte ricorrente e l'omesso esercizio della facolta' di trasposizione da parte dei soggetti intimati): esclusa la praticabilita' della tesi della «revisione ex tunc dell'istituto» e' a torto evocato il profilo di un possibile vulnus al principio della «divisione dei poteri» (evocato anche sub art. 70 della Costituzione) e la questione si risolve nella minore «resistenza » alla legge sopravvenuta e retroattiva del provvedimento amministrativo - seppure reso in sede contenziosa «alternativa» alla funzione giurisdizionale - rispetto alla sentenza passata in giudicato. 6.3. Non sono necessarie, poi, diffuse argomentazioni per chiarire che il Collegio ritiene manifestamente infondati tutti i dubbi di costituzionalita' manifestati con riferimento all'asserita lesione delle guarentigie della indipendenza ed autonomia dei Magistrati del Consiglio di Stato: tali valori, consacrati nell'art. 100 della Carta fondamentale, in nessun modo potrebbero ritenersi messi a repentaglio da provvedimenti legislativi relativi al trattamento stipendiale di questi ultimi e destinati (almeno in teoria) a regolare la posizione di numerosi soggetti; e' ben vero che - come segnala anche la parte odierna ricorrente - in un recente passato la Corte costituzionale (decisione dell'11 ottobre 2012, n. 223 che ha richiamato anche la precedente sentenza n. 1 del 1978), nel fare riferimento ai «lavori preparatori della Costituente, dai quali traspare che l'omessa indicazione specifica dell'indipendenza economica delle magistrature non ha significato l'esclusione di tale aspetto dal complesso di condizioni necessario per realizzare l'autonomia ed indipendenza delle stesse», ha prospettato la possibilita' che misure destinate ad incidere sulle retribuzioni possano in teoria indebolire tali guarentigie: eppero', cio' ha ritenuto possibile laddove ci si trovi al cospetto di «misure ingiustificatamente discriminatorie» (in quella occasione venne colta una ingiustificata disparita' di trattamento fra la categoria dei magistrati e quella del pubblico impiego contrattualizzato); ma nella situazione oggetto di esame e' affatto diversa e non sono rinvenibili profili di discriminatorieta' discendenti dall'appartenenza alla categoria dei magistrati. 6.3.1. Invero, puo' convenirsi con la circostanza che il nono comma dell'art. 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425 (ai sensi del quale per il personale che ha conseguito la nomina a magistrato di corte d'appello o a magistrato di Corte di cassazione a seguito del concorso per esami previsto dalla legge 4 gennaio 1963, n. 1, e successive modificazioni e integrazioni, l'anzianita' viene determinata in misura pari a quella riconosciuta al magistrato di pari qualifica con maggiore anzianita' effettiva che lo segue nel ruolo) non costituiva - contrariamente a una diffusa convinzione che sembra sottesa anche alle memorie difensive dell'Amministrazione - una disposizione riconducibile all'istituto del c.d. «galleggiamento» ma integrava una norma a regime, fondata sul riconoscimento che l'accesso concorsuale non poteva condurre a una retribuzione inferiore a quella posseduta da coloro che fossero transitati al Consiglio di Stato per anzianita' (in attuazione di un principio ritenuto legittimo, se non doveroso, dalla Corte nella sentenza n. 269 del 10 marzo 1988, relativa all'Avvocatura dello Stato); sicche' essa determinava il trattamento stipendiale dei Consiglieri di Stato vincitori di concorso immessi in ruolo attribuendo loro un trattamento economico migliorativo di quello tabellare. Purtuttavia, la soppressione della norma a regime non puo' ritenersi avere inverato alcuna discriminazione, essendosi provveduto a una ridefinizione complessiva della materia non avente portata discriminatoria nei confronti dei ricorrenti. D'altro canto, le perentorie affermazioni contenute nella sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 hanno gia' escluso la sussistenza di alcuna lesione alla indipendenza del Consiglio di Stato unitariamente considerato ed alla funzione giurisdizionale da questo esercitata, il che consente di ritenere manifestamente infondate le questioni evocate nell'ultima pagina della memoria depositata in data 6 ottobre 2016 ove ritenute riferibili alla posizione dell'Istituto. 6.4. Quanto si e' prima rilevato vale altresi' a disinnescare i dubbi di costituzionalita' relativi alla suindicata disposizione di legge, con riferimento alla circostanza che nella medesima si riscontrerebbero i tratti di una legge «ad personam» (o, per utilizzare l'espressione adombrata a pag. 11 del ricorso in ottemperanza, «contra personam»). Non appare, invero, convincente la tesi per cui ci si troverebbe al cospetto di una legge tesa a discriminare la posizione di pochi e ben determinati soggetti (9 consiglieri di Stato di concorso), mentre per altro verso e' inevitabile che la portata applicativa della medesima fosse ristretta, sin dall'origine, in quanto diretta a dettare una normativa riguardante una limitata cerchia di pubblici dipendenti. La riprova di cio' si ha nella circostanza che di recente la Corte europea dei diritti dell'uomo, Seconda Sezione ha avuto modo di pronunciarsi (sentenza del 1° luglio 2014 resa sul ricorso n. 61820/08 nella causa «Guadagno ed altri contro l'Italia») su un ricorso proposto da alcuni Magistrati amministrativi «volto a sostenere che l'entrata in vigore della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 avrebbe influenzato la decisione del Consiglio di Stato» in quanto i medesimi avevano avviato un contenzioso assimilabile - se non del tutto identico - a quello promosso dagli odierni impugnanti. 6.5. Con affermazioni in parte antitetiche a quelle finora esaminate, poi, la parte odierna ricorrente in ottemperanza ricomprende, tra le questioni dimostrative della asserita illegittimita' costituzionale della disposizione in parola, un argomento che, pur fondato su un approccio ermeneutico riferito ai lavori preparatori, comunque ha gia' trovato smentita nella sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005: si sostiene infatti, che sulla scorta dei lavori parlamentari, la ratio della disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale sarebbe stata invece quella, opposta di «salvaguardare i nove ricorrenti medesimi»; senonche', ci si trova al cospetto di una critica che non prelude a dubbi di incostituzionalita' e che, in realta', tende a fornire una «lettura» della contestata disposizione contenuta nella legge n. 388 distonica rispetto a quella invece contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005. 6.6. Al punto 7 della memoria depositata in data 6.10.2016 (pag. 11) la parte ricorrente in ottemperanza prospetta la illegittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000 per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, motivando le ragioni del contrasto proprio sulla scorta della sentenza del 1° luglio 2014 resa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, Seconda Sezione sul ricorso n. 61820/08 nella causa «Guadagno ed altri contro l'Italia». Trattasi di una questione che la parte ricorrente in ottemperanza non aveva potuto porre in seno al ricorso introduttivo dell'odierno giudizio, in quanto quest'ultimo era stato depositato nel 2013, e quindi in epoca antecedente alla suindicata pronuncia; tale questione, invece, essa aveva gia' del pari prospettato in seno al parallelo processo cognitorio n. 7594/2010. Tale questione, non puo', ad avviso del Collegio, essere considerata in via autonoma, in quanto il parametro di incostituzionalita' ivi evocato e' stato gia' sollevato nella ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015, e le argomentazioni ivi contenute ricomprendono ad ampliano le tematiche poste in luce dalla citata sentenza del 1° luglio 2014 resa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (ai cui contenuti, peraltro, si fara' poi nuovamente riferimento, sotto altro angolo prospettico). 6.7. Il paragrafo 6 della memoria depositata in data 6 ottobre 2016 compendia e ripropone le questioni di asserita illegittimita' costituzionale gia' indicate nei paragrafi da 5.7. a 5.10 del ricorso in ottemperanza (pagg. 9 e 10 di tale atto in ultimo citato). 6.7.1. Nessuno dei parametri di legittimita' costituzionale ivi evocati appare persuasivo muovendo la ricostruzione della parte odierna ricorrente in ottemperanza dal presupposto secondo il quale l'Amministrazione versava in stato di illecito allorche' non intese eseguire i decreti decisori dei ricorsi straordinari e che, di converso, il contestato art. 50, comma 4 della legge n. 388 del 2000 sarebbe intervenuto a sanatoria dell'illecito perpetrato dall'Amministrazione: senonche' il rifiuto opposto da parte dell'Amministrazione ad ottemperare ai detti decreti non muoveva dalla circostanza che gli stessi fossero ineseguibili merce' il rimedio dell'ottemperanza (il che, semmai, costituiva un corollario discendente dalla particolare natura dei medesimi) ma, semmai, da una distinta considerazione. Tale considerazione riposava nel convincimento (che poi e' stato trasfuso dal legislatore nel contestato art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000) secondo il quale: a) la norma «madre» che attribuiva agli odierni ricorrenti il diritto ad ottenere l'agognato beneficio economico/stipendiale (art. 4, nono comma, della legge n. 425 del 1984) fosse stata gia' espunta dal sistema giuridico, per incompatibilita' sistematica a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992; b) in via eccezionale rimanevano salvaguardate le posizioni sostanziali di coloro i quali avessero visto medio tempore riconosciuta la loro pretesa merce' sentenze regiudicate; c) non omologabile a quest'ultima era la posizione di chi fosse stato attributario «semplicemente» di una decisione favorevole riposante in un decreto decisorio di un ricorso straordinario. 6.7.2. Come e' agevole riscontrare, quindi, la questione viene proposta avendo sempre quale punto di partenza il postulato secondo cui vi era (gia' illo tempore) una assimilazione ontologica assoluta tra il decreto decisorio di un ricorso straordinario ed una sentenza regiudicata e sulla inesattezza ed illegittimita' della norma di interpretazione autentica di art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000: una volta che la Corte costituzionale ha smentito tale postulato (vedasi considerando 3.3. della sentenza n. 282 del 15 luglio 2005) cade il presupposto di partenza (l'asserito «conclamato stato di perdurante illecito dell'amministrazione») ed i presupposti di non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita' per tutti i parametri evocati dalla parte ricorrente in ottemperanza. 6.7. In altre parole: l'Amministrazione non esegui' le decisioni straordinarie del 27 settembre 1999, ritenendo che la norma invocata dalle parti istanti fosse gia' stata espunta sin dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992; la norma sopravvenuta di cui all'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 nella lettura fornitane anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 ha ritenuto non scorretta tale tesi, ed ha ritenuto che l'eccezione fosse rappresentata unicamente dalle sentenze regiudicate che avevano affermato il contrario; pertanto il supposto contrasto con gli articoli 54, 98 e 28 della Costituzione, basato su un asserito «eccesso di potere legislativo volto a sanare un pregresso illecito» perpetrato merce' la detta disposizione di legge, appare manifestamente infondato (e ad analoghe considerazioni si deve pervenire quanto alla asserita «carenza di potere del Parlamento» ad intervenire sulla materia). Diversa - e, come si vedra', non manifestamente infondata - e' la questione della legittimita' ex tunc della «sanatoria» in se', cioe' indipendentemente dalla configurabilita' di un illecito ma in relazione alle conseguenze che connotano l'incidenza della retroattivita' della disposizione sulle posizioni acquisite dai ricorrenti. 7. Appare infatti al Collegio rilevante e non manifestamente infondato, per le considerazioni che immediatamente si espongono, il dubbio di illegittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000 in relazione agli evocati parametri di cui agli articoli 3, 24 ed anche 111 della Costituzione, in quanto: a) come si e' prima a piu' riprese rilevato, nella ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 2015 e' stato gia' ritenuto non manifestamente infondato il dubbio di compatibilita' con gli articoli 3 e 97, Cost., «in quanto, alla stregua delle coordinate interpretative tracciate dalla Consulta (vedi Corte costituzionale numeri 376/1995; 282/2005; 103/2007; 267/2007; 241/2008), con la legge provvedimento non e' possibile esercitare un potere, atipico rispetto al novero dei poteri amministrativi tipizzati, diretto a incidere in via retroattiva e in senso sfavorevole sulle posizioni consolidatesi per effetto di decisioni irreversibili»; b) nella sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005 e' stato escluso (quanto alla prospettata lesione dell'art. 3 della Costituzione) che la norma denunciata, violasse l'affidamento nella sicurezza giuridica, perche', si e' ivi affermato, «il legislatore, in sede di interpretazione autentica, puo' modificare sfavorevolmente, in vista del raggiungimento di finalita' perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati (cfr. sentenza n. 6 del 1994)»; c) senonche', anche dovendo tenere conto dell'orientamento della Corte costituzionale (sentenza del 26 novembre 2009, n. 311) secondo cui «deve escludersi l'esistenza di un principio secondo cui la necessaria incidenza delle norme retroattive sui procedimenti in corso si porrebbe automaticamente in contrasto con la Convenzione europea», a piu' riprese il Giudice delle leggi (in ultimo, si veda la decisione del 4 luglio 2014, n. 191) ha affermato il principio per cui e' ravvisabile una violazione del «principio della parita' delle parti», di cui all'art. 111 Cost., quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 186 del 2013); d) nella medesima decisione n. 191 prima citata e' stato rammentato, poi, che «la Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte ribadito che "in linea di principio non e' vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una disciplina innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia" (sentenze 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia). La medesima Corte ha altresi' rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere "trattate con la massima circospezione possibile" (sentenza 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia), in particolare quando l'intervento legislativo finisca per alterare l'esito giudiziario di una controversia (sentenza 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia).»; e) la parte odierna ricorrente in ottemperanza sottolinea condivisibilmente (punto 16 della memoria depositata in data 6 ottobre 2016) che non si ravvisa alcun «motivo imperativo generale» ne' alcuna incertezza interpretativa, riferibile all'art. 50, della legge n. 388 del 2000, in quanto non v'era stato alcun contenzioso, fuorche' quello sfociato nei decreti decisori dei ricorsi straordinari del 27 settembre 1999; anzi, poiche' - come si e' dianzi precisato - la disposizione in parola faceva venir meno una norma (art. 4, nono comma, della legge n. 425 del 1984) espressione del principio del miglior trattamento dei vincitori di concorso), la sua applicazione veniva riferita solo alle fattispecie a venire; f) d'altra parte si deve convenire con due circostanze, che appaiono meritevoli di considerazione e significative dei prospettati dubbi di costituzionalita' anche muovendo dalla negazione della piena equiparabilita' dei decreti decisori dei ricorsi straordinari alle sentenze regiudicate: I) i detti decreti avevano definito in senso favorevole agli odierni ricorrenti in ottemperanza la lite concernente la spettanza del bene della vita cui essi aspiravano; II) al momento della pubblicazione dell'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 la controversia afferente alla cogenza ed eseguibilita' dei detti decreti era ancora in corso, in quanto, nel permanente rifiuto dell'Amministrazione di conformarvisi, gli originarii ricorrenti avevano proposto un ricorso per l'esecuzione del giudicato, accolto dal Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6697) e soltanto successivamente la decisione favorevole da quest'ultimo adottata era stata annullata da parte della Suprema Corte di cassazione per difetto di giurisdizione (Cass. civ. Sez. Unite, 18 dicembre 2001, n. 15978). 7.1. Non puo' negarsi, quindi, che la contestata disposizione di cui alla legge n. 388 del 2000 interviene nel corso di una controversia in atto tra l'amministrazione e gli odierni ricorrenti in ottemperanza, con una previsione atta a privare di effetti i decreti decisori favorevoli dagli stessi ottenuti ed anche la successiva attivita' volta ad ottenerne l'esecuzione da essi intrapresa, ed in assenza di motivi imperativi di interesse generale tale disposizione sembra mutilare il diritto di difesa degli odierni ricorrenti in ottemperanza (art. 24 della Costituzione) ed insieme il principio di parita' delle parti di cui all'art. 111 della Costituzione. Non e' trascurabile, poi, il rilievo che il dato concernente l'assenza di motivi imperativi di interesse generale sottesi alla emanazione della contestata disposizione risulti gia' processualmente accertato, in quanto la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Seconda Sezione del 1° luglio 2014 resa sul ricorso n. 61820/08, cui si e' prima fatto riferimento, al considerando n. 34 ha espressamente escluso che la retroattivita' della legge fosse basata su motivi imperativi di interesse generale («La Corte nota a tale proposito che il Governo non ha neanche tentato di spiegare quali motivi imperativi, ai sensi della sua giurisprudenza, potessero giustificare un intervento legislativo retroattivo in pendenza del procedimento. Nessuno degli argomenti presentati dal Governo convince la Corte della legittimita' e della proporzionalita' dell'ingerenza. Tenuto conto di quanto sopra esposto, l'intervento legislativo, che regolava definitivamente, retroattivamente, il merito della controversia che opponeva i ricorrenti allo Stato dinanzi ai giudici interni, non era giustificato da motivi imperativi di interesse generale.»). Del pari non appare trascurabile che: la medesima sentenza abbia fatto ampio riferimento al principio della «parita' delle armi» (sia pure nell'ottica della dedotta violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, come puo' riscontrarsi al considerando n. 28 della medesima decisione); parimenti la richiamata decisione abbia dedicato un espresso richiamo (seppure nella parte dedicata alla quantificazione del danno da liquidare ai ricorrenti in quel giudizio) alla circostanza che non e' «irragionevole pensare che gli interessati abbiano subito una reale perdita di chance» ancorandola allo svolgimento del giudizio «nazionale» intentato da quei ricorrenti («senza dover supporre quale sarebbe stato l'esito del processo in caso contrario»). 8. Ribadita quindi la rilevanza nell'odierno giudizio della questione prospettata, per le considerazioni sinora illustrate, ne emerge anche la non manifesta infondatezza, in quanto non manifestamente infondato appare il dubbio di costituzionalita' relativo ad una legge retroattiva che, per di piu' in assenza di motivi di interesse generale, interviene su liti pendenti dettando una disposizione di tenore coincidente con la tesi propugnata da una delle parti (l'Amministrazione) in lite; il che impone che il presente giudizio debba essere sospeso e gli atti vadano trasmessi alla Corte costituzionale. 8.1. Il Collegio condivide peraltro integralmente le considerazioni dell'Adunanza Plenaria espresse nella ordinanza di remissione n. 7 del 2015 in quanto la disposizione di cui all'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 non pare armonizzarsi con gli articoli 3 e 97 della Costituzione e con i limiti che devono connotare le c.d. «leggi-provvedimento» ove queste ultime siano destinate ad incidere su situazioni consolidate, e con l'art. 117 della Costituzione in relazione alle norme Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (articoli 6 e 13 del Trattato CEDU) quali nome interposte volte a predicare l'intangibilita' anche delle decisioni amministrative caratterizzate da una judicial review. Inoltre, sempre con riferimento al parametro di cui all'art. 97 della Costituzione, si e' ricordato in precedenza che la Corte costituzionale con la sentenza n. 269 del 10 marzo 1988 ha ritenuto costituzionalmente illegittima la posposizione in ruolo degli avvocati dello Stato vincitori di concorso rispetto agli ex Procuratori capo dello Stato inseriti tra gli avvocati alla seconda classe di stipendio, per effetto della legge di riforma 3 aprile 1979 n. 103; orbene, il nono comma dell'art. 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425, applicato all'ordinamento della giustizia amministrativa mirava proprio ad evitare la discriminazione economica dei consiglieri di Stato vincitori di concorso rispetto ai consiglieri con maggiore anzianita' effettiva che li seguivano nel ruolo: per l'effetto della disposizione di cui all'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 si e' inverata (seppure unicamente con riferimento al trattamento stipendiale) una condizione analoga a quella reputata illegittima nella richiamata sentenza n. 269 del 10 marzo 1988 e tale effetto, sebbene per le sopra chiarite ragioni non possa definirsi «discriminatorio» tuttavia non appare armonico col precetto di cui all'art. 97 della Costituzione nei sensi chiariti dalla ricordata sentenza n. 269 del 10 marzo 1988.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, visti l'art. 134 Cost., l'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, l'art 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87: a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000, n. 388 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001») in relazione agli articoli 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, nella parte in cui tale norma, sancendo la portata retroattiva dell'abrogazione dell'art. 4, nono comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, e prevedendo che detta abrogazione possa travolgere anche posizioni individuali gia' riconosciute mediante decisioni definitive su ricorsi straordinari, ha inciso sulle controversie pendenti che erano state intraprese per ottenere la esecuzione delle suddette decisioni definitive sui ricorsi straordinari; b) dichiara manifestamente infondate, nei sensi di cui in motivazione, le ulteriori questioni di costituzionalita' prospettate; c) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2016 con l'intervento dei signori magistrati: Filippo Patroni Griffi, Presidente; Fabio Taormina, consigliere, estensore; Vincenzo Lopilato, consigliere; Giuseppe Castiglia, consigliere; Nicola D'Angelo, consigliere. Il Presidente: Patroni Griffi L'estensore: Taormina