N. 52 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2017

Ordinanza dell'8 febbraio 2017 del Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Severini Giuseppe e altri contro Presidenza del Consiglio
dei ministri . 
 
Consiglio di Stato - Consiglieri vincitori di concorso -  Trattamento
  economico - Benefici attribuiti ai sensi del nono comma dell'art. 4
  della  legge  n.   425   del   1984   -   Previsione,   con   norma
  d'interpretazione autentica, dell'abrogazione di tale  disposizione
  dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992 -
  Previsione della perdita di efficacia  dei  provvedimenti  e  delle
  decisioni  di  autorita'  giurisdizionali  comunque   adottati   in
  difformita' dalla predetta interpretazione. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria
  2001)"), art. 50, comma 4, penultimo e ultimo periodo. 
(GU n.16 del 19-4-2017 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  5044  del  2013,  proposto  dai  signori  Giuseppe
Severini, Luigi Maruotti, Carmine  Volpe,  Giampiero  Paolo  Cirillo,
Luigi Carbone, Luciano Barra Caracciolo, Alessandro Botto, Rosanna De
Nictolis, Marco Lipari, rappresentati e difesi dall'avvocato  Massimo
Congedo C.F. CNGMSM57P01E506U, con domicilio  eletto  presso  Alfredo
Placidi in Roma, via Cosseria, 2; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
legale rappresentante in carica, rappresentato  e  difeso  per  legge
dalla Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici  in  Roma,
alla Via dei  Portoghesi  n.  12,  e'  domiciliato,  costituitosi  in
giudizio; 
    per la ottemperanza al decreto del  Presidente  della  Repubblica
con cui si e' deciso il ricorso straordinario - diniego  applicazione
art. 4, comma 9, legge n. 425/84 - trattamento economico superiore  -
risarcimento dei danni; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2016 il
consigliere Fabio Taormina e uditi per  le  parti  l'avvocato  Pietro
Quinto, su delega dell'avv. Massimo Congedo, per la parte ricorrente,
nonche', l'Avvocato dello Stato Chiarina Aiello per l'Amministrazione
resistente; 
 
                                Fatto 
 
    1. Con il ricorso per l'ottemperanza al giudicato che viene  alla
decisione  del  Collegio  e'  stata  chiesta  dalla   odierna   parte
impugnante la esecuzione  di  9  decreti  resi  in  sede  di  ricorso
straordinario. 
    2. La risalente vicenda che aveva originato il  contenzioso  puo'
essere cosi' sintetizzata: 
    la odierna parte ricorrente in ottemperanza (nove Consiglieri  di
Stato vincitori di concorso) aveva chiesto il calcolo del trattamento
economico ad essa spettante ai sensi  dell'art.  4,  comma  9,  della
legge n. 425/1984 (abrogato dall'art. 50 della legge n. 388/2000)  ed
aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso  gli
atti con i quali la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  aveva
respinto le relative istanze. 
    Le  decisioni   assunte   dal   Capo   dello   Stato   a   fronte
dell'esperimento   del   suddetto   rimedio    giustiziale    avevano
positivamente   affermato   l'obbligo   per   l'Amministrazione    di
determinare i trattamenti  economici  dei  ricorrenti  ai  sensi  del
citato art. 4, comma 9, della legge n. 425/1984,  tenendo  conto  del
superiore trattamento spettante ai colleghi dei ricorrenti  collocati
in ruolo in posizione  postergata  rispetto  a  quella  occupata  dai
ricorrenti stessi. 
    In data 9 luglio 2000, la Presidenza del  Consiglio  aveva  pero'
escluso l'attribuzione, in favore degli interessati, del  trattamento
economico come sopra  determinato,  fornendo  parziale  esecuzione  a
quattro delle nove decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari
proposti. 
    2.1. Gli odierni impugnanti avevano allora proposto  ricorso  per
l'esecuzione del giudicato; esso era stato accolto dal  Consiglio  di
Stato (Cons. Stato  Sez.  IV,  15  dicembre  2000,  n.  6697)  ma  la
decisione ad essi  favorevole  da  quest'ultimo  adottata  era  stata
annullata da parte della Suprema Corte di cassazione per  difetto  di
giurisdizione (Cass. civ. Sez. Unite, 18 dicembre 2001, n. 15978). 
    2.1.1. Medio tempore, essi avevano proposto ulteriori istanze  di
esecuzione: la Presidenza del Consiglio, con nota del 3 febbraio 2003
(resa in esito alla trasmissione, da parte della Segreteria  generale
del Consiglio  di  Stato,  degli  schemi  aggiornati  dei  rispettivi
decreti  individuali),  aveva  respinto  le  nuove  richieste   degli
istanti, opponendo loro il disposto  dell'art.  50,  comma  4,  della
legge n. 388 del 2000. 
    2.2. La odierna parte ricorrente in ottemperanza aveva  impugnato
detta nota, ma il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede
di Roma - con la sentenza n.  4104/2010  aveva  respinto  il  ricorso
(avverso detta decisione reiettiva essi hanno proposto il ricorso  in
appello n. 7594/2010). 
    2.2.1.  In  seno  al  processo  successivamente  sfociato   nella
decisione reiettiva del Tribunale amministrativo regionale del  Lazio
- sede di Roma -  n.  4104/2010,  detto  Giudice,  con  la  ordinanza
collegiale  n.  6971  del  14  luglio   2004   aveva   ritenuto   non
manifestamente infondata e rilevante  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 50, comma 4, penultimo  ed  ultimo  periodo,
della legge n. 388/2000 per contrasto con gli articoli  3,  24,  100,
103 e 113 della Carta Fondamentale (nella parte in  cui  tale  norma,
esplicitando  la  portata  retroattiva   dell'abrogazione   da   essa
contemplata, prevedeva che questa potesse travolgere anche  posizioni
individuali  gia'  riconosciute  mediante  sentenze  o  decisioni  di
ricorsi straordinari che erano ormai divenute definitive)  rimettendo
il relativo giudizio alla Corte costituzionale. 
    La Corte costituzionale con la sentenza  n.  282  del  15  luglio
2005, aveva affermato l'infondatezza  della  sollevata  questione  di
costituzionalita'. 
    2.2.2. Avverso la sentenza reiettiva del Tribunale amministrativo
regionale n. 4104/2010 la odierna parte ricorrente in ottemperanza ha
quindi proposto il ricorso in appello n. 7594/2010. 
    3. Successivamente, ha proposto il ricorso  in  ottemperanza  che
viene alla decisione del Collegio (notificato il  16  giugno  2013  e
depositato il 2 luglio 2013) merce' il  quale  si  e'  sostenuto  che
l'avvenuta  piena  giurisdizionalizzazione  retroattiva  del  ricorso
straordinario a seguito dell'entrata in  vigore  dell'art.  69  della
legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «disposizioni  per  lo  sviluppo
economico, la competitivita' nonche' in materia di  processo  civile»
impedisse  di  ricomprendere  i  decreti   decisori   nel   perimetro
applicativo  di  cui  all'art.  50  della  legge   n.   388/2000   e,
conseguentemente, non vi fossero ragioni ostative alla esecuzione del
«giudicato»  formatosi  in  favore  di  parte  appellante;   in   via
subordinata sono stati riproposti i parametri di  asserito  conflitto
della disposizione  normativa  suddetta  non  esaminati  dalla  Corte
costituzionale  nella  decisione  n.  282  del  2005  da  essa   resa
nell'ambito   del   giudizio   cognitorio   innanzi   al    Tribunale
amministrativo regionale cui si e' dianzi  fatto  riferimento  ed  in
ogni caso, ex art. 112 comma  III  del  cpa,  e'  stato  proposto  un
petitum risarcitorio anche ex  art.  2059  del  codice  civile  nella
eventuale  e  denegata  ipotesi  in  cui  si   fosse   affermata   la
impossibilita' di esecuzione dei detti decreti decisori. 
    4. In data 5 luglio 2013 la Presidenza del Consiglio dei ministri
si e' costituita con atto di stile. 
    5. In  data  26  giugno  2014  la  odierna  parte  ricorrente  in
ottemperanza ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo  le
proprie tesi. 
    6. In data 18 settembre  2014  la  odierna  parte  ricorrente  in
ottemperanza ha depositato una  ulteriore  memoria  puntualizzando  e
ribadendo le proprie tesi. 
    7. In data 20 settembre 2014  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri depositato una memoria chiedendo la reiezione del ricorso in
ottemperanza in quanto inammissibile, e comunque infondato. 
    8. In data 25 settembre  2014  la  odierna  parte  ricorrente  in
ottemperanza ha depositato una memoria di replica, puntualizzando  le
proprie tesi e confutando le deduzioni dell'intimata  Presidenza  del
Consiglio dei ministri. 
    9. Con nota depositata il 29 settembre 2014 in vista della Camera
di consiglio del 7 ottobre 2014 la parte ricorrente  in  ottemperanza
ha dichiarato di rinunciare subordinatamente al petitum  risarcitorio
proposto: piu' in particolare, essa ha fatto presente che, per  senso
dello Stato, ove il  petitum  principale  contenuto  nel  ricorso  in
ottemperanza fosse stato  accolto,  ovvero  fosse  stato  accolto  il
petitum principale proposto nella parallela causa  n.  7594/2010  del
pari chiamata in decisione alla pubblica udienza del 7 ottobre  2014,
essa avrebbe rinunciato alle domande risarcitorie proposte. 
    10. Alla Camera di consiglio del 7 ottobre 2014 la causa e' stata
posta  in  decisione  dal  Collegio  ed  e'  stata  resa  l'ordinanza
collegiale n. 5538/2014, da  intendersi  integralmente  richiamata  e
trascritta nel presente provvedimento,  nell'ambito  della  quale  il
Collegio: 
    a) in primo luogo non ha aderito alla  richiesta  di  trattazione
congiunta del presente ricorso in  ottemperanza  con  il  ricorso  n.
7594/2010 del pari chiamato in decisione alla pubblica udienza del  7
ottobre 2014; 
    b) secondariamente, datosi atto che nell'ambito  del  ricorso  n.
7594/2010 del pari chiamato in decisione alla pubblica udienza del  7
ottobre 2014 la Sezione aveva deferito con  ordinanza  collegiale  la
controversia all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,  e'  stata
disposta la sospensione facoltativa del presente giudizio ex art. 295
cpc ed art. 79 del cpa, in attesa  del  pronunciamento  dell'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato nella surrichiamata causa connessa. 
    11. In data 4 maggio 2016 la parte ricorrente in ottemperanza  ha
depositato una richiesta di  revoca  della  ordinanza  collegiale  n.
5538/2014 suindicata, deducendo che: 
    a)  a  seguito  del  deferimento   del   ricorso   n.   7594/2010
all'Adunanza alenaria del Consiglio di  Stato,  quest'ultima  con  la
ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 aveva sollevato  una  questione  di
costituzionalita' dell'art. 50 comma 4  della  legge  n.  388/2000  e
sospeso  il  giudizio  in  attesa   della   decisione   dalla   Corte
costituzionale adita; 
    b) sussisteva l'interesse alla immediata decisione del ricorso in
ottemperanza  (ed  all'accoglimento  del  medesimo)  ovvero,  in  via
subordinata,  l'interesse   a   che   le   ulteriori   questioni   di
costituzionalita'   sollevate   nel   presente   giudizio   venissero
sollecitamente rimesse  alla  Corte  costituzionale  affinche',  (ove
quest'ultima lo avesse ritenuto  opportuno  e  conducente)  potessero
essere   riunite   al   giudizio   gia'   pendente   in   conseguenza
dell'ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7 suindicata. 
    12. In data  6  ottobre  2016  la  odierna  parte  ricorrente  in
ottemperanza ha depositato una  ulteriore  memoria  puntualizzando  e
ribadendo le proprie tesi. 
    13. Alla Camera di consiglio del 3 novembre 2016 la  Sezione  con
la ordinanza collegiale n. 4624 pubblicata  il  4  novembre  2016  ha
revocato  l'ordinanza  collegiale  n.  5538/2014  ed  ha  fissato  la
trattazione della causa alla  odierna  Camera  di  consiglio  del  1°
dicembre 2016. 
    14. Alla odierna Camera di consiglio  del  1°  dicembre  2016  la
causa e' stata trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    In via preliminare appare opportuno chiarire - anche ai fini  del
giudizio di rilevanza  -  il  rapporto  che  sussiste  tra  l'odierno
ricorso  in  ottemperanza  n.  5044/2013  e  l'appello  n.  7594/2010
attualmente sospeso in attesa che la Corte costituzionale si pronunci
sulla questione di costituzionalita'  dell'art.  50,  comma  4  della
legge n. 388/2000 rimessale dall'Adunanza Plenaria del  Consiglio  di
Stato, con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015. 
    Si  tratta  di  due  giudizi  attinenti  alla  medesima   vicenda
sostanziale che pero' si e' sviluppata  lungo  due  direttrici  -  la
richiesta ottemperanza ai decreti decisori e  l'impugnazione  in  via
ordinaria del riesame sfavorevole ai ricorrenti - che  mantengono  la
loro autonomia sul piano processuale e in ordine  ai  quali  persiste
l'interesse di parte ricorrente (in ottemperanza e in  appello)  alla
decisione, al fine di soddisfare la  pretesa  sostanziale  a  vedersi
riconoscere quanto statuito dai richiamati decreti decisori e  negato
dall'Amministrazione (anche) in sede di riesame. 
    La presente vicenda processuale si e' dipanata, in  larga  parte,
in epoca in cui si dibatteva in ordine ai rapporti  tra  impugnazione
ordinaria e ottemperanza al giudicato a fronte di  un  medesimo  atto
asseritamente elusivo (rapporti poi chiariti dalla decisione n. 2 del
15 gennaio 2013 dell'Adunanza Plenaria).  E  peraltro,  nel  presente
giudizio, non si controverte sull'impugnazione di un  medesimo  atto,
in quanto - come si e' rilevato - l'esecuzione del giudicato riguarda
l'ottemperanza diretta dei decreti  decisori,  mentre  l'impugnazione
ordinaria concerne il provvedimento di diniego emesso  a  seguito  di
istanza di riesame. 
    Questo spiega perche', sul  piano  cronologico,  l'odierna  parte
ricorrente in  ottemperanza  aveva  prima  proposto  un  ricorso  per
l'esecuzione del giudicato (ritenuto inammissibile  a  seguito  della
richiamata decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione 18
dicembre 2001, n. 15978); ha poi esercitato l'azione impugnatoria  in
sede di legittimita' contro il diniego in sede di riesame (ricorso al
innanzi al Tribunale amministrativo regionale del  Lazio  -  sede  di
Roma - numero di registro  generale  3625  del  2003  sfociato  nella
sentenza n. 4104/2010, appellata merce'  il  ricorso  in  appello  n.
7594/2010) e infine, a seguito delle intervenute modifiche normative,
asseritamente  aventi  portata  retroattiva,  ha  proposto  l'odierno
ricorso in ottemperanza. 
    2. Come premesso nella parte in fatto della  presente  ordinanza,
va ricordato che, nell'ambito del ricorso  in  appello  n.  7594/2010
attinente all'impugnazione ordinaria del diniego in sede di  riesame,
questa Sezione ha  deferito  la  controversia  suddetta  all'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato; quest'ultima con la ordinanza  n.  7
del 14  luglio  2015  ha  sollevato  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 50, comma 4 della legge n. 388/2000 e sospeso  il  giudizio
in attesa della decisione dalla  Corte  costituzionale  adita  e  non
risulta  che  la  Corte  costituzionale  abbia  deciso  la  questione
rimessagli con la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015. 
    La parte odierna ricorrente in ottemperanza ha quindi  presentato
una istanza chiedendo che venisse revocata l'ordinanza collegiale  n.
5538/2014 di sospensione del presente giudizio di ottemperanza, anche
e soprattutto  al  fine  di  esaminare  sollecitamente  le  doglianze
direttamente proposte  nell'odierno  ricorso  in  ottemperanza  e  le
questioni di costituzionalita' quivi prospettate,  evidenziando  che,
laddove  queste  ultime  fossero  state  ritenute  rilevanti  e   non
manifestamente infondate, sarebbe stato utile  ed  opportuno  che  il
Collegio  le  sollevasse  immediatamente,  anche  per   eventualmente
consentire alla Corte costituzionale un esame delle stesse  congiunto
alla questione gia' rimessa dall'Adunanza Plenaria con l'ordinanza n.
7 del 2015. 
    3. Venendo alla disamina del merito delle  questioni  prospettate
nell'odierno  ricorso  in  ottemperanza,   e   tenuto   conto   della
circostanza che nella causa n.  7594/2010  risultano  prospettate  le
medesime censure e  rappresentate  le  medesime  tesi  contenute  nel
ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio, appare
evidente che: 
        a) la richiesta (preliminare) diretta ad ottenere un espresso
riconoscimento   della   ammissibilita'   dell'odierno   ricorso   in
ottemperanza di cui al punto n. 2 della memoria depositata in data  6
ottobre 2016 e'  senz'altro  ammissibile,  ed  e'  anche  fondata  in
quanto: 
    I) numerose sentenze della Suprema  Corte  di  cassazione  e  del
Consiglio di Stato  hanno  a  piu'  riprese  ritenuto  esperibile  il
rimedio dell'ottemperanza anche  per  decreti  decisori  del  ricorso
straordinario al Presidente della  Repubblica  resi  antecedentemente
alle modifiche legislative di cui all'art. 69 della legge n.  69  del
2009; 
    II) in effetti,  la  Sezione,  con  la  ordinanza  collegiale  n.
5506/2014 resa nell'ambito del parallelo giudizio  di  cognizione  n.
7594/2010  con  la  quale  ha  deferito  la   controversia   suddetta
all'Adunanza Plenaria del Consiglio  di  Stato,  sulla  scorta  della
decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione del 6
settembre  2013,  n.  20569  (in  particolare  capi  3.5.  e   4   di
quest'ultima, ma si veda anche Cassazione civ. Sez. III, 2  settembre
2013, n. 2005, capi 3.1. e segg.) aveva  sollevato  dubbi  in  ordine
alla predicabilita' di tale opzione ermeneutica e  su  tale  tematica
aveva chiesto l'intervento dell'Adunanza Plenaria (in questi termini,
infatti,  era  stato  formulato  il  quesito:  «se  anche  i  decreti
decisorii  di  ricorsi  straordinarii  resi   allorche'   il   parere
obbligatorio del Consiglio di Stato in sede  consultiva  non  era  ex
lege vincolante -  ed  ancorche'  in  concreto  esso  non  sia  stato
disatteso dall'Autorita' decidente - siano eseguibili con il  rimedio
dell'ottemperanza ed integrino "giudicato" sin dal momento della loro
emissione ovvero se tale qualita' sia da  riconoscere  esclusivamente
ai decreti decisorii di  ricorsi  straordinarii  che,  a  prescindere
dall'epoca di proposizione dei ricorsi,  medesimi  siano  stati  resi
allorche' il parere obbligatorio  del  Consiglio  di  Stato  in  sede
consultiva era stato licenziato in epoca successiva alla  entrata  in
vigore  della  legge  n.  69/2009,   e   quindi   rivestiva   portata
vincolante.»); 
    III) l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la ordinanza
n. 7 del 14 luglio 2015  con  la  quale  ha  sollevato  questione  di
costituzionalita' dell'art. 50, comma 4 della  legge  n.  388/2000  e
sospeso quel giudizio  cognitorio,  ha  condiviso  la  prospettazione
della  parte  odierna   ricorrente   in   ottemperanza   (punto   4.3
dell'ordinanza di rimessione) facendo riferimento  al  «maggioritario
indirizzo pretorio che ammette il rimedio dell'ottemperanza, ex  art.
112 c.p.a., anche per le  decisioni  rese  su  ricorso  straordinario
nell'assetto normativo  tradizionale»,  e,  anzi,  su  tale  premessa
maggiore ha fondato il  giudizio  di  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' sollevata (cosi' l'Adunanza Plenaria: «si deve,  al
riguardo, convenire con l'amministrazione  appellata  nel  senso  che
l'ottemperabilita'   di   una   decisione   e'   una   qualitas   non
sovrapponibile a quella diversa della  sussistenza  di  un  giudicato
resistente al potere della legge.»). 
    IV) in coerenza con il richiamato indirizzo, va ribadito  che  il
rimedio dell'ottemperanza, ex art. 112 c.p.a., sia  oggi  ammissibile
anche per le decisioni  rese  prima  delle  modifiche  del  2009,  su
ricorso straordinario nell'assetto normativo tradizionale. 
    3.1 Non puo' invece essere accolta la domanda  volta  a  ottenere
una immediata decisione favorevole, nel  merito,  prescindendo  dalla
questione di costituzionalita'  rimessa  dall'Adunanza  Plenaria  del
Consiglio di Stato alla Corte costituzionale con la  ordinanza  n.  7
del 14 luglio 2015 in quanto: 
    a) il capo 4.2. della citata ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 ha
espressamente escluso «che si possa accedere alla tesi, sostenuta  in
via poziore dagli appellanti,  secondo  cui  anche  le  decisioni  su
ricorsi straordinari rese prima della riforma del  2009  esibirebbero
carattere giurisdizionale e, quindi, sarebbero dotate  di  una  forza
resistente all'intervento caducatorio del legislatore»; 
    b) i capi 4.2.2. e 4.2.3 della  richiamata  ordinanza  -  che  il
Collegio condivide - hanno affermato  la  portata  sostanziale  delle
modifiche  apportate  alla  disciplina  dell'istituto   del   ricorso
straordinario e la  natura  non  retroattiva  della  novella  di  cui
all'art. 69 della legge n. 69/2009. 
    Il soddisfacimento della pretesa della odierna parte  ricorrente,
infatti, trova ostacolo nella permanente  vigenza  degli  ultimi  due
periodi del comma 4 dell'art. 50 della legge n. 388/2000; 
    mentre la circostanza che sia in via di principio  esperibile  il
rimedio dell'ottemperanza anche  per  decreti  decisori  del  ricorso
straordinario al Presidente della  Repubblica  resi  antecedentemente
alle modifiche legislative di cui all'art. 69 della legge n.  69  del
2009, non e'  decisiva,  perche'  profilo  incompatibile  con  quello
diverso della sussistenza di un giudicato resistente al potere  della
legge (cfr. il richiamato paragrafo 4.3. dell'ordinanza dell'Adunanza
Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015). 
    3.2. Parte ricorrente in ottemperanza, infine, non  ha  interesse
nel prospettare la richiesta di cui alla parte seconda della  memoria
depositata in data 6 ottobre 2016 (pagg. 7 ed 8) e volta ad  ottenere
la declaratoria di espressa applicazione inter partes degli  articoli
395 n. 5 c.p.c. e 15 del decreto legislativo n. 1199/1971  in  quanto
assorbita dalla affermata ammissibilita' del giudizio di ottemperanza
relativamente  ai  decreti  decisori   resi   antecedentemente   alle
modifiche introdotte con l'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69. 
    4. Come illustrato nella premessa in fatto, parte  ricorrente  in
ottemperanza, da ultimo con la memoria depositata in data  6  ottobre
2016  (pag.1),  ha  dato  atto  della  circostanza   della   avvenuta
proposizione  di   una   questione   di   costituzionalita'   rimessa
dall'Adunanza  Plenaria   del   Consiglio   di   Stato   alla   Corte
costituzionale con la ordinanza n. 7 del 14 luglio  2015;  ha  quindi
chiesto che  in  seno  a  questo  processo  di  ottemperanza  vengano
sollevate le altre questioni di costituzionalita' prospettate (quelle
elencate alle pagine 9 e seguenti della  memoria  indicata),  facendo
presente che dalla omessa riunione del presente processo  con  quello
di cognizione n. 7954/2010 non puo' discendere  un  pregiudizio  alle
proprie ragioni. 
    4.1. Per il vero,  il  pregiudizio  che  deriverebbe  alla  parte
odierna ricorrente dall'omessa  riunione  del  presente  giudizio  di
ottemperanza con il procedimento cognitorio n. 7594/2010  non  sembra
sussistere, in quanto parte  ricorrente  ha  sollevato  nel  presente
giudizio e nell'ambito del procedimento cognitorio  n.  7594/2010  le
medesime   censure   di   costituzionalita'   ed    «incompatibilita'
comunitaria» (cfr. la memoria difensiva del 26  giugno  2014  versata
nel procedimento cognitorio n. 7594/2010, ma anche l'atto di  appello
che vi ha dato origine al quarto e quinto  motivo,  ed  al  punto  II
delle conclusioni). 
    4.2. Piuttosto, l'argomento sollevato da parte odierna ricorrente
in ottemperanza consente al Collegio di evidenziare una  circostanza:
salvo quanto si dira' di qui a breve con  riferimento  alla  disamina
dell'evocato parametro di incostituzionalita'  di  cui  all'art.  102
della Costituzione, la ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 7  del  14
luglio  2015,  nel  sollevare  la  questione   di   costituzionalita'
dell'art. 50,  comma  4  della  legge  n.  388/2000  con  riferimento
all'art. 117 della Costituzione,  non  ha  preso  espressa  posizione
sulle ulteriori questioni di costituzionalita'  prospettate  in  quel
giudizio (analoghe a quelle prospettate nel presente  giudizio):  non
le ha  accolte  (che'  altrimenti  avrebbe  indicato  tali  ulteriori
parametri di «dubbio» di legittimita' costituzionale) ma  non  le  ha
neppure espressamente disattese. Il che esclude che l'esame  di  tali
dedotti profili di  costituzionalita'  siano  preclusi  nel  presente
giudizio. 
    E invero: 
    a)  sussiste  l'interesse  dalla  parte  odierna  ricorrente   in
ottemperanza a sollevarli, per evidenti ragioni: ove anche  uno  solo
di essi venisse accolto, ne conseguirebbe, in  tesi,  la  caducazione
della disposizione di  cui  dell'art.  50  comma  4  della  legge  n.
388/2000  che,  nella  prospettazione  dei  ricorrenti,   costituisce
l'unico ostacolo al  conseguimento  del  bene  della  vita  cui  essi
aspirano; 
    b)  le  tematiche  prospettate  sono  certamente  rilevanti   nel
presente giudizio (e,  per  il  vero,  lo  erano  anche  in  seno  al
procedimento cognitorio n. 7594/2010); 
    c) in  carenza  di  espressa  od  implicita  reiezione  di  detti
argomenti critici da parte della ordinanza n. 7 del  14  luglio  2015
resa dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di  Stato,  non  puo'
ravvisarsi preclusione a che i detti argomenti siano presi  in  esame
dal Collegio. 
    5. Puo' quindi procedersi alla disamina delle ulteriori questioni
prospettate dalla parte odierna ricorrente in ottemperanza. 
    5.1. Va nuovamente posto  in  luce  in  proposito  che  la  Corte
costituzionale (adita dal Tribunale amministrativo regionale  per  il
Lazio con la ordinanza  n.  6971  del  14  luglio  2014  in  seno  al
procedimento n. 3625/2003 conclusosi con  la  sentenza  reiettiva  n.
4104/2010) con la sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 ha: 
    a) evidenziato che ad avviso del Giudice remittente,  l'art.  50,
comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000, si
poneva in contrasto con gli articoli 3, 24,  100,  103  e  113  della
Costituzione; 
    b) espresso il convincimento  che  la  questione  dovesse  essere
esaminata  «entro  i  limiti   del   thema   decidendum   individuato
dall'ordinanza di remissione» e  che  doveva  «rimanere  estraneo  al
giudizio l'esame della questione di legittimita'  costituzionale  con
riferimento anche agli  ulteriori  parametri  e  profili  prospettati
dalla difesa delle parti private costituite,  in  quanto,  con  essi,
veniva introdotto un tema del tutto nuovo rispetto a quello  devoluto
dal giudice a quo;»; 
    c) respinto i dubbi di costituzionalita' prospettati, in quanto: 
    I) non  risultavano  vulnerati  «gli  articoli  24  e  113  della
Costituzione, perche' la garanzia costituzionale da essi prevista  si
riferisce al diritto di agire nella sede giurisdizionale e non  nella
sede amministrativa del ricorso  straordinario  al  Presidente  della
Repubblica»; 
    II) non era «violato l'art. 100 della Costituzione, che individua
nel     Consiglio     di     Stato     l'organo     di     consulenza
giuridico-amministrativa    e    di    tutela     della     giustizia
nell'amministrazione, essendo l'atto in esame del Consiglio di  Stato
espressione di una funzione consultiva su cui peraltro la  norma  non
incide»; 
    III)  non  era  «pertinente  il  richiamo  all'art.   103   della
Costituzione,  giacche'  nella  questione  di  costituzionalita'  non
venivano   in   considerazione   profili   concernenti    l'attivita'
giurisdizionale affidata al Consiglio di Stato»; 
    IV)  quanto  alla   prospettata   lesione   dell'art.   3   della
Costituzione, la norma denunciata, infine, «non  viola  l'affidamento
nella  sicurezza  giuridica,  perche'  il  legislatore,  in  sede  di
interpretazione autentica, puo' modificare sfavorevolmente, in  vista
del  raggiungimento  di  finalita'  perequative,  la  disciplina   di
determinati  trattamenti  economici  con  esiti  privilegiati   (cfr.
sentenza n. 6 del 1994)». 
    5.2. La parte odierna  ricorrente  in  ottemperanza  di  cio'  e'
consapevole, pur avendo sostenuto,  per  il  vero,  che  la  predetta
sentenza della  Corte  costituzionale  «sia  completamente  superata»
(pag. 5 del ricorso  in  ottemperanza,  paragrafo  3.4.);  ma  si  e'
limitata a chiedere di sollevare ulteriori questioni di  legittimita'
costituzionale, gia' prospettate, che non hanno trovato ingresso  nel
giudizio   sfociato   nella   richiamata   sentenza    della    Corte
costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005, diverse altresi' da  quelle
gia' rimesse al giudizio della Corte costituzionale con la  ordinanza
dell'Adunanza Plenaria n. 7 del 14 luglio 2015 (avendo a tal riguardo
sottolineato che dal considerando n. 6 del  provvedimento  in  ultimo
citato, e dal dispositivo del medesimo, emergeva che i parametri gia'
devoluti al giudizio della Corte costituzionale erano quelli  di  cui
agli  articoli  agli  articoli  3,  97  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione - pag. 1 memoria depositata in data 6 ottobre 2016). 
    6. Il compito demandato a questo Collegio  e'  quindi  quello  di
verificare  se  e  quale,   dei   molteplici   ulteriori   dubbi   di
costituzionalita' prospettati, sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondato, ed a tale proposito, si osserva immediatamente che: 
    a) il dubbio di costituzionalita'  prospettato  in  relazione  al
supposto contrasto dell'art. 112 del  c.p.a.  con  l'art.  102  della
Costituzione  (e/o   alternativamente,   con   la   VI   disposizione
transitoria della  Costituzione)  e'  inammissibile,  o  comunque  e'
divenuto improcedibile. Esso, per il vero (pag. 6 e 7  della  memoria
depositata  in   data   6   ottobre   2016),   sembrerebbe   riferito
esclusivamente alla ipotesi in cui non si fosse ritenuto  ammissibile
l'odierno ricorso in ottemperanza: una volta che l'ammissibilita' del
mezzo   e'   stata   definitivamente   accertata,   parrebbe   quindi
insussistente l'interesse della parte  impugnante  a  sollevare  tale
profilo; 
    b) sennonche', anche nel corso della  discussione  in  Camera  di
consiglio, la difesa ha lungamente insistito sul punto, ribadendo  la
fondatezza  della  tesi  della   «revisione»   retroattiva   che   il
Legislatore avrebbe operato con l'art. 69 della legge 18 giugno 2009,
n. 69 e con l'art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo
di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.  104,  «riconoscendo»
al  decreto   decisorio   del   ricorso   straordinario   la   natura
giurisdizionale che esso gia' possedeva; 
    c)  ha  pertanto  sottolineato  la  centralita'  della   proposta
questione, facendo presente che se non  si  convenisse  con  la  tesi
della «revisione ex tunc» si dovrebbe affermare che  le  disposizioni
di cui all'art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ed  all'art.  7,
comma 8, del codice del processo amministrativo  di  cui  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sarebbero illegittime nella  parte
in cui avrebbero  contravvenuto  al  divieto  di  istituire  «giudici
speciali». 
    6.1. Il Collegio ritiene che la questione sia inammissibile - per
piu' ragioni  -  e  comunque  non  fondata,  dovendosi  osservare  in
proposito che: 
    a) la Adunanza Plenaria di  questo  Consiglio  di  Stato  con  la
ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 ha statuito che «la  giurisprudenza
della Corte delle leggi e della Corte di legittimita'  sulla  portata
sostanziale delle modifiche apportate alla disciplina  dell'istituto,
e sulla conseguente riconducibilita' a dette novita' del  superamento
della  connotazione  amministrativa  del  rimedio»  ha  espressamente
respinto il presupposto maggiore della tesi prospettata dalla  parte,
espressamente affermando che non e'  possibile  «ritenere  che  anche
alle decisioni rese  in  precedenza  possa  essere  riconosciuta  una
valenza giurisdizionale e, quindi, l'intangibilita' propria della res
iudicata»; e l'incipit del paragrafo  5  della  citata  decisione  e'
stato  chiarissimo  nell'escludere  «la  praticabilita'   della   via
dell'interpretazione  della  norma  in  esame  secondo   un'accezione
compatibile con la salvaguardia delle precedenti  decisioni  rese  in
via definitiva su ricorsi straordinari»; 
    b) laddove si consideri che - come  prima  fatto  presente  -  la
medesima  questione  di   costituzionalita'   prospettata   in   seno
all'odierno giudizio era  stata  altresi'  prospettata  nel  giudizio
cognitorio scrutinato dalla Adunanza Plenaria, si deve  ritenere  che
la ordinanza n. 7 del 14 luglio 2015 abbia implicitamente respinto la
questione medesima; 
    c) la Corte costituzionale, con la sentenza del 2 aprile 2014, n.
73 ha esaustivamente chiarito che l'art. 69  della  legge  18  giugno
2009, n. 69 avrebbe operato (il che e' in antitesi con  la  tesi  dei
ricorrenti)  una  «traslazione  del  suddetto  ricorso  straordinario
dall'area  dei   ricorsi   amministrativi   a   quella   dei   rimedi
giustiziali»; 
    d) questo Collegio, per  un  verso,  condivide  la  ricostruzione
della  Adunanza  Plenaria,  e,  per  altro  verso,  ritiene  che   la
evocazione  a  parametro  della  VI  disposizione  transitoria  della
Costituzione non sia pertinente; 
    e) in sostanza, l'evocazione della  VI  disposizione  transitoria
della  Costituzione  mirerebbe  ad  ottenere  la  caducazione   delle
disposizioni di cui alla  legge  n.  69/2009  e  del  c.p.a.  laddove
interpretate nel senso che esse  abbiano  sostanzialmente  (e  quindi
soltanto ex  nunc)  «giurisdizionalizzato»  il  rimedio  del  decreto
decisorio del ricorso straordinario; 
    f) senonche', da un  canto,  e'  evidente  che  i  ricorrenti  in
ottemperanza non hanno alcun concreto interesse a sollevare la  detta
questione  che,  ove  accolta,  non  gioverebbe  affatto  alla   loro
posizione (risolvendosi nella affermazione della  persistente  natura
amministrativa del rimedio) e per altro verso  ne  appare  palese  la
inconciliabilita' ontologica con i presupposti sottesi alla  pendente
questione di legittimita' sollevata  dall'Adunanza  Plenaria  proprio
con la ordinanza suindicata; 
    g)  in  ultimo,  non  e'   superfluo   rilevarne   la   manifesta
infondatezza, in quanto comunque, a tutto concedere, il  legislatore,
con la legge 18 giugno 2009, n. 69,  non  avrebbe  affatto  istituito
alcun «giudice speciale», ma avrebbe semmai attribuito ad  un  organo
gia'   previsto   dalla    Costituzione    un    ulteriore    rimedio
«giurisdizionale», alternativo a quello gia' esistente, e per di piu'
con latitudine applicativa minore rispetto al passato; 
    h) il vero e', conclusivamente, che non si e' in presenza  di  un
vero e proprio dubbio di costituzionalita', (tanto e' vero  che  esso
non e' diretto  affatto  nei  confronti  della  disposizione  di  cui
all'art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388
del 2000), ma di  un  tentativo  di  porre  il  Giudice  delle  leggi
nell'alternativa  tra  dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale
delle norme suindicate di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69 ovvero
di  convenire  con  la  tesi  principale  esposta  nel   ricorso   in
ottemperanza secondo cui si sarebbe  in  presenza  di  una  revisione
retroattiva, con preclusione alla applicabilita' dell'art. 50,  comma
4 della legge n. 388 del 2000. Sicche' la questione,  al  piu',  puo'
assumere portata  argomentativa  volta  a  rafforzare  il  dubbio  di
costituzionalita' in relazione agli altri profili dedotti. 
    6.2.  Appare  del  pari  manifestamente  infondata,   oltre   che
genericamente formulata, la questione di legittimita'  costituzionale
riposante sull'asserito contrasto della  disposizione  dell'art.  50,
comma 4, della legge n. 388 del 2000 con il precetto di cui  all'art.
10 della Costituzione laddove si prescrive la necessaria  conformita'
dell'ordinamento  giuridico   italiano   alle   norme   del   diritto
internazionale generalmente riconosciute, ai principi generali e alle
norme di carattere consuetudinario in quanto: 
    a) va premesso che, al momento in cui propose il ricorso in  sede
straordinaria, parte  originaria  ricorrente  ben  conosceva  che  il
rimedio adito (seppur alternativo a quello giurisdizionale),  offriva
minori garanzie  rispetto  a  quest'ultimo  (il  diritto  potestativo
conferito alle  parti  intimate  di  chiedere  la  trasposizione  del
proposto ricorso  straordinario  in  sede  giurisdizionale  trova  la
propria  ratio  proprio  in   siffatta   constatazione:   vd.   Corte
costituzionale nn. 1 del 1964, 78 del 1966, e 148 del 1982); 
    b) non si ravvisa alcun principio di diritto consuetudinario  che
equipari   la   portata   ed   intangibilita'    della    statuizione
giurisdizionale a quella di un rimedio «giustiziale» (sia pure emesso
a  seguito  di  un  procedimento  contenzioso  alternativo  a  quello
giurisdizionale); 
    c) il Collegio dubita che, in materia,  sia  possibile  enucleare
principi  consuetudinari  di  diritto   internazionale   diversi   ed
ulteriori rispetto a quelli consacrati  nella  Convenzione  Edu,  che
offrano in subiecta materia  garanzie  superiori  rispetto  a  quelle
offerte da quest'ultima: di  certo  v'e'  che  neppure  i  ricorrenti
indicano persuasivamente tali principi, ed i loro referenti,  e  che,
per altro verso,  l'insegnamento  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo e' stato, in  passato,  quello  della  assimilabilita'  dei
rimedi in comparazione (Corte  EDU,  28  settembre  1999,  n.  45814,
Nardella  c.  Italia:  «il  ricorso  giurisdizionale  offre  maggiori
garanzie rispetto al ricorso straordinario -  «[p]uisque  ce  dernier
offre des garanties majeures par rapport au recours extraordinaire»-,
il controinteressato puo', entro un termine di sessanta giorni  dalla
notificazione, richiedere che il  ricorso  sia  trattato  innanzi  al
giudice amministrativo -«l'autre partie - controinteressato  -  peut,
dans un delai de  soixante  jours  a'  compter  de  la  notification,
demander  a'  ce  que  le  recours  soit  porte'   devant   le   juge
administratif»); 
    e) quanto sopra rilevato vale anche  ad  affermare  la  manifesta
infondatezza del supposto contrasto della disposizione dell'art.  50,
comma  4,  della  legge  n.  388  del  2000  con  l'art.  113   della
Costituzione; la tesi di parte impugnante si fonda, ancora una volta,
sulla  totale  assimilazione  del  decreto  decisorio   del   ricorso
straordinario alla decisione resa  in  sede  giurisdizionale,  ma  il
presupposto di partenza non e' condivisibile: nel 1999, all'epoca  in
cui  di  decreti   decisori   vennero   emessi,   la   regola   della
alternativita' concerneva un  «rimedio»  meno  garantito  rispetto  a
quello  giurisdizionale  e  praticabile  soltanto  in  virtu'   della
ricorrenza di una duplice  condizione  (la  «scelta»  di  avvalersene
esercitata dalla parte ricorrente e l'omesso esercizio della facolta'
di  trasposizione  da  parte  dei  soggetti  intimati):  esclusa   la
praticabilita' della tesi della «revisione ex tunc dell'istituto»  e'
a torto evocato il profilo di un possibile vulnus al principio  della
«divisione dei poteri» (evocato anche sub art. 70 della Costituzione)
e la questione si risolve  nella  minore  «resistenza  »  alla  legge
sopravvenuta e retroattiva del provvedimento amministrativo - seppure
reso in sede contenziosa «alternativa» alla funzione  giurisdizionale
- rispetto alla sentenza passata in giudicato. 
    6.3.  Non  sono  necessarie,  poi,  diffuse  argomentazioni   per
chiarire che il Collegio ritiene  manifestamente  infondati  tutti  i
dubbi di costituzionalita' manifestati con  riferimento  all'asserita
lesione  delle  guarentigie  della  indipendenza  ed  autonomia   dei
Magistrati del Consiglio di Stato: tali valori, consacrati  nell'art.
100 della Carta fondamentale, in  nessun  modo  potrebbero  ritenersi
messi  a  repentaglio  da  provvedimenti  legislativi   relativi   al
trattamento stipendiale di  questi  ultimi  e  destinati  (almeno  in
teoria) a regolare la posizione di numerosi soggetti; e' ben vero che
- come segnala anche la parte odierna  ricorrente  -  in  un  recente
passato la Corte costituzionale (decisione dell'11 ottobre  2012,  n.
223 che ha richiamato anche la precedente sentenza n.  1  del  1978),
nel fare riferimento ai «lavori preparatori  della  Costituente,  dai
quali traspare che l'omessa indicazione  specifica  dell'indipendenza
economica delle magistrature non ha significato l'esclusione di  tale
aspetto  dal  complesso  di  condizioni  necessario  per   realizzare
l'autonomia  ed  indipendenza  delle  stesse»,  ha   prospettato   la
possibilita' che misure  destinate  ad  incidere  sulle  retribuzioni
possano in teoria  indebolire  tali  guarentigie:  eppero',  cio'  ha
ritenuto possibile  laddove  ci  si  trovi  al  cospetto  di  «misure
ingiustificatamente discriminatorie» (in quella occasione venne colta
una ingiustificata disparita' di trattamento  fra  la  categoria  dei
magistrati e quella del pubblico impiego contrattualizzato); ma nella
situazione oggetto di esame e' affatto diversa e non sono rinvenibili
profili  di  discriminatorieta'  discendenti  dall'appartenenza  alla
categoria dei magistrati. 
    6.3.1. Invero, puo' convenirsi con la  circostanza  che  il  nono
comma dell'art. 4 della legge 6 agosto 1984, n.  425  (ai  sensi  del
quale per il personale che ha conseguito la nomina  a  magistrato  di
corte d'appello o a magistrato di Corte di cassazione a  seguito  del
concorso per esami previsto dalla legge  4  gennaio  1963,  n.  1,  e
successive   modificazioni   e   integrazioni,   l'anzianita'   viene
determinata in misura pari a quella  riconosciuta  al  magistrato  di
pari qualifica con maggiore anzianita' effettiva  che  lo  segue  nel
ruolo) non costituiva - contrariamente a una diffusa convinzione  che
sembra sottesa anche alle memorie  difensive  dell'Amministrazione  -
una disposizione riconducibile all'istituto del c.d. «galleggiamento»
ma integrava una norma  a  regime,  fondata  sul  riconoscimento  che
l'accesso  concorsuale  non  poteva  condurre  a   una   retribuzione
inferiore a quella posseduta da  coloro  che  fossero  transitati  al
Consiglio di Stato per anzianita'  (in  attuazione  di  un  principio
ritenuto legittimo, se non doveroso, dalla Corte  nella  sentenza  n.
269 del 10 marzo 1988, relativa all'Avvocatura dello Stato);  sicche'
essa determinava il trattamento stipendiale dei Consiglieri di  Stato
vincitori  di  concorso  immessi  in  ruolo   attribuendo   loro   un
trattamento economico migliorativo di quello tabellare.  Purtuttavia,
la soppressione  della  norma  a  regime  non  puo'  ritenersi  avere
inverato  alcuna  discriminazione,   essendosi   provveduto   a   una
ridefinizione  complessiva   della   materia   non   avente   portata
discriminatoria nei confronti dei ricorrenti. 
    D'altro  canto,  le  perentorie  affermazioni   contenute   nella
sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 hanno gia' escluso la  sussistenza
di  alcuna  lesione  alla  indipendenza  del   Consiglio   di   Stato
unitariamente considerato ed alla funzione giurisdizionale da  questo
esercitata, il che consente di ritenere manifestamente  infondate  le
questioni evocate nell'ultima pagina della memoria depositata in data
6 ottobre 2016 ove ritenute riferibili alla posizione dell'Istituto. 
    6.4. Quanto si e' prima rilevato vale altresi' a  disinnescare  i
dubbi di costituzionalita' relativi alla suindicata  disposizione  di
legge,  con  riferimento  alla  circostanza  che  nella  medesima  si
riscontrerebbero  i  tratti  di  una  legge  «ad  personam»  (o,  per
utilizzare  l'espressione  adombrata  a  pag.  11  del   ricorso   in
ottemperanza, «contra personam»). 
    Non appare, invero, convincente la tesi per cui ci si  troverebbe
al cospetto di una legge tesa a discriminare la posizione di pochi  e
ben determinati soggetti (9 consiglieri di Stato di concorso), mentre
per altro verso e'  inevitabile  che  la  portata  applicativa  della
medesima fosse ristretta,  sin  dall'origine,  in  quanto  diretta  a
dettare una normativa riguardante una limitata  cerchia  di  pubblici
dipendenti. La riprova di cio' si ha nella circostanza che di recente
la Corte europea dei diritti dell'uomo, Seconda Sezione ha avuto modo
di pronunciarsi (sentenza del 1° luglio  2014  resa  sul  ricorso  n.
61820/08 nella causa «Guadagno  ed  altri  contro  l'Italia»)  su  un
ricorso  proposto  da  alcuni  Magistrati  amministrativi  «volto   a
sostenere che l'entrata in vigore della legge n. 388 del 23  dicembre
2000 avrebbe influenzato la decisione  del  Consiglio  di  Stato»  in
quanto i medesimi avevano avviato un contenzioso  assimilabile  -  se
non del tutto identico - a quello promosso dagli odierni impugnanti. 
    6.5. Con  affermazioni  in  parte  antitetiche  a  quelle  finora
esaminate,  poi,  la  parte  odierna   ricorrente   in   ottemperanza
ricomprende,   tra   le   questioni   dimostrative   della   asserita
illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  in  parola,   un
argomento che, pur fondato su un approccio  ermeneutico  riferito  ai
lavori preparatori, comunque ha gia' trovato smentita nella  sentenza
della Corte costituzionale n. 282 del 15  luglio  2005:  si  sostiene
infatti, che sulla scorta dei lavori  parlamentari,  la  ratio  della
disposizione  sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  sarebbe
stata invece quella, opposta  di  «salvaguardare  i  nove  ricorrenti
medesimi»; senonche', ci si trova al cospetto di una critica che  non
prelude a dubbi di incostituzionalita' e che,  in  realta',  tende  a
fornire una «lettura» della contestata disposizione  contenuta  nella
legge n. 388 distonica  rispetto  a  quella  invece  contenuta  nella
sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio 2005. 
    6.6. Al punto 7 della memoria depositata in data 6.10.2016  (pag.
11) la parte ricorrente in ottemperanza prospetta  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 50, comma 4, penultimo  ed  ultimo  periodo,
della legge n. 388 del 2000 per violazione  dell'art.  117,  comma  1
della Costituzione in relazione all'art. 6 Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
motivando  le  ragioni  del  contrasto  proprio  sulla  scorta  della
sentenza del 1° luglio 2014 resa  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, Seconda  Sezione  sul  ricorso  n.  61820/08  nella  causa
«Guadagno ed altri contro l'Italia». 
    Trattasi di una questione che la parte ricorrente in ottemperanza
non aveva potuto porre in seno al ricorso  introduttivo  dell'odierno
giudizio, in quanto quest'ultimo era stato  depositato  nel  2013,  e
quindi  in  epoca  antecedente  alla   suindicata   pronuncia;   tale
questione, invece, essa aveva gia' del pari prospettato  in  seno  al
parallelo processo cognitorio n. 7594/2010. 
    Tale  questione,  non  puo',  ad  avviso  del  Collegio,   essere
considerata  in   via   autonoma,   in   quanto   il   parametro   di
incostituzionalita'  ivi  evocato  e'  stato  gia'  sollevato   nella
ordinanza dell'Adunanza Plenaria n.  7  del  14  luglio  2015,  e  le
argomentazioni ivi contenute ricomprendono ad ampliano  le  tematiche
poste in luce dalla citata sentenza del 1°  luglio  2014  resa  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo (ai cui contenuti,  peraltro,  si
fara' poi nuovamente riferimento, sotto altro angolo prospettico). 
    6.7. Il paragrafo 6 della memoria depositata in  data  6  ottobre
2016 compendia e ripropone le questioni  di  asserita  illegittimita'
costituzionale gia' indicate nei paragrafi da 5.7. a 5.10 del ricorso
in ottemperanza (pagg. 9 e 10 di tale atto in ultimo citato). 
    6.7.1. Nessuno dei parametri di legittimita'  costituzionale  ivi
evocati appare  persuasivo  muovendo  la  ricostruzione  della  parte
odierna ricorrente in ottemperanza dal presupposto secondo  il  quale
l'Amministrazione versava in stato di illecito allorche'  non  intese
eseguire i decreti  decisori  dei  ricorsi  straordinari  e  che,  di
converso, il contestato art. 50, comma 4 della legge n. 388 del  2000
sarebbe   intervenuto   a    sanatoria    dell'illecito    perpetrato
dall'Amministrazione:  senonche'  il   rifiuto   opposto   da   parte
dell'Amministrazione ad ottemperare  ai  detti  decreti  non  muoveva
dalla circostanza che  gli  stessi  fossero  ineseguibili  merce'  il
rimedio dell'ottemperanza (il che, semmai, costituiva  un  corollario
discendente dalla particolare natura dei medesimi) ma, semmai, da una
distinta considerazione. 
    Tale considerazione riposava nel convincimento (che poi e'  stato
trasfuso dal legislatore nel contestato art. 50, comma 4, della legge
n. 388 del 2000) secondo il quale: 
    a) la norma «madre» che attribuiva  agli  odierni  ricorrenti  il
diritto ad ottenere l'agognato beneficio economico/stipendiale  (art.
4, nono comma, della legge n. 425 del 1984) fosse stata gia'  espunta
dal sistema giuridico, per  incompatibilita'  sistematica  a  partire
dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992; 
    b) in  via  eccezionale  rimanevano  salvaguardate  le  posizioni
sostanziali  di  coloro  i  quali  avessero   visto   medio   tempore
riconosciuta la loro pretesa merce' sentenze regiudicate; 
    c) non omologabile a quest'ultima era la posizione di  chi  fosse
stato  attributario  «semplicemente»  di  una  decisione   favorevole
riposante in un decreto decisorio di un ricorso straordinario. 
    6.7.2. Come e' agevole riscontrare, quindi,  la  questione  viene
proposta avendo sempre quale punto di partenza il  postulato  secondo
cui vi era (gia' illo tempore) una assimilazione ontologica  assoluta
tra il decreto decisorio di un ricorso straordinario ed una  sentenza
regiudicata e sulla inesattezza  ed  illegittimita'  della  norma  di
interpretazione autentica di art. 50, comma 4, della legge n. 388 del
2000:  una  volta  che  la  Corte  costituzionale  ha  smentito  tale
postulato (vedasi considerando 3.3. della  sentenza  n.  282  del  15
luglio 2005) cade il presupposto di partenza (l'asserito  «conclamato
stato di perdurante illecito dell'amministrazione») ed i  presupposti
di non manifesta infondatezza del  dubbio  di  costituzionalita'  per
tutti i parametri evocati dalla parte ricorrente in ottemperanza. 
    6.7. In altre parole: l'Amministrazione non esegui' le  decisioni
straordinarie del 27 settembre 1999, ritenendo che la norma  invocata
dalle parti istanti fosse  gia'  stata  espunta  sin  dalla  data  di
entrata in vigore  del  decreto-legge  n.  333  del  1992;  la  norma
sopravvenuta di cui all'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000
nella lettura fornitane  anche  dalla  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 282 del 15 luglio 2005 ha  ritenuto  non  scorretta  tale
tesi, ed ha ritenuto che l'eccezione fosse  rappresentata  unicamente
dalle  sentenze  regiudicate  che  avevano  affermato  il  contrario;
pertanto il supposto contrasto con gli articoli 54,  98  e  28  della
Costituzione, basato su un asserito «eccesso  di  potere  legislativo
volto a sanare un pregresso  illecito»  perpetrato  merce'  la  detta
disposizione di legge, appare manifestamente infondato (e ad analoghe
considerazioni si deve pervenire quanto  alla  asserita  «carenza  di
potere del Parlamento» ad intervenire sulla materia). 
    Diversa - e, come si vedra', non manifestamente infondata - e' la
questione della legittimita' ex tunc della «sanatoria» in se',  cioe'
indipendentemente  dalla  configurabilita'  di  un  illecito  ma   in
relazione  alle   conseguenze   che   connotano   l'incidenza   della
retroattivita'  della  disposizione  sulle  posizioni  acquisite  dai
ricorrenti. 
    7. Appare infatti al  Collegio  rilevante  e  non  manifestamente
infondato, per le considerazioni che immediatamente si espongono,  il
dubbio  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  50,  comma  4,
penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388 del 2000 in relazione
agli evocati parametri di cui agli articoli 3, 24 ed anche 111  della
Costituzione, in quanto: 
    a) come si e' prima a  piu'  riprese  rilevato,  nella  ordinanza
dell'Adunanza Plenaria n. 7 del  2015  e'  stato  gia'  ritenuto  non
manifestamente infondato il dubbio di compatibilita' con gli articoli
3  e  97,  Cost.,  «in  quanto,   alla   stregua   delle   coordinate
interpretative tracciate dalla Consulta  (vedi  Corte  costituzionale
numeri 376/1995; 282/2005;  103/2007;  267/2007;  241/2008),  con  la
legge provvedimento non e' possibile esercitare  un  potere,  atipico
rispetto al novero dei poteri  amministrativi  tipizzati,  diretto  a
incidere in via retroattiva e in senso  sfavorevole  sulle  posizioni
consolidatesi per effetto di decisioni irreversibili»; 
    b) nella sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 15 luglio
2005 e' stato escluso (quanto alla prospettata  lesione  dell'art.  3
della Costituzione) che la norma denunciata,  violasse  l'affidamento
nella  sicurezza  giuridica,  perche',  si  e'  ivi  affermato,   «il
legislatore, in sede di interpretazione  autentica,  puo'  modificare
sfavorevolmente,   in   vista   del   raggiungimento   di   finalita'
perequative, la disciplina di determinati trattamenti  economici  con
esiti privilegiati (cfr. sentenza n. 6 del 1994)»; 
    c) senonche', anche dovendo tenere conto dell'orientamento  della
Corte costituzionale (sentenza del 26 novembre 2009, n. 311)  secondo
cui «deve escludersi l'esistenza  di  un  principio  secondo  cui  la
necessaria incidenza delle  norme  retroattive  sui  procedimenti  in
corso si porrebbe automaticamente in  contrasto  con  la  Convenzione
europea», a piu' riprese il Giudice delle leggi (in ultimo,  si  veda
la decisione del 4 luglio 2014, n. 191) ha affermato il principio per
cui e' ravvisabile una violazione del «principio della parita'  delle
parti», di cui all'art. 111  Cost.,  quando  il  legislatore  statale
immette  nell'ordinamento  una  fattispecie  di  ius  singulare   che
determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco (da ultimo,
ex plurimis, sentenza n. 186 del 2013); 
    d)  nella  medesima  decisione  n.  191  prima  citata  e'  stato
rammentato, poi, che «la Corte europea dei diritti dell'uomo ha  piu'
volte ribadito che "in linea di principio non e'  vietato  al  potere
legislativo di stabilire in materia civile una disciplina  innovativa
a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il
principio della preminenza del diritto e la nozione di processo  equo
sanciti dall'art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che  per  motivi
imperativi  di   interesse   generale,   all'ingerenza   del   potere
legislativo  nell'amministrazione  della   giustizia   al   fine   di
influenzare l'esito giudiziario di  una  controversia"  (sentenze  11
dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras e altri
contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; 31 maggio
2011, Maggio e altri contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi  e  altri
contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e  altri  contro  Italia).  La
medesima Corte ha altresi' rimarcato che le circostanze  addotte  per
giustificare  misure  retroattive  devono  essere  "trattate  con  la
massima circospezione possibile" (sentenza 14 febbraio 2012, Arras  e
altri contro Italia), in particolare quando l'intervento  legislativo
finisca  per  alterare  l'esito  giudiziario  di   una   controversia
(sentenza 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia).»; 
    e)  la  parte  odierna  ricorrente  in  ottemperanza   sottolinea
condivisibilmente (punto  16  della  memoria  depositata  in  data  6
ottobre 2016) che non si ravvisa alcun «motivo  imperativo  generale»
ne' alcuna incertezza interpretativa, riferibile all'art.  50,  della
legge n. 388 del 2000, in quanto non v'era stato  alcun  contenzioso,
fuorche'  quello  sfociato   nei   decreti   decisori   dei   ricorsi
straordinari del 27 settembre 1999; anzi, poiche' - come si e' dianzi
precisato - la disposizione in parola faceva  venir  meno  una  norma
(art. 4, nono comma, della legge n. 425  del  1984)  espressione  del
principio del miglior trattamento dei vincitori di concorso), la  sua
applicazione veniva riferita solo alle fattispecie a venire; 
    f) d'altra parte si  deve  convenire  con  due  circostanze,  che
appaiono meritevoli di considerazione e significative dei prospettati
dubbi di costituzionalita' anche muovendo dalla negazione della piena
equiparabilita' dei decreti decisori dei  ricorsi  straordinari  alle
sentenze regiudicate: 
    I) i detti decreti avevano  definito  in  senso  favorevole  agli
odierni ricorrenti in ottemperanza la lite concernente  la  spettanza
del bene della vita cui essi aspiravano; 
    II) al momento della pubblicazione dell'art. 50, comma  4,  della
legge n. 388 del 2000  la  controversia  afferente  alla  cogenza  ed
eseguibilita' dei detti decreti era ancora in corso, in  quanto,  nel
permanente  rifiuto  dell'Amministrazione   di   conformarvisi,   gli
originarii ricorrenti avevano proposto un  ricorso  per  l'esecuzione
del giudicato, accolto dal Consiglio di Stato (Cons. Stato  Sez.  IV,
15 dicembre 2000, n. 6697) e soltanto  successivamente  la  decisione
favorevole da quest'ultimo adottata  era  stata  annullata  da  parte
della Suprema Corte di cassazione per difetto di giurisdizione (Cass.
civ. Sez. Unite, 18 dicembre 2001, n. 15978). 
    7.1. Non puo' negarsi, quindi, che la contestata disposizione  di
cui  alla  legge  n.  388  del  2000  interviene  nel  corso  di  una
controversia in atto tra l'amministrazione e gli  odierni  ricorrenti
in ottemperanza, con una previsione  atta  a  privare  di  effetti  i
decreti  decisori  favorevoli  dagli  stessi  ottenuti  ed  anche  la
successiva  attivita'  volta  ad  ottenerne  l'esecuzione   da   essi
intrapresa, ed in assenza di motivi imperativi di interesse  generale
tale disposizione sembra mutilare il diritto di difesa degli  odierni
ricorrenti in ottemperanza (art. 24 della Costituzione) ed insieme il
principio  di  parita'  delle  parti  di  cui  all'art.   111   della
Costituzione. 
    Non e' trascurabile, poi, il  rilievo  che  il  dato  concernente
l'assenza di motivi imperativi di  interesse  generale  sottesi  alla
emanazione della contestata disposizione risulti gia' processualmente
accertato, in quanto la sentenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, Seconda Sezione del 1° luglio 2014  resa  sul  ricorso  n.
61820/08, cui si e' prima fatto riferimento, al considerando n. 34 ha
espressamente escluso che la retroattivita' della legge fosse  basata
su motivi imperativi di interesse generale («La  Corte  nota  a  tale
proposito che il Governo non ha neanche  tentato  di  spiegare  quali
motivi imperativi,  ai  sensi  della  sua  giurisprudenza,  potessero
giustificare un intervento legislativo retroattivo  in  pendenza  del
procedimento. Nessuno degli argomenti presentati dal Governo convince
la Corte della legittimita' e della proporzionalita'  dell'ingerenza.
Tenuto conto di quanto sopra esposto, l'intervento  legislativo,  che
regolava   definitivamente,   retroattivamente,   il   merito   della
controversia che opponeva i ricorrenti allo Stato dinanzi ai  giudici
interni, non era  giustificato  da  motivi  imperativi  di  interesse
generale.»). 
    Del pari non appare trascurabile che: 
    la medesima sentenza abbia fatto ampio riferimento  al  principio
della «parita'  delle  armi»  (sia  pure  nell'ottica  della  dedotta
violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, come puo'  riscontrarsi
al considerando n. 28 della medesima decisione); 
    parimenti la richiamata  decisione  abbia  dedicato  un  espresso
richiamo (seppure nella parte dedicata alla quantificazione del danno
da liquidare ai ricorrenti in quel giudizio) alla circostanza che non
e' «irragionevole pensare che  gli  interessati  abbiano  subito  una
reale perdita di chance» ancorandola allo  svolgimento  del  giudizio
«nazionale» intentato da quei ricorrenti («senza dover supporre quale
sarebbe stato l'esito del processo in caso contrario»). 
    8. Ribadita  quindi  la  rilevanza  nell'odierno  giudizio  della
questione prospettata, per le considerazioni  sinora  illustrate,  ne
emerge  anche  la  non  manifesta   infondatezza,   in   quanto   non
manifestamente  infondato  appare  il  dubbio  di   costituzionalita'
relativo ad una legge retroattiva che, per  di  piu'  in  assenza  di
motivi di interesse generale, interviene su  liti  pendenti  dettando
una disposizione di tenore coincidente con la tesi propugnata da  una
delle parti  (l'Amministrazione)  in  lite;  il  che  impone  che  il
presente giudizio debba essere sospeso e gli  atti  vadano  trasmessi
alla Corte costituzionale. 
    8.1.   Il   Collegio   condivide   peraltro   integralmente    le
considerazioni dell'Adunanza Plenaria  espresse  nella  ordinanza  di
remissione n. 7 del 2015 in quanto la disposizione  di  cui  all'art.
50, comma 4, della legge n. 388 del 2000 non  pare  armonizzarsi  con
gli articoli 3 e 97 della Costituzione e  con  i  limiti  che  devono
connotare le  c.d.  «leggi-provvedimento»  ove  queste  ultime  siano
destinate ad incidere su situazioni consolidate,  e  con  l'art.  117
della Costituzione in relazione alle norme Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(articoli 6 e 13 del Trattato CEDU) quali  nome  interposte  volte  a
predicare  l'intangibilita'  anche  delle  decisioni   amministrative
caratterizzate  da  una  judicial   review.   Inoltre,   sempre   con
riferimento al parametro di cui all'art. 97 della Costituzione, si e'
ricordato in precedenza che la Corte costituzionale con  la  sentenza
n. 269 del 10 marzo 1988 ha ritenuto  costituzionalmente  illegittima
la posposizione in ruolo degli  avvocati  dello  Stato  vincitori  di
concorso rispetto agli ex Procuratori capo dello Stato  inseriti  tra
gli avvocati alla seconda classe  di  stipendio,  per  effetto  della
legge di riforma  3  aprile  1979  n.  103;  orbene,  il  nono  comma
dell'art.  4  della  legge  6  agosto   1984,   n.   425,   applicato
all'ordinamento della  giustizia  amministrativa  mirava  proprio  ad
evitare  la  discriminazione  economica  dei  consiglieri  di   Stato
vincitori di concorso rispetto ai consiglieri con maggiore anzianita'
effettiva  che  li  seguivano  nel   ruolo:   per   l'effetto   della
disposizione di cui all'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000
si e' inverata (seppure unicamente  con  riferimento  al  trattamento
stipendiale) una condizione analoga  a  quella  reputata  illegittima
nella richiamata sentenza n. 269 del 10 marzo 1988  e  tale  effetto,
sebbene  per  le  sopra  chiarite   ragioni   non   possa   definirsi
«discriminatorio» tuttavia non appare armonico col  precetto  di  cui
all'art. 97 della Costituzione nei  sensi  chiariti  dalla  ricordata
sentenza n. 269 del 10 marzo 1988. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  Quarta),
non definitivamente  pronunciando  sul  ricorso  in  epigrafe,  visti
l'art. 134 Cost., l'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948,  n.  1,
l'art 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita' dell'art. 50,  comma  4,  penultimo  e
ultimo periodo della legge 23 dicembre 2000,  n.  388  («Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge finanziaria 2001») in relazione agli articoli 3, 24, 111 e  117
della Costituzione, nella  parte  in  cui  tale  norma,  sancendo  la
portata retroattiva dell'abrogazione dell'art. 4, nono  comma,  della
legge 6 agosto 1984, n. 425, e prevedendo che detta abrogazione possa
travolgere anche posizioni  individuali  gia'  riconosciute  mediante
decisioni  definitive  su  ricorsi  straordinari,  ha  inciso   sulle
controversie pendenti che erano  state  intraprese  per  ottenere  la
esecuzione  delle   suddette   decisioni   definitive   sui   ricorsi
straordinari; 
        b) dichiara manifestamente infondate, nei  sensi  di  cui  in
motivazione, le ulteriori questioni di costituzionalita' prospettate; 
        c) dispone la sospensione del presente giudizio e  ordina  la
immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura della  segreteria  della  Sezione  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, nel merito ed in ordine alle spese. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  1°
dicembre 2016 con l'intervento dei signori magistrati: 
        Filippo Patroni Griffi, Presidente; 
        Fabio Taormina, consigliere, estensore; 
        Vincenzo Lopilato, consigliere; 
        Giuseppe Castiglia, consigliere; 
        Nicola D'Angelo, consigliere. 
 
                    Il Presidente: Patroni Griffi 
 
 
                                                L'estensore: Taormina