N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2016

Ordinanza  del  26  ottobre  2016 del   Tribunale   di   Varese   nel
procedimento penale a carico di P. N.. 
 
Reati e  pene  -  Molestia  o  disturbo  alle  persone  -  Regime  di
  procedibilita'. 
- Codice penale, art. 660. 
(GU n.22 del 31-5-2017 )
 
                     TRIBUNALE PENALE DI VARESE 
 
    Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica; 
    Rilevato che con decreto di  giudizio  immediato  del  20  aprile
2016, susseguente a opposizione a decreto penale di condanna,  P.  N.
veniva chiamata a rispondere del reato di cui all'art. 660 del codice
penale per molestia telefonica ai danni di T. F.,  come  verificabile
sulla base degli atti del fascicolo dibattimentale; 
    Richiamato puntualmente il capo d'imputazione (reato di cui  agli
artt. 81 cpv., 660 del codice penale perche' P. N.  con  piu'  azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi  diversi,  per
petulanza od altro biasimevole motivo - gelosia -, telefonando  anche
piu'  volte  al  giorno  con  l'utenza  ...  in  suo  uso  all'utenza
telefonica n. ...  in  uso  a  T.  F.  effettuando  telefonate  mute,
arrecava molestia o comunque disturbo alla predetta T. F. (Omissis); 
    Rilevato che in data 18 ottobre  2016,  in  udienza,  la  persona
offesa  costituita  parte  civile,  a  mezzo  procuratore   speciale,
rimetteva esplicitamente la  querela  da  cui  ha  avuto  origine  il
presente procedimento e la difesa dell'imputata forniva prova  sicura
e concreta della volonta' di  accettare  la  medesima  (qualora  tale
accettazione avesse potuto sortire qualche effetto estintivo); e  che
in data 25 ottobre 2016 T. F. ribadiva davanti a  questo  Giudice  la
volonta' di rimettere la querela; 
    Rilevato che il reato di cui all'art. 660 del  codice  penale  e'
procedibile d'ufficio e che dunque il Giudice non potrebbe allo stato
ritenere efficace  l'intervenuta  remissione  di  querela,  dovendosi
pronunciare nel merito anche  contrariamente  alle  reali  intenzioni
delle parti originarie; 
    Ritenuto  che,  a  giudizio  di  questo  Tribunale,  deve  essere
sollevata  d'ufficio  questione  di  legittimita'  costituzionale  in
riferimento all'art. 660 del codice penale, nella parte  in  cui  non
prevede la procedibilita' a  querela  -  con  annessa  rimettibilita'
della  stessa  - quanto  meno  nei  casi  in  cui  la  molestia   sia
indirizzata  a  persona  determinata,  come  meglio  esplicitato   in
seguito; 
    Ritenuto che - per i motivi esposti  di  seguito  - la  questione
appare valutabile nel merito dalla  Corte  costituzionale  in  quanto
rilevante/ammissibile; 
    Ritenuto violato quanto meno l'art. 3 della Cost., con  parametro
interposto l'art. 612-bis del codice penale, per i motivi di  seguito
indicati 
 
                               Osserva 
 
Sulla rilevanza/ammissibilita'. 
    La questione di legittimita'  costituzionale  vertente  sull'art.
660  del  codice  penale   limitatamente   al   profilo   della   sua
procedibilita' appare candidamente ammissibile in quanto  «rilevante»
ai fini della definizione del caso di specie. 
    Infatti, nel  caso  di  specie,  risulta  depositata  in  udienza
remissione  di  querela  da  parte  dell'unica  persona  offesa   con
contestuale accettazione da parte dell'imputata;  inoltre  la  difesa
chiedeva  espressamente  di  potersi  giovare  dell'istituto  di  cui
all'art. 152 del codice penale, senza una decisione nel merito  della
causa penale (e a prescindere dalla fondatezza o meno dell'accusa). 
    La  remissione  di  querela,  nel  caso  di  specie,  puo'  anche
considerarsi «processuale», in quanto T. F. ha ribadito espressamente
e senza riserve davanti al Tribunale  in  data  25  ottobre  2016  di
volere, appunto, rimettere la querela. 
Sul merito della questione di legittimita' costituzionale. 
    Il Tribunale ritiene che, in base alla normativa vigente,  l'art.
660 del  codice  penale  debba  essere  considerato  illegittimo  per
violazione dell'art. 3 comma primo e secondo della Cost. nella  parte
in cui «non prevede che il reato e' procedibile a querela di parte» -
con rimettibilita' di querela almeno processuale -  quanto  meno  con
riguardo alle condotte di generica  molestia  o  disturbo  a  persona
determinata e nei limiti meglio specificati di seguito. 
    Il parametro interposto nel caso in esame e' costituito dall'art.
612-bis del codice penale. 
    La problematica risulterebbe essere  la  seguente:  nel  caso  di
contestato reato di atti persecutori - che e' illecito  considerabile
connotato da evidenti tratti di specialita' ed e' piu' grave rispetto
alla fattispecie di cui all'art. 660 del codice penale -  il  delitto
e' punito a querela della persona offesa, ed e' quindi possibile  una
remissione con effetto estintivo; contrariamente,  nella  piu'  tenue
ipotesi   contravvenzionale,   sarebbe   previsto   un   regime    di
procedibilita' ex officio, ad  avviso  del  rimettente  -  almeno  in
talune ipotesi - in modo illegittimo. 
    Cio' premesso - ed approfondendo  meglio  la  questione  - appare
irragionevole ed iniquo che,  qualora  la  pubblica  accusa  contesti
all'imputato  il  reato  di  cui  all'art.  660  del  codice  penale,
l'imputato sia assolutamente impossibilitato ad ottenere il beneficio
estintivo di cui all'art. 152 del codice penale  (ed  al  piu'  possa
accedere all'oblazione che comunque prevede una soglia processuale  e
sicuramente un esborso di denaro), mentre invece se il  prevenuto  e'
accusato del piu' grave e analogo delitto di stalking,  questi  possa
«uscire indenne» dal  processo  a  seguito  di  accordo  conciliativo
(ovviamente se, contenente annessa remissione di querela). 
    E cio',  appunto,  nonostante  l'analogia  di  base  tra  le  due
fattispecie incriminatrici, ed anzi proprio alla luce della stessa. 
    D'altronde non vi e' dubbio che il reato di cui all'art.  612-bis
integra una sorta di species, punita  con  pene  piu'  severe,  della
fattispecie contravvenzionale ex art. 660 del codice  penale,  quanto
meno con riferimento  alla  massa  di  condotte  astratte  lesive  di
interessi che fanno capo all'individuo singolo;  e  in  proposito  si
riporta anche Corte costituzionale n. 172/2014:  «La  fattispecie  di
cui all'art. 612-bis si configura come specificazione delle  condotte
di minaccia o di molestia contemplate  dagli  artt.  612  e  660  del
codice  penale;  nel  prevedere  un'autonoma  figura  di   reato   il
legislatore  ha  infatti  ulteriormente  connotato   tali   condotte,
richiedendo che  siano  realizzate  in  modo  reiterato  e  idoneo  a
cagionare almeno uno degli eventi indicati». 
    Questo Tribunale e' a conoscenza del fatto che, specie  in  tempi
recenti, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che  il  reato
di molestia o disturbo alle persone presenta tratti di una  sorta  di
specialita' che potrebbe definirsi per  cosi'  dire  imperfetta,  che
esso tutela  un  bene  ultroneo  rispetto  a  quello  protetto  dalla
fattispecie di stalking - ossia la tranquillita' pubblica -,  che  le
due norme possono astrattamente concorrere tra  loro;  e  che  dunque
un'eventuale  pretesa  di   simmetria   tra   le   rispettive   norme
incriminatrici potrebbe risultare forzata. 
    Si precisa inoltre che questo Tribunale  rileva  e  constata  che
detta  tutelata  «tranquillita'  pubblica»  si  sostanzierebbe  nella
prevenzione di una propagazione indefinita  dell'offesa,  nonche'  di
possibili degenerazioni incontrollate anche da parte  di  terzi  (cfr
consolidata giurisprudenza sul punto). 
    E si sottolinea comunque che, almeno ad avviso del  Tribunale  di
Varese, tali pericoli da ultimo citati - ossia di degenerazioni o  di
reazioni a catena quali effetto di molestia - dovrebbero poter  esser
presi in considerazione soltanto  qualora  la  condotta  di  disturbo
rischi di arrecare nocumento  a  soggetti  indeterminati:  altrimenti
opinando si rischierebbe d'altronde di valorizzare  un  elemento  che
non e' caratterizzante del reato contravvenzionale (in effetti  anche
in occasione della commissione  di  molteplici  «delitti»  contro  la
persona, e procedibili a querela di parte, e'  presente  ed  e'  gia'
implicita la possibilita' di  conseguenti  reazioni  da  parte  della
stessa vittima o di soggetti gia'  predeterminabili;  e  di  un  tale
pericolo il giudice potra' tener conto anche ai sensi  dell'art.  133
del codice penale). 
    Cio' posto (e pur  tuttavia),  deve  adesso  osservarsi  che  nel
nostro ordinamento alcune - rectius molteplici  - forme  di  condotta
sussumibili e sussunte sub art. 660 del codice penale,  connotate  da
un'azione contenuta e isolata ai danni di una sola persona, finiscono
per  ledere  sostanzialmente   e   di   fatto,   almeno   in   misura
«preponderante», lo stesso bene giuridico protetto dall'art.  612-bis
del  codice  penale  (vedi  numerosissima   casistica   nella   quale
s'inserisce anche  il  caso  in  esame);  e,  cio'  nonostante,  esse
confluiscono insieme alle altre offese  tipiche  -  anche  alla  luce
dell'inequivoco  tenore  letterale  della  disposizione -  nell'alveo
della medesima norma contravvenzionale  (anche  a  prescindere  dalla
rubrica del titolo 1 libro III del codice penale che tra l'altro  non
e' stata piu' rimaneggiata dal lontano 1930). 
    In tali ipotesi risulta implicitamente, e  comunque  chiaramente,
che  il  «reale»  disvalore  si  sostanzia  nell'offesa  della   c.d.
tranquillita'  individuale  similmente  che  nello  stalking,  mentre
invece la tutela dell'ordine pubblico  -  nella  specie  pericolo  di
propagazioni incontrollate dell'offesa -  si  rivela  nella  sostanza
come un mero elemento di contorno (che  a  sua  volta  e  in  qualche
misura dovra' ovviamente presentare qualche indice di sussistenza ma)
che comunque di fatto - in linea con la norma - e'  valutato  secondo
i' discussi parametri  del  pericolo  cosiddetto  «presunto»  e  puo'
concretizzarsi anche in misura alquanto sfumata. 
    Numerosissima - si ribadisce - e' appunto la  casisistica,  ossia
le ipotesi in cui l'imputazione contestata con il richiamo  dell'art.
660 del codice  penale  si  sostanzia  in  molestie  -  per  lo  piu'
telefoniche e comunque non tali da rientrare nell'alveo  degli  «atti
persecutori» - sostanzialmente lesive della sfera individuale  di  un
solo soggetto  e  solo  potenzialmente  e  vagamente  foriere  di  un
pericolo di nocumento per la collettivita' (ipotesi concretamente  in
cui ad essere leso di riflesso non  e'  l'interesse  del  singolo  ma
appunto, viceversa, quello collettivo). 
    Cosi' solo esemplificativamente e tra le tantissime  vedi  quella
giurisprudenza secondo cui potrebbe astrattamente  ritenersi  molesta
anche una sola telefonata sgradita avvenuta in pieno orario notturno,
tale da svegliare l'inquilino dell'appartamento, e a prescindere  dal
fatto   che   altre   persone   abbiano   potuto   udire   il   suono
dell'apparecchio  telefonico.  E  cosi'  anche  -  nell'ambito  delle
innumerevoli pronunce - si citano altresi' il caso  rappresentato  da
Cassazione 30294/2011 relativo all'invio ad unica persona determinata
di plurimi e sgraditi SMS che  per  loro  natura  sovente  sono  poco
rumorosi  e  difficilmente  (e  comunque   potenzialmente)   arrecano
nocumento a un'indeterminata collettivita', o quello  ad  oggetto  di
Cassazione 23262/2016, secondo cui  peraltro  la  reciprocita'  delle
molestie   (a   certe   condizioni)    esimerebbe    l'imputato    da
responsabilita' penale in ipotesi nelle  quali  l'unica  vittima  del
reato,   con   la   propria   reazione,   si   trovi   ad   annullare
l'unidirezionalita' dell'offesa e quindi la sopraffazione personale. 
    Orbene, se all'interno dell'ampio ventaglio di possibili condotte
riportabili sub art. 660 del  codice  penale  si  pone  anche  questa
conosciutissima casistica in cui il nucleo vero,  il  nocciolo  duro,
del disvalore  interessa  la  sfera  del  singolo  individuo -  e  il
pericolo   per   un'indeterminata    collettivita'    risulta    solo
intravedibile ed e' remoto -, allora questa parte dell'art.  660  del
codice penale deve considerata strettamente prossima al reato di  cui
all'art. 612-bis del codice penale. 
    Correlativamente, costituendo allora queste condotte  nella  vera
sostanza un minus rispetto  agli  persecutori,  appare  irragionevole
prevedere un trattamento differenziato per le due  fattispecie  sotto
il rilevante  aspetto  della  procedibilita',  in  particolare  se  -
appunto - in pregiudizio del responsabile di un'offesa piu' tenue. 
    Per completezza si da' atto che questo Tribunale e' a  conoscenza
dell'ordinanza n. 392/2008 emessa da  queste  Ecc.ma  Corte,  ove  la
Consulta ha dichiarato manifestamente inammissibile la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.   660   del   codice   penale
censurato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella  parte
in cui prevede la procedibilita' di ufficio nei confronti dell'autore
dei fatti reato da tale norma contemplati, anche nell'ipotesi in  cui
la molestia e'  rivolta  non  gia'  ad  un  numero  indeterminato  di
persone, ma a danno di un soggetto ben determinato. 
    Tuttavia questo Giudice ritiene che la questione in  questa  sede
proposta risulti nuova rispetto a quella trattata e gia'  citata:  in
quel caso infatti si contestava l'illegittimita'  dell'art.  660  del
codice penale assumendo  come  parametro  interposto  svariate  norme
incriminatrici previste nel libro secondo che presentano tratti assai
dissimili rispetto alla contravvenzione oggi in esame: la molestia  e
la turbativa della serenita' personale e collettiva  ledono  in  modo
diverso la persona rispetto a reati come quelli  allora  indicati,  e
sono idonee a ingenerare reazioni diverse nei  soggetti  coinvolti  e
pericoli differenti per la collettivita'. E peraltro non puo' negarsi
che nel lasso temporale di otto anni puo' ritenersi che l'ordinamento
giuridico nel suo complesso abbia subito alcuni rilevanti mutamenti. 
    Giova in ogni evenienza ribadire che la questione di legittimita'
costituzionale era stata proposta anteriormente all'entrata in vigore
del decreto-legge convertito n. 11/2009, che ha creato e inserito  ex
novo il reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis del  codice
penale:  dunque  all'epoca  risultava  carente  l'attuale   parametro
interposto. 
    Infine giova precisare che questo Tribunale e' anche a conoscenza
dell'orientamento di codesta Ecc.ma Corte, secondo cui  la  questione
di legittimita' costituzionale andrebbe sollevata  solamente  qualora
il  testo  normativo  non  si   presti   ad   altra   interpretazione
costituzionalmente orientata. 
    Ebbene,  nel  caso  in  esame,  l'unica  ipotesi   che   parrebbe
scongiurare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 660 del  codice
penale sarebbe quella di ritenere penalmente rilevanti unicamente  le
condotte idonee a mettere a repentaglio  la  tranquillita'  pubblica,
con esclusione di quelle «unidirezionate» nei confronti del singolo o
di singoli soggetti determinati. 
    Ma, cosi' opinando - a giudizio del Tribunale -  da  un  lato  si
restringerebbe  ingiustificatamente  il   chiaro   tenore   letterale
dell'art. 660 del codice penale e dall'altro si  finirebbe  di  fatto
per  sconfessare  un  diritto  vivente  che  parrebbe,  sebbene   con
sfumature diverse, ormai in linea generale consolidato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 137 Cost. e 23 l. 87/1953; 
    Solleva questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  660
del codice penale, in riferimento all'art. 3 comma 1 e 2 della Cost.; 
    Nella parte in cui la norma di legge ordinaria  non  richiama  il
regime di procedibilita' di cui all'art. 612-bis comma 4  del  codice
penale; 
    Quanto meno limitatamente alle condotte idonee a recare  molestia
o disturbo esclusivamente a persona determinata. 
    Manda alla cancelleria per le notificazioni di rito. 
    Manda altresi' alla  cancelleria  per  l'inoltro  della  presente
ordinanza agli uffici della Corte costituzionale. 
      Varese, 26 ottobre 2016 
 
                       Il Giudice: Fertitta