N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 2017

Ordinanza del 9 gennaio 2017 del Tribunale  amministrativo  regionale
per  la  Sicilia  sul  ricorso  proposto   da Impredil   srl   contro
Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita'
e Comune di Castelvetrano. 
 
Miniere, cave e torbiere - Norme della Regione Siciliana - Canone  di
  produzione  annuo  -  Determinazione  commisurata  alla  superficie
  dell'area  coltivabile  e  ai  volumi  autorizzati  della  cava   -
  Applicazione delle modalita' di calcolo anche  ai  canoni  relativi
  all'anno 2014. 
- Legge della Regione Siciliana 7 maggio  2015,  n.  9  (Disposizioni
  programmatiche e correttive per l'anno 2015.  Legge  di  stabilita'
  regionale), art. 83, nella parte in cui modifica  i  commi  1  e  8
  dell'articolo 12 della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n.
  9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2013.  Legge
  di stabilita' regionale). 
(GU n.41 del 11-10-2017 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA 
                           (Sezione Terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3585 del 2015, proposto da: 
        «Impredil» s.r.l., in persona del legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentato e difeso, per procura  in  calce  al  ricorso,
dagli avvocati Giovanni Lentini, C.F. LNTGNN55B11C286P, e  Anna  Rita
Perrone, C.F. PRRNRT76H47D423U, elettivamente domiciliato  presso  lo
studio dell'avv. Rosalba Genna in Palermo, via Siracusa, n. 30; 
    Contro 
        Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di  pubblica
utilita', in persona  dell'Assessore  pro  tempore,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso  i
cui uffici in via Alcide De Gasperi, n. 81, e' domiciliato per legge; 
        Comune di Castelvetrano, in persona del Sindaco pro  tempore,
rappresentato e difeso, per delibera della giunta municipale  n.  515
del 2 dicembre 2015 e mandato in calce alla memoria di  costituzione,
dall'avv.  Francesco  Vasile,  C.F.  VSLFNC65C28C286F,  elettivamente
domiciliato presso lo studio dell'avv. Vito Scalisi in  Palermo,  via
Catania, n. 15. 
    Per l'annullamento: 
        del  decreto  dell'Assessore  regionale  dell'energia  e  dei
servizi di pubblica utilita' del 12  agosto  2015,  pubblicato  sulla
Gazzetta ufficiale della regione siciliana, parte I,  n.  34  del  21
agosto 2015, avente ad oggetto «Modalita' applicative e di  controllo
del pagamento dei canoni dovuti per le attivita'  di  estrazione  dei
giacimenti minerari di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015,  n.
9)»; 
        dell'avviso di pagamento prot. n. 34873 del 19 ottobre  2015,
notificato il 23 ottobre 2015, con  cui  il  Distretto  minerario  di
Palermo, ha chiesto il pagamento di un  canone  di  €  10.000,00,  da
versarsi quanto  a  5.000,00  alla  Regione  Siciliana  e  quanto  ai
restanti 5.000,00 al Comune di Castelvetrano; 
        di tutti  gli  atti  successivi  e  connessi,  anche  se  non
conosciuti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  dell'Avvocatura  dello
Stato per l'Assessorato  regionale  dell'energia  e  dei  servizi  di
pubblica utilita'; 
    Visti l'atto di costituzione in giudizio e la memoria del  Comune
di Castelvetrano; 
    Vista l'ordinanza cautelare n. 1459 del 21 dicembre 2015; 
    Vista l'ordinanza del CGA n. 202 del 17 marzo 2016; 
    Vista la memoria dei ricorrenti; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del 26 ottobre 2016 il consigliere
Aurora Lento e uditi per le parti i difensori  come  specificato  nel
verbale. 
    Con ricorso, notificato il 30 ottobre 2015  e  depositato  il  26
novembre successivo,  la  societa'  «Impredil»  s.r.l.,  premesso  di
gestire una cava di calcarnite tufacea a Castelvetrano, esponeva  che
l'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9  del  15  maggio  2013
aveva innovato la disciplina di  settore  relativa  all'attivita'  di
estrazione di giacimenti minerari di cave, prevedendo il pagamento di
un canone di produzione. 
    Tale canone era stato commisurato «alla quantita'  di  minerale»,
ovverosia alla c.d. «resa della cava», che si otteneva sottraendo  il
volume inutilizzabile dalla quantita' di «materiale» estratto. 
    A distanza di appena due anni era, pero',  intervenuta  la  legge
regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015,  contenente  disposizioni
programmatiche  e  correttive  per  l'anno  2015,  pubblicata   sulla
gazzetta ufficiale della Regione siciliana, parte I,  n.  20  del  15
maggio 2015, il  cui  art.  83  aveva  interamente  riformulato  tale
disposizione nei termini  di  seguito  riportati  relativamente  alle
parti di interesse: «1. A decorrere dalla data di entrata  in  vigore
della presente legge e' dovuto un canone di produzione annuo  che  e'
commisurato  alla  superficie  dell'area  coltivabile  ed  ai  volumi
autorizzati  della  cava.  Esso  e'  ottenuto  sommando  gli  importi
corrispondenti agli scaglioni di superfici e  di  volumi  autorizzati
riportati nelle seguenti tabelle (...). 3. L'Assessore regionale  per
l'energia ed i servizi di pubblica utilita',  sentita  la  Conferenza
permanente  Regione  -  autonomie  locali,  definisce,  con   proprio
decreto, le modalita' applicative e di controllo  del  pagamento  dei
canoni entro 90 giorni dalla pubblicazione della presente legge nella
Gazzetta ufficiale della regione siciliana. 4. I canoni di produzione
sono destinati per il 50 per cento al comune in cui ricade l'area  di
cava e per il 50 per cento  sono  versati  in  entrata  nel  bilancio
regionale. Qualora siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per
cento e' ripartita sulla base  della  superficie  dell'area  di  cava
ricadente in ciascun comune. 5. I comuni destinatari delle  quote  di
canone di cui al  comma  4  impiegano  le  somme  esclusivamente  per
interventi   infrastrutturali   di   recupero,   riqualificazione   e
valorizzazione del territorio, del tessuto  urbano  e  degli  edifici
scolastici e ad uso istituzionale. Una quota  non  inferiore  al  50%
delle suddette risorse e' riservata agli interventi di manutenzione e
valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi  all'attivita'
estrattiva  o  su  beni  immobili  confiscati  alla  mafia  ed   alle
organizzazioni criminali. 6. In caso di  sospensione  dei  lavori  di
coltivazione ai  sensi  dell'articolo  24  della  legge  regionale  9
dicembre 1980, n. 127 e  successive  modifiche  ed  integrazioni,  la
quota dei canoni relativa al periodo di sospensione  non  e'  dovuta.
Eventuali periodi di attivita' estrattiva inferiori  all'anno  solare
sono calcolati per dodicesimi. 7. Il ritardato pagamento delle  somme
dovute comporta l'applicazione degli interessi legali. 8. Le presenti
disposizioni si applicano anche per  il  calcolo  del  pagamento  dei
canoni relativi all'anno 2014». 
    L'art. 83 aveva, pertanto, modificato, con effetto retroattivo, i
criteri di misurazione della  base  imponibile  che,  nell'originaria
formulazione della  norma,  erano  identificati  nella  quantita'  di
minerale estratto, mentre, in  quella  successiva,  nella  superficie
dell'area coltivabile e nei volumi autorizzati della cava. 
    In  applicazione  di  tale  disposizione,  l'Assessore  regionale
dell'energia e dei servizi di pubblica  utilita'  aveva  adottato  il
decreto del 12 agosto 2015, pubblicato sulla gazzetta ufficiale della
Regione siciliana, parte I, n. 34  del  21  agosto  2015,  avente  ad
oggetto: «Modalita' applicative e  di  controllo  del  pagamento  dei
canoni dovuti per le attivita' di estrazione dei giacimenti  minerari
di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9)». 
    L'art. 1 di tale decreto prevedeva che: «I canoni  di  produzione
per le attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cava, dovuti
dagli  esercenti  l'attivita'  di  cava,  devono  essere  corrisposti
secondo le modalita' previste all'art. 83  della  legge  regionale  7
maggio 2015, n. 9, pubblicata nel supplemento  ordinario  n.  1  alla
Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20,  parte  I,  del  15
maggio 2015; il canone di produzione e' commisurato  alla  superficie
dell'area coltivabile ed ai  volumi  autorizzati  della  cava  ed  e'
ottenuto  sommando  gli  importi  corrispondenti  agli  scaglioni  di
superfici e di volumi come risultanti dalle autorizzazioni secondo le
tabelle di cui al comma 1 dell'art. 83 della legge regionale». 
    Il  successivo  art.  8  disponeva   che:   «Il   pagamento   per
l'annualita' 2014 deve essere effettuato nel termine di trenta giorni
dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dei servizi  -
Distretti minerari competenti per territorio». 
    Precisato che la  novella  dell'art.  12  aveva  determinato  una
notevolissima  maggiorazione  del  canone  (quasi  10  volte   quello
precedente)  dalla  stessa   dovuto,   la   ricorrente   ha   chiesto
l'annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, di  tale  decreto
per il seguente unico articolato motivo: 
    Violazione e falsa applicazione: degli artt. 53, 3, 23, 41, 97  e
117, comma 1, della Costituzione. Eccesso di potere sotto i  profili:
del difetto di presupposto; della manifesta  irragionevolezza;  della
disparita' di trattamento. 
    1.1 Precisato che il canone  dovuto  dagli  esercenti  giacimenti
minerari di cave era una prestazione patrimoniale imposta  rientrante
nell'alveo dell'art. 23 della  Costituzione,  l'individuazione  della
base imponibile nella superficie dell'area coltivabile e  nei  volumi
autorizzati  comporterebbe  una  violazione   del   principio   della
capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. 
    Mentre, infatti, la quantita' di materiale estratto,  alla  quale
si faceva riferimento nella  previgente  formulazione,  esprimeva  la
resa annuale della cava, la superficie e i volumi non sarebbero stati
espressivi del potenziale economico della stessa, tanto piu'  che  si
trattava di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente. 
    Sotto tale profilo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che  la
capacita' produttiva della cava era massima all'inizio dell'attivita'
estrattiva, ma andava diminuendo nel corso del tempo,  cosicche'  non
si giustificava la  sua  costante  quantificazione  rapportata  a  un
profilo statico. 
    1.2  La  previsione  dell'applicazione  del  nuovo  criterio   di
quantificazione anche per il 2014 contrasterebbe con  il  divieto  di
retroattivita'  della  legge  e  sarebbe   irragionevole   anche   in
considerazione della lesione dell'affidamento  sull'applicazione  del
precedente. 
    1.3. Sussisterebbe  irragionevole  disparita'  di  trattamento  e
conseguente violazione dell'art. 3  della  Costituzione,  considerato
che gli esercenti giacimenti minerari di cave di  materiale  pregiato
(ad esempio marmo), aventi superfici  e  volumi  estraibili  ridotti,
pagherebbero un canone notevolmente inferiore a quello dovuto  per  i
giacimenti di materiale povero (es. inerti), aventi ampie superfici e
volumi estraibili, pur conseguendo un reddito notevolmente superiore. 
    1.4  Sussisterebbe,  altresi',  violazione  dell'art.  41   della
Costituzione considerata  la  vanificazione  retroattiva  di  assetti
economici gia' cristallizzati. 
    1.5 Sarebbe stato violato l'art. 117, comma 1 della  Costituzione
in relazione all'art. 1 del protocollo addizionale  alla  Convenzione
europea  per  i  diritti  dell'uomo   in   quanto   sarebbero   stati
ingiustamente vessati gli esercenti le cave al fine di  riequilibrare
i conti pubblici regionali. 
    Per  l'Assessorato  regionale  dell'energia  e  dei  servizi   di
pubblica utilita' si e' costituita  in  giudizio  l'Avvocatura  dello
Stato. 
    Si e' costituito in giudizio anche il Comune di Castelvetrano che
ha depositato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del  ricorso,
vinte le spese. 
    Con ordinanza n. 1459 del 21 dicembre 2015,  l'istanza  cautelare
e' stata rigettata con la motivazione che  la  dedotta  questione  di
legittimita'  costituzionale  non  presentava  un'evidenza  tale   da
consentire una valutazione prognostica positiva in  ordine  all'esito
del ricorso. 
    Tale decisione e' stata riformata con l'ordinanza del CGA n.  202
del 17 marzo 2016. 
    Con memoria depositata in vista dell'udienza, i ricorrenti  hanno
insistito nelle loro domande. 
    Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016, su conforme  richiesta
dei difensori delle parti presenti come da  verbale,  il  ricorso  e'
stato posto in decisione. 
    1. La controversia ha ad oggetto il decreto dell'Assessore  della
regione siciliana dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del
12 agosto 2015 con cui sono state definite le  modalita'  applicative
del canone di produzione annuo dovuto dai titolari di concessioni per
lo sfruttamento di giacimenti minerari di cave. 
    Tale decreto e' stato adottato in esecuzione dell'art.  83  della
legge regionale siciliana n. 9 del 2015, che ha modificato l'art.  12
della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio  2013,  prevedendo
che il canone non vada piu' commisurato alla  quantita'  di  minerale
estratto, ma  alla  superficie  dell'area  coltivabile  e  ai  volumi
autorizzati anche con riferimento al precedente anno 2014. 
    Ha ad oggetto  anche  il  provvedimento,  con  cui  il  Distretto
minerario  di  Palermo  ha  rideterminato  il  canone  dovuto   dalla
ricorrente   relativamente   al   2014,   del   quale    si    deduce
l'illegittimita' derivata. 
    I provvedimenti sono  censurati  esclusivamente  con  riferimento
all'illegittimita' costituzionale della norma applicata. 
    Devono, pertanto, essere esposte le ragioni per le  quali  questo
TAR ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dalla ricorrente  relativamente
all'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del  7  maggio  2015
nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art.  12  della  legge
regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013. 
    2. Per quanto concerne la  rilevanza,  ci  si  puo'  limitare  ad
osservare che il decreto dell'Assessore regionale dell'energia e  dei
servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, oggetto del ricorso,
ha individuato le modalita' applicative e di controllo del  pagamento
del canone dovuto per  le  attivita'  di  estrazione  dei  giacimenti
minerari di cava in esecuzione  di  quanto  innovativamente  disposto
dall'art. 83; la nota  del  distretto  minerario  ha,  a  sua  volta,
quantificato il canone dovuto per l'anno 2014 in esecuzione  di  tale
decreto. 
    La  decisione  della  controversia   dipende,   pertanto,   dalla
valutazione della legittimita' dell'art.  83  della  legge  regionale
siciliana n. 9 del 7 maggio 2015 nella parte in cui modifica i  commi
1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio
2013 e, pertanto, varia il criterio  di  quantificazione  del  canone
dovuto per i giacimenti minerari di cava con efficacia retroattiva. 
    3. In merito alla non  manifesta  infondatezza  valga  quanto  di
seguito esposto. 
    Come detto, questo TAR dubita della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 1, della  legge  regionale  siciliana  15  maggio
2013, n. 9,  come  sostituito  dall'art.  83  della  legge  regionale
siciliana n. 20 del 2015,  il  quale  testualmente  prevede  che:  «A
decorrere dalla data di entrata in vigore  della  presente  legge  e'
dovuto  un  canone  di  produzione  annuo  che  e'  commisurato  alla
superficie dell'area  coltivabile  ed  ai  volumi  autorizzati  della
cava». 
    Tale disposizione sembra, infatti, contrastare con: il  principio
di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della  Costituzione;  il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    4. In merito all'art. 53, deve prioritariamente rilevarsi come il
canone in questione e', ad avviso di questo TAR, un tributo. 
    Come noto, secondo la  giurisprudenza  costituzionale,  precisato
che e' irrilevante il nomen iuris usato dal legislatore,  «occorrendo
riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di
un tributo» (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e  n.  73  del
2005), costituiscono indici significativi della natura tributaria  di
una prestazione imposta: 1) la  matrice  legislativa,  in  quanto  il
tributo nasce «direttamente in forza della legge»  (sentenza  n.  141
del 2009), risultando irrilevante l'autonomia contrattuale  (sentenza
n. 73 del 2005); 2) la doverosita' della prestazione (sentenze n. 141
del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del  2005),
che comporta un'ablazione delle somme con attribuzione  delle  stesse
ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e
n. 26 del 1982), in mancanza di un  rapporto  sinallagmatico  tra  le
parti; 3) il nesso con  la  spesa  pubblica,  dovendo  sussistere  un
collegamento   alla   stessa   «in   relazione   a   un   presupposto
economicamente rilevante» (sentenza n. 141 del 2009), nel  senso  che
la prestazione e' destinata allo scopo di apprestare i mezzi  per  il
fabbisogno finanziario dell'ente impositore (sentenze n. 37 del 1997,
n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982). 
    Prima di illustrare  le  ragioni  per  le  quali  questo  TAR  e'
addivenuto alla conclusione che il canone in questione e' un tributo,
vanno richiamati i commi 4 e 5  dell'art.  12,  laddove  si  prevede,
rispettivamente, che: «4. I canoni di produzione sono  destinati  per
il 50 per cento al comune in cui ricade l'area di cava e  per  il  50
per cento sono versati in entrata  nel  bilancio  regionale.  Qualora
siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per cento e' ripartita
sulla base della superficie dell'area di cava  ricadente  in  ciascun
comune»; «5. I comuni destinatari delle quote di  canone  di  cui  al
comma  4   impiegano   le   somme   esclusivamente   per   interventi
infrastrutturali di recupero, riqualificazione e  valorizzazione  del
territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici  e  ad  uso
istituzionale. Una quota non inferiore al 50% delle suddette  risorse
e'  riservata  agli  interventi  di  manutenzione  e   valorizzazione
ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su
beni  immobili  confiscati  alla   mafia   ed   alle   organizzazioni
criminali». 
    A  ben  vedere:  l'obbligo  del  pagamento  trova  la  sua  fonte
esclusiva nella  legge  regionale  e  non  costituisce  remunerazione
dell'uso di beni pubblici; la prestazione imposta  e'  finalizzata  a
dotare i Comuni e  la  Regione  dei  mezzi  finanziari  necessari  ad
assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. 
    Per quanto riguarda il secondo elemento, va rilevato  che  mentre
la Regione puo' utilizzare liberamente la  propria  parte,  i  Comuni
devono  destinare   le   somme   al   finanziamento   di   interventi
infrastrutturali di recupero, riqualificazione e  valorizzazione  del
territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici  e  ad  uso
istituzionale; nonche' alla manutenzione e valorizzazione  ambientale
ed infrastrutturale  connessi  all'attivita'  estrattiva  o  su  beni
immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali. 
    Questa  connotazione  funzionale,  congiunta  al  fatto  che   il
prelievo  si  collega  all'attivita'  economica   di   gestione   dei
giacimenti, consente di ritenere il canone in questione uno strumento
di riparto, ai sensi dell'art.  53  Cost.,  del  carico  della  spesa
pubblica  in  ragione  della  capacita'  economica  manifestata   dai
soggetti gestori (sentenza n. 280 del 2011). 
    In definitiva, la prestazione in esame e' un tributo, avente:  a)
quali soggetti passivi, i concessionari di  giacimenti  minerari;  b)
quali soggetti attivi, la Regione e i Comuni;  c)  quale  presupposto
economicamente rilevante, la gestione dei giacimenti; d)  quale  base
imponibile,  una  entita'  monetaria  commisurata   alla   superficie
dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. 
    Qualificato il  canone  come  tributo,  va  ricordato  che  nella
previgente disciplina lo stesso era quantificato con riferimento alla
quantita'  di  minerale  estratto,  mentre  in  quella  attuale  alla
superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati. 
    Ne deriva che il corrispettivo per l'uso del  giacimento  non  e'
piu' commisurato alla sua resa, la quale tende a diminuire nel  tempo
in dipendenza del suo sfruttamento, ma alla sua estensione, la  quale
rimane, invece, immutata anche quando la stessa e' quasi esaurita. 
    Tenuto conto che si tratta di un canone dovuto non una tantum, ma
annualmente, sembrerebbe essere venuto meno il  collegamento  con  la
capacita' contributiva. 
    Si prescinde, infatti, dal guadagno che deriva dal  giacimento  e
si applica un tributo fisso indipendente dallo stesso. 
    5.  Per  quanto  riguarda  la   violazione   del   principio   di
uguaglianza, va osservato che, com'e' stato  ripetutamente  affermato
dalla Corte costituzionale, il legislatore ha,  anche  nei  confronti
della  disciplina   dei   rapporti   giuridici   di   durata,   ampia
discrezionalita' nell'emanare norme modificatrici, ma  la  stessa  e'
censurabile qualora emergano profili  di  manifesta  irragionevolezza
tali da determinare situazioni di disuguaglianza. 
    Nella specie,  l'art.  83  determina  immotivate  discriminazioni
all'interno della  medesima  categoria  dei  titolari  di  giacimenti
minerari tra quelli che gestiscono cave di piccola dimensione, ma  ad
elevata resa (es. marmi) e quelli concessionari  di  cave  di  grande
estensione, ma a bassa resa (inerti). 
    Alla medesima ampiezza corrisponde, infatti, una  remunerativita'
profondamente   diversa   con   conseguente   irragionevolezza    del
riferimento  alla  superficie  dell'area  coltivabile  ed  ai  volumi
autorizzati della cava ai fini della quantificazione del canone. 
    I titolari di giacimenti di  materiali  «poveri»  sono,  infatti,
tenuto al pagamento di un canone notevolmente piu' elevato rispetto a
quello  dovuto  per  quelli  di  minerali  pregiati  con  conseguente
irragionevole disparita' di trattamento. 
    Sembrerebbe, pertanto, che a situazioni differenti si applichi il
medesimo trattamento in maniera irragionevole. 
    6.  Come  anticipato,  questo   TAR   dubita,   altresi',   della
legittimita' dell'art. 83 della legge regionale siciliana  n.  9  del
2015 nella parte in cui modifica il comma 8 dell'art.  12,  comma  8,
della legge regionale siciliana n.  9  del  2013  e  prevede  che  le
disposizioni di cui ai commi precedenti si  applicano  anche  per  il
calcolo del pagamento dei canoni relativi all'anno 2014. 
    Tale disposizione sembrerebbe, in particolare,  contrastare  con:
l'art. 3; l'art.  117,  comma  1,  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. 
    Per quanto riguarda il primo dei due parametri evocati, si dubita
che sia  stato  leso  il  principio  dell'affidamento,  il  quale  e'
custodito  da  una  delle  molteplici   declinazioni   dell'art.   3,
costituita dal principio di irretroattivita' della legge. 
    La norma surriportata produce, infatti, la  lesione  con  effetto
retroattivo di un «bene» che i concessionari di  giacimenti  minerari
hanno acquisito sulla base di  un  legittimo  affidamento  ingenerato
dalle previsioni contenute nella previgente formulazione. 
    Va,  sotto  tale  profilo,  rilevato  che,  secondo  un  costante
orientamento della Corte Costituzionale, il divieto di retroattivita'
della  legge  -  pur  costituendo  fondamentale  valore  di  civilta'
giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui  il  legislatore
ordinario deve di regola attenersi - non e' stato elevato a  dignita'
costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell'art.
25 della Costituzione.  Si  e',  conseguentemente,  ritenuto  che  il
legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme  con
efficacia retroattiva a  condizione  che  la  stessa  trovi  adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e  non  contrasti  con
altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (in  tal  senso
Corte Costituzionale, 4 agosto 2003, n. 291). 
    Per quanto riguarda, in particolare, i rapporti di durata  si  e'
precisato che non e' interdetto in  termini  assoluti  il  potere  di
emanare disposizioni le quali  modifichino  sfavorevolmente  la  loro
disciplina, ma e' necessario che le  stesse,  al  pari  di  qualsiasi
precetto legislativo, non trasmodino in un regolamento irrazionale  e
non incidano arbitrariamente sulle situazioni  sostanziali  originate
da leggi precedenti, frustrando  l'affidamento  del  cittadino  nella
sicurezza giuridica (sentenza n. 349 del 1985; in senso  analogo,  ex
plurimis, sentenze n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del  2009;
n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999). 
    Si e', conseguentemente, ritenuto che una mutazione ex  lege  dei
rapporti di durata e' illegittima quando incide sugli stessi in  modo
«improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014 e  n.  302  del
2010, entrambe relative all'incidenza sui rapporti in corso dei nuovi
criteri di determinazione dei canoni concessori di beni demaniali). 
    L'esame della norma in contestazione e della sua ratio conduce  a
dubitare che il legislatore abbia operato una  scelta  ragionevole  e
non arbitraria alla stregua dei principi evocati. 
    La ricorrente  ha  rilevato  che  la  modifica  del  criterio  di
quantificazione del canone  dovuto  ha  comportato  un  notevolissimo
aumento dello stesso, pari a quasi 10 volte quello precedente. 
    Ne  deriva  che  si  e'  trovata  esposta  a  un  inaspettato   e
considerevole  esborso  economico  che  non  e'  stata  posta   nelle
condizioni di valutare  ex  ante  nell'organizzazione  della  propria
attivita' imprenditoriale. 
    Mentre per il periodo  successivo  all'entrata  in  vigore  della
disposizione ha, infatti, avuto la possibilita' decidere se aumentare
il  corrispettivo  richiesto  ai  propri  clienti   o,   addirittura,
sospendere  o  non  esercitare  piu'  l'attivita'  estrattiva,   tale
possibilita' e' stata preclusa in radice per quello antecedente. 
    Sotto tale profilo, va ricordato che il comma 6 dell'art. 12 piu'
volte citato dispone  che  in  caso  di  sospensione  dei  lavori  di
coltivazione, la quota dei canoni relativa al periodo di  sospensione
non e' dovuta ed eventuali periodi di attivita' estrattiva  inferiori
all'anno solare sono calcolati per dodicesimi. 
    Tutto cio'  considerato,  sembra  a  questo  TAR  che  sia  stato
irragionevolmente leso l'affidamento  riposto  nella  quantificazione
del canone in applicazione dei  criteri  all'epoca  vigenti  ai  fini
della individuazione delle proprie strategie imprenditoriali. 
    Concludendo, per le ragioni suesposte, questo TAR solleva  -  con
riferimento agli artt. 3, 117 e 53 della  Cost.  -  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  83  della  legge   regionale
siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, n. 9, nella parte in cui modifica i
commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale  siciliana  15  maggio
2013, n. 9. 
    Il processo deve,  pertanto,  essere  sospeso,  con  trasmissione
degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   per   ogni   conseguente
statuizione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale  per  la  Sicilia  (Sezione
Terza) non definitivamente pronunciando: 
      a)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita'  costituzionale dell'art.  83  della  legge
regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, n. 9, nella parte in  cui
modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge  regionale  siciliana
15 maggio 2013, n. 9. 
    b) sospende il presente giudizio ai  sensi  dell'art.  79,  primo
comma, cod. proc. amm.; 
    c)  ordina  l'immediata  trasmissione  degli  atti   alla   Corte
costituzionale, per il competente  controllo  di  legittimita'  sulle
questioni sollevate; 
    d) rinvia ogni definitiva statuizione in rito e  nel  merito  del
ricorso in epigrafe, nonche'  sulle  spese  di  lite,  all'esito  del
promosso giudizio di  legittimita'  costituzionale,  ai  sensi  degli
artt. 79 e 80 cod. proc. amm. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza: a) sia notificata a  tutte  le  parti  in  causa;  b)  sia
comunicata al Presidente della  regione  siciliana  e  al  Presidente
dell'Assemblea regionale siciliana. 
    Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del  giorno  26
ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Solveig Cogliani, presidente; 
        Nicola Maisano, consigliere; 
        Aurora Lento, consigliere, estensore. 
 
                       Il Presidente: Cogliani 
 
 
                                                   L'estensore: Lento