N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2017

Ordinanza del 6 aprile 2017 del Tribunale di Sondrio nel procedimento
civile promosso da Societa' Agricola Melavi' -  Societa'  cooperativa
contro I.N.P.S.. 
 
Legge - Abrogazione - Previsione che include l'articolo 8 della legge
  25 luglio 1952, n. 991, tra le  disposizioni  legislative  statali,
  pubblicate anteriormente al 1° gennaio  1970,  di  cui  si  ritiene
  indispensabile la permanenza in vigore. 
- Decreto  legislativo  1  dicembre  2009,   n.   179   (Disposizioni
  legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene
  indispensabile la permanenza in vigore, a  norma  dell'articolo  14
  della legge 28 novembre 2005, n. 246), [art. 1, comma 1,]  Allegato
  1, voce n. 1266. 
(GU n.41 del 11-10-2017 )
 
                        TRIBUNALE DI SONDRIO 
 
    Il Giudice del lavoro, esaminati gli atti della causa  n.  230/16
R.G. pendente innanzi  a  questo  Tribunale  tra  l'attrice  Societa'
Agricola Melavi' - Societa' cooperativa e il convenuto  I.N.P.S.;  ha
emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    La  presente  causa  ha  ad   oggetto   la   pretesa   giudiziale
dell'attrice  di  accertamento  del  proprio  diritto  a  beneficiare
dell'esenzione dal pagamento dei contributi in forza del disposto  di
cui all'art. 8, legge 25 luglio 1952,  n.  991,  con  la  conseguente
condanna dell'INPS a ripeterle - nei limiti della prescrizione  -  le
somme versate a tale titolo, pari a complessivi € 1.346.704,94, oltre
accessori di legge. 
    I  fatti  sono  pacifici  tra  le  parti,  e  comunque  sono  ben
documentati in atti. L'attrice gestisce  un'azienda  agricola  in  un
territorio classificato come montano, avvalendosi di  personale  alle
proprie dipendenze con qualifiche di operaio a tempo indeterminato  e
a tempo determinato. L'attrice invoca l'esenzione dal  pagamento  dei
contributi agricoli unificati ex art. 8, legge  25  luglio  1952,  n.
991, contestando che tale norma sia mai stata oggetto di abrogazione,
ne' espressa  ne'  tacita.  L'attrice  ha  argomentato  in  proposito
ricostruendo l'evoluzione normativa nella materia de qua, e  sostiene
che un riscontro  decisivo  e  insuperabile  della  fondatezza  della
propria tesi  si  desumerebbe  dal  decreto  legislativo  n.  179/09,
diretto a individuare le norme  «delle  quali  e'  indispensabile  la
permanenza in vigore» che ha esplicitamente collocato  alla  voce  n.
1266 dell'Allegato 1, tra «le singole  disposizioni  che  restano  in
vigore», proprio l'art. 8, legge n. 991/52. Tale  dato  formale,  che
secondo l'attrice e' anche sostanziale, non potrebbe essere  superato
a mezzo di una mera disapplicazione della norma avente forza di legge
di cui al decreto legislativo n. 179/09, come fatto dalla  Cassazione
nelle sue sentenze 1920 del 22 agosto 2013 e 7976 del 20 aprile 2016,
essendo in  siffatta  ipotesi  il  Giudice  tenuto  a  sollevare  una
correlativa questione di legittimita' costituzionale. 
    L'attrice chiede quindi in sostanza in via principale accogliersi
la  sua  domanda  giudiziale  sul   riscontrato   presupposto   della
permanente  vigenza  del  cit.  art.  8,  legge  n.  991/52;  in  via
subordinata, laddove  il  Giudice  ritenesse  di  aderire  alla  tesi
dell'abrogazione tacita dell'art.  8,  sollevarsi  in  proposito  una
questione di 1° comma del decreto legislativo n. 179/09. 
    L'INPS  non  contesta  in  fatto  quanto  allegato  dall'attrice,
basando al contrario la propria resistenza in giudizio esclusivamente
sull'allegazione della sopravvenuta abrogazione tacita del cit.  art.
8,  ritenuta  dalla  giurisprudenza  da  ultimo   prevalente   e   in
particolare dalla giurisprudenza di  legittimita'  sopra  citata.  Su
tale presupposto, e mancando quindi nel nostro ordinamento  giuridico
la norma di esenzione ex adverso invocata dall'attrice, il  convenuto
chiede il rigetto della pretesa di quest'ultima. 
    Occorre dunque innanzitutto verificare  se  l'art.  8,  legge  n.
991/52 sia effettivamente ancora in vigore, giusta  la  ricostruzione
ermeneutica proposta dall'attrice e giusta  la  ricognizione  operata
dal Legislatore col decreto legislativo n. 179/09:  in  tal  caso  la
presente  controversia  e'  senz'altro  decidibile  fin  d'ora   (con
l'accoglimento della domanda giudiziale dell'attrice). 
    In proposito il Giudice, esaminate  e  valutate  attentamente  le
argomentazioni delle parti, ritiene di aderire in pieno al complesso,
approfondito ed esaustivo percorso argomentativo in proposito esposto
dalla Corte  di  Cassazione  nella  gia'  cit.  sentenza  n.  7976/13
(avvalendosi anche di «una relazione del Massimario sui coordinamento
sistematico delle norme sugli sgravi contributivi in  questione,  che
tenga conto delle disposizioni richiamate nella presente fattispecie,
e in considerazione della confermata vigenza della  legge  25  luglio
1952, n. 991, art. 8 (cfr, decreto legislativo 1° dicembre  2009,  n.
179 - Supplemento ordinario G.U. n.  237  del  2009)  e  delle  altre
disposizioni nei frattempo intervenute»). 
    Onde evitare rielaborazioni  lessicali,  si  trascrivono  qui  di
seguito siffatte argomentazioni, che vengono integralmente recepite e
fatte proprie da questo Giudice. 
    «Deve essere esaminato per primo, in ordine  logico,  il  secondo
motivo, nel quale - come afferma anche l'Istituto ricorrente -  viene
affrontata  la  questione  centrale  della   presente   controversia,
rappresentata dalla determinazione dei tipo di sgravio  da  applicare
in favore della Vaira e in riferimento al periodo contributivo di cui
si tratta: se, cioe', sia applicabile lo sgravio contributivo  totale
(previsto dalla legge n. 991 del 1952, art. 8) per i datori di lavoro
che operano  in  territori  montani  o  se,  invece,  in  conseguenza
dell'abrogazione dell'art. 8 cit. da parte  della  legge  n.  67  del
1988, sia applicabile lo sgravio contributivo parziale  di  cui  alla
stessa legge n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, anch'esso  previsto  in
favore dei  datori  di  lavoro  agricoli  che  operano  in  territori
montani. Il motivo e' fondato, per le ragioni di seguito esposte. 
    5.1. - Per una migliore  comprensione  della  suddetta  questione
appare opportuno effettuare una ricostruzione del quadro normativo  e
della giurisprudenza costituzionale  di  riferimento  in  materia  di
esonero dal pagamento dei contributi agricoli in favore delle imprese
ubicate  in  zone  montane,  con  le  seguenti  avvertenze:  a)  tale
normativa di favore trova il suo fondamentale  riferimento  nell'art,
44 Cost., comma 2, secondo cui  «la  legge  dispone  provvedimenti  a
favore delle zone montane»; b) in ambito giuridico  non  si  rinviene
una unica e generale definizione di «zone montane» e/o di  «territori
montani», perche', nel  diritto  interno,  tale  definizione  muta  a
seconda  delle  finalita'  perseguite  dal  legislatore,  mentre   la
definizione di «montagna» adottata nell'ordinamento comunitario -  ai
sensi della direttiva 1975/268 e del regolamento n. 1698/2005  -  non
coincide con quella propria della nostra legislazione  nazionale,  la
quale, a sua volta, e' diversa rispetto alle definizioni adottate  in
altri Paesi della U.E.; c) l'esenzione dal pagamento  dei  contributi
agricoli nei territori montani originariamente e' stata prevista come
estensione delle analoghe esenzioni fiscali, anche se con  l'adozione
di un criterio di individuazione dei territori di applicabilita'  del
beneficio  contributivo  piu'  rigido  di  quello  stabilito  per  il
beneficio fiscale; d) il beneficio dell'esenzione contributiva di cui
si tratta nella presente controversia si riferisce ai contributi  che
l'imprenditore agricolo e' tenuto a versare per i  propri  lavoratori
dipendenti, sicche' esso si differenzia dai contributi  previdenziali
dovuti  dai  coltivatori  diretti,  mezzadri  e  coloni,   situazione
disciplinata da una diversa normativa di cui non si dara'  conto  (su
tale distinzione, vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2000, n. 13981 ). 
    5.2.   -   Fatte   queste   premesse,   i   principali   passaggi
dell'evoluzione della normativa e della giurisprudenza nella  materia
qui considerata, tenendo conto anche della  acquisita  relazione  del
Massimario di questa Corte, possono essere ricostruiti,  come  segue:
1) Decreto legislativo 27 giugno 1946, n. 98 -  ratificato  dall'art.
unico della legge 28 dicembre 1952, n. 4437 e poi abrogato  dal  D.L.
22 dicembre 2008, n. 200 art. 2, convertito dalla legge  18  febbraio
2009, n. 9 - il cui art. unico, per primo, conteneva  il  riferimento
all'altitudine  di  700  metri  s.l.m.,  esentando  dall'imposta  sui
terreni e da quella sul  reddito  agrario  i  comuni  il  cui  centro
abitato fosse situato ad un'altitudine non inferiore alla  suindicata
altitudine; 2) Decreto legislativo C.P.S. 7 gennaio  1947,  n.  12  -
anch'esso abrogato dal D.L. n. 200 del 2008 cit., art. 2 - il  quale,
modificando la norma sopra  richiamata,  concesse  l'esenzione  dalle
menzionate imposte a tutti i terreni siti a quota  non  inferiore  ai
700 metri, estendendola, a domanda, anche a quelli che si  trovassero
solo in parte a detta altitudine; 3) Legge 25 luglio  1952,  n.  991,
che provvide alla prima disciplina organica in materia di  «territori
montani», procedendo (all'art. 1, poi abrogato dalla legge  8  giugno
1990, n. 142, art. 29) ad una piu' precisa e  diversa  determinazione
di tali territori, non legata al mero dato altimetrico, dal quale  si
stabili che potesse addirittura del tutto prescindersi, essendo stata
attribuita  alla  Commissione  censuaria  centrale  la  facolta'   di
includere  nell'elenco  dei  comuni  considerati  territori  montani,
quelli, o porzione di quelli, «anche non limitrofi ai  precedenti,  i
quali, pur non trovandosi nelle condizioni di  cui  al  comma  1  del
presente art.,  presentino  pari  condizioni  economico-agrarie»;  4)
l'art. 3  della  legge  stessa  (rubricato:  «Agevolazioni  fiscali»)
estendeva le agevolazioni fiscali previste  dal  decreto  legislativo
C.P.S. n. 12 del 1947 ai territori montani cosi' individuati "con  le
stesse modalita'" stabilite in tale  ultimo  decreto  legislativo,  e
quindi con applicazione  anche  ai  terreni  che  solo  in  parte  si
trovassero ad una altitudine non inferiore ai 700 metri s.l.m.; 5) lo
stesso art. 8,  introdusse,  per  la  prima  volta,  l'esenzione  dal
pagamento  dei  contributi  agricoli  unificati,  tuttavia,  per   la
relativa applicabilita' adotto' un criterio  piu'  rigido  di  quello
stabilito  per  le  agevolazioni  fiscali  (attraverso  il   suddetto
richiamo al decreto  legislativo  C.P.S.  n.  12  del  1947)  perche'
specifico' che l'esenzione dai pagamento dei contributi unificati  in
agricoltura era  limitata  ai  soli  «terreni  situati  a  quota  non
inferiore ai 700 metri s,l.m.»,  cosi'  adottando  il  solo  criterio
altimetrico di identificazione; 6) il Decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645, articoli 58  e  68  (Approvazione
del testo unico delle leggi sulle imposte dirette) hanno previsto una
nuova normativa in materia di esenzione fiscale dei terreni montani e
di imposta sul reddito dominicale  dei  terreni,  diversa  da  quella
dettata dalla legge n,  991  del  1952,  art.  8,  cosi'  tacitamente
abrogando tale art.  8,  per  la  parte  relativa  alle  agevolazioni
fiscali ivi contemplate (come affermato da Cass. 12 novembre 1977, n.
4909, sulla quale vedi oltre); 7)  la  successiva  legge  3  dicembre
1971, n. 1102, istitutiva delle Comunita' montane, adottando identici
criteri di qualificazione - dopo aver proclamato all'art.  1  che  la
propria finalita' era quella di «promuovere, in attuazione  dell'art.
44 Cost., u.c.  e  art.  129  Cost.,  la  valorizzazione  delle  zone
montane, favorendo la partecipazione delle popolazioni, attraverso le
Comunita' montane» - all'art. 3 (poi abrogato dalla legge n. 142  del
1990, art. 29, comma 7, lett. b) stabili' che  «i  territori  montani
sono quelli determinati in applicazione della legge 25  luglio  1952,
n. 991, articoli 1, 14 e 15, dell'art. unico della  legge  30  luglio
1957, n. 657 e della L.R. Trentino- Alto Adige 8 febbraio 1956, n.  4
art. 2» (tutte  disposizioni  che  non  considerano  l'altitudine  di
almeno 700 metri s.l.m. tra i requisiti  sufficienti),  soggiungendo,
che «la classifica dei territori  montani  predetti  sara'  valida  a
qualsiasi effetto di legge e di regolamento»; 8)  Cass.  12  novembre
1977, n, 4909, intervenendo nella materia, stabili' che la  legge  n.
1102 del 1971, art. 12, comma 5, secondo cui «le agevolazioni fiscali
di cui alla legge 25  luglio  1952,  n,  991,  art.  8,  sono  estese
all'intero    territorio    montano»,    comportava    l'applicazione
dell'esenzione dei datori di  lavoro  dal  pagamento  dei  contributi
unificati  per  l'agricoltura  «non  solo  ai   territori   siti   ad
un'altitudine superiore a settecento metri sul livello del mare - che
gia' beneficiavano dell'esenzione a norma dello stesso art.  8  -  ma
anche a quelli di altitudine  inferiore  rientranti  nella  categoria
descritta dalla stessa legge n. 991, art. 1. Infatti il citato art. 8
disponeva  bensi'  anche  le  esenzioni  dall'imposta   sui   reddito
dominicale e dall'imposta sul reddito agrario, ma queste  sono  state
disciplinate nuovamente dagli articoli 58 e 68 del testo unico  sulla
finanza locale, che hanno in  tal  modo  parzialmente  e  tacitamente
abrogato l'art. 8, potendo cosi riferirsi la legge n. 1102 del  1971,
art. 12 alla  sola,  sopra  nominata,  esenzione  del  pagamento  dei
contributi unificati»; 9) poco dopo il D.L. 23 dicembre 1977, n. 942,
art. 7, comma 1, convertito in legge dalla legge 27 febbraio 1978, n.
41, con norma interpretativa,  stabili'  che  «dall'estensione  delle
agevolazioni fiscali all'intero territorio  montano,  disposta  dalla
legge 3 dicembre 1971,  n.  1102,  art.  12,  u.c.,  deve  intendersi
esclusa l'esenzione dai pagamento dei contributi  agricoli  unificati
di  cui  al  R.D.L.  28  novembre  1938,  n.   2138,   e   successive
modificazioni ed integrazioni», riconfermando, al comma  2,  che  «le
imprese con terreni ubicati ad una altitudine non  inferiore  ai  700
metri sul  livello  del  mare  continuano  ad  essere  esonerate  dai
contributi agricoli anzidetti»; 10) il successivo  art.  8  del  D.L.
cit.  disponeva  che,  con  decorrenza  dal  1°  gennaio  1978,  «nei
territori montani di cui  alla  legge  25  luglio  1952,  n.  991,  e
successive modificazioni ed integrazioni, situati al di sotto dei 700
metri di altitudine,  i  contributi  previdenziali  ed  assistenziali
dovuti per i lavoratori agricoli dipendenti sono ridotti del  40  per
cento. Tale riduzione non si applica ai contributi  base  dovuti  per
l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia
ed i superstiti. A decorrere dalla data di cui al comma 1 e' abrogato
il regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949, l'art. 15,  comma  2,  e
cessano di avere efficacia  i  provvedimenti  agevolati  disposti  in
attuazione dell'art. medesimo»; 11) la Corte costituzionale,  con  la
sentenza n. 370 del 1985 - rilevando inadeguatezza dell'adozione  del
solo  criterio  altimetrico  per   la   determinazione   del   regime
contributivo  da  applicare  nelle  zone  montane  -  ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale: a) della legge 25  luglio  1952,  n.
991, art. 8 e D.L. 23 dicembre 1977, n.  942  cit.,  art.  7,  «nelle
parti in cui non prevedono l'esenzione dal pagamento  dei  contributi
unificati in agricoltura anche per i terreni  compresi  in  territori
montani ubicati ad altitudine inferiore ai 700 metri sul livello  del
mare»; b) dello stesso D.L. n. 942 del 1977, art. 8,  «in  quanto  si
limita a ridurre del 40 per cento (a decorrere dal 1°  gennaio  1978)
l'entita' dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per  i
lavoratori agricoli dipendenti nei territori  montani  siti  a  quota
inferiore ai 700 metri, anziche'  prevedere  l'esenzione  totale  dal
pagamento»; 12) con la legge 11 marzo 1988, n. 67. art, 9, sono state
previste agevolazioni contributive parziali in favore dei  datori  di
lavoro agricolo operanti nei territori montani di cui al decreto  del
Presidente della Repubblica, 29 settembre 1973,  n.  601,  art.  9  e
nelle zone svantaggiate, delimitate ai sensi della legge 27  dicembre
1977, n. 984 art. 15 (su tali agevolazioni si tornera' piu'  avanti);
13) la stessa Corte costituzionale, con la successiva sentenza n. 254
del  1989,  ha,  invece,  dichiarato  non  fondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale del D.L. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13,
u.c., convertito, con modificazioni, dalla legge 26  settembre  1981,
n. 537 e della legge 11 marzo, 988, n. 67, art. 9, punto 5,  relativi
al regime contributivo delle zone  agricole  svantaggiate.  La  Corte
costituzionale ha,  in  primo  luogo,  precisato  che  la  precedente
sentenza n. 370 del 1985, non ha escluso che, nei terreni montani, la
corresponsione dei contributi possa essere contemplata, purche'  cio'
avvenga  senza  un  semplice   collegamento   al   casuale   criterio
altimetrico. Quindi ha sottolineato che  la  individuazione  puntuale
delle zone agricole svantaggiate, basata sulla disciplina di cui alla
legge 27 dicembre 1977, n. 984, e' governato  da  peculiari  principi
che sono diversi da quelli che  propriamente  attengono,  invece,  ai
terreni  montani,  anche  per  quel  che  concerne  l'esenzione   dal
pagamento dei contributi unificati in agricoltura;  14)  la  legge  8
giugno 1990, n. 142, art. 28, (poi modificato dalla  legge  3  agosto
1999, n. 265, art. 7, comma 1) e art.  29,  successivamente  abrogati
dal decreto legislativo  18  agosto  2000,  n.  267,  delinearono  le
funzioni e i compiti delle Comunita'  montane  e  abrogarono:  a)  la
legge 25 luglio 1952, n. 991, art. 1, come sostituito dall'art. unico
della legge 30 luglio 1957, n. 657, e la  citata  legge  n.  991  del
1952, art. 14, comma 2; b) della legge  3  dicembre  1971,  n.  1102,
articoli 3, 4, 5 e 7; 15) per effetto dell'abrogazione della legge n.
991 del 1952, art. 1 venne meno,  per  le  agevolazioni  fiscali,  il
potere di classificazione dei  territori  montani  della  Commissione
censuaria nazionale operante presso il Ministero delle  Finanze;  16)
la legge 31 gennaio 1994,  n.  97,  che,  all'art.  1,  comma  3,  ha
stabilito che: «Quando non diversamente specificato, le  disposizioni
della presente  legge  si  applicano  ai  territori  delle  comunita'
montane delimitate ai sensi della legge 8 giugno 1990  n.  142,  art.
28. Ai fini della presente legge, per "comuni montani"  si  intendono
"comuni  facenti  parte  di   comunita'   montare"   ovvero   "comuni
interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre
1971,  n.  1102,  e  successive  modificazioni"  in  mancanza   della
ridelimitazione»; 17) Peraltro, la legge n. 1102 cit., articoli 3, 4,
5 e 7 erano gia' stati abrogati dalla legge n. 142 del 1990,  sicche'
il suddetto richiamo, contenuto nella legge n. 97 cit., alla legge n.
1102 medesima non poteva - e non puo' - essere interpretato  come  un
indiretto rinvio alla definizione di terreni montani contenuta  nella
legge n. 991 del 1952, visto  che,  nella  legge  n.  1102  cit.,  il
richiamo a  quest'ultima  definizione  era  contemplato  dall'art.  3
abrogato; 18) La legge n. 97 del 1994, successivo art. 18 (nel  testo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 25  dicembre  1995,
n.  213,  art  1),  ha  previsto,  poi,  una   ipotesi   di   esonero
previdenziale, stabilendo che: «le  imprese  e  i  datori  di  lavoro
aventi sedi ed operanti nei comuni montani, in deroga alle norme  sul
collocamento  della  mano  d'opera,  possono  assumere  senza   oneri
previdenziali, a tempo parziale, ai sensi del D.L. 30  ottobre  1984,
n. 726,  art.  5,  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  19
dicembre 1984, n. 863, o in  forma  stagionale,  coltivatori  diretti
residenti in comuni montani, iscritti allo SCAU»;  19)  Intanto,  con
decorrenza 1° luglio 1995, il  Servizio  per  i  contributi  agricoli
unificati (SCAU) e' stato soppresso e le  relative  funzioni  con  il
personale sono stati  trasferiti  all'INPS  e  all'INAIL  secondo  le
rispettive competenze, per effetto della legge 23 dicembre  1994,  n.
72, art. 19; 20) Il decreto legislativo n. 267 del 2000 cit. articoli
27 e 28 hanno poi sostituito e sostanzialmente recepito la  legge  n.
142 del 1990 cit., articoli 28 e 29 in materia di comunita'  montane,
senza peraltro contenere alcuna specifica normativa rilevante per  il
presente giudizio, ad eccezione del decreto legislativo n. 267  cit.,
art. 28, comma 6, che  stabilisce  che:  «Gli  interventi  finanziari
disposti dalle Comunita' montane  e  da  altri  soggetti  pubblici  a
favore della montagna  sono  destinati  esclusivamente  ai  territori
classificati montani», senza, peraltro, individuare ne'  il  soggetto
competente alla determinazione dei territori montani ne' i  parametri
di riferimento per tale determinazione; 21) La  Corte  costituzionale
nelle sentenze n. 244 e n. 456 del 2005; n. 397 del 2006 ha affermato
che la disciplina delle comunita' montane, pur in presenza della loro
qualificazione come enti locali contenuta nel decreto legislativo  n.
267 del 2000, rientra nella competenza  legislativa  residuale  delle
Regioni ai sensi dell'art. 117  Cost.,  comma  4;  22)  La  legge  24
dicembre 2007 n. 244, art. 2, commi  da  17  a  22,  ha  previsto  il
riordino delle Comunita'  montane,  con  finalita'  di  riduzione,  a
regime, della spesa corrente per il funzionamento di tali enti per un
importo pari almeno ad un  terzo  della  quota  del  fondo  ordinario
assegnata per l'anno  2007  alle  comunita'  montane  presenti  nella
Regione; 23) La Corte costituzionale, con sentenza n. 237 del 2009  -
nell'esaminare tale ultima disciplina  come  modificata  dal  D.L.  3
giugno 2008, n.  97,  art.  4-bis,  commi  5  e  6,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129 - ha,  fra  l'altro,
dichiarato non fondata, anche alla luce dell'art. 44 Cost., comma  2,
la questione di legittimita' costituzionale  relativa  ai  suindicati
commi 17 e 18, dettati con l'obiettivo della  riduzione  della  spesa
corrente per il  funzionamento  delle  Comunita'  montane;  24)  Tale
ultimo comma, fra l'altro, stabilisce che le  Regioni,  nell'adozione
delle leggi regionali in  materia,  devono  tenere  conto  di  taluni
«principi fondamentali»,  tra  i  quali:  «a)  riduzione  del  numero
complessivo  delle  comunita'  montane,  sulla  base  di   indicatori
fisico-geografici, demografici e  socioeconomici  e  in  particolare:
della  dimensione   territoriale,   della   dimensione   demografica,
dell'indice   di   vecchiaia,   del   reddito   medio   pro   capite,
dell'acclivita' dei terreni, dell'altimetria del territorio  comunale
con riferimento all'arco  alpino  e  alla  dorsale  appenninica,  del
livello dei servizi, della distanza  dal  capoluogo  di  provincia  e
delle attivita' produttive extra  agricole»;  25)  Il  Giudice  delle
leggi ha sottolineato come il suddetto  comma  18,  in  relazione  ai
contenuti delle leggi regionali da adottare ai sensi  del  precedente
comma 17, si limita e porre a disposizione delle Regioni una serie di
indicazioni  che  vengono   ad   integrare,   in   un   rapporto   di
complementarita', quelle contenute nel citato art. 27, comma  7,  del
testo unico sugli enti locali, secondo cui «ai fini della graduazione
e differenziazione degli interventi di  competenza  delle  Regioni  e
delle comunita' montane,  le  Regioni,  con  propria  legge,  possono
provvedere ad  individuare  nell'ambito  territoriale  delle  singole
comunita' montane fasce altimetriche  di  territorio,  tenendo  conto
dell'andamento  orografico,  del  clima,  della  vegetazione,   delle
difficolta' nell'utilizzazione agricola del suolo,  della  fragilita'
ecologica, dei rischi ambientali e  della  realta'  socio-economica»;
26)  La  Corte,  nella   stessa   sentenza,   ha   anche   dichiarato
l'inammissibilita' della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dello stesso art. 2 cit., comma 19, secondo cui: «i criteri di cui al
comma 18 valgono ai fini della costituzione delle comunita' montane e
non rilevano in ordine ai benefici e agli interventi speciali per  la
montagna stabiliti  dall'Unione  europea  e  dalle  leggi  statali  e
regionali», dopo avere escluso che la norma  abbia  capacita'  lesiva
degli ambiti di  autonomia  regionale,  il  Giudice  delle  leggi  ha
ricordato che una disposizione analoga era gia' contenuta nel decreto
legislativo n. 267 del 2000, art. 27, comma 5, in base  al  quale  la
legge regionale puo' escludere dalla comunita' montana i  comuni  che
presentino determinate caratteristiche, ma «l'esclusione non priva  i
rispettivi territori montani dei benefici e degli interventi speciali
per la montagna stabiliti dall'Unione europea e dalle leggi statali e
regionali»; 27) L'indirizzo interpretativo espresso nella  suindicata
sentenza - nel senso della  legittimita'  di  interventi  legislativi
statali  aventi  l'obiettivo  di  ridurre  gli  oneri  della  finanza
pubblica, pure se incidenti sull'autonomia di spesa delle Regioni  in
genere e su ogni tipo di  potesta'  legislativa  regionale,  compresa
quella residuale in materia di comunita' montane - e' stato  seguito,
con riguardo a differenti fattispecie, nelle successive sentenze  326
del  2010;  n.  91  e  207  del  2011;   n.   151   del   2012;   28)
Contemporaneamente e anche negli anni successivi  cui  risalgono  gli
interventi legislativi dianzi descritti il settore e'  stato  oggetto
di numerosi ulteriori interventi legislativi, aventi  come  specifico
oggetto la generale disciplina degli sgravi contributivi riferita  ai
territori montani, la cui identificazione e' stata effettuata tramite
il  rinvio  all'elenco  di  cui  al  decreto  del  Presidente   della
Repubblica  29  settembre  1973,  n.  601,  art.  9  (in  materia  di
agevolazioni  tributarie),  tranne  che  per  le  zone  di   montagna
svantaggiate, ai sensi del decreto legislativo  16  aprile  1997,  n.
146, art. 2, per le quali si e' fatto riferimento alla  deliberazione
del CIPE 25 maggio 2000. In particolare: 
      - con il D.L. 22 maggio 1993, n. 155, art. 10,  convertito  con
modificazioni dalla legge 19 luglio 1993, n. 243 venivano elevate  le
percentuali dei contributi agricoli previste dalla legge  n.  67  del
1988, art.  9,  comma  5,  a  carico  del  datore  di  lavoro  e  dei
lavoratori; 
      - con la legge 24 dicembre 1993, n. 537,  art.  11,  comma  27,
veniva sostituito la legge n.  67  del  1988,  art.  9,  comma  5  (e
venivano introdotti i commi 5-bis e 5-ter, onde rafforzare  la  parte
sanzionatoria della normativa), sicche',  i  premi  ed  i  contributi
relativi alle gestioni previdenziali  ed  assistenziali,  dovuti  dai
datori di  lavoro  agricolo  per  il  proprio  personale  dipendente,
occupato a tempo indeterminato e a tempo  determinato  nei  territori
montani di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 601  del
1973, art. 9 venivano «fissati  nella  misura  del  20  per  cento  a
decorrere dal 1° ottobre 1994, del 25 per cento a  decorrere  dal  1°
ottobre 1995 e del 30 per cento a  decorrere  dal  1°  ottobre  1996»
(mentre i predetti premi e contributi dovuti  dai  datori  di  lavoro
agricolo operanti nelle zone  agricole  svantaggiate,  delimitate  ai
sensi della legge 27 dicembre 1977, n. 984, art. 15,  erano  «fissati
nella misura del 30 per cento a decorrere dal 1° ottobre 1994, del 40
per cento a decorrere dal  1°  ottobre  1995,  del  60  per  cento  a
decorrere dal 1° ottobre 1996»); 
      - con il D.L. 31  gennaio  1997,  n.  11,  art.  1,  comma  51,
convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 1997, n. 81, veniva
prevista una riduzione -  limitata  nel  tempo  -  della  misura  dei
contributi  dovuti  dai  datori  di  lavoro  agricolo  operanti   nei
territori montani di cui  al  citato  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 601 del  1973,  art.  9  nonche'  nelle  zone  agricole
svantaggiate; 
      - con il D.L. 30 settembre 2003, n.  269,  art.  44,  comma  1,
convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in
via di interpretazione autentica, e' stato esclusa la possibilita' di
cumulare i suddetti benefici con gli analoghi benefici previsti dalla
disciplina a favore dei territori del Mezzogiorno,  stabilendosi  che
«la legge 11 marzo 1988,  n.  67,  art.  9,  comma  6,  e  successive
modificazioni  e  integrazioni,  si  interpreta  nel  senso  che   le
agevolazioni  di  cui  al  medesimo  art.  9,  comma  5,  cosi'  come
sostituito dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, art.  11,  non  sono
cumulabili con i benefici di cui alla legge 1°  marzo  1986,  n.  64,
art. 14, comma 1, e successive modificazioni, e al D.L.  30  dicembre
1987, n. 536, art. 1, comma 6, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge  29  febbraio  1988,  n.  48,  e  successive  modificazioni   e
integrazioni»; 
      - con il  D.L.  10  gennaio  2006,  n.  2,  art.  1,  comma  2,
convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81,  stato
introdotto un incremento - fino al 75 -  dello  sgravio  contributivo
per i  territori  montani  particolarmente  svantaggiati  e  le  zone
agricole svantaggiate, nonche'  per  i  territori  di  alcuni  comuni
specificamente  individuati.  In  particolare  la   disposizione   ha
previsto che «dal 1° gennaio 2006, per lo stesso periodo  di  cui  al
comma 1, le agevolazioni contributive previste dalla legge  11  marzo
1988,  n.  67,  art.  9,  commi  5,  5-bis  e  5-ter,  e   successive
modificazioni,  sono  cosi  determinate:  a)  nei  territori  montani
particolarmente svantaggiati la riduzione contributiva compete  nella
misura del 75 per cento dei contributi a carico del datore di lavoro;
previsti dalla legge n. 67 del 1988, citato art. 9, commi 5, 5-bis  e
5-ter;  b)  nelle  zone  agricole  svantaggiate,  comprese  le   aree
dell'obiettivo  1  di  cui  ai  regolamento  (CE)  n.  1260/1999  del
Consiglio, nonche' i territori  dei  comuni  delle  regioni  Abruzzo,
Molise e Basilicata, la riduzione contributiva compete  nella  misura
del 68 per cento; 
      - con il D.L. 3 novembre 2008, n. 171,  art.  1-ter,  comma  1,
convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205, il
regime   delle   maggiori   agevolazioni   «nei   territori   montani
particolarmente svantaggiati  e  nelle  zone  agricole  svantaggiate»
introdotte con il D.L. n. 2 del 2006 e' stato prorogato  fino  al  31
marzo 2009: con il D.L.  10  febbraio  2009,  n.  5,  art.  8-octies,
convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile  2009,  n.  33,  e'
stato ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2009 il  regime  di
maggiore sgravio previsto dal D.L. n. 171 dei 2008, convertito  nella
legge n. 205 del 2008: con la legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2,
comma 49, tale ultimo termine e' stato ulteriormente  prorogato  fino
al 31 luglio 2010; infine, con la legge 13  dicembre  2010,  n.  220,
art. 1, comma 45, sono stati semplicemente  ripristinati  gli  sgravi
contributivi, eliminando le pregresse scadenze previste per usufruire
del maggior  beneficio  e  cio'  ancorche'  le  stesse  fossero  gia'
maturate. 
    29) Intanto, la Corte costituzionale, nelle sentenza  n.  11  del
2007, ha ribadito che il solo  criterio  altimetrico,  definito  come
"casuale", non e' idoneo per l'attribuzione  di  benefici  ai  comuni
montani (richiamando le precedenti sentenze n. 370 del 1985 e n.  254
del 1989) e lo stesso orientamento e' stato seguito nella  successiva
sentenza n. 27 del 2010; 
    30) Infine, il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 - con
il quale e'  stata  effettuata  la  ricognizione  delle  disposizioni
legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970,  di  cui  e'  stata
ritenuta indispensabile la permanenza in vigore, a norma della  legge
28 novembre 2005, n.  246,  art.  14  -  ha  incluso  tra  gli  «atti
normativi salvati» (vedi Allegato 1 - n. 1266)  la  legge  25  luglio
1952, n. 991, eccettuando dal disposto «salvataggio» solo l'art. 1  e
l'art. 14, comma 2, della legge, gia'  espressamente  abrogati  dalla
legge n. 142 del 1990, art. 29; 
    31)  Pertanto,  tra  le  norme   di   cui   e'   stata   ritenuta
indispensabile LA permanenza in vigore e'  stato  compreso  nominatim
anche l'art. 8 della legge  stessa,  cui  originariamente  si  faceva
riferimento per la definizione di «territori  montani»  ai  fini  del
risarcimento del  beneficio  dell'esenzione  contributiva.  6.  -  Il
complesso e articolato quadro normativo e giurisprudenziale  fin  qui
delineato consente di  mettere  a  fuoco  che  la  questione  che  la
presente controversia impone di risolvere riguarda principalmente  la
definizione di «territori  montani»  da  applicare  nella  specie  e,
quindi, se tale definizione debba essere ricavata dalla legge n.  991
del 1952; art. 8  (come  sostenuto  dalla  Vaira,  onde  ottenere  il
riconoscimento del diritto allo sgravio contributivo  totale)  ovvero
dalla legge  n.  67  del  1988,  art.  9,  comma  5  (come  sostenuto
dall'Istituto ricorrente, al  fine  dell'applicazione  dello  sgravio
contributivo solo parziale). La soluzione  della  suddetta  questione
implica,  ovviamente,  quella  relativa  all'efficacia  del   decreto
legislativo n. 179 del  2009,  nella  parte  in  cui  ha  operato  il
«salvataggio» della legge n. 991 del 1952, art. 8. 7. - A tale ultimo
riguardo deve essere, in primo luogo, precisato che,  come  affermato
dalla Corte costituzionale, il decreto legislativo n.  179  del  2009
proprio in ragione  della  sua  funzione  meramente  ricognitiva  ...
appare, ... sprovvisto di una propria e autonoma forza precettiva  o,
se  si  preferisce,  di  quel  carattere  innovativo  che  si   suole
considerare proprio degli atti normativi:  non  e'  dubbio,  infatti,
che, nell'individuare le disposizioni da mantenere  in  vigore,  esso
non ridetermini ne' in alcun modo corregga  le  relative  discipline,
limitandosi  a  confermare,  peraltro  indirettamente  -  attraverso,
cioe', la mera individuazione di atti da «salvare» - la persistente e
immutata loro efficacia. Cio' significa che con l'entrata in  vigore,
il 15 dicembre 2009, del decreto legislativo n. 179 del 2009, non  si
e'   determinata   la   "reintroduzione"    o    la    "reviviscenza"
nell'ordinamento  delle  norme  "salvate",  ma  si  e'  semplicemente
"consentito di vederne confermata la vigenza, sull'ovvio  presupposto
...  che  esso  non  l'avesse  perduta  e  che  percio',  altrettanto
evidentemente, non avesse necessita' di riacquistarla.  Tale  perdita
di vigenza, dal testo della relativa delega (legge 28 novembre  2005,
n. 246,  art.  14,  commi  14  e  seguenti,  quale  risultante  dalla
sostituzione ad opera della legge 18 giugno  2009,  n.  69,  art.  4,
comma 1, lett. a)), si desume che possa  essere  rappresentata  anche
dalla tacita implicita abrogazione  ovvero  dal  trattarsi  di  norme
"comunque obsolete" (Corte cost.  sentenza  n.  346  del  2010  nello
stesso senso, sentenza n. 80 del 2012). Del resto, l'art.  14,  comma
14, cit., ha indicato, tra  i  principi  e  criteri  direttivi  della
delega per l'emanazione di «decreti legislativi  che  individuano  le
disposizioni legislative  statali,  pubblicate  anteriormente  al  1°
gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle
quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore», per  primi,
seguenti principi:  «a)  esclusione  delle  disposizioni  oggetto  di
abrogazione tacita o implicita; b) esclusione delle disposizioni  che
abbiano  esaurito  la  loro  funzione  o  siano  prive  di  effettivo
contenuto normativo o siano comunque obsolete». Inoltre, nel  decreto
legislativo n. 179 cit., art. 1, comma 3, lett.  d,  si  precisa  che
"permanenza in vigore" deve essere stabilita anche ai sensi dell'art.
15 delle disposizioni  preliminari  al  codice  civile.  Tale  ultima
disposizione, com'e'  noto,  disciplina  l'abrogazione  delle  leggi,
espressa o tacita «per incompatibilita' tra le nuove  disposizioni  e
le precedenti o perche' la nuova legge regola l'intera  materia  gia'
regolata dalla legge anteriore».  8.  -  Dalla  descritta  evoluzione
normativa si desume che la legge n. 991 del 1952, art. 8 non puo' che
rientrare tra le disposizioni tacitamente o  implicitamente  abrogate
ovvero tra  le  disposizioni  che,  al  momento  dell'emanazione  del
decreto legislativo  n.  179  del  2009,  avevano  esaurito  la  loro
funzione o erano comunque obsolete, sicche' non potendo  esso  essere
incluso, in base alla legge di delega, fra  le  norme  "salvate",  la
relativa ricomprensione al suddetto fine nell'Allegato 1  voce  -  n.
1266 tra le disposizioni, specificamente indicate, dalla legge n. 991
del 1952 si deve considerare tamquam non esset, frutto di  un  lapsus
calami, sulla base di una  interpretazione  rispettosa  dell'art.  15
preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della  coerenza  e
ragionevolezza dell'ordinamento (art.  3  Cost.),  del  rispetto  dei
principi e criteri direttivi della legge di delega (art.  76  Cost.),
alla luce anche dell'art. 44  Cost.,  comma  2.  A  tale  conclusione
conducono  numerosi  elementi,  desumibili  dal  riportato   excursus
normativo: 
      a) la legge n. 991 del 1952, art. 8, aveva un duplice contenuto
perche' le zone montane prevedeva sia agevolazioni fiscali  sia,  per
la prima volta, l'esenzione dal  pagamento  dei  contributi  agricoli
unificati, tuttavia, mentre per le agevolazioni  fiscali  (attraverso
il suddetto richiamo al decreto legislativo C.P.S. n. 12 del  1947  e
combinandosi con la stessa legge n. 991 cit.,  art.  1)  adottava  un
criterio di identificazione dei territori montani non legato soltanto
all'altimetria, per  l'esenzione  contributiva  adotto',  invece,  il
rigido criterio della applicabilita' ai soli «terreni situati a quota
non inferiore ai 700 metri s.l.m.»; 
      b) il decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio  1958,
n. 645, articoli 58 e 68 hanno  previsto  una  nuova  normativa,  per
quanto riguarda le esenzioni fiscali dei terreni montani e  l'imposta
sul reddito dominicale dei terreni, diversa da quella  dettata  dalla
legge n. 991  del  1952,  art.  8,  cosi'  tacitamente  abrogando  il
suddetto art. 8, per la parte relativa alle agevolazioni fiscali  ivi
contemplate (come affermato da Cass. 12 novembre 1977, n. 4909); 
      c) sulla parte "residua" dell'art. 8 e'  intervenuta  la  Corte
costituzionale, con  la  sentenza  n.  370  del  1985,  dichiarandone
l'illegittimita' (unitamente a quella del D.L. 23 dicembre  1977,  n.
942 cit., articoli 7 e 8) per inadeguatezza  dell'adozione  del  solo
criterio altimetrico per la determinazione del regime contributivo da
applicare nelle zone montane; 
      d) la legge 3 dicembre 1971, n.  1102,  istitui'  le  Comunita'
montane, adottando criteri identici a quelli previsti  in  precedenza
per la qualificazione dei territori montani e  stabilendo  (art.  12,
comma 5) che «le agevolazioni fiscali di cui  alla  legge  25  luglio
1952, n. 991, art. 8, sono estese all'intero territorio montano»; 
      e) intanto, ai fini fiscali, una nuova definizione di territori
montani comprensiva e piu' ampia delle precedenti veniva dettata  dal
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre  1973,  n.  601,
art. 9; 
      f) a partire dalla legge 1° marzo 1988, n. 67, art. 9, ai  fini
delle agevolazioni contributive - normalmente parziali in favore  dei
datori di  lavoro  agricolo  operanti  nei  territori  montani  si  e
generalmente  fatto  riferimento  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 601 del  1973,  suddetto  art.  9  (vedi  retro  n.  28
dell'excursus normativo); 
      g) la legge n. 142 del 1990, articoli 28 e  29  successivamente
abrogati dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,  abrogarono,
fra l'altro: a) la legge 25 luglio  1952,  art.  1,  come  sostituito
dall'art. unico della legge 30 luglio 1957, n. 657 (che prevedeva  il
potere di classificazione dei  territori  montani  della  Commissione
censuaria nazionale operante presso il Ministero delle Finanze) e  la
citata legge n. 991 del 1952, art. 14 comma 2; b) la legge 3 dicembre
1971, n. 1102, articoli 3, 4, 5 e 7; 
      h) la legge 31 gennaio 1994, n. 97 (nel testo risultante  dalle
modifiche introdotte dalla legge 25 dicembre 1995, n. 213, art. 1) ha
previsto un esonero previdenziale totale per le  assunzioni  a  tempo
parziale da parte delle imprese e dei datori di lavoro  «aventi  sedi
ed operanti nei comuni montani», da intendere  come  «comuni  facenti
parte  di  comunita'  montane»   se   ridelimitate   ovvero   «comuni
interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre
1971,  n.  1102,  e  successive  modificazioni»  in  mancanza   della
ridelimitazione; 
      i) tale ultimo richiamo, contenuto nella legge n. 97 cit., alla
legge n. 1102 cit. non puo' essere inteso come  un  indiretto  rinvio
alla definizione di terreni montani contenuta nella legge n. 991  del
1952 in quanto, nella legge n. 1102 cit., il richiamo a  quest'ultima
definizione era contemplato dall'art. 3, gia' abrogato,  insieme  con
la legge n. 1102 cit., articoli 4, 5 e 7 dalla legge n. 142 del 1990;
del resto anche Cass. 17 luglio 2007, n. 15907 ha  sottolineato  come
la legge n. 142 del 1990, art. 29  abbia  espressamente  abrogato  le
«precedenti disposizioni della normativa del 1952 e 1971  concernenti
la individuazione e la classificazione dei comuni montani»;  1)  dopo
la riforma del Titolo 5^ della Parte seconda  della  Costituzione  la
Corte  costituzionale  ha  reiteratamente  affermato   (vedi:   nelle
sentenze n. 244 e n. 456 del 2005; n. 397 del 2006; 237 del 2009) che
la disciplina delle comunita' montane, pur  in  presenza  della  loro
qualificazione come enti locali contenuta nel decreto legislativo  n.
267 del 2000, rientra nella competenza  legislativa  residuale  delle
Regioni ai sensi dell'art. 117 Cost.,  comma  4,  e  comprende  anche
l'individuazione  degli  indicatori  da  cui  desumere  il  carattere
"montano"  della  Comunita',  in  un  rapporto  di  complementarita',
rispetto  a  quelli  risultanti  dalla  normativa  statale,  i  quali
comunque «non rilevano  in  ordine  ai  benefici  e  agli  interventi
speciali per la montagna stabiliti dall'Unione europea e dalle  leggi
statali e regionali». 
    9. - Ne deriva che l'art. 8 in argomento  -  gia'  implicitamente
abrogato per la parte relativa alle agevolazioni  fiscali  prima  dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1958, articoli  58
e 68 e poi dal decreto del Presidente della  Repubblica  n.  631  del
1973,  art.  9  -  colpito,  per  la  parte  relativa   ai   benefici
contributivi,   dalla   sentenza   di   accoglimento   della    Corte
costituzionale n. 370 del 1985,  coinvolto  sia  pure  indirettamente
nell'abrogazione della legge n. 1102 del 1971, art. 3 ad opera  della
legge n. 142 del 1990, art. 29, non piu' richiamato dal  legislatore,
per quel che riguarda i benefici contributivi in  favore  delle  zone
montane, a partire dalla  legge  n.  67  del  1988  (essendosi  fatto
normalmente  riferimento  alla  definizione  di   territori   montani
contenuta nel decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  601  del
1973, art. 9), non puo'  che  considerarsi  implicitamente  abrogato,
tanto  piu'  che  esso  prevede  un  regime   di   totale   esenzione
contributiva che  -  come  criterio  generalizzato  da  applicare  ai
territori montani - risulta essere stato abbandonato dal legislatore,
a partire dalla legge n. 67 del 1988 cit.  Di  cio'  si  ha  conferma
anche nella legge 31 gennaio 1994, n. 97, art. 18, che,  come  si  e'
detto, ha previsto - con una norma speciale - una ipotesi di  esonero
previdenziale per le imprese e i datori  di  lavoro  aventi  sedi  ed
operanti nei comuni montani, in caso di  assunzioni  di  personale  a
tempo parziale, Tale norma e' stata  emanata  pochi  giorni  dopo  la
legge n. 537 del 1993, art. 11, comma 27,  con  il  quale  e'  stata,
invece, rideterminata la quota di sgravio contributivo  spettante  ai
datori di lavoro suindicati, con riferimento ai lavoratori dipendenti
assunti a tempo indeterminato o determinato. Ora, e' evidente che  il
suddetto art. 18 appare sicuramente coerente con un  regime  generale
di sgravi (piu' o meno articolato)  quale  quello  configurato  dalla
legge n. 67 del 1988, art. 9, comma 5,  (e  successive  modifiche  ed
integrazioni), mentre e' dei tutto incompatibile con la sopravvivenza
di un regime generale  di  esenzione  contributiva  quale  risultante
dalla legge n. 991 del 1952, art. 8. Infatti  -  anche  su  un  piano
logico -  sarebbe  da  considerare  priva  di  significato  un  nuova
disposizione - di  carattere  speciale  -  diretta  a  prevedere  una
particolare ipotesi di esenzione (per le assunzioni a tempo parziale)
se la si dovesse intendere inserita in un  sistema  nel  quale  fosse
prevista l'esenzione da ogni contribuzione in favore  dei  datori  di
lavoro agricolo operanti nei  territori  montani  da  applicare  alla
generalita' dei dipendenti, come disposto  dalla  legge  n.  991  del
1952, art. 8. In sintesi, l'inserimento della legge n. 991 del  1952,
art. 8 tra le norme "salvate" ad opera del decreto legislativo n. 179
del 2009 appare il frutto di un errore in quanto tale norma non aveva
le caratteristiche  proprie  di  quelle  da  includere  nel  suddetto
"salvataggio", essendone stata la relativa abrogazione implicita gia'
riconosciuta, fin dal 1958, per la parte riguardante le  agevolazioni
fiscali ed essendo stata, la parte relativa ai benefici contributivi,
prima dichiarata costituzionalmente  illegittima  (nel  1985)  e  poi
implicitamente  abrogata  per  "incompatibilita'"  con  i  successivi
interventi legislativi in materia, da quando, a partire  dalla  legge
n. 67 del 1988, per le  zone  montane  all'esonero  contributivo  ivi
previsto  e  stato  sostituito  un  sistema  di  sgravi,   variamente
articolato, basato sulla definizione di territori  montani  contenuta
nel decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, art. 9. 
    La Cassazione ha quindi, sul punto ora  in  esame,  formulato  il
seguente, condivisibile, principio di diritto: «la legge n.  991  del
1952, art. 8 - gia' implicitamente abrogato  per  la  parte  relativa
alle agevolazioni fiscali prima  dal  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 645 del 1958, articoli 58 e 68 e poi  dal  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, art. 9 - colpito, per la
parte  relativa  ai  benefici   contributivi,   dalla   sentenza   di
accoglimento della Corte costituzionale n. 370 del  1985,  coinvolto,
sia pure indirettamente, nell'abrogazione della  legge  n.  1102  del
1971, art. 3 ad opera della legge n. 142 del 1990, art. 29, non  piu'
richiamato  dal  legislatore,  per  quel  che  riguarda  i   benefici
contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla  legge  n.
67  del  1988  (in  quanto  le  relative  disposizioni  hanno   fatto
principalmente riferimento  alla  definizione  di  territori  montani
contenuta nel decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  601  del
1973, art. 9), non puo'  che  considerarsi  implicitamente  abrogato,
tanto  piu'  che  esso  prevede  un  regime   di   totale   esenzione
contributiva che  -  come  criterio  generalizzato  da  applicare  ai
territori montani - risulta essere stato abbandonato dal legislatore,
a partire dalla legge n. 67 del 1988 cit.». 
    Siffatte argomentazioni, lungi  dall'essere  state  acriticamente
reiterate (come sostenuto dall'attrice),  sono  state  riproposte  in
modo articolato dalla gia' cit. successiva sentenza  della  Corte  di
Cassazione 7976/16. 
    Le  suddette  argomentazioni  inerenti   all'abrogazione   tacita
dell'art. 8, legge n. 991/52, vengono recepite  dal  Giudice  e  cio'
impedisce l'accoglimento de plano della domanda  giudiziale  attrice,
essendo altresi' il Giudice concorde con la Cassazione  in  punto  di
non configurabilita' di efficacia innovativa  da  parte  del  decreto
legislativo n. 179/09: dunque la domanda attrice non  e'  accoglibile
neppure in forza di tale ultima norma. 
    Il Giudice invece dissente dalla  restante  argomentazione  della
Cassazione, sopra riportata nella  parte  motiva  e  qui  di  seguito
quanto al principio di diritto fissato nella  sentenza  1920/13:  «Ne
consegue che, come si desume dal decreto legislativo n. 179 n.  2009,
art. 1, comma 3, lett. d), e  dalla  relativa  legge  di  delega,  il
suddetto art. 8 non poteva essere incluso fra le norme "salvate"  dal
decreto  legislativo  n.  179  cit.,   avente   carattere   meramente
ricognitivo e non innovativo (Corte cost. sentenze n. 346 del 2010  e
n. 80 del 2012). Pertanto, la  relativa  ricomprensione  al  suddetto
fine nell'Allegato 1 - voce - 1266 (di tale decreto legislativo)  tra
le disposizioni, specificamente indicate, della legge n. 991 del 1952
da "mantenere in vigore"  si  deve  considerare  tamquam  non  esset,
frutto di  un  lapsus  calami,  sulla  base  di  una  interpretazione
rispettosa dell'art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata,  nel
senso  della  coerenza  e  ragionevolezza  dell'ordinamento  (art.  3
Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge  di
delega (art. 76 Cost.), alla luce anche dell'art. 44 Cost., comma 2».
Se e' vero che l'art. 8 cit. non  poteva  essere  ricompreso  tra  le
norme salvate, appunto non essendo piu' una norma vigente del  nostro
ordinamento giuridico, e non avendo  il  Legislatore  delegato  alcun
potere di farla rivivere innovando il previgente  tessuto  normativo,
e'  anche  vero  che  l'art.  8  cit.  e'  stato   esplicitamente   e
consapevolmente ricompreso dal Legislatore delegato  nelle  norme  da
salvare. Non e' seriamente ipotizzabile  nella  specie  alcun  lapsus
calami,  ma  bensi'  un'attivita'  normativa  sfornita  di  copertura
costituzionale posta in essere dal Legislatore  delegato.  Un  errore
valutato come tale dalla  Corte  di  Cassazione  e  anche  da  questo
Giudice, ma che non consente all'A.G.O. la disapplicazione tout court
della norma in questione, avente valore formale di  legge  fino  alla
sua rimozione dal nostro ordinamento giuridico, cui e'  abilitata  la
sola Corte costituzionale.  Appare  invero  un  artificio  dialettico
l'evocazione dell'interpretazione costituzionalmente orientata: nella
specie non  si  tratterebbe  di  alcuna  interpretazione,  bensi'  di
disapplicazione pura e semplice. Anche questo Giudice e' convinto che
la norma de qua del decreto legislativo n. 179/09  sia  "tamquam  non
esset", ma l'unico Organo costituzionalmente deputato a verificare la
fondatezza di tale  assunto  ed  a  eliminare  la  norma  dal  nostro
ordinamento giuridico e' la Corte costituzionale. 
    La norma del decreto legislativo n. 179/09 che ha salvato il cit.
art. 8 e' dunque di necessitata applicazione nel  presente  giudizio,
in quanto allo stato impedisce il rigetto  della  domanda  giudiziale
attrice  alla,  stregua  della  pur  ritenuta  (da  questo   Giudice)
pregressa abrogazione tacita dell'art. 8, legge n. 991/52; e  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
di  tale  norma,  per  violazione  del   canone   costituzionale   di
ragionevolezza e di quello dettato  dall'art.  76  Cost.,  desume  da
quanto fin qui argomentato. 
    Vanno  quindi  dati,   come   in   dispositivo,   i   conseguenti
provvedimenti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    a) Solleva questione di legittimita' costituzionale, nei sensi di
cui in motivazione, del decreto legislativo n. 179  del  1°  dicembre
2009, voce n. 1266, dell'Allegato 1, nella parte in cui  dichiara  la
permanente vigenza dell'art. 8, legge n. 991 del 25 luglio 1952,  per
violazione degli articoli 3 e 76 della Costituzione; 
    b) Sospende la presente causa  fino  all'esito  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale; 
    c) Ordina  l'immediata  trasmissione  alla  Corte  costituzionale
degli atti della presente causa, con la prova delle  notificazioni  e
comunicazioni di cui al capo che segue; 
    d) Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza
sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti,
e sia comunicata al Presidente del  Senato  ed  al  Presidente  della
Camera dei Deputati. 
      Sondrio, 6 aprile 2017 
 
                  Il Giudice del Lavoro: Fanfarillo