N. 147 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 luglio 2017
Ordinanza del 13 luglio 2017 del Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Cajozzo Alessandro. Reati e pene - Reati tributari - Dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - Soglie di punibilita'. - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), art. 2.(GU n.43 del 25-10-2017 )
IL TRIBUNALE DI PALERMO Seconda Sezione penale In composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Annalisa Tesoriere, ha emesso la seguente ordinanza nell'ambito del procedimento n. 8162/2016 R.G.T. a carico di Cajozzo Alessandro, nato a Palermo il 17 febbraio 1976, difeso di fiducia dagli avv.ti Raffaele Restivo ed Antonio Gargano. Imputato per le seguenti ipotesi di reato: a) art. 2 decreto legislativo n. 74/2000 per avere, in qualita' di legale rappresentante della societa' Immobilsedici s.a.s. di Cajozzo Alessandro, al fine di evadere le imposte sui redditi, utilizzato una fattura per operazione soggettivamente e oggettivamente inesistente, apparentemente emessa dalla societa' TEC s.r.l. riportata in sede di dichiarazione annuale relativamente all'anno di imposta 2007, indicando elementi passivi fittizi per € 12.176, con evasione IVA per € 2.436. In Palermo in data 25 settembre 2008, data di presentazione della dichiarazione. b) art. 2 decreto legislativo n. 74/2000 per avere, in qualita' di legale rappresentante della societa' Immobilsedici s.a.s. di Cajozzo Alessandro, al fine di evadere le imposte sui redditi, utilizzato una fattura per operazione soggettivamente e oggettivamente inesistente, apparentemente emessa dalla societa' So.Ge.CO s.r.l., riportata in sede di dichiarazione annuale relativamente all'anno di imposta 2011, indicando elementi passivi fittizi per € 18.000, con evasione Iva per € 2.436. In Palermo in data 10 settembre 2012, data di presentazione della dichiarazione. Con istanza del 18 maggio 2017, depositata ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, i difensori di fiducia dell'imputato Alessandro Cajozzo hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale - sotto il profilo della manifesta irragionevolezza nonche' per violazione degli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione - dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 (nella formulazione scaturente dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 158/2015) nello parte in cui non esclude - a differenza di quanto invece previsto dall'art. 3 del medesimo decreto legislativo n. 74/2000 - la punibilita' della condotta delittuosa laddove il tributo evaso sia inferiore con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila. Piu' specificamente, la difesa dell'imputato, muovendo dall'assunto della sostanziale omogeneita' tra la fattispecie astratta delineata dall'art. 2 e quella tratteggiata dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000, ha messo in dubbio la legittimita' costituzionale dell'evocato ordito normative nella misura in cui la mancata previsione di soglie di punibilita' con riferimento alla prima figura delittuosa (rubricata «Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) genererebbe una stridente nonche' irragionevole disparita' di trattamento tra chi, al fine di' evadere (anche per un modestissimo importo, stante l'assenza di alcuna soglia di punibilita') le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni relative a tali imposte elementi passivi fittizi e colui il quale invece compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria effettui dichiarazioni relative a tali imposte indicando elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, rendendosi in tal modo responsabile delle condotte sanzionate dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000. La struttura obiettiva della figura delittuosa delineata dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 (rubricato «Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici»), infatti, include all'interno del perimetro sanzionatorio esclusivamente le condotte fraudolente ivi descritte che valichino congiuntamente determinate soglie di punibilita' (soglie, invero, del tutto mancanti nella fisionomia della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 2), il che comporta che le operazioni penalmente rilevanti risultano solo quelle in virtu' delle quali: a) l'imposta evasa risulti superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, si riveli superiore al cinque per cento dell'ammontare complessiva degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta sia superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. Ad ulteriore supporto della evocata censura di costituzionalita' la difesa dell'imputato ha altresi' stigmatizzato l'operato del legislatore delegato, evidenziando che - al cospetto di una delega legislativa mirata alla revisione del sistema penale tributario che preveda la punibilita' con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni e che dia rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilita', alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa (1) - il mancato innesto di soglie di punibilita' nella struttura della fattispecie di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 palesi un eccesso di delega in minus scaturente (dall'irragionevole differenziazione rispetto ad una figura delittuosa - quale e' quella di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 - finalizzata alla repressione di indotte fraudolente (almeno astrattamente) di pari gravita'. Il pubblico ministero nulla ha osservato in ordine all'eccezione di ileggittimita' costituzionale formulata dalla difesa. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 in relazione agli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione. In netta aderenza a quanto disposto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 il giudice remittente e' tenuto in prima battuta a verificare se la questione legittimita' costituzionale sottoposta al suo vaglio sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. Sotto questo profilo si impone di evidenziare il nesso di strumentalita' tra la questione di legittimita' ed il giudizio a quo il che significa che a rilevare non e' tanto l'astratta possibilita' una legge possa rivelarsi incostituzionale quanto, invece, che il giudizio principale non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione della questione sollevata. Con riferimento al giudizio in corso, invero, questo giudice ritiene che il procedimento penale instaurato a carico dell'imputato Alessandro Cajozzo non possa sfociare verso il suo naturale esito, considerato che la lamentata censura di incostituzionalita' relativa alla mancata previsione di soglie di punibilita' nella struttura della fattispecie di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 rifrange una lacuna normativa il cui scrutinio determinerebbe effetti determinanti ai fini dell'emissione di una pronuncia di condanna o di assoluzione. Ed invero, la rilevanza nel giudizio in corso della questione sollevata dalla difesa dell'imputato si riconnette inequivocabilmente alla circostanza che quest'ultimo e' chiamato a rispondere di operazioni fraudolente che per ciascun anno di imposta si collocano ben ai di sotto della soglia dei euro 30.000.00 (cfr. capi a) e b) dell'imputazione). Cio' corrobora inequivocabilmente l'interesse sotteso alla risoluzione della questione di legittimita', nella misura in cui il suo eventuale accoglimento sortirebbe l'effetto di svuotare di rilevanza penale le condotte ascritte all'imputato. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 in relazione agli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione. Sul versante della non manifesta infondatezza invece, il giudice remittente e' chiamato ad appurare che la questione di legittimita' costituzionale sia munita almeno prima di un minimo di fondamento giuridico. In altri termini, il sindacato giudiziale deve polarizzarsi sul ragionevole dubbio che la disposizione normativa censurata possa rivelarsi effettivamente lesiva del dettato costituzionale. Inevitabile corollario di tale assunto e' rappresentato dall'obbligo incombente sul giudice a quo di tentare di offrire una lettura costituzionalmente conforme delle norme sospette di illegittimita'; soltanto ove il tentativo di interpretazione costituzionale orientata fallisse, infatti, si rivelerebbe praticabile la rimessione della questione alla Corte costituzionale. Invero, con riferimento al giudizio a quo l'evocato tentativo di' interpretazione costituzionale orientata dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 e' precluso proprio dall'intima struttura della fattispecie, la quale impedisce una lettura della disposizione incriminatrice declinata in chiave estensiva o analogica. E del resto un'inferenza logico-giuridica di tipo analogico (per quanto in bonam partem) che prenda le mosse dal postulato dell'irragionevole diversificazione in chiave sanzionatoria (beninteso, non quoad poenam, ma in funzione di un piu' ristretto orizzonte applicativo derivarne da soglie di punibilita') tra il delitto di cui all'art. 2 e - alla stregua di tertium comparatianis - quello di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000, si tradurrebbe in una operazione di maquillage ermeneutico eminentemente creativa di nuovo diritto oggettivo. Tale esegesi demanderebbe, infatti, al giudice comune l'esercizio di una prerogativa intrinsecamente lesiva dello spettro di discrezionalita' di cui gode il legislatore nella configurazione dell'assetto delle sanzioni penali (come lucidamente osservato da Corte costituzionale 12 ottobre 2012, n. 230), discrezionalita' sindacabile esclusivamente dal Giudice delle leggi nella sola ipotesi in cui trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio (cfr., a tal riguardo, Corte costituzionale 20 luglio 2016, n. 193). Dato atto dell'impossibilita' di un'interpretazione conforme al dettato costituzionale della disposizione censurata, non si puo' fare a meno di dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000, in relazione quantomeno all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non contempla - a differenza di quanto invece previsto dall'art. 3 del medesimo decreto legislativo n. 74/2000 - la presenza di soglie di punibilita' che rendano penalmente rilevante la condotta fraudolenta evasiva consumata avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Il disposto dell'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000, evocato in termini tutt'altro che generici dalla difesa dell'imputato alla stregua di tertium comparationis nella prospettazione dell'incostituzionalita' dell'art. 2, induce a ritenere non manifestamente infondato il denunciato profilo di irragionevolezza e di arbitrarieta' consistente nella differenziazione del trattamento sanzionatorio con riguardo a situazioni di sostanziale omogeneita'. Pur nella consapevolezza che il parametro dell'eguaglianza non si traduce nella concettualizzazione di una categoria astratta, ma definisce l'essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico (cfr., in questi termini, Corte costituzionale, 24 ottobre 2014, n. 241), questo giudice non puo' fare a meno di rilevare che. alla luce delle sostanziale identita' tra la fattispecie di cui all'art. 2 e quella di cui all'art. 3 del decreto legislativo 74/2000 (ormai accomunate dalla struttura bifasica nonche' riconducibili all'unico genus della frode fiscale (2) ), la differenziazione sanzionatoria attuata attraverso l'allestimento di un piu' ristretto orizzonte applicativo derivante dalla previsione, con riferimento alla seconda fattispecie incriminatrice, di determinate soglie di punibilita' si presti a generare una irragionevole disparita' di trattamento non giustificata da specifiche esigenze repressive, atteso che le condotte sanzionate dall'art. 3 espongono il bene giuridico protetto dal reticolo penalistico costituito dall'interesse dell'erario ad una piena nonche' rapida percezione dei tributi - ad un pericolo concreto sicuramente non inferiore a quello rappresentato dalle operazioni punite dall'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000. Ed invero, alla stregua dell'interpretazione piu' diffusa nel diritto vivente l'ipotesi di reato delineata dall'art. 2 si differenzierebbe sia strutturalmente che funzionalmente da quella tratteggiata dall'art. 3 non tanto per la natura del falso ivi contemplata quanto per il rapporto di specialita' reciproca intercorrente tra le due norme (3) : e difatti, e' stato osservato dalla maggioranza degli interpreti che ad un nucleo Comune di offensivita', costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, si aggiungono in chiave specializzante, da un lato, l'utilizzazione di fatture e documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti e, dall'altro, il compimento di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente. l'utilizzo di documenti falsi e di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento tributario; dovendosi aggiungere, per quanto riguarda le condotte descritte dall'art. 3, proprio la ricorrenza di soglie minime di punibilita'. Cio' equivale ad affermare che la figura delittuosa di cui all'art. 3, assunta come tertium comparationis nell'ambito dell'invocato scrutinio di costituzionalita', trova applicazione quando l'agente, per l'indicazione di elementi passivi fittizi, non si avvale delle fatture e degli altri documenti aventi un contenuto probatorio analogo alle fatture, bensi' pone in essere gli altri descritti artifici irriducibili, alla luce di quanto oggi previsto dal comma 3 del medesimo articolo, ad un mero mendacio contabile. Parallelamente, ai fini del riconoscimento del delitto ex art. 2, decreto legislativo n. 74/2000, cio' che tipizza la nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e' sia l'inesistenza dell'operazione economica - oggettiva o soggettiva, totale o parziale - sia la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie (cfr. in quest'ottica. Cassazione Pen., 10 novembre 2011, n. 46785). Stando a tale impostazione esegetica, dunque, sarebbe soltanto l'efficacia probatoria (declinata sulla falsariga delle norme tributarie) del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l'elemento specializzante volto a qualificare la fattispecie incriminatrice descritta dall'art. 2 e, al contempo, a tenerla distinta da quella prevista dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 (cfr., in tal senso. Cassazione Pen., 7 febbraio 2007, n. 12284: Cassazione Pen., 2 dicembre 2011, n. 5642). Ulteriore indice rivelatore della sostanziale omogeneita' tra le evocate disposizioni incriminatrici si ricava dalla sovrapposizione delle definizioni di «operazioni inesistenti (sintagma presente all'art. 2) ed «operazioni simulate» (sintagma utilizzato dal legislatore nel corpo dell'art. 3), sovrapposizione che, ad avviso dello stesso Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione (4) , andrebbe decifrata nel senso di non ravvisare differenza alcuna tra operazioni simulate ed apparenti, la cui riconducibilita' all'art. 2 o all'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 dipenderebbe esclusivamente dalla sussistenza o meno del documento contabile nonche' dalla eventuale copertura cartolare offerta dalla fattura. Alla luce degli evidenziati profili di identita' sostanziale tra le evocate disposizioni incriminatrici, pertanto, risulta tutt'altro che manifestamente infondato il dubbio di una possibile quanto stridente irragionevolezza immanente ad un sistema che diversifica il trattamento - non quanto alla pena (che risulta invero identica, essendo entrambe le condotte punite con la reclusione da un anno a sei mesi a sei anni) bensi' in dipendenza di un piu' circoscritto orizzonte applicativo derivante da soglie di punibilita' presenti solo nel corpo dell'art. 3 - tra condotte (utilizzo di fatture false, compimento di operazioni simulate, uso di altri documenti falsi o di ulteriori mezzi fraudolenti) tutte riconducibili all'unico genus della frode fiscale, tra le quali e' plausibile che, quantomeno in astratto, proprio quelle descritte dall'art. 3 possano rappresentare per la loro particolare insidiosita', un pericolo in concreto sicuramente eguale (se non piu' elevato) per il bene giuridico presidiato dall'ordito normativo in materia tributaria. La scelta di criminalizzare le condotte maggiormente offensive in ambito tributario attingendo allo strumento della soglia di punibilita' - intimamente avvinta all'essenza della fattispecie incriminatrice e, in quanto tale da declinarsi alla stregua di elemento costitutivo del reato (5) - non puo' sfuggire (sebbene ricadente nello spazio di discrezionalita' riservato al legislatore) al canone della ragionevolezza, che impone di non differenziare, in assenza di giustificate istanze punitive, il trattamento sanzionatorio in relazione a comportamenti di eguale gravita'. La sola ricorrenza in seno alla struttura dell'art. 2 dell'elemento cartolare costituito dalla fattura o da documento analogo in base alle norme tributarie e, dunque, la mera efficacia probatoria riconnessa ad essi dalla legislazione extrapenale, non sembra rappresentare una valida giustificazione per differenziare in modo cosi' vistoso e palese il trattamento sanzionatorio riservato ai soggetti responsabili delle condotte descritte dalla fattispecie di cui all'art. 2 (del tutto sprovvista di aree di non punibilita') e quello (presidiato, invece, da soglie di punibilita') previsto per coloro che si rendano responsabili di condotte connotate da eguale valenza decettiva (atteso che - giova ribadirlo - non si puo' affatto escludere, anche alla luce delle regole di comune esperienza, che il compimento di operazioni simulate e l'avvalimento di mezzi fraudolenti siano idonei ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria con il medesimo - se non maggiore - grado di insidiosita' connesso all'utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti (6) ). Cosi' impostati i termini della questione, l'evidente disparita' di trattamento scaturente dal raffronto tra il disposto dell'art. 2 e quello di cui all'art. 3 del decreto legislativo 74/2000 - derivante dall'assenza nella struttura della prima fattispecie di soglie di punibilita' - potrebbe non uscire indenne dallo scrutinio di costituzionalita', e cio' non tanto in rapporto agli articoli 76 e 77 (posto che sulla scorta dell'uniforme giurisprudenza costituzionale in subiecta materia, non sembrano ricorrere i margini per ravvisare nell'operato del legislatore i sintomi dell'eccesso di delega in minus (7) ). quanto, sulla base di una diversificazione sanzionatoria da ritenersi inficiata da manifesta ragionevolezza in relazione all'art. 3 della Costituzione. Sulla scia del costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, invero, la configurazione delle fattispecie criminose costituisce appannaggio esclusivo del potere legislativo e, quindi, della discrezionalita' del legislatore, censurabile solo - come appare nel caso di specie, in cui si registra una sperequazione sanzionatoria tra fattispecie omogenee - nell'ipotesi di manifesta irragionevolezza (cfr. da ultimo, Corte costituzionale 20 luglio 2016. n. 193). E' appena - sufficiente precisare che la pronuncia manipolativa sollecitato da questo giudice remittente non si sostanzierebbe affatto nell'introduzione di nuove sanzioni penali o nella trasposizione di pene edittali da una fattispecie all'altra (il che, in effetti - come perentoriamente rimarcato da Corte costituzionale, 2 febbraio 2007, n. 22 si tradurrebbe nell'esercizio di un potere riservato al legislatore), bensi' si risolverebbe in un intervento di tipo additivo del tutto ammissibile, e cio' in quanto la sostanziale identita' tra la fattispecie di cui all'art. 2 e quella prevista dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 consentirebbe - adoperando le stesse espressioni rintracciabili nel tessuto motivazionale di Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n. 22, 7.3 - di rilevare l'eventuale violazione del canone di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita' legislativa (cfr. anche Corte costituzionale 26 luglio 2005. n. 325). Ne' potrebbe obiettarsi che la lacuna normativa derivante dall'omesso innesto delle soglie di punibilita' nella struttura dell'art. 2 sia giustificabile attingendo all'argomento a contrario compendiato nel brocardo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit tacuit. E' pur vero, datti, che il legislatore gode di un amplissimo spettro di discrezionalita' nella configurazione delle fattispecie di diritto penale e nella relativa architettura sanzionatoria, ma e' altrettanto inconfutabile che il potere da esso esercitato incontra il limite, alla luce di quanto appena esposto. del canone ermeneutico della ragionevolezza, che impedisce che le scelte legislative trasmodino nella manifesta disparita' di trattamento o nell'ingiustificato arbitrio (cfr. la gia' menzionata Corte costituzionale, 20 luglio 2016, n. 193). Nondimeno, un intervento manipolativo articolato negli stessi termini delineati dalla difesa dell'imputato (cioe' con riferimento ad una sola delle due soglie contemplate dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000 e piu' segnatamente, a quella relativa al valore assoluto dell'imposta evasa) rischierebbe, infrangendo il criterio cd. delle rime obbligate, di rivelarsi inammissibile. in quanto atto ad invadere lo spazio riservato alla discrezionalita' legislativa, ragion per cui l'invocato scrutinio di costituzionalita' non puo' che polarizzarsi su entrambe le soglie di punibilita' disciplinate dall'art. 3 del piu' volte citato decreto legislativo n. 74/2000. Sulla scia delle considerazioni svolte, pertanto, in assenza di precise istanze punitive che giustifichino una differenziazione nel trattamento sanzionatorio tra fattispecie sostanzialmente omogenee quali risultano essere l'art. 2 e l'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000. sembra piu' che concreto il rischio che l'attuale assetto normativo si' ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per manifesta irragionevolezza. rischio che questo giudice remittente ritiene disinnescabile soltanto qualora la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; h) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. (1) Cfr, in questi precisi termini, art. 8 della legge n. 23/2014 - Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente ed orientato alla crescita (2) Cfr., in questo senso. Relazione n. III/05/2015 del 28 ottobre 2015, Ufficio del Massimario, Settore Penale, 18 (3) A fronte del tenore letterale dell'art. 3, il cui incipit «fuori dai casi previsti dall'art. 2» indurebbe ictu acuti a scorgervi i lineamenti di una clausola di sussidiarieta'. A ben vedere, tuttavia, il criterio della specialita' reciproca o bilaterale (per quanto osteggiato in dottrina) si rivela il piu' idoneo a decifrare i rapporti di interazione tra la disposizione di cui all'art. 2 e quella, assunta come tertium comparationis, di cui all'art 3, se non altro per la dirimente considerazione, di tipo diacronico, che le norme in questione - come peraltro argomentato anche dalla difesa dell'imputato - si riconnettono al comune genus della frode fiscale in passato disciplinata dall'art. 4 della legge n. 516/1982 (4) Cfr. Relazione n. III/05/2015 del 23 ottobre 2015, cit., 17-18. (5) Sebbene alcuni interpreti, soprattutto allo scopo di rendere compatibile l'elemento soggettivo de dolo specifico richiesto dalla maggior parte delle disposizioni incriminatrici di natura tributaria con una struttura della fattispecie caratterizzata dalla presenza di soglie di punibilita' preferiscano qualificare queste ultime come condizioni obiettive di punibilita' in quanto tali da sottrarre alla rappresentazione del fatto (almeno nella sua dimensione quantitativa) da parte dell'agente. (6) Cfr. ancora, a tal riguardo, le riserve formulate dall'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione, Relazione n. III 05/2015 del 28 ottobre 2015. cit., 18 (7) Tenuto conto del fatto che sul limite, per cosi' dire. -negativo" dell'eccesso di delega in mini (che altro non e' che la parziale attuazione della delega da parte dell'esecutivo) la Corte costituzionale ha sempre confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'esercizio incompleto della delega non comporta di per se' violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, salvo che cio' non determini uno stravolgimento della legge di delegazione (cfr.. ex multis, Corte Cost, 6 ottobre 2014. n. 229
P.Q.M. Il Tribunale di Palermo, Seconda Sezione Penale, in composizione monocratica, cosi' provvede: visti l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 nonche' l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando congiuntamente: a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria alle parti in causa, al pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Palermo, 13 luglio 2017 Provvedimento redatto con la collaborazione del M.O.T. Simone Alecci. Il Giudice: Tesoriere