N. 198 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2017

Ordinanza del 3 novembre 2017 del Tribunale amministrativo  regionale
per il Veneto sul ricorso proposto da Siniscalchi Aniello  contro  il
Ministero della difesa. 
 
Ordinamento militare  -  Limitazioni  all'esercizio  del  diritto  di
  associazione e divieto di sciopero -  Divieto  per  i  militari  di
  costituire  associazioni  professionali  a  carattere  sindacale  o
  aderire ad altre associazioni sindacali. 
- Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66  (Codice  dell'ordinamento
  militare), art. 1475, comma 2. 
(GU n.3 del 17-1-2018 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1297 del 2016, proposto  da:  Aniello  Siniscalchi,
rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Galletti, con domicilio
ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria del  Tribunale  amministrativo
regionale; 
    contro  Ministero  della  difesa  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso per  legge  dall'Avvocatura  Distr.le
Venezia, domiciliata in Venezia, San Marco, 63; 
    per l'annullamento del provvedimento del Ministero della  difesa,
Direzione generale per il  personale  militare  datato  23  settembre
2016, protocollato il 30 settembre 2016  (prot.  M_D  GMIL  REG  2016
0581577), con il quale e' stata  irrogata  la  sanzione  disciplinare
della perdita del grado per  rimozione  per  motivi  disciplinari  ai
sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 857, comma  sesto
del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ed  e'  stato  disposto
che,  per  l'effetto,  il  predetto  militare  cessa   dal   servizio
permanente e viene iscritto  d'ufficio  nel  ruolo  dei  militari  di
troppa dell'Esercito italiano, senza alcun  grado,  nonche'  di  ogni
altro atto o provvedimento, antecedente o consequenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Ministero  della
difesa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  18  ottobre  2017  il
dott.  Nicola  Fenicia  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    1. Vista la sentenza non definitiva n. 980 del 3  novembre  2017,
resa nel medesimo  ricorso  di  cui  in  epigrafe,  con  la  presente
ordinanza  il  Collegio  ritiene  di  dover  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  1475,  comma  2,  del  decreto
legislativo 66/2010, secondo cui «I militari non  possono  costituire
associazioni professionali a carattere sindacale o aderire  ad  altre
associazioni sindacali», essendo la questione rilevante ai fini della
decisione del ricorso e non manifestamente infondata. 
    2. Quanto al profilo della rilevanza ci si richiama alla predetta
sentenza non definitiva, ove si e' chiarito come il presente giudizio
non possa essere definito indipendentemente dalla  risoluzione  della
questione di legittimita' costituzionale, essendo stata, nel caso  di
specie,  irrogata  una  sanzione  disciplinare  di  stato,   che   e'
risultata, all'esito dello scrutinio delle  censure  prospettate  dal
ricorrente,  formalmente  legittima  sotto  l'aspetto  procedimentale
nonche' sotto quello sostanziale, integrando la  condotta  contestata
al ricorrente l'ipotesi dell'adesione da parte di un militare ad  una
associazione sindacale, contemplata dall'art.  1475,  secondo  comma,
citato. Senonche' tale norma di cui si dovrebbe fare applicazione nel
presente  giudizio  appare  affetta   da   consistenti   profili   di
incostituzionalita'.  E'   dunque   evidente   che   il   dubbio   di
costituzionalita' riguarda una norma che influisce direttamente sulla
definizione del presente giudizio, in quanto ove tale  norma  dovesse
essere dichiarata costituzionalmente illegittima, la  condotta  posta
in essere dall'odierno ricorrente non potrebbe essere sanzionata. 
    3. Quanto alla non manifesta  infondatezza,  si  osserva  che  la
medesima questione e' stata gia' rimessa alla  Corte  costituzionale,
dal Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza del 4 maggio 2017,  n.
2043, con la  quale,  appunto,  si  e'  ritenuta  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1475,
comma 2, del  decreto  legislativo  15  marzo  2010,  n.  66  (Codice
dell'ordinamento militare): «a) per contrasto con l'art.  117,  comma
1, Cost., in relazione  agli  articoli  11  e  14  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo,  come  da  ultimo  interpretati  dalle
sentenze in data 2 ottobre  2014  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, quinta sezione, nei casi «Matelly c. Francia» (ricorso  n.
10609/10) e «Adefdromil c. Francia» (ricorso  n.  32191/09);  b)  per
contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in  relazione  all'art.  5,
terzo periodo, della  Carta  sociale  europea  riveduta,  firmata  in
Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge
9 febbraio 1999, n. 30». 
    3.1. Nel caso sottoposto al Consiglio di Stato il giudizio  aveva
ad oggetto il diniego del Comando generale della Guardia  di  finanza
di   autorizzare   un   sottoufficiale   del   Corpo   a   costituire
un'associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del
Ministero della  difesa  e/o  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre  associazioni  sindacali
gia' esistenti. 
    3.2. Il Consiglio di Stato nell'ordinanza in parola, in  sintesi,
ha ritenuto che: 
        - e' legittimo per  gli  Stati  prevedere,  per  i  militari,
restrizioni dell'esercizio dei  diritti  sindacali,  purtuttavia,  in
base alla sopra citata giurisprudenza Cedu, si deve prendere atto che
l'istituzione, da parte della legislazione italiana (analoga in parte
qua  a  quella  francese),  di  organismi  e  procedure  speciali  di
rappresentanza  militare  non  sarebbe  idonea   a   sostituirsi   al
riconoscimento  ai  militari  della  liberta'  di  associazione   che
comprende il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi; 
        - l'art. 1475, comma 2, C.O.M.,  si  pone  in  contrasto  con
l'interpretazione  che  la  Corte  di  Strasburgo  ha  fornito  degli
articoli 11 e 14 della Cedu perche' la restrizione dell'esercizio del
diritto di associazione sindacale dei  militari  non  puo'  spingersi
sino alla negazione della titolarita' stessa di tale diritto. 
    Quindi, il  Consiglio  di  Stato,  alla  stregua  di  consolidati
principi  espressi  dalla   Corte   costituzionale   (richiamati   in
motivazione), ha evidenziato che: 
        - l'interpretazione della Convenzione e'  rimessa,  ai  sensi
dell'art. 32 della medesima, alla sola Corte di Strasburgo;  per  gli
Stati firmatari, pertanto, il diritto convenzionale  vivente  non  e'
quello  rappresentato  dal  testo  della  Convenzione  (ossia   dalle
relative disposizioni), bensi' quello risultante  dall'esegesi  della
Corte Edu; 
        -  e'   precluso   di   sindacare   l'interpretazione   della
Convenzione europea fornita  dalla  Corte  di  Strasburgo,  cui  tale
funzione e' stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve; 
        - le norme della Cedu,  quali  interpretate  dalla  Corte  di
Strasburgo, non acquistano la forza delle norme costituzionali e sono
percio' soggette al controllo di legittimita' costituzionale  proprio
perche' si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale,
ma rimangono pur sempre  ad  un  livello  sub-costituzionale,  ed  e'
necessario che esse siano conformi alla Costituzione; 
        -  la  particolare  natura  delle   stesse   norme,   escluse
dall'ambito di  operativita'  dell'art.  10,  primo  comma,  Cost.  e
diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa si'
che lo  scrutinio  di  costituzionalita'  non  possa  limitarsi  alla
possibile lesione dei principi e dei diritti  fondamentali  ma  debba
estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le «norme  interposte»  e
quelle costituzionali; 
        - si deve escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo
siano  incondizionatamente  vincolanti  ai  fini  del  controllo   di
costituzionalita' delle leggi nazionali; tale controllo  deve  sempre
ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli
obblighi internazionali, quale imposto dall'art.  117,  primo  comma,
Cost.,  e  la  tutela  degli  interessi  costituzionalmente  protetti
contenuta in altri articoli della Costituzione; 
        - a differenza della Corte Edu, la Corte costituzionale opera
una valutazione sistemica e non isolata dei  valori  coinvolti  dalle
norme di volta in volta scrutinate ed e', quindi,  tenuta  bilanciare
valori spesso contrapposti; pertanto solo  ad  essa  spetta  valutare
come ed in quale misura l'applicazione  della  Convenzione  da  parte
della Corte  europea  si  inserisca  nell'ordinamento  costituzionale
italiano, fermo il limite per cui, ai sensi dell'art. 53 della stessa
Convenzione, l'interpretazione delle disposizioni della medesima  non
puo' implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati  dalle
fonti nazionali. 
    3.3. Il Consiglio  di  Stato  ha  rimesso  alla  Corte  anche  la
distinta ma connessa questione  della  contrarieta'  dell'art.  1475,
comma 2, con l'art. 5, terzo periodo,  della  Carta  sociale  europea
riveduta (predisposta nell'ambito del Consiglio d'Europa, firmata  in
Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge
9  febbraio  1999,  n.  30),  nella  parte  in  cui,  affidando  alla
legislazione nazionale di determinare il «principio dell'applicazione
delle garanzie» sindacali ai militari nonche'  la  «misura»  di  tale
applicazione,  intende  evocare  un  nucleo  essenziale  di  liberta'
sindacali che non puo' non essere riconosciuto anche a favore di tali
categorie di lavoratori. 
    3.4. Conseguentemente, il Consiglio  di  Stato  ha  rimesso  alla
Corte ogni valutazione  sulla  legittimita'  delle  sopra  richiamate
norme interposte in quanto non siano  a  loro  volta  contrarie  alla
Costituzione  e,  come  tali,  inidonee  a  integrare  il   parametro
dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.;  tanto  avuto  riguardo   alla
circostanza che l'art. 1475, comma 2, cit., e'  dettato  al  fine  di
assicurare la coesione interna, la neutralita' e la  prontezza  delle
Forze armate, presupposti strumentali  necessari  ed  imprescindibili
per assicurare l'efficacia della relativa azione, posta a  tutela  di
un valore dell'ordinamento di carattere  supremo  e  per  cosi'  dire
primario, quale e' la difesa militare dello Stato. 
    4. Cio' premesso, il Collegio, ritiene di sollevare nei  medesimi
termini di cui alla predetta ordinanza del  Consiglio  di  Stato,  la
stessa questione di legittimita'  costituzionale,  che  nel  caso  di
specie viene in rilievo con riferimento, non gia'  alla  legittimita'
del divieto del Comando  generale  dell'Arma  di  costituzione  della
associazione UNAC in parola e di adesione alla stessa,  su  cui  -  a
differenza del caso esaminato dal Consiglio di Stato - e'  caduto  il
giudicato della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio
n. 586/2016, bensi', piu' a valle,  con  riferimento  alla  distinta,
anche se connessa, contestazione della  legittimita'  della  sanzione
disciplinare, applicata nel caso di specie al militare ricorrente per
aver preso  parte  alla  predetta  associazione  sindacale.  Poiche',
dunque, tale ultimo oggetto - afferente alla fase  applicativa  della
sanzione - sfugge al giudicato  portato  dalla  citata  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale Lazio, la preliminare questione di
legittimita' costituzionale della norma che, individuando la condotta
vietata,  costituisce  il  presupposto   per   l'applicazione   della
sanzione, puo' legittimamente essere sollevata nel presente giudizio. 
    5. L'antinomia tra l'art. 1475, comma 2, del decreto  legislativo
66/2010, che vieta in radice ai militari di «costituire  associazioni
professionali a carattere sindacale», nonche' di  «aderire  ad  altre
associazioni sindacali» e gli articoli  11  e  14  della  Cedu,  come
interpretati dalla Corte di Strasburgo, appare infatti anche a questo
Collegio netta, evidente e non superabile in via interpretativa. 
    5.1. Da un lato, infatti, l'art. 11 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo (resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto  1955,
n. 848), come noto, stabilisce che «1. Ogni persona ha  diritto  alla
liberta' di riunione pacifica e  alla  liberta'  d'associazione,  ivi
compreso il diritto di partecipare alla costituzione di  sindacati  e
di aderire a essi per la difesa dei propri interessi. 2.  L'esercizio
di questi diritti non puo' essere oggetto di restrizioni  diverse  da
quelle che sono stabilite dalla  legge  e  che  costituiscono  misure
necessarie, in una societa' democratica,  alla  sicurezza  nazionale,
alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e  alla  prevenzione
dei reati, alla  protezione  della  salute  o  della  morale  e  alla
protezione dei diritti e delle liberta' altrui. Il presente  articolo
non osta a che restrizioni legittime siano imposte  all'esercizio  di
tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia  o
dell'amministrazione dello Stato». 
    E il successivo art.  14  della  Convenzione  statuisce  che  «Il
godimento dei diritti e delle liberta'  riconosciuti  nella  presente
Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione,  in
particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua,
la religione,  le  opinioni  politiche  o  quelle  di  altro  genere,
l'origine  nazionale  o  sociale,  l'appartenenza  a  una   minoranza
nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». 
    5.2. Inoltre, con le pronunce emesse in data 2 ottobre 2014,  nei
casi «Matelly c. Francia» (ricorso  n.  10609/10)  e  «Adefdromil  c.
Francia»  (ricorso  n.  32191/09),  la  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo ha affermato che «le restrizioni che possono essere imposte
ai tre gruppi di soggetti menzionati nell'art. 11 CEDU [membri  delle
Forze armate,  della  Polizia  e  dell'Amministrazione  dello  Stato]
richiedono un'interpretazione restrittiva e devono, conseguentemente,
limitarsi all'esercizio dei diritti in questione. Esse  non  possono,
tuttavia, mettere in discussione l'essenza stessa  del  diritto  alla
liberta' sindacale. Pertanto la Corte non accetta le restrizioni  che
incidono sugli elementi essenziali della liberta' sindacale  senza  i
quali il  contenuto  di  tale  liberta'  sarebbe  vuotato  della  sua
sostanza. Il diritto di formare un sindacato  e  di  aderirvi  e'  un
elemento essenziale della liberta' sindacale» («Matelly  c.  Francia»
§§ 57-58, «Adefdromil c. Francia» §§ 43-44). Se, dunque, e' legittimo
per gli Stati prevedere, per i militari,  restrizioni  dell'esercizio
dei diritti sindacali, purtuttavia secondo la Corte «tali restrizioni
non devono privare  i  militari  ed  i  loro  sindacati  del  diritto
generale alla  liberta'  di  associazione  per  la  difesa  dei  loro
interessi professionali e morali», anche in considerazione del  fatto
che  l'istituzione,  da  parte  della   legislazione   francese,   di
«organismi e procedure  speciali»  di  rappresentanza  militare  «non
sarebbe idonea a sostituirsi  al  riconoscimento  ai  militari  della
liberta' di associazione, che comprende il  diritto  di  fondare  dei
sindacati e di aderirvi» («Matelly c. Francia» §§ 69-70,  «Adefdromil
c. Francia» § 54). 
    5.3. Dall'altro lato  vi  e',  nel  nostro  ordinamento  interno,
l'art. 1475, comma 2, decreto  legislativo  66/2010,  che  lungi  dal
restringere  l'esercizio  dei  diritti  sindacali  dei  militari,  li
sopprime del tutto; di qui il contrasto di tale norma con l'art. 117,
comma 1, Cost., in relazione agli articoli 11 e 14 della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo,  come  da  ultimo  interpretati  dalle
sentenze citate della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    5.4. Per di piu', condividendosi quanto affermato sul  punto  dal
Consiglio di Stato con l'ordinanza del 4 maggio  2017,  n.  2043,  la
disposizione di cui  all'art.  1475,  comma  2,  decreto  legislativo
66/2010 appare in contrasto anche con il testo  della  Carta  sociale
europea riveduta, il cui art. 5 assegna  agli  Stati  firmatari,  fra
l'altro, il dovere di determinare la misura in  cui  la  liberta'  di
associazione sindacale, sancita in via generale dalla  Carta  stessa,
trovi  applicazione  nei  confronti  degli  appartenenti  alle  Forze
armate. 
    La disposizione dell'art. 5, terzo periodo, della Carta,  laddove
rimette alla legislazione  nazionale  di  determinare  il  «principio
dell'applicazione delle garanzie» sindacali ai  militari  nonche'  la
«misura» di tale applicazione,  intende  infatti  evocare  un  nucleo
essenziale - certo ristretto, limitato e circoscritto -  di  liberta'
sindacali che non puo' non essere riconosciuto anche a favore di tali
categorie di lavoratori: ne consegue che  una  norma  nazionale  che,
come l'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 66/2010, privi  in
radice  i  militari   del   diritto   di   «costituire   associazioni
professionali a carattere sindacale o aderire ad  altre  associazioni
sindacali» si pone in contrasto  con  tale  disposizione  di  diritto
internazionale convenzionale. 
    6. In conclusione, alla luce delle considerazioni  che  precedono
appare rilevante e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  1475,  comma  2,  del  decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento  militare),
per i profili gia' enucleati dal Consiglio di Stato  con  l'ordinanza
n. 2043/2017, ovvero: 
        a) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione
agli  articoli  11  e  14  della  Convenzione  europea  dei   diritti
dell'uomo, come da ultimo interpretati dalle sentenze emesse in  data
2 ottobre 2014 dalla Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  quinta
sezione, nei casi  «Matelly  c.  Francia»  (ricorso  n.  10609/10)  e
«Adefdromil c. Francia» (ricorso n. 32191/09); 
        b) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione
all'art. 5, terzo periodo,  della  Carta  sociale  europea  riveduta,
firmata in Strasburgo in data 3  maggio  1996  e  resa  esecutiva  in
Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30. 
    7. Ai sensi dell'art. 23, secondo e terzo comma, della  legge  11
marzo 1953,  n.  87,  il  presente  giudizio  e'  sospeso  fino  alla
definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    8. Ai sensi dell'art. 23, quarto  comma,  della  legge  11  marzo
1953,  n.  87,  la  presente  ordinanza  e'  notificata  alle   parti
costituite e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Veneto  (Sezione
Prima),  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del
decreto legislativo 15 marzo 2010,  n.  66  (Codice  dell'ordinamento
militare), per i seguenti profili: 
        a) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione
agli  articoli  11  e  14  della  Convenzione  europea  dei   diritti
dell'uomo, come da ultimo  interpretati  dalle  sentenze  in  data  2
ottobre 2014  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  quinta
sezione, nei casi  «Matelly  c.  Francia»  (ricorso  n.  10609/10)  e
«Adefdromil c. Francia» (ricorso n. 32191/09); 
        b) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione
all'art. 5, terzo periodo,  della  Carta  sociale  europea  riveduta,
firmata in Strasburgo in data 3  maggio  1996  e  resa  esecutiva  in
Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30. 
    Dispone la  sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina  alla
segreteria   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti costituite e al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati
e del Senato della Repubblica. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1
decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, a  tutela  dei  diritti  o
della dignita' della parte  interessata,  manda  alla  segreteria  di
procedere all'oscuramento  delle  generalita'  nonche'  di  qualsiasi
altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. 
        Cosi' deciso in Venezia nella Camera di consiglio del  giorno
18 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati: 
          Maurizio Nicolosi, Presidente; 
          Pietro De Berardinis, consigliere; 
          Nicola Fenicia, primo referendario, estensore. 
 
                       Il Presidente: Nicolosi 
 
 
                                                 L'estensore: Fenicia