N. 170 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 2018

Ordinanza del 26 marzo 2018 della Commissione tributaria  provinciale
di Siracusa sul ricorso  proposto  da  L.  C.  contro  Agenzia  delle
entrate - Direzione provinciale di Siracusa. 
 
Imposte e tasse - Procedimento di accertamento tributario  -  Mancata
  previsione di una  fase  di  contraddittorio  con  il  contribuente
  anteriormente   all'emissione   dell'avviso   di   accertamento   -
  Previsione del  diritto  del  contribuente  a  ricevere  copia  del
  verbale di  conclusione  dell'accertamento  e  di  un  termine  per
  eventuali controdeduzioni limitata ai casi in cui l'Amministrazione
  abbia effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali
  destinati   all'esercizio    dell'attivita'    imprenditoriale    o
  professionale del contribuente. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  600
  (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle  imposte  sui
  redditi), artt.  32,  39  e  42;  legge  27  luglio  2000,  n.  212
  (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del  contribuente),
  art. 12, comma 7. 
(GU n.48 del 5-12-2018 )
 
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
                             DI SIRACUSA 
                              Sezione 5 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
        Ciccarello Luciano, Presidente; 
        Boscarino Maria Stella, relatore; 
        Falco Scampitilla Santo, giudice; 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2292/2010,
depositato  l'8  giugno  2010,  avverso  avviso  di  accertamento  n.
RJV010100283/2009 IVA+IRPEF+IRAP 2004. 
    Contro Ag. Entrate Direzione Provinciale Siracusa,  proposto  dal
ricorrente L. C., difeso  da  Antonuccio  Antonio,  via  Senatore  G.
Maielli, 12 - 96100 Siracusa (SR). 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    1. Con il  ricorso  introduttivo,  notificato  all'Agenzia  delle
Entrate - ufficio locale di Augusta (Siracusa)  il  12  maggio  2010,
iscritto al numero 2292/10, il signor L. C., rappresentato  e  difeso
dal  dott.  Antonio  Antonuccio,  ricorreva   avverso   l'avviso   di
accertamento n.  RJV010100283/2009,  con  il  quale,  per  l'anno  di
imposta 2004, erano stati accertati ricavi non  dichiarati  per  euro
42.887,00 e, conseguentemente, a seguito della rettifica del  reddito
dichiarato, era stato intimato il pagamento della  complessiva  somma
di euro 52.851,00, a titolo di maggiore Irpef, addizionale  regionale
Irpef, contributi previdenziali, lrap ed IVA, oltre sanzioni. 
    L'Agenzia delle Entrate aveva eseguito un'indagine finanziaria  a
carico  del  ricorrente  invitandolo,  con  atto  notificato  il   22
settembre  2009,  a  giustificare  le  operazioni  bancarie  relative
all'anno 2004. 
    Il ricorrente aveva prodotto documenti giustificativi. 
    Senza  previa  instaurazione   del   contraddittorio   circa   le
conclusioni alle quali era pervenuto  l'Ufficio,  quest'ultimo  aveva
notificato l'avviso di accertamento impugnato. 
    Ricevuto  tale  atto,  il  ricorrente   presentava   istanza   di
accertamento con adesione,  ma  rimasto  tale  tentativo  infruttuoso
veniva proposto il ricorso introduttivo. 
    Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  lamentava:  la  giuridica
inesistenza  della  notifica  dell'atto  impugnato;  con  il  secondo
motivo, dopo aver riepilogato le disposizioni che  regolamentano  gli
accertamenti  bancari,  il  ricorrente   lamentava   l'illegittimita'
dell'accertamento «perche', nei fatti,  l'Agenzia  delle  Entrate  ha
trasferito nella sede giudiziaria la fase  istruttoria»  dal  momento
che «il  contraddittorio  e'  come  se  non  fosse  avvenuto»;  sotto
ulteriore profilo, si lamentava l'insussistenza dei  presupposti  per
un legittimo accertamento bancario; con il terzo motivo di ricorso il
ricorrente  faceva  valere  le  ragioni  di  merito   relative   alla
correttezza dei versamenti bancari recuperati a tassazione non tenute
presente dell'amministrazione in sede istruttoria; con il  quarto  ed
ultimo  motivo  di   ricorso,   infine,   il   ricorrente   lamentava
l'illegittimita' delle sanzioni. 
    Concludeva chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato. 
    2. In data 9 luglio 2010  si  costituiva  in  giudizio  l'Agenzia
delle Entrate di Siracusa che difendeva la legittimita'  del  proprio
operato; osservava, al riguardo, quanto al primo motivo  di  ricorso,
che la notifica era stata regolarmente eseguita producendo  dell'atto
impugnato,  inclusa  la  relata  di  notificazione,  da  considerarsi
assistita da efficacia  probatoria  privilegiata,  salvo  querela  di
falso. 
    Con riferimento al secondo motivo di ricorso l'Ufficio premetteva
di aver aveva notificato il 22 settembre  2009  l'invito  a  produrre
chiarimenti circa le indagini bancarie in corso; a tale comunicazione
aveva fatto seguito la produzione  da  parte  dell'interessato  della
documentazione relativa a parte delle operazioni bancarie,  esaminata
la quale l'Amministrazione, conclusa l'istruttoria,  aveva  emesso  e
notificato  l'avviso  di  accertamento   impugnato,   recuperando   a
tassazione i maggiori ricavi determinati in funzione delle operazioni
attive le  cui  causali  non  erano  state  riconosciute  validamente
giustificate. 
    Quanto al secondo profilo fatto valere con  tale  censura  se  ne
eccepiva l'incomprensibilita'. 
    L'Agenzia, ancora, eccepiva, quanto al terzo motivo  di  ricorso,
che la documentazione prodotta in giudizio risultava  tardiva  e  non
poteva assumere valenza  probatoria,  addebitando  al  ricorrente  la
mancata instaurazione di un puntuale contraddittorio pre processuale. 
    Quanto all'ultimo motivo  di  ricorso  deduceva  che  la  pretesa
illegittimita' delle  sanzioni  irrogate  discendeva  dalla  presunta
illegittimita'   dell'avviso   di   accertamento,   per   cui   dalla
infondatezza dei precedenti motivi  di  ricorso  conseguiva  altresi'
l'infondatezza dell'ultima censura. 
    Il  26  marzo  2018  le  parti   insistevano   nelle   rispettive
conclusioni ed esaurita la discussione orale (nel corso  della  quale
l'amministrazione  ribadiva  di  aver  correttamente  instaurato   il
contraddittorio la cui eventuale carenza doveva  intendersi  comunque
sanata in esito alla instaurazione  della  fase  della  procedura  di
accertamento con adesione) il ricorso veniva trattenuto in decisione. 
Ammissibilita' della questione. 
    3. Come noto, le questioni di legittimita'  costituzionale  della
normativa italiana nella parte in cui non prevede l'instaurazione del
contraddittorio  (per  i  tributi  non   armonizzati)   anteriormente
all'emissione di un avviso di accertamento, al di fuori delle ipotesi
in cui l'amministrazione  abbia  effettuato  un  accesso  nei  locali
destinati  all'esercizio  dell'attivita'  di  impresa,  sollevate  da
questa Sez. V della commissione tributaria  provinciale  di  Siracusa
con ordinanza numero 565/16 del 17  giugno  2016  nonche'  dalle  CTR
della Toscana e della Campania, sono state  dichiarate  inammissibili
con tre ordinanze della Corte costituzionale (nn. 187, 188 e 189  del
13 luglio 2017) per ragioni processuali. 
    Onde  prevenire  eventuali  dubbi  circa  l'ammissibilita'  della
questione in relazione  ai  vari  motivi  di  ricorso,  e'  opportuno
precisare che nessuna delle  censure  avanzate  da  parte  ricorrente
potrebbe autonomamente condurre all'accoglimento del ricorso. 
    Infatti, quanto al primo motivo  di  ricorso,  lo  stesso  appare
infondato in  punto  di  fatto  dall'esame  del  deposito  effettuato
dall'amministrazione resistente del  provvedimento  impugnato  munito
della relata di notificazione  sottoscritta  dall'incaricato  nonche'
dal medesimo ricorrente; dalla documentazione  prodotta,  avverso  la
quale nessuna eccezione e' stata sollevata dall'interessato,  risulta
che la notifica e' stata ritualmente eseguita. 
    Passando al secondo motivo di ricorso, il primo profilo e' quello
relativo alla mancata  corretta  instaurazione  del  contraddittorio,
sulla quale si argomentera' nei successivi capi. 
    Quanto al secondo profilo di censura, con  il  quale  si  afferma
apoditticamente che mancherebbero  i  presupposti  per  un  legittimo
accertamento bancario, tale  censura  appare  inammissibile,  secondo
quanto argomentato dall'amministrazione resistente, per genericita'. 
    Con il terzo motivo di ricorso  viene  sottoposta  al  vaglio  di
questo giudice la documentazione che la parte non ha potuto  produrre
all'amministrazione  anteriormente   all'emissione   dell'avviso   di
accertamento impugnato. 
    L'amministrazione eccepisce che tale produzione sarebbe  tardiva,
essendo   gia'   stato   il   procedimento   concluso,   e   pertanto
inammissibile. 
    La valutazione di tale documentazione (mediante la quale la parte
mira a soddisfare la cosiddetta prova della  resistenza,  dimostrando
la sussistenza di argomentazioni che avrebbero potuto condurre ad  un
esito diverso del procedimento di verifica qualora  l'amministrazione
avesse  correttamente  instaurato  il  contraddittorio  anteriormente
all'emissione del  provvedimento  finale)  e'  strettamente  connessa
all'accoglimento del secondo motivo di ricorso  per  il  quale  viene
proposta  la  questione  di  legittimita'  costituzionale:   infatti,
dall'esame    della    documentazione    prodotta     in     giudizio
dall'amministrazione si evince che l'Ufficio  ha  trasmesso  un  solo
invito al contraddittorio, il 22 settembre 2009, con  il  quale  alla
parte  veniva  richiesto  di'  presentarsi  in  ufficio  per  fornire
delucidazioni relativamente ad indagini bancarie anno 2004. 
    Evidentemente, data la vaghezza  di  tale  invito,  la  parte  ha
portato con se' e consegnato all'Ufficio tutta la documentazione  che
ha (autonomamente) ritenuto utile. 
    Ma l'Amministrazione, esaminata la documentazione prodotta  dalla
parte, ha ritenuto non giustificate le operazioni bancarie attive che
il  ricorrente  non   aveva,   evidentemente,   supposto   necessario
giustificare, e senza  instaurare  alcun  contraddittorio  ha  emesso
l'atto finale (avviso di accertamento). 
    Il ricorrente, pertanto, e' costretto al deposito in giudizio dei
documenti  che  avrebbero  dovuto  essere  introdotti  in  una   fase
antecedente. 
    Pertanto  risulta   necessario   risolvere   preliminarmente   la
questione di  legittimita'  costituzionale  che  viene  proposta  che
assorbirebbe  l'eccezione  di  tardivita'  ed  inamissibilita'  della
produzione   documentale   in   questione   sollevata    dall'Ufficio
resistente. 
    Non solo. 
    Ma anche a voler  esaminare  autonomamente  il  terzo  motivo  di
ricorso, occorre osservare che l'amministrazione resistente eccepisce
che la documentazione prodotta in giudizio potrebbe giustificare solo
una parte dei movimenti bancari oggetto  di  contestazione,  per  cui
l'eventuale  positiva  delibazione  di  tale   profilo   di   ricorso
condurrebbe ad un accoglimento parziale del ricorso. 
    Viceversa, con il secondo motivo,  di  carattere  procedimentale,
relativo all'omessa instaurazione del contraddittorio, il  ricorrente
potrebbe  conseguire  il  travolgimento  integrale   dell'avviso   di
accertamento, e pertanto l'esame di tale censura  condurrebbe  ad  un
risultato pienamente statisfattivo per la parte. 
    Quanto, infine, all'ultimo motivo di ricorso,  al  di  la'  della
circostanza che lo stesso e' limitato alle  sole  sanzioni,  comunque
anche in questo caso, come eccepito  dall'amministrazione,  segue  la
sorte dei precedenti motivi di ricorso. 
    Conclusivamente, non risulta prospettabile (ad un primo esame) la
risoluzione della controversia senza la preliminare risoluzione della
questione di legittimita' costituzionale. 
L'oggetto della controversia e la normativa di riferimento. 
    4. Diventa, quindi, di cruciale  importanza  (e  determinante  ai
fini della risoluzione della controversia) chiarire la legittimita' o
meno delle disposizioni in materia, nella parte in cui non  prevedono
alcun contraddittorio nell'ipotesi di accertamenti fiscali usualmente
definiti «a tavolino», vale a dire eseguiti presso gli  uffici  della
stessa amministrazione finanziaria, come nel caso in questione. 
    Si tralasceranno le disposizioni in materia IVA (artt.  54  e  55
del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972  n.  633)
applicate nel caso in  esame,  dovendosi  condividere  l'orientamento
della Cassazione SS.UU., decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823  (v.
infra), con il conseguente obbligo di disapplicazione delle norme che
non prevedono  il  preventivo  contraddittorio,  per  violazione  del
diritto eurounitario. 
    Ai fini delle imposte sui redditi gli artt. 38, 39,  40,  40-bis,
41 e 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29  settembre
1973 n. 600 disciplinano i diversi tipi di avvisi di  accertamento  o
atti  di  rettifica  e   non   prevedono   obblighi   di   preventivo
contraddittorio con il destinatario  dell'accertamento  anteriormente
all'emissione dell'accertamento  (disciplinato  dal  successivo  art.
42). 
    Legge n. 212 del 2000, art. 12, comma  7,  prevede  garanzie,  di
carattere procedimentale (formazione di un verbale di chiusura  delle
operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente;  facolta'
del  contribuente  di   comunicare   osservazioni   e   richieste   e
corrispondente  dovere  dell'Ufficio  di   valutarle;   divieto   per
l'Ufficio di emettere l'avviso di accertamento prima  della  scadenza
del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio  di  copia  del
verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata  urgenza)  che
si applicano soltanto agli accertamenti emessi in esito  ad  accessi,
ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove  si  esercita
l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente. 
    Ad  eccezione,  quindi,  di  tali  ipotesi,  la   struttura   del
procedimento in questione, come d'altra parte  pacificamente  ammesso
dalla  medesima  Agenzia  resistente,   comporta   che,   allorquando
l'amministrazione finanziaria, d'ufficio,  procede  ad  una  verifica
fiscale nei riguardi  di  un  contribuente,  non  ha  alcun  obbligo,
sanzionato a  pena  di  nullita',  di  innestare  un  contraddittorio
preventivo  anteriormente  alla  conclusione  del   procedimento   di
accertamento. 
    L'Ufficio, infatti, puo' formarsi un principio  di  convincimento
del  tutto  autonomo  circa  la  possibilita'  di  procedere  ad  una
rettifica, sulla base di una istruttoria  gia'  compiuta,  oppure  in
attuazione di disposizioni che prevedono meccanismi di tassazione  di
tipo presuntivo. 
    Puo' accadere, invece, che decida di coinvolgere il contribuente,
anche al fine di raccogliere dati ed elementi necessari o  utili  per
la verifica della posizione fiscale, e in tal caso puo'  invitare  il
contribuente  (come  avvenuto  nel  caso  in  questione)  a  produrre
documentazione fiscale. 
    Il contribuente, come detto sopra,  a  fronte  della  genericita'
dell'invito a comparire per riferire  sulla  verifica  bancaria  anno
2004, ha consegnato la documentazione che ha ritenuto utile  al  fine
di illustrare la propria posizione; dopodiche',  la  successiva  fase
procedimentale  si  e'  svolta  senza  alcun  contraddittorio  ed  il
risultato e' stato che l'amministrazione ha ritenuto non giustificati
proprio  i  movimenti  che  la  parte  non  aveva  ritenuto  utile  o
necessario documentare. 
    In pratica, l'amministrazione finanziaria, esaminati gli atti e i
documenti  consegnati  dal  contribuente,  ha  adottato  le   proprie
decisioni, provvedendo direttamente ad emettere un  atto  impositivo,
senza previamente informare il contribuente  delle  conclusioni  alle
quali fosse pervenuta dopo aver esaminato la documentazione  relativa
alla sua posizione fiscale. 
    In sostanza, nessuna  norma  nell'ordinamento  tributario  impone
che, prima di emettere l'avviso di accertamento (atto impositivo), il
contribuente debba essere informato. 
    Come si vede, risulta a questo punto irrilevante  distinguere  le
varie  ipotesi,  cioe'  se,  nella  fase  iniziale  dell'accertamento
d'ufficio,  il  contribuente  sia  stato  convocato  per   consegnare
documenti, o meno, oppure se sia  stato  convocato  e  sia  comparso,
depositando la documentazione fiscale chiesta; infatti, in ogni caso,
quand'anche  tale  convocazione  ci  sia   stata,   l'amministrazione
procedente istruisce la pratica in assenza del  contribuente,  valuta
la documentazione eventualmente fornita dall'interessato,  dopodiche'
assume le proprie  decisioni  e  -  senza  previamente  avvisarne  il
contribuente - le formalizza nell'avviso di  accertamento  contenente
la contestazione  delle  violazioni,  l'irrogazione  delle  sanzioni,
l'intimazione al pagamento. 
    Avverso tale atto, il contribuente (al netto della eventuale fase
della procedura accertamento con adesione, che nel caso in questione,
come esposto in premesse, non e'  andata  a  buon  fine,  e  comunque
consiste in una fase successiva al perfezionamento del  provvedimento
finale) puo' soltanto  presentare  ricorso  giurisdizionale  (se  del
caso,  a  seconda  del  valore  della   controversia,   nella   forma
dell'istanza di reclamo-mediazione che vale come ricorso  decorso  il
termine  di  novanta  giorni  senza   accoglimento   dell'istanza   o
conclusione  della  mediazione),  fermo  restando  che  l'avviso   di
accertamento, decorsi  sessanta  giorni  dalla  notifica,  e'  titolo
esecutivo per la riscossione delle somme indicate. 
    Si  deve  ulteriormente  precisare  che  nel  caso  in  questione
l'avviso di accertamento (come risulta anche dal contesto  dell'atto)
e' stato emesso ai sensi del decreto del Presidente della  Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, artt. 39 (rubricato  «Redditi  determinati
in base alle scritture contabili»), comma 1,  lettera  d)  (il  quale
prevede che, per i redditi d'impresa delle persone fisiche, l'ufficio
procede  alla  rettifica   «se   l'incompletezza,   la   falsita'   o
l'inesattezza degli  elementi  indicati  nella  dichiarazione  e  nei
relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili  e
dalle altre verifiche di cui all'art. 33 ovvero dal  controllo  della
completezza, esattezza e veridicita'  delle  registrazioni  contabili
sulla scorta delle fatture e degli altri atti  e  documenti  relativi
all'impresa nonche' dei dati e delle  notizie  raccolti  dall'ufficio
nei  modi  previsti  dall'art.  32.  L'esistenza  di  attivita'   non
dichiarate o la inesistenza di passivita'  dichiarate  e'  desumibile
anche sulla base di presunzioni semplici, purche' queste siano gravi,
precise e concordanti»). 
    L'istruttoria - come si evince dalla copia dell'invito,  prodotto
in giudizio dall'Agenzia,  ma  anche  dalle  premesse  all'avviso  di
accertamento - e' avvenuta ai sensi dell'art. 32  (che  prevede,  fra
l'altro, l'invito al contribuente a  esibire  o  trasmettere  atti  e
documenti rilevanti ai fini dell'accertamento). 
    Tale disposizione stabilisce, per  quanto  qui  rileva,  che  gli
inviti e le richieste devono essere notificati ai sensi dell'art. 60.
Dalla data di notifica decorre il termine  fissato  dall'ufficio  per
l'adempimento, che non  puo'  essere  inferiore  a  quindici  giorni,
prorogabile di altri venti. 
    Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri
ed i registri non esibiti o non trasmessi  in  risposta  agli  inviti
dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore  del
contribuente, ai fini  dell'accertamento  in  sede  amministrativa  e
contenziosa, salvo che il contribuente depositi in allegato  all'atto
introduttivo del giudizio di  primo  grado  in  sede  contenziosa  le
notizie, i dati, i documenti,  i  libri  e  i  registri,  dichiarando
contestualmente di non aver potuto  adempiere  alle  richieste  degli
uffici per causa a lui non imputabile. 
    Come si desume dalla lettura dell'art. 32 decreto del  Presidente
della Repubblica  29  settembre  1973,  n.  600,  una  volta  avviata
l'istruttoria  (nel  caso  in  questione,   a   seguito   di   invito
all'interessato  alla  comparizione  per  fornire  chiarimenti  sulle
indagini bancarie, ma la  disposizione  in  questione  prevede  altre
modalita'  di  acquisizione  di  dati  e  notizie,  in  alcuni   casi
coinvolgendo nella fase iniziale il contribuente,  come  nell'ipotesi
di invio di questionari  relativi  a  dati  e  notizie  di  carattere
specifico rilevanti ai fini  dell'accertamento  nei  confronti  degli
stessi contribuenti o nei confronti di altri contribuenti con i quali
si siano intrattenuti rapporti, in altri casi senza contatti  con  il
contribuente, mediante acquisizione di dati e notizie  presso  terzi:
si vedano  le  numerose  categorie  indicate  nel  citato  art.  32),
l'Amm.ne   esamina   la   documentazione   acquisita,   e,   conclusa
l'istruttoria,  raggiunte  le  proprie  determinazioni,  senza  alcun
previo contraddittorio con il  contribuente,  provvede  all'emissione
dell'avviso di accertamento, che comprende, oltre le maggiori imposte
accertate, l'irrogazione di sanzioni amministrative, con  intimazione
ad adempiere; l'atto, decorsi  sessanta  giorni  dalla  notifica,  e'
titolo esecutivo. 
    5. Nella vicenda in esame da parte di questo Collegio giudicante,
le tesi che si fronteggiano sono quella secondo la  quale  una  volta
che l'amministrazione finanziaria abbia istruito la pratica, valutato
i dati e gli elementi raccolti, e concluso l'istruttoria,  pervenendo
alle proprie decisioni,  prima  dell'emissione  dell'atto  impositivo
negativo deve instaurare  il  contraddittorio  con  il  contribuente,
comunicandogli circa  le  proprie  conclusioni  ed  accordandogli  un
termine per la  presentazione  di  memorie  e  documenti  avverso  le
conclusioni  negative  alle  quali   l'amministrazione   stessa   sia
pervenuta;  e  la  tesi  opposta,  secondo  la  quale  l'obbligo   di
instaurare   il   contraddittorio   con   il    contribuente    prima
dell'emissione dell'atto  impositivo  e'  riconosciuto  dall'art.  12
dello  statuto  del  contribuente  unicamente  nell'ipotesi  in   cui
l'attivita' di verifica si sia svolta mediante accessi,  ispezioni  e
verifiche  fiscali  eseguite  nei  locali   destinati   all'esercizio
dell'attivita'  del  contribuente,  ma  non   nell'ipotesi   in   cui
l'accertamento  sia   stato   avviato   a   seguito   dell'iniziativa
dell'ufficio senza accesso nei luoghi di residenza del  contribuente,
nella sede o nei locali dell'impresa. 
    La problematica, dunque, ruota intorno alla necessita' o meno  di
avvisare il contribuente del fatto che, a conclusione di un'attivita'
di  controllo  eseguita  presso   gli   uffici   dell'amministrazione
finanziaria, quest'ultima e' pervenuta alla decisione di emettere  un
atto impositivo. 
    La  prevalente  giurisprudenza  (negli  ultimi  anni  con  alcune
pronunce dissonanti) e' ferma nell'escludere che le garanzie in  tema
di contraddittorio assicurate al contribuente sottoposto a  verifiche
fiscali presso la propria residenza ovvero nella sede  o  nei  locali
dell'impresa debbano essere estese ai casi di attivita' di  controllo
presso gli uffici dell'amministrazione finanziaria. 
    L'operato dell'Ufficio nel  presente  giudizio  risulta,  quindi,
conforme alla giurisprudenza formatasi sul richiamato art.  12  dello
Statuto del contribuente, stante  il  tenore  testuale  della  norma,
limitata alle verifiche fiscali presso il contribuente. 
    Ebbene,  tale  disposizione,  come  verra'  meglio  chiarito   in
seguito, non appare rispettosa della normativa di seguito indicata, e
conseguentemente, questo Collegio giudicante ritiene che la soluzione
della   presente   controversia   non   possa    prescindere    dalla
sottoposizione delle questioni di legittimita'  costituzionale  infra
indicate. 
Rilevanza e motivazioni delle questioni sollevate. 
    6. Nel caso in  esame  di  questa  Commissione,  il  contribuente
lamenta che gli e' pervenuto  un  atto  di  accertamento  istruito  e
formato  dall'amministrazione  finanziaria  in   assenza   di   alcun
contraddittorio. 
    Occorre dare conto delle eccezioni sollevate dall'amministrazione
anche in sede di discussione in  udienza,  sostenendosi  che  sarebbe
sufficiente ai fini della corretta instaurazione del  contraddittorio
la partecipazione del contribuente nella fase istruttoria  e/o  nella
fase dell'accertamento con adesione. 
    Questa Commissione deve farsi carico dell'esame di tali eccezioni
che potrebbero condurre al rigetto del ricorso rendendo non rilevante
la questione di legittimita' costituzionale. 
    Ma la prospettazione  dell'Ufficio  non  puo'  essere  condivisa,
prestando    questa     Commissione     adesione     all'orientamento
giurisprudenziale espresso dalle seguenti pronunce: 
        S. Corte di cassazione, sentenza n. 2239 del 30 gennaio 2018,
la quale afferma che, ai fini del  rispetto  dell'obbligo  di  previa
instaurazione del contraddittorio, non rilevano le dichiarazioni rese
dal contribuente in  sede  di  ispezione,  perche'  la  richiesta  di
chiarimenti  al   contribuente   concorre   alla   formazione   della
valutazione  (preventiva  rispetto  all'emanazione   dell'avviso   di
accertamento) da parte dell'amministrazione  finanziaria;  applicando
tale ragionamento (sebbene espresso in relazione ad  altra  tipologia
di verifica fiscale ma  con  espressione  di  un  principio  generale
applicabile anche al caso in esame), la documentazione  prodotta  dal
ricorrente nel corso dell'attivita' istruttoria  ha  concorso  (solo)
alla  formazione  della  valutazione  da  parte  dell'amministrazione
finanziaria, fase distinta e precedente rispetto alla successiva fase
di emanazione dell'avviso di accertamento; 
        Commissione tributaria regionale per la Lombardia, dec. n.  2
del 3 gennaio 2017, secondo la quale in sede di  accertamento  al  di
fuori  dei  locali   dell'impresa,   solo   un   atto   di   chiusura
dell'attivita' di  controllo  consente  al  contribuente  di  fornire
chiarimenti e documenti che potrebbero condurre l'ufficio a  valutare
diversamente la posizione del contribuente  e  adottare  un  atto  di
diverso contenuto; 
        S. Corte di cassazione, dec. n.  24003  del  2016,  la  quale
precisa che la violazione del contraddittorio non puo' essere  sanata
da un confronto  postumo,  in  sede  di  tentativo  (infruttuoso)  di
accertamento con  adesione,  «posto  che  in  tal  caso  l'avviso  di
accertamento  continua  essere  inficiato  dalla  patologia  genetica
derivante dall'omessa attivazione del contraddittorio preventivo». 
    In applicazione di tali precedenti, le eccezioni dell'Ufficio non
possono condurre alla reiezione del ricorso (non integrando un valido
contraddittorio ne' l'attivita' svoltasi in sede istruttoria  con  la
partecipazione  del  ricorrente  e  nemmeno  quella  svoltasi   nella
successiva fase dell'accertamento con adesione) e deve quindi  essere
presa in esame la questione centrale, cioe' se l'Ufficio fosse o meno
tenuto, nel caso in questione, ad instaurare il  contraddittorio  con
il  contribuente  alla  fine  dell'attivita'   valutativa   e   prima
dell'emissione dell'atto finale. 
    Ora,  nell'ordinamento  giuridico  interno  non  si  ravvisa   un
generalizzato obbligo di contraddittorio nell'ambito del procedimento
amministrativo  di  formazione  dell'atto  fiscale,  in   quanto   le
garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dalla legge n. 212
del 2000, art. 12, comma 7 si applicano  soltanto  agli  accertamenti
emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali  effettuate
nei  locali   ove   si   esercita   l'attivita'   imprenditoriale   o
professionale del contribuente; e non in relazione agli  accertamenti
derivanti da verifiche effettuate presso  la  sede  dell'Ufficio,  in
base alle notizie acquisite da altre  pubbliche  amministrazioni,  da
terzi  ovvero  dallo  stesso  contribuente,  in   conseguenza   della
compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. «verifiche a
tavolino»). 
    7. La prevalente  giurisprudenza  ha  ritenuto  che,  anche  dopo
l'entrata  in  vigore  dello  Statuto  del  contribuente  (legge   n.
212/2000), non sia possibile ritenere esistente un principio generale
di contraddittorio in ordine alla formazione della  pretesa  fiscale:
Cassazione, n. 26316/10; con specifico  riferimento  alla  previsione
della legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7,  Cassazione  21391/14,
15583/14, 13588/14, 7598/14, 25515/13, 2360/13, 446/13 16354/12;  con
riguardo all'avviso bonario previsto, dall'art.  6,  comma  5,  della
predetta legge, in relazione alle  cartelle  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  600  del  1973,  ex  art.  36-bis:  Cassazione
12023/15, 8342/12, 7536/11, 795/11. 
    In  contrario,  Cassazione,  ss.uu.,  19667/14  e  19668/14,  che
sviluppano l'argomento di una generalizzata espansione della garanzia
del contraddittorio (peraltro in fattispecie  diverse  da  quella  in
esame), quale  espressione  di  principio  immanente  all'ordinamento
nazionale ed a quello europeo. 
    Si deve osservare che poco prima, Cassazione civile, sez.  trib.,
con decisione del 5 febbraio  2014  n.  2594,  in  relazione  ad  una
censura di omessa violazione della legge 27 luglio 2000, n. 212, art.
12, comma 7, da intendersi  esteso  anche  ai  casi  di  «istruttoria
condotta nella sede dell'Ufficio tributario» (onde non incorrere  nel
vizio di incostituzionalita'), aveva ritenuto il motivo fondato. 
    Di seguito, le Sez. un., con la decisione 18 settembre  2014,  n.
10667,  dopo  aver  premesso  che  lo  statuto  del  contribuente  e'
costituito da un complesso di  norme  la  cui  precipua  funzione  e'
quella di  improntare  l'attivita'  dell'amministrazione  finanziaria
alle regole dell'efficienza e della trasparenza,  nonche'  quella  di
assicurare l'effettivita' della tutela del  contribuente  nella  fase
del procedimento tributario, con norme (quali  gli  artt.  5,  6,  7,
l'art. 10, comma 1, 12,  comma  2)  che  sostanzialmente  riproducono
alcune delle fondamentali regole dettate dalla legge n. 241 del  1990
sul procedimento in generale, dalle quali «emerge chiaramente che  la
pretesa    tributaria    trova    legittimita'    nella    formazione
procedimentalizzata  di  una  "decisione  partecipata"  mediante   la
promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio  di  leale
collaborazione) tra  amministrazione  e  contribuente  (anche)  nella
"fase precontenziosa"  o  endoprocedimentale",  al  cui  ordinato  ed
efficace  sviluppo  e'  funzionale  il   rispetto   dell'obbligo   di
comunicazione degli atti imponibili», affermavano che «il diritto  al
contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del  provvedimento
ad  essere  sentito  prima  dell'emanazione   di   questo,   realizza
l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato  dall'art.
24  Cost.,  e  il  buon  andamento  dell'amministrazione,  presidiato
dall'art. 97 Cost.», richiamando al riguardo le  sentenze  nn.  16412
del 2007 e 26635 del 2009, sempre delle Sezioni Unite. 
    Inoltre, «il rispetto dei diritti della difesa e del diritto  che
ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell'adozione di
qualsiasi decisione che possa incidere  in  modo  negativo  sui  suoi
interessi,  costituisce  un  principio   fondamentale   del   diritto
dell'Unione, come afferma - ricordando la propria precedente sentenza
del 18 dicembre 2008,  in  causa  C-349/07  Soprope' -  la  Corte  di
Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in  cause
riunite C-129/13 e C-130/13,  Kamino  International  Logistics  BV  e
Datema  Hellmann  Wortdwide  Logistics  BV.   ...   Il   diritto   al
contraddittorio  in  qualsiasi  procedimento,  afferma  la  Corte  di
Giustizia, e' attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che  garantiscono
il rispetto dei  diritti  della  difesa  nonche'  il  diritto  ad  un
processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensi' anche
nell'art. 41 di quest'ultima, il quale garantisce il diritto  ad  una
buona amministrazione. Il citato art. 41, par.  2  prevede  che  tale
diritto a una buona  amministrazione  comporta,  in  particolare,  il
diritto di ogni individuo di essere  ascoltato  prima  che  nei  suoi
confronti venga adottato  un  provvedimento  individuale  lesivo  ...
Conclude  la  Corte  che  in  forza  di  tale  principio,  che  trova
applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di  adottare
nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di
decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere
messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto  di  vista
in merito agli elementi sui quali l'amministrazione  intende  fondare
la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento
che sara' adottato, con la fissazione di un  termine  per  presentare
eventuali difese od osservazioni». 
    Va sottolineato  che,  pur  avendo  precisato  che  l'obbligo  in
questione, «ad avviso  della  Corte,  incombe  sulle  amministrazioni
degli  Stati  membri  ogniqualvolta  esse  adottano   decisioni   che
rientrano  nella  sfera  d'applicazione  del   diritto   dell'Unione,
quand'anche  la  normativa  comunitaria   applicabile   non   preveda
espressamente siffatta formalita'», le Sezioni poi  concludevano  nel
senso che, in ragione del dovuto  rispetto  del  diritto  di  difesa,
l'attivazione  del   «contraddittorio   endoprocedimentale»   «   ...
costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento  cui
dare  attuazione  anche  in  difetto  di  una  espressa  e  specifica
previsione normativa». 
    Ma successivamente, la Cassazione SS.UU.,  con  decisione  del  9
dicembre  2015,  n.  24823,  dopo  aver  premesso  che  in  tema   di
contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria  non  vi  e'
coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale (la  prima,
infatti, prevede il contraddittorio  endoprocedimentale,  in  materia
tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone
gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda,
lo delinea, invece, quale  obbligo  gravante  sull'Amministrazione  a
pena di nullita' dell'atto non, in via generale, ogni qual volta essa
si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei  diritti  e  degli
interessi del contribuente, ma, soltanto, in  singoli  casi),  e  che
tale divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione
dei tributi c.d. «non armonizzati» (in particolare: quelli  diretti),
estranei alla sfera di competenza del diritto dell'Unione europea,  e
di quelli c.d. «armonizzati» (in particolare: l'Iva), in detta  sfera
rientranti, ha ulteriormente chiarito che: 
        per    i     tributi     «non     armonizzati»,     l'obbligo
dell'Amministrazione     di     attivare      il      contraddittorio
endoprocedimentale,   pena    l'invalidita'    dell'atto,    sussiste
esclusivamente in relazione alle ipotesi  in  cui  tale  obbligo  sia
previsto da specifica norma di legge; ai suddetti  tributi,  estranei
alle competenze dell'Unione,  non  si  applica,  invero,  il  diritto
europeo; 
        nel campo  dei  tributi  «armonizzati»  (che,  inerendo  alle
competenze dell'Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del
relativo diritto) l'obbligo  del  contraddittorio  endoprocedimentale
assume, invece,  rilievo  generalizzato,  se,  in  mancanza  di  tale
irregolarita',  il  procedimento  «avrebbe   potuto   comportare   un
risultato diverso». 
    A tale decisione hanno fatto seguito ulteriori pronunce: 
        C.T. Reg.  Firenze  18  gennaio  2016  n.  736/1/15,  che  ha
sollevato la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  12,
settimo comma dello Statuto  del  contribuente  nella  parte  in  cui
riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con
cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre  di  un
termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni,  alle  sole
ipotesi in cui  la  Amministrazione  abbia  «effettuato  un  accesso,
un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali  destinati  all'esercizio
dell'attivita'»  del  contribuente,  secondo  il  «diritto   vivente»
risultante dalla sentenza 24823/15 delle SS.UU.; 
        Cassazione civile, sez. trib., 20 aprile  2016  n.  7914;  in
tale giudizio era stata sollevata, con ordinanza n. 24739  del  2013,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37-bis  decreto
del Presidente della Repubblica n. 600 cit.,  che  veniva  dichiarata
infondata dalla Corte costituzionale con sentenza n.  132  del  2015,
ritenendosi  non  contraria  a  Costituzione  la  previsione  di  una
sanzione di nullita' per la mera violazione del termine dilatorio  di
giorni sessanta, quest'ultimo stabilito a favore del contribuente per
consentire allo stesso  l'esercizio  del  contraddittorio  cosiddetto
«endoprocedimentale» o amministrativo o preventivo. 
    La S.C., nel dare atto della decisione  delle  Sezioni  Unite  n.
24823  del  2015  (dalla  quale  deriva   che   la   disciplina   del
contraddittorio  amministrativo  che  deve  precedere   la   notifica
dell'atto impositivo va distinta a seconda  del  tributo  oggetto  di
accertamento, cioe' tra tributi «armonizzati» e non), afferma che con
tale decisione «e' stata quindi dismessa la soluzione  trovata  dalle
precedenti Sezioni  Unite  della  Corte,  che  era  stata  quella  di
ritenere "immanente" anche nel nostro ordinamento la  obbligatorieta'
del contraddittorio amministrativo tutte le  volte  in  cui  un  atto
erariale fosse "destinato ad incidere in modo negativo sui diritti  e
gli interessi del contribuente" (Cass. sez. un. n. 19667  del  2014).
Soluzione  che  avrebbe  avuto  l'effetto  di  rendere  omogenea   la
disciplina italiana a quella europea, sotto il  fondamentale  aspetto
del riconoscimento del diritto del contribuente di  rappresentare  le
proprie ragioni prima dell'instaurazione del giudizio e quindi  anche
nella direzione di una maggiore realizzazione del principio di  "buon
andamento" della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., comma  2,
e che e' norma in tutto omologa alla previsione  contenuta  nell'art.
41, comma 2, lettera a), Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea» e che del resto appariva coerente  con  la  decisione  della
Corte costituzionale n. 132 cit.; 
        Commissione tributaria regionale di Reggio  Emilia  (sentenza
5/1/2016  -  16  marzo  2016  n.  59),  che,  pur  dando  atto  degli
orientamenti  giurisprudenziali  della  Suprema  Corte,  afferma   il
principio che le garanzie poste dall'art. 12, comma 7  dello  Statuto
prescindono dal luogo in cui e' effettuata la verifica, in quanto  la
norma tutela la difesa e l'affidabilita' dell'accertamento e  non  il
luogo in cui la verifica viene messa in atto. L'art. 12 da'  concreta
attuazione agli articoli 97, 53 e  3  della  Costituzione,  imponendo
agli uffici di garantire al contribuente il  diritto  di  partecipare
all'accertamento   tributario   attraverso   un   vero   e    proprio
contraddittorio   pre-accertativo.   Diversamente    ragionando    si
realizzerebbe una disparita' di trattamento con fattispecie analoghe,
con violazione dei principi costituzionali di  imparzialita'  e  buon
andamento della Pa, di capacita' contributiva, della ragionevolezza e
del  diritto  di  difesa.  D'altra  parte,  proprio  nei  casi  delle
verifiche eseguite in ufficio emerge a maggior ragione l'esigenza del
confronto preventivo perche' «il  contribuente  potrebbe  trovarsi  a
ricevere  un  accertamento  esecutivo  per  tutta  risposta  di   una
produzione documentale  -  magari  effettuata  da  terzi  -  o  della
risposta a un questionario, senza aver potuto  mai  interloquire  con
l'ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei  confronti
dell'ipotesi accusatoria, che sara' conosciuta  per  la  prima  volta
solo  a  seguito  di  un  atto  gia'   esecutivo,   suscettibile   di
cristallizzarsi  se  non  impugnato  entro  uno  stretto  termine  di
decadenza»; 
        Commissione  tributaria  della  Regione  Piemonte   (sentenza
126/1/2016), che afferma come, non essendo stato concesso il  diritto
al  contraddittorio  per  l'imposta  sul  valore  aggiunto   (tributo
armonizzato), la violazione  va  riconosciuta  anche  per  gli  altri
tributi, data l'unicita' dei fatti. Tanto piu'  che  la  contribuente
aveva prodotto in  giudizio  documenti  che,  qualora  fossero  stati
esaminati prima  dell'emissione  dell'avviso,  avrebbero  potuto  «in
linea teorica, se accolti, determinare  quanto  meno  una  diversa  e
minore pretesa tributaria»; 
        nella  stessa  linea:  Commissione  tributaria   prov.le   di
Campobasso, dec. numeri  29/2018,  116/2016,  1094/2016;  Commissione
tributaria della Regione Lombardia,  n.  3509/2017,  che  ritiene  il
contraddittorio necessario soprattutto per una corretta azione  della
pubblica  amministrazione;  Commissione  tributaria   della   Regione
Puglia, sentenza 85/2016,  secondo  la  quale,  se  l'atto impositivo
riguarda sia Iva sia altri tributi, gli  obblighi  procedimentali  di
contraddittorio preventivo necessari per  un  legittimo  accertamento
IVA si estendono anche alle altre imposte; 
        di segno opposto, la sentenza del 22 febbraio 2016  n.  203/5
della Comm. Trib. Reg. per l'Abruzzo, secondo la quale, alla  stregua
della Cass. S.U. 9 dicembre 2015 n. 24823, va  escluso  l'obbligo  di
contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti «a  tavolino»
(nel caso in questione originati da controlli bancari). 
    La  questione,  come  si  vede,  ha   registrato   contrasti   in
giurisprudenza. 
    In effetti, nell'ordinamento interno, la previsione  della  legge
n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non e' fonte di  un  generalizzato
obbligo    di    contraddittorio    endoprocedimentale    a    carico
dell'Amministrazione fiscale; quindi, l'Amministrazione non ha  alcun
obbligo, allorquando si accinga ad adottare un  provvedimento  lesivo
dei  diritti  del  contribuente,  di   attivare   con   l'interessato
contraddittorio preventivo, pena l'invalidita' dell'atto, ne' in base
alle specifiche norme in materia di accertamenti, ne'  in  base  allo
Statuto del contribuente, legge n. 212 del 2000, che ha si'  previsto
garanzie procedimentali, ma solo ed esclusivamente in relazione  agli
accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni  e  verifiche  fiscali
effettuate nei locali ove si esercita l'attivita'  imprenditoriale  o
professionale del contribuente. 
    D'altra  parte,  la  ricostruzione  delle  SS.UU.  di  cui   alla
decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823  appare  ineccepibile,  avuto
riguardo alla sfera di operativita' del diritto comunitario. 
    Sicche' gli opposti orientamenti giurisprudenziali di cui  si  e'
dato atto, pur  esprimendo  l'evidente  disagio  dell'interprete  nel
dover seguire il cd. doppio binario,  si  scontrano  contro  un  dato
testuale che appare insuperabile. 
Le disposizioni di diritto europeo rilevanti ed i relativi precedenti
giurisprudenziali. 
    8. L'art. 41 della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea, nel garantire  il  diritto  ad  una  buona  amministrazione,
prevede  che,  nell'ambito  di  tale  diritto,  va,  tra  gli  altri,
ricompreso «il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima  che
nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le
rechi pregiudizio (cfr.  Corte  giust.  22  ottobre  2013,  in  causa
C-276/12, Jiri' Sabou; 3 luglio 2014,  in  causa  C-129  e  C^130/13,
Ramino International Logistics)». 
    Le SS.UU. - dopo aver ricordato che dalle sentenze 3 luglio  2014
(causa C-129 e C/130/13, Ramino International Logistics), 22  ottobre
2013 (causa C-276/12, Jiri Sabou), 18 dicembre 2008 (causa  C-349/07,
Soprope'),  12  dicembre  2002  (causa  C-395/00,  Soc.   Distillerie
Cipriani),  21  settembre  2000  (causa  C-462/98  P.  Mediocurso  c.
Commissione), 4 ottobre 1996 (causa C-32/95 c. Lisrestat)  emerge  il
principio generale secondo il quale il rispetto  del  contraddittorio
nell'ambito  del  procedimento  amministrativo,  non  escluso  quello
tributario,  costituisce  principio   fondamentale   dell'ordinamento
europeo, che trova applicazione  ogniqualvolta  l'Amministrazione  si
proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo, per
cui il destinatario del provvedimento teso ad incidere  negativamente
sui suoi interessi deve essere messo  preventivamente  in  condizione
di' manifestare utilmente il  suo  punto  di  vista  in  ordine  agli
elementi sui  quali  l'amministrazione  intende  fondare  la  propria
decisione - hanno tuttavia precisato come tale  principio  non  possa
trovare applicazione al di fuori dei casi dei tributi armonizzati. 
    Deve tuttavia esaminarsi  la  compatibilita'  delle  disposizioni
interne  con  alcune  norme  della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'art.  1  del  Protocollo  Addizionale  n.  1  alla  Convenzione
dispone: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto  dei
suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua  proprieta'  se  non
per causa di utilita' pubblica  e  nelle  condizioni  previste  dalla
legge  e  dai  principi  generali  di  diritto   internazionale.   Le
precedenti disposizioni non  portano  pregiudizio  al  diritto  degli
Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute  necessarie  per
disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o
per assicurare il pagamento  delle  imposte  o  di  altri  contributi
oppure di ammende». 
    Afferma la Cassazione civile, sez. trib.,  30  giugno  2011,  con
sent. n. 14362: 
    «Come espresso in diverse occasioni, la Corte ripete che l'art. 1
del Protocollo n. 1 contiene tre norme  distinte:  "la  prima  norma,
esposta nella prima frase del primo paragrafo, e' di natura  generale
ed enuncia il principio del diritto al rispetto dei beni; la  seconda
norma, contenuta nella seconda frase del primo paragrafo, riguarda la
privazione dei beni a certe condizioni; la terza norma,  nel  secondo
paragrafo, riconosce che gli Stati Contraenti hanno il  diritto,  tra
l'altro, di controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse
generale ... Tali norme non sono "distinte" nel senso che  non  hanno
un legame  tra  loro:  la  seconda  e  la  terza  norma,  relative  a
particolari casi di ingerenza  nel  diritto  al  rispetto  dei  beni,
devono essere interpretate alla luce del  principio  contenuto  nella
prima norma» (cfr. James e altri a Regno  Unito,  21  febbraio  1986,
Serie A n. 98, che in parte ripete i termini della tesi  della  Corte
in Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, Serie A n. 52, p
24; cfr. anche  The  Holy  Monasteries  c.  Grecia,  sentenza  del  9
dicembre 1994, Serie A n. 301-A; Iatridis c. Grecia GC, n.  31107/96,
CEDU 1999-11; e Beyeler c. Italia GC, n. 33202/96, CEDU 2000-1). 
    In particolare - come affermato nel Provvedimento  del  29  marzo
2006 Grande Camera, caso: Scordino contro Italia, Ricorso n. 36813/97
-: «L'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve contemperare un
"giusto equilibrio" tra le  esigenze  dell'interesse  generale  della
comunita' e il requisito della salvaguardia dei diritti  fondamentali
dell'individuo (cfr. tra altre autorita' Sporrong  e  Ldnnroth,  cit.
supra). La preoccupazione di conseguire tale equilibrio  si  riflette
nella struttura dell'Articolo 1, visto nella  sua  interezza,  e  che
comprende quindi la seconda frase che deve essere letta alla luce del
principio generale enunciato nella prima frase. In particolare,  deve
sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalita'  tra  i  mezzi
impiegati ed il fine che si cerca di realizzare  con  qualsiasivoglia
misura applicata dallo Stato, comprese  le  misure  che  privano  una
persona dei suoi beni (cfr. Pressos Campania Naviera S. A. e altri c.
Belgio, sentenza 20 novembre 1995, Serie A n. 332; L'ex re di  Grecia
e altri c. Grecia GC,  n.  25701/94;  e  Sporrong  e  Lonnroth,  city
supra).». 
    Ebbene,   la   mancata   previsione   di    un    contraddittorio
procedimentale   anteriormente   all'adozione   di   un   avviso   di
accertamento che, vuoi per l'entita' delle sanzioni e degli interessi
che  si  aggiungono  al  maggior  reddito  accertato,  vuoi  per   la
circostanza  dell'esecutivita'  connessa  al  titolo  (che   consente
l'avvio della procedura esecutiva e quindi la  spoliazione  dei  beni
del contribuente),  e'  suscettibile  di  incidere  gravemente  sulla
posizione del  contribuente,  appare  violare  il  citato  necessario
rapporto di proporzionalita'. 
    Infatti, avvisare il contribuente dell'imminente emissione di  un
atto di tal genere, indicando le motivazioni ed assegnando un termine
ragionevole (ad es. i sessanta giorni previsti all'art.  12  comma  7
dello   Statuto   del   contribuente),   non   comporterebbe    alcun
significativo aggravio per l'attivita' degli uffici. 
    A fronte del quale, l'entita'  della  pretesa  fiscale  aggravata
dalle  sanzioni  e'  suscettibile  di  compromettere  il  diritto  al
rispetto dei beni alterando il giusto equilibrio tra le  esigenze  di
interesse generale e  gli  imperativi  di  salvaguardia  dei  diritti
fondamentali dell'individuo. 
    Non si puo' non citare, in proposito, la sentenza 16 luglio 2015,
C-255/14, con la quale la CGUE si e'  pronunciata  sul  principio  di
proporzionalita'  delle  sanzioni  che  gli  Stati   membri   debbono
necessariamente rispettare, in base ai principi generali del  diritto
dell'UE, anche nei casi in  cui  manchi  una  armonizzazione  europea
delle sanzioni applicabili. 
    La Corte, esaminando la compatibilita'  con  il  diritto  dell'UE
delle sanzioni ungheresi a  tutela  degli  obblighi  dichiarativi  in
materia valutaria (pari al 60% delle somme in contanti non dichiarate
in  dogana),  ha  ribadito  che  «21.   [...]   secondo   consolidata
giurisprudenza della  Corte,  in  mancanza  di  armonizzazione  della
normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili in  caso
di inosservanza delle condizioni previste da un regime  istituito  da
tale normativa, gli Stati membri possono scegliere  le  sanzioni  che
sembrano loro appropriate. Essi tuttavia sono  tenuti  ad  esercitare
questa competenza nel rispetto del diritto  dell'Unione  e  dei  suoi
principi generali e, di conseguenza, nel rispetto  del  principio  di
proporzionalita'  (v.  sentenze   Ntionik   e   Pikoulas,   C-430/05,
EU:C:2007:410, punto 53, e Urban, C-210/10, EU:C:2012:64, punto  23).
22 In particolare, le misure amministrative o  repressive  consentite
da una normativa nazionale non devono eccedere i limiti di  cio'  che
e' necessario al conseguimento degli scopi legittimamente  perseguiti
da  tale  normativa  (v.  sentenze  Ntionik  e  Pikoulas,   C-430/05,
EU:C:2007:410, punto 54, nonche' Urban, C-210/10, EU:C:2012:64, punti
24 e 53). 23 In tale contesto, la Corte ha precisato che la severita'
delle sanzioni deve essere adeguata alla  gravita'  delle  violazioni
che esse reprimono e comportare, in particolare, un effetto realmente
deterrente,   fermo   restando   il    principio    generale    della
proporzionalita'   (v.   sentenze    Asociaţia    Accept,    C-81/12,
EU:C:2013:275,  punto  63,  e  LCL  Le  Credit  Lyonnais,   C-565/12,
EU:C:2014:190, punto 45)». 
    Deve quindi concludersi che il canone  di  proporzionalita',  che
assurge a principio  generale  nell'ordinamento  comunitario,  appare
violato dalle previsioni normative in materia di  accertamenti  sopra
richiamate,  perche'  l'assenza  del  contraddittorio   anteriormente
all'emissione di un atto destinato in breve tempo a  divenire  titolo
esecutivo  dando  luogo  all'esproprio  dei  beni  del   contribuente
concretizza un intervento sproporzionato rispetto ai fini perseguiti. 
    Sicche' lo  Stato,  attraverso  tale  previsione,  pregiudica  in
maniera sostanziale la situazione finanziaria  dei  contribuenti  (si
veda Imbert de Tremiolles c. Francia e Buffalo Srl en liquidation  c.
Italia),  e  in  maniera  irragionevole,  tale  da   determinare   la
violazione dell'art. 1 del Prot. 1. 
    9. Appare parimenti violata  anche  un'altra  disposizione  della
Convenzione. 
    L'art. 6, primo paragrafo, nell'introdurre il principio dell'equo
processo, stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua  causa
sia  esaminata  equamente,  pubblicamente   ed   entro   un   termine
ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per
legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi  sulle  controversie  sui
suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di  ogni
accusa penale formulata nei suoi confronti». 
    Sebbene  tale   disposizione   non   contenga   alcun   esplicito
riferimento ai giudizi tributari, tradizionalmente esclusi in  quanto
non rientranti nel novero dei giudizi civili  o  penali  (cfr.  Corte
EDU, grande sezione, 12 luglio 2001, ricorso n. 44759/98,  Ferrazzini
v. Italy), l'esigenza di garanzia processuale che tale norma  mira  a
realizzare deve estendersi anche al giudizio tributario nel quale  si
faccia  valere  una  pretesa   nei   confronti   dell'Amministrazione
finanziaria dinanzi al giudice speciale tributario,  come  dimostrano
alcune aperture della Corte (Corte EDU, 26 marzo  1992,  ricorso  nn.
11760/85, Editions Periscope v. France; e 23 ottobre 1997, ricorsi n.
21319/93,  21449/93  e  21675/93,  National  &  Provincial   Building
Society, Leeds Permanent  Building  Society  and  Yorkshire  Building
Society v.  the  United  Kingdom;  decisione  sull'ammissibilita'  SA
Cabinet Diot et Gras Savoye c. France). 
    Soprattutto, la Corte EDU ritiene  sussumibili  sotto  l'art.  6,
primo  paragrafo  (controversie  sulla  «fondatezza  di  ogni  accusa
penale») le controversie che  abbiano  ad  oggetto  l'irrogazione  di
sanzioni tributarie, le quali, pur  di  natura  amministrativa,  sono
caratterizzate da una finalita', deterrente e punitiva ad  un  tempo,
che consente  di  attribuire  loro,  ai  fini  dell'applicazione  dei
principi del giusto processo, natura genericamente penale (Corte EDU,
sez. I, 23 luglio 2002, ricorso n. 34619/97, Janosevic v.  Sweden,  e
sez. I, ricorso n. 36985/97, Västberga Taxi Aktiebolag and  Vulic  c.
Sweden). 
    In particolare, con la decisione  della  Grande  sezione  del  23
novembre 2006, ricorso n. 73053/01, Jussila  v.  Finland,  la  Corte,
dato atto dell'impossibilita' di tenere distinte  all'interno  di  un
procedimento le parti che riguardano la contestazione  delle  imposte
da quelle che concernono la contestazione delle sanzioni, implica che
le regole del giusto processo devono potersi invocare in  tutti  quei
giudizi tributari nei quali sia presente  un  aspetto  sanzionatorio,
anche se l'impugnazione  necessariamente  coinvolga  anche  l'aspetto
attinente alla determinazione dell'imposta. 
    Nel caso Cecchetti c. San Marino  (ric.  n.  40174/08,  9  aprile
2013) la Corte ha ritenuto  applicabile  l'art.  6  nel  suo  aspetto
penale in relazione ad una condanna al pagamento di una  porzione  di
tassa non pagata e della  relativa  sanzione  (peraltro  estremamente
modesta). 
    Conseguentemente, nei giudizi (quale quello in esame)  nei  quali
la contestazione investe sia la pretesa fiscale  sostanziale  che  le
sanzioni,  la  presenza  di  quest'ultimo  profilo  di   impugnazione
consente  di  invocare  le  garanzie  previste  dall'art.  6,   primo
paragrafo della CEDU. 
    Ora, non puo' non condividersi, in tema di rapporto tra attivita'
istruttoria degli uffici e  successivo  processo  tributario,  quanto
rimarcato dalla C.T. Reg. Firenze, con l'ordinanza 18 gennaio 2016 n.
736/1/15 sopra citata, e cioe' che: 
    «Di fatto, l'istruttoria fiscale e' affidata quasi esclusivamente
alla Amministrazione che - ad esempio -  raccoglie  dichiarazioni  di
persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono  compromettere
l'esito del processo ... 
    Di  conseguenza,  gli  "indizi"  raccolti  dalla  Amministrazione
svolgono un ruolo decisivo e  producono  effetti  identici  a  quelli
propri di una istruttoria giudiziaria ... 
    Il contraddittorio amministrativo  appare  dunque  strumentale  a
garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., ed  altresi'
che le parti processuali  si  collochino  su  un  piano,  se  non  di
compiuta parita', almeno "in condizioni di parita'" di guisa  che  il
processo  risulti  "giusto",  come   prescrive   l'art.   111   della
Costituzione; che si  ispira  all'art.  6  della  Carta  europea  dei
diritti dell'uomo recepita dall'art. 9  della  Costituzione  europea;
secondo  cui  "l'Unione  aderisce   alla   Convenzione   europea   di
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali"  (e
quindi il citato art. 6 e' posto sotto lo "scudo" degli  artt.  11  e
117, primo comma Cost.). E appare ovvio che non  e'  ne'  giusto  ne'
equo un processo in cui le parti non siano poste  "in  condizione  di
parita'" ... 
    ... per il processo tributario (ove) e' addirittura  escluso  che
il giudice possa procedere ad una attivita' di  acquisizione  diretta
(o quanto meno con la partecipazione delle parti) delle dichiarazioni
di persone informate; e quindi il giudice conosce delle dichiarazioni
di costoro solo attraverso i  verbali  degli  accertatori  tributari.
Afferma infatti la  giurisprudenza  che  "la  disposizione  contenuta
nell'art. 7, quarto comma, decreto legislativo 31  dicembre  1992  n.
546,  secondo  cui  nel  processo  tributario  non  sono  ammessi  il
giuramento e la prova  testimoniale,  limita  i  poteri  del  giudice
tributario ma non pure i poteri degli organi di verifica, e  pertanto
la limitazione vale solo per la  diretta  assunzione,  da  parte  del
giudice  stesso,  della  narrazione  dei  fatti  della   controversia
compiuta da un terzo, cioe' per  quella  narrazione  che,  in  quanto
richiedente la formulazione di spcifici capitoli e la prestazione  di
un giuramento da parte del terzo  assunto  quale  teste,  acquista un
particolare valore probatorio, mentre  le  dichiarazioni  dei  terzi,
raccolte  da  verificatori  o  finanzieri  e  inserite,   anche   per
riassunto, nel processo verbale di  constatazione,  hanno  natura  di
mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative  e
sono percio' pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento"
(Cass. civ., sez. trib., 16 luglio 2014, n. 16223;  Cassazione  civ.,
sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2916, Cassazione civ., sez. trib., 30
settembre 2011, n. 20032). 
    La sancita impossibilita' che le persone  "informate  dei  fatti"
siano udite nell'ambito della procedura contenziosa con  le  garanzie
del  contraddittorio,  rende  necessaria  una  garanzia  nella   fase
amministrativa  in  cui  le  dichiarazioni  di  queste  persone  sono
raccolte e documentate ... ». 
    Al riguardo, si deve ricordare che la giurisprudenza  europea  ha
spesso affermato  il  principio  che  i  diritti  della  difesa  sono
limitati in modo incompatibile con le garanzie dell'art. 6 quando una
decisione  si  basa,  unicamente  o  in   misura   determinante,   su
deposizioni rese  da  una  persona  «che  l'imputato  non  ha  potuto
interrogare o fare interrogare ne' nella fase istruttoria ne' durante
il dibattimento (sent. 14 dicembre 1999, A.M.  c.  Italia;  sent.  13
ottobre 2005, Bracci c. Italia; sent. 9 febbraio  2006,  Cipriani  c.
Italia; sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia)». 
    Infatti, le prove devono essere assunte nel  contraddittorio  tra
le parti; l'art. 6 §§ 1 e  3  d)  richiede  che  il  presunto  autore
dell'illecito  abbia  un'adeguata   e   sufficiente   occasione   per
contestare una testimonianza a carico e di interrogarne l'autore  (El
Haski c. Belgique, n. 649/08, 25 settembre 2012). 
    D'altra parte, con la sentenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'Uomo del 21 febbraio 2008 nel caso «Ravon e  altri  c.  Francia»
(ric. n. 18497/03) in tema di perquisizioni domiciliari per verifiche
fiscali, si precisa che la possibilita' di tutela cd. differita - pur
consentita dall'ordinamento francese  mediante  l'impugnazione  degli
atti   successivi,   del   tutto   similmente   a   quanto    avviene
nell'ordinamento italiano - e' insufficiente ad assicurare una tutela
effettiva. 
    10.  Sotto  ultimo   profilo,   deve   rimarcarsi   come   appaia
incompatibile con entrambe le disposizioni  della  Convenzione  sopra
esaminate  la  circostanza  che  il  procedimento  in  questione   si
concluda, in assenza di contraddittorio, mediante l'emissione  di  un
atto destinato a diventare titolo esecutivo  (anche  con  riferimento
alle sanzioni) dopo ristretto lasso di tempo dalla notifica. 
    Occorre ricordare che con le  sentenze  Janosevic  c.  Suede  (n.
34619/97)  e  Västberga  Taxi  Aktiebolag  et  Vulic  c.  Suede   (n.
36985/97),  la  Corte  ha  ritenuto  che  ne'  l'art.  6  ne'   altre
disposizioni della Convenzione escludono di per se' che delle  misure
di esecuzione siano adottate prima che  le  decisioni  relative  alle
maggiorazioni  di  imposta  siano  divenute  definitive.  La   Corte,
tuttavia, ha sottolineato che, poiche'  una  tale  rapida  esecuzione
puo' comportare conseguenze gravi per l'interessato, gli  Stati  sono
tenuti a non ricorrere a tali esecuzione  se  non  nei  limiti  della
ragionevolezza, cercando di garantire un corretto  bilanciamento  tra
gli interessi in gioco. Cio' risulta ancora piu' importante nei  casi
in cui le misure di esecuzione sono  state  adottate  sulla  base  di
decisioni dell'amministrazione finanziaria, ossia ancora prima che un
tribunale abbia deciso  sulla  legittimita'  delle  maggiorazioni  in
questione. In proposito, l'interesse finanziario dello Stato, che  in
principio gode di  un  peso  importante  nel  bilanciamento  tra  gli
interessi in  gioco  tenuto  conto  della  necessita'  di  assicurare
l'effettivita' del sistema di imposizione,  non  possiede  la  stessa
portata nel campo delle maggiorazioni di imposta. Infatti, nonostante
tali sanzioni possano costituire somme notevoli, non  sono  concepite
come fonte di finanziamento del sistema ma mirano  a  fare  pressione
sui contribuenti affinche'  rispettino  i  loro  obblighi  di  natura
fiscale e a punire gli illeciti. Di  conseguenza,  se  da  una  parte
l'interesse finanziario puo'  giustificare  l'applicazione  da  parte
dello  Stato  di  regole  standardizzate  e  di  presunzioni   legali
(relative) al fine di accertare l'ammontare delle imposte da pagare e
delle relative maggiorazioni, dall'altra questo stesso interesse puo'
non  legittimare,  di   per   se',   l'esecuzione   immediata   delle
maggiorazioni di imposta. 
    Ebbene, applicando tali principi alla problematica in  esame,  ne
consegue che viola il prescritto  canone  di  ragionevolezza  che  un
procedimento, svolto in assenza di contraddittorio, si  concluda  con
un  titolo  esecutivo  che,  a  sua  volta,   consente   di   avviare
l'espropriazione dei beni del contribuente. 
Altre disposizioni violate. 
    11. Per completezza, si deve ricordare che, secondo la C.T.P.  di
Reggio Emilia (ord.  280/3/2014  del  23  settembre  2014),  anche  a
prescindere dalla certa applicabilita' dell'art. 6 CEDU nelle ipotesi
(quale quella in esame) in cui nel  processo  tributario  entrino  in
gioco anche sanzioni, non  importa  se  qualificate  quali  penali  o
amministrative dall'ordinamento interno  (Corte  E.D.U.  23  novembre
2006, Jussila v . Finlandia), in ogni  caso  la  fonte  CEDU  impatta
egualmente sui processi tributari italiani, attraverso  il  principio
di  eguaglianza  e  la   portata   generale   dell'art.   111   della
Costituzione. 
    Riguardo   quest'ultima   disposizione,   deve   ribadirsi   come
l'acquisizione di elementi di prova nel corso dell'istruttoria presso
gli   unici   dell'amministrazione   finanziaria,   in   carenza   di
contraddittorio, e' suscettibile di pregiudicare  un'efficace  difesa
da parte del contribuente  nella  successiva  fase  processuale,  con
conseguente compromissione del principio della parita' delle armi,  e
quindi del «giusto processo» di cui all'art. 111 della  Costituzione,
la cui applicazione al processo tributario e' indubbia. 
    Sotto altro profilo, occorre rilevare che l'assenza di  un  pieno
contraddittorio nella fase amministrativa  comporta,  nella  migliore
delle ipotesi, uno spostamento del contraddittorio stesso nella  fase
processuale, tanto da poter determinare un irragionevole  ampliamento
dei tempi di durata del processo, finendo  col  vulnerare  il  canone
fondamentale tutelato dall'art. 6 CEDU e dall'art. 111 Cost. 
Le questioni sollevate. 
    12. Essendo il contrasto tra le norme nazionali (nella  parte  in
cui non prevedono l'instaurazione di  alcun  contraddittorio  con  il
contribuente   anteriormente   all'emissione   di   un   avviso    di
accertamento)   e   quelle   convenzionali   insuperabile   in   sede
interpretativa, in ragione sia della lettera delle  disposizioni  che
dell'interpretazione  delle  Sezioni  Unite   sopra   riferita,   che
costituisce diritto  vivente,  si  evidenzia  l'insanabile  conflitto
delle norme di cui agli artt. 32, 39, 42 decreto del Presidente della
Repubblica n. 600/1973 e 12) Statuto del contribuente con l'art. 117,
primo comma, della Costituzione, nella parte in cui  prevede  che  la
potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato  nel  rispetto  degli
obblighi internazionali, quale l'obbligo assunto con l'adesione  alla
Convenzione EDU, ratificata e posta in  esecuzione  con  la  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    Infatti, l'assenza di contraddittorio nella  fase  immediatamente
precedente all'adozione dell'avviso di accertamento viola sia  l'art.
1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, per
le ragioni sopra evidenziate  (irragionevole  compressione  dei  beni
privati al di fuori del canone di  proporzionalita'),  sia  l'art.  6
della  Carta,  attesa   la   compromissione   della   posizione   del
contribuente non solo nell'ambito del  procedimento  ma  anche  nella
successiva  fase  processuale  e/o  determinandosi  (posticipando  il
contraddittorio nella fase processuale) un irragionevole  ampliamento
dei tempi di durata del processo. 
    Di fronte a tale dubbio il  giudice  e'  tenuto  a  risolvere  il
contrasto   sollevando    apposita    questione    di    legittimita'
costituzionale della disposizione  di  legge,  in  ragione  del  noto
principio piu' volte affermato dalla  Corte  costituzionale,  secondo
cui le norme della Convenzione, cosi' come interpretate  dalla  Corte
di Strasburgo,  assumono  rilevanza  nell'ordinamento  interno  quali
norme interposte, assumendo esse un'efficacia intermedia tra legge  e
Costituzione, idonea a  dare  corpo  agli  «obblighi  internazionali»
costituenti parametro normativo cui l'art. 117,  primo  comma,  Cost.
ricollega l'obbligo di conformazione (v. Ad. Plen. n. 2 del 2015). 
    13. Altresi' e'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale delle medesime  disposizioni
per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 111, 117  della  Costituzione,
per come sopra ampiamente argomentato. 
    Infatti, come gia' affermato nell'ordinanza di  rimessione  della
CTR di Firenze del 18 gennaio 2016 n.  736/1/15,  il  contraddittorio
amministrativo appare strumentale a garantire il diritto di difesa di
cui all'art. 24 Cost.,  ed  altresi'  che  le  parti  processuali  si
collochino, su un  piano  se  non  di  compiuta  parita'  almeno  «in
condizioni di parita'» di guisa che  il  processo  risulti  «giusto»,
come  prescrive  l'art.   111   della   Costituzione;   disposizione,
quest'ultima,   che   osta   altresi'   a   qualunque   ipotesi    di
ingiustificabile dilatazione dei tempi  del  processo,  che  consegue
inevitabilmente  allo  spostamento  in   sede   giurisdizionale   del
contraddittorio tra  contribuente  ed  amministrazione  che  dovrebbe
invece svolgersi nella appropriata sede amministrativa. 
    A sua volta, l'art. 12, settimo  comma,  della  legge  27  luglio
2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto
al contraddittorio nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia
«effettuato un  accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali
destinati  all'esercizio  dell'attivita'»  del  contribuente,  appare
parimenti sospetto di incostituzionalita'. 
    Come condivisibilmente affermato dalla CTR di Firenze, nella piu'
volte citata ordinanza di rimessione, «il  particolare  regime  delle
operazioni di accertamento a seguito di accesso, ispezione o verifica
nei locali destinati all'esercizio  dell'attivita'  del  contribuente
appare infine irragionevolmente discriminatorio in relazione  a  quei
contribuenti che non hanno subito  accesso  o  verifica  nei  locali.
Alcuni hanno diritto al contraddittorio  altri  no  in  relazione  al
fatto - in se' non pertinente - di aver subito una ispezione. Ne'  e'
del  tutto  persuasiva  la  contro  obiezione:  "ma  se  c'e'   stata
l'ispezione vi e', o puo' essere, l'acquisizione di dati e  documenti
non forniti dal contribuente stesso; mentre  se  i  dati  sono  stati
forniti dal contribuente in fondo c'e' una sorta  di  contraddittorio
preventivo". L'osservazione non copre infatti la gamma  intera  delle
possibili circostanze di fatto. 
    Se viene redatto un accertamento a carico di un soggetto in  base
a documenti di pertinenza di un altro imprenditore,  reperiti  in  un
accesso nella azienda di quest'ultimo, il primo contribuente nulla sa
(rectius  potrebbe  sapere)  e  si  vede   piovere   addosso   magari
all'improvviso un accertamento esecutivo. E qualcosa di simile accade
ove un accertamento venga emanato sulla base di documenti forniti  da
terzi (cosi' come accaduto  per  la  "lista  Falciani");  o  di  dati
bancari ricavati da un conto  neppur  direttamente  riconducibile  al
contribuente, ma di pertinenza di altro soggetto  (come  il  coniuge)
che si ipotizzi a lui collegato. 
    le proprie ragioni nei confronti  dell'ipotesi  accusatoria,  che
sara' conosciuta per la prima volta solo a seguito di  un  atto  gia'
esecutivo, suscettibile di cristallizzarsi se non impugnato entro uno
stretto termine di decadenza». 
    Sotto tale profilo, il caso in esame  e'  esemplare,  poiche'  il
ricorrente  ha  ricevuto  un  invito  di  comparizione  assolutamente
generico, volto a fornire  delucidazioni  relativamente  ad  indagini
bancarie  in  corso,  senza  ulteriori  precisazioni;  pertanto,   ha
prodotto la documentazione ritenuta utile; ma l'amministrazione, dopo
averla esaminata e valutata, senza alcun contraddittorio,  ha  emesso
l'avviso di accertamento con  il  quale  ha  ritenuto  di  sanzionare
proprio quelle operazioni che il ricorrente non aveva ritenuto  fosse
necessario giustificare. 
    Per cui la diversita' di  disciplina  tra  le  varie  ipotesi  di
verifiche fiscali appare sospetta di  incostituzionalita'  alla  luce
degli artt. 3  e  53  della  Costituzione  (in  quanto  la  capacita'
contributiva viene accertata con strumenti differenti scelti in  base
a criteri non razionali). 
    14. Per  tutte  le  ragioni  sopra  esposte,  questa  Commissione
Tributaria  Provinciale  di  Siracusa,  sez.  V,  alla   luce   delle
considerazioni che precedono, considera necessaria la pronunzia della
Corte costituzionale, in riferimento alle questioni  prospettate,  al
fine di decidere la presente controversia. 
    15. Avuto riguardo  al  pregiudizio  grave  ed  irreparabile  che
potrebbe   conseguire   al   ricorrente   dall'esecuzione   dell'atto
impugnato, data la notevole entita' delle somme  oggetto  dell'avviso
di accertamento impugnato, e d'altra  parte,  avuto  riguardo  ad  un
presumibile fumus di fondatezza del ricorso, la  Commissione  ritiene
sussistano i  presupposti  per  disporre  la  sospensione  interinale
dell'atto impugnato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa, sez. V,  visti
l'art. 134 Cost., l'art. 1  della  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23: 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' degli artt. 32, 39, 42 decreto del Presidente della
Repubblica  n.  600/1973  (nella   parte   in   cui   non   prevedono
l'instaurazione  di  alcun  contraddittorio   con   il   contribuente
anteriormente all'emissione di  un  avviso  di  accertamento)  e  12,
settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nella parte in cui
riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con
cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre  di  un
termine   di   sessanta   giorni   per   eventuali   controdeduzioni,
limitatamente all'ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato
un  accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali   destinati
all'esercizio  dell'attivita'»  del   contribuente),   in   relazione
all'art. 117, primo comma, della Costituzione,  nella  parte  in  cui
prevede che la potesta' legislativa sia esercitata  dallo  Stato  nel
rispetto degli obblighi internazionali, quale l'obbligo  assunto  con
l'adesione alla Convenzione EDU, ratificata e posta in esecuzione con
la legge 4 agosto 1955, n. 848; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' degli agli artt. 32, 39, 42 decreto del  Presidente
della Repubblica n.  600/1973  (nella  parte  in  cui  non  prevedono
l'instaurazione  di  alcun  contraddittorio   con   il   contribuente
anteriormente all'emissione di  un  avviso  di  accertamento)  e  12,
settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nella parte in cui
riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con
cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre  di  un
termine   di   sessanta   giorni   per   eventuali   controdeduzioni,
limitatamente all'ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato
un  accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali   destinati
all'esercizio dell'attivita'» del contribuente),  in  relazione  agli
artt. 3, 24, 53 e 111 della Costituzione; 
    dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina   la
trasmissione  di  questa  ordinanza   e   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati  e
del Senato della Repubblica; 
    concede la sospensione cautelare  richiesta  fino  all'esito  del
giudizio di costituzionalita'; 
    riserva al definitivo ogni altra decisione. 
          Siracusa, 26 marzo 2018 
 
                      Il Presidente: Ciccarello 
 
                                               L'estensore: Boscarino