N. 170 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 2018
Ordinanza del 26 marzo 2018 della Commissione tributaria provinciale di Siracusa sul ricorso proposto da L. C. contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Siracusa. Imposte e tasse - Procedimento di accertamento tributario - Mancata previsione di una fase di contraddittorio con il contribuente anteriormente all'emissione dell'avviso di accertamento - Previsione del diritto del contribuente a ricevere copia del verbale di conclusione dell'accertamento e di un termine per eventuali controdeduzioni limitata ai casi in cui l'Amministrazione abbia effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente. - Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), artt. 32, 39 e 42; legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), art. 12, comma 7.(GU n.48 del 5-12-2018 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI SIRACUSA Sezione 5 riunita con l'intervento dei signori: Ciccarello Luciano, Presidente; Boscarino Maria Stella, relatore; Falco Scampitilla Santo, giudice; ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 2292/2010, depositato l'8 giugno 2010, avverso avviso di accertamento n. RJV010100283/2009 IVA+IRPEF+IRAP 2004. Contro Ag. Entrate Direzione Provinciale Siracusa, proposto dal ricorrente L. C., difeso da Antonuccio Antonio, via Senatore G. Maielli, 12 - 96100 Siracusa (SR). Svolgimento del processo 1. Con il ricorso introduttivo, notificato all'Agenzia delle Entrate - ufficio locale di Augusta (Siracusa) il 12 maggio 2010, iscritto al numero 2292/10, il signor L. C., rappresentato e difeso dal dott. Antonio Antonuccio, ricorreva avverso l'avviso di accertamento n. RJV010100283/2009, con il quale, per l'anno di imposta 2004, erano stati accertati ricavi non dichiarati per euro 42.887,00 e, conseguentemente, a seguito della rettifica del reddito dichiarato, era stato intimato il pagamento della complessiva somma di euro 52.851,00, a titolo di maggiore Irpef, addizionale regionale Irpef, contributi previdenziali, lrap ed IVA, oltre sanzioni. L'Agenzia delle Entrate aveva eseguito un'indagine finanziaria a carico del ricorrente invitandolo, con atto notificato il 22 settembre 2009, a giustificare le operazioni bancarie relative all'anno 2004. Il ricorrente aveva prodotto documenti giustificativi. Senza previa instaurazione del contraddittorio circa le conclusioni alle quali era pervenuto l'Ufficio, quest'ultimo aveva notificato l'avviso di accertamento impugnato. Ricevuto tale atto, il ricorrente presentava istanza di accertamento con adesione, ma rimasto tale tentativo infruttuoso veniva proposto il ricorso introduttivo. Con il primo motivo il ricorrente lamentava: la giuridica inesistenza della notifica dell'atto impugnato; con il secondo motivo, dopo aver riepilogato le disposizioni che regolamentano gli accertamenti bancari, il ricorrente lamentava l'illegittimita' dell'accertamento «perche', nei fatti, l'Agenzia delle Entrate ha trasferito nella sede giudiziaria la fase istruttoria» dal momento che «il contraddittorio e' come se non fosse avvenuto»; sotto ulteriore profilo, si lamentava l'insussistenza dei presupposti per un legittimo accertamento bancario; con il terzo motivo di ricorso il ricorrente faceva valere le ragioni di merito relative alla correttezza dei versamenti bancari recuperati a tassazione non tenute presente dell'amministrazione in sede istruttoria; con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, infine, il ricorrente lamentava l'illegittimita' delle sanzioni. Concludeva chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato. 2. In data 9 luglio 2010 si costituiva in giudizio l'Agenzia delle Entrate di Siracusa che difendeva la legittimita' del proprio operato; osservava, al riguardo, quanto al primo motivo di ricorso, che la notifica era stata regolarmente eseguita producendo dell'atto impugnato, inclusa la relata di notificazione, da considerarsi assistita da efficacia probatoria privilegiata, salvo querela di falso. Con riferimento al secondo motivo di ricorso l'Ufficio premetteva di aver aveva notificato il 22 settembre 2009 l'invito a produrre chiarimenti circa le indagini bancarie in corso; a tale comunicazione aveva fatto seguito la produzione da parte dell'interessato della documentazione relativa a parte delle operazioni bancarie, esaminata la quale l'Amministrazione, conclusa l'istruttoria, aveva emesso e notificato l'avviso di accertamento impugnato, recuperando a tassazione i maggiori ricavi determinati in funzione delle operazioni attive le cui causali non erano state riconosciute validamente giustificate. Quanto al secondo profilo fatto valere con tale censura se ne eccepiva l'incomprensibilita'. L'Agenzia, ancora, eccepiva, quanto al terzo motivo di ricorso, che la documentazione prodotta in giudizio risultava tardiva e non poteva assumere valenza probatoria, addebitando al ricorrente la mancata instaurazione di un puntuale contraddittorio pre processuale. Quanto all'ultimo motivo di ricorso deduceva che la pretesa illegittimita' delle sanzioni irrogate discendeva dalla presunta illegittimita' dell'avviso di accertamento, per cui dalla infondatezza dei precedenti motivi di ricorso conseguiva altresi' l'infondatezza dell'ultima censura. Il 26 marzo 2018 le parti insistevano nelle rispettive conclusioni ed esaurita la discussione orale (nel corso della quale l'amministrazione ribadiva di aver correttamente instaurato il contraddittorio la cui eventuale carenza doveva intendersi comunque sanata in esito alla instaurazione della fase della procedura di accertamento con adesione) il ricorso veniva trattenuto in decisione. Ammissibilita' della questione. 3. Come noto, le questioni di legittimita' costituzionale della normativa italiana nella parte in cui non prevede l'instaurazione del contraddittorio (per i tributi non armonizzati) anteriormente all'emissione di un avviso di accertamento, al di fuori delle ipotesi in cui l'amministrazione abbia effettuato un accesso nei locali destinati all'esercizio dell'attivita' di impresa, sollevate da questa Sez. V della commissione tributaria provinciale di Siracusa con ordinanza numero 565/16 del 17 giugno 2016 nonche' dalle CTR della Toscana e della Campania, sono state dichiarate inammissibili con tre ordinanze della Corte costituzionale (nn. 187, 188 e 189 del 13 luglio 2017) per ragioni processuali. Onde prevenire eventuali dubbi circa l'ammissibilita' della questione in relazione ai vari motivi di ricorso, e' opportuno precisare che nessuna delle censure avanzate da parte ricorrente potrebbe autonomamente condurre all'accoglimento del ricorso. Infatti, quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso appare infondato in punto di fatto dall'esame del deposito effettuato dall'amministrazione resistente del provvedimento impugnato munito della relata di notificazione sottoscritta dall'incaricato nonche' dal medesimo ricorrente; dalla documentazione prodotta, avverso la quale nessuna eccezione e' stata sollevata dall'interessato, risulta che la notifica e' stata ritualmente eseguita. Passando al secondo motivo di ricorso, il primo profilo e' quello relativo alla mancata corretta instaurazione del contraddittorio, sulla quale si argomentera' nei successivi capi. Quanto al secondo profilo di censura, con il quale si afferma apoditticamente che mancherebbero i presupposti per un legittimo accertamento bancario, tale censura appare inammissibile, secondo quanto argomentato dall'amministrazione resistente, per genericita'. Con il terzo motivo di ricorso viene sottoposta al vaglio di questo giudice la documentazione che la parte non ha potuto produrre all'amministrazione anteriormente all'emissione dell'avviso di accertamento impugnato. L'amministrazione eccepisce che tale produzione sarebbe tardiva, essendo gia' stato il procedimento concluso, e pertanto inammissibile. La valutazione di tale documentazione (mediante la quale la parte mira a soddisfare la cosiddetta prova della resistenza, dimostrando la sussistenza di argomentazioni che avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del procedimento di verifica qualora l'amministrazione avesse correttamente instaurato il contraddittorio anteriormente all'emissione del provvedimento finale) e' strettamente connessa all'accoglimento del secondo motivo di ricorso per il quale viene proposta la questione di legittimita' costituzionale: infatti, dall'esame della documentazione prodotta in giudizio dall'amministrazione si evince che l'Ufficio ha trasmesso un solo invito al contraddittorio, il 22 settembre 2009, con il quale alla parte veniva richiesto di' presentarsi in ufficio per fornire delucidazioni relativamente ad indagini bancarie anno 2004. Evidentemente, data la vaghezza di tale invito, la parte ha portato con se' e consegnato all'Ufficio tutta la documentazione che ha (autonomamente) ritenuto utile. Ma l'Amministrazione, esaminata la documentazione prodotta dalla parte, ha ritenuto non giustificate le operazioni bancarie attive che il ricorrente non aveva, evidentemente, supposto necessario giustificare, e senza instaurare alcun contraddittorio ha emesso l'atto finale (avviso di accertamento). Il ricorrente, pertanto, e' costretto al deposito in giudizio dei documenti che avrebbero dovuto essere introdotti in una fase antecedente. Pertanto risulta necessario risolvere preliminarmente la questione di legittimita' costituzionale che viene proposta che assorbirebbe l'eccezione di tardivita' ed inamissibilita' della produzione documentale in questione sollevata dall'Ufficio resistente. Non solo. Ma anche a voler esaminare autonomamente il terzo motivo di ricorso, occorre osservare che l'amministrazione resistente eccepisce che la documentazione prodotta in giudizio potrebbe giustificare solo una parte dei movimenti bancari oggetto di contestazione, per cui l'eventuale positiva delibazione di tale profilo di ricorso condurrebbe ad un accoglimento parziale del ricorso. Viceversa, con il secondo motivo, di carattere procedimentale, relativo all'omessa instaurazione del contraddittorio, il ricorrente potrebbe conseguire il travolgimento integrale dell'avviso di accertamento, e pertanto l'esame di tale censura condurrebbe ad un risultato pienamente statisfattivo per la parte. Quanto, infine, all'ultimo motivo di ricorso, al di la' della circostanza che lo stesso e' limitato alle sole sanzioni, comunque anche in questo caso, come eccepito dall'amministrazione, segue la sorte dei precedenti motivi di ricorso. Conclusivamente, non risulta prospettabile (ad un primo esame) la risoluzione della controversia senza la preliminare risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. L'oggetto della controversia e la normativa di riferimento. 4. Diventa, quindi, di cruciale importanza (e determinante ai fini della risoluzione della controversia) chiarire la legittimita' o meno delle disposizioni in materia, nella parte in cui non prevedono alcun contraddittorio nell'ipotesi di accertamenti fiscali usualmente definiti «a tavolino», vale a dire eseguiti presso gli uffici della stessa amministrazione finanziaria, come nel caso in questione. Si tralasceranno le disposizioni in materia IVA (artt. 54 e 55 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633) applicate nel caso in esame, dovendosi condividere l'orientamento della Cassazione SS.UU., decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823 (v. infra), con il conseguente obbligo di disapplicazione delle norme che non prevedono il preventivo contraddittorio, per violazione del diritto eurounitario. Ai fini delle imposte sui redditi gli artt. 38, 39, 40, 40-bis, 41 e 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 disciplinano i diversi tipi di avvisi di accertamento o atti di rettifica e non prevedono obblighi di preventivo contraddittorio con il destinatario dell'accertamento anteriormente all'emissione dell'accertamento (disciplinato dal successivo art. 42). Legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede garanzie, di carattere procedimentale (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facolta' del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell'Ufficio di valutarle; divieto per l'Ufficio di emettere l'avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) che si applicano soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente. Ad eccezione, quindi, di tali ipotesi, la struttura del procedimento in questione, come d'altra parte pacificamente ammesso dalla medesima Agenzia resistente, comporta che, allorquando l'amministrazione finanziaria, d'ufficio, procede ad una verifica fiscale nei riguardi di un contribuente, non ha alcun obbligo, sanzionato a pena di nullita', di innestare un contraddittorio preventivo anteriormente alla conclusione del procedimento di accertamento. L'Ufficio, infatti, puo' formarsi un principio di convincimento del tutto autonomo circa la possibilita' di procedere ad una rettifica, sulla base di una istruttoria gia' compiuta, oppure in attuazione di disposizioni che prevedono meccanismi di tassazione di tipo presuntivo. Puo' accadere, invece, che decida di coinvolgere il contribuente, anche al fine di raccogliere dati ed elementi necessari o utili per la verifica della posizione fiscale, e in tal caso puo' invitare il contribuente (come avvenuto nel caso in questione) a produrre documentazione fiscale. Il contribuente, come detto sopra, a fronte della genericita' dell'invito a comparire per riferire sulla verifica bancaria anno 2004, ha consegnato la documentazione che ha ritenuto utile al fine di illustrare la propria posizione; dopodiche', la successiva fase procedimentale si e' svolta senza alcun contraddittorio ed il risultato e' stato che l'amministrazione ha ritenuto non giustificati proprio i movimenti che la parte non aveva ritenuto utile o necessario documentare. In pratica, l'amministrazione finanziaria, esaminati gli atti e i documenti consegnati dal contribuente, ha adottato le proprie decisioni, provvedendo direttamente ad emettere un atto impositivo, senza previamente informare il contribuente delle conclusioni alle quali fosse pervenuta dopo aver esaminato la documentazione relativa alla sua posizione fiscale. In sostanza, nessuna norma nell'ordinamento tributario impone che, prima di emettere l'avviso di accertamento (atto impositivo), il contribuente debba essere informato. Come si vede, risulta a questo punto irrilevante distinguere le varie ipotesi, cioe' se, nella fase iniziale dell'accertamento d'ufficio, il contribuente sia stato convocato per consegnare documenti, o meno, oppure se sia stato convocato e sia comparso, depositando la documentazione fiscale chiesta; infatti, in ogni caso, quand'anche tale convocazione ci sia stata, l'amministrazione procedente istruisce la pratica in assenza del contribuente, valuta la documentazione eventualmente fornita dall'interessato, dopodiche' assume le proprie decisioni e - senza previamente avvisarne il contribuente - le formalizza nell'avviso di accertamento contenente la contestazione delle violazioni, l'irrogazione delle sanzioni, l'intimazione al pagamento. Avverso tale atto, il contribuente (al netto della eventuale fase della procedura accertamento con adesione, che nel caso in questione, come esposto in premesse, non e' andata a buon fine, e comunque consiste in una fase successiva al perfezionamento del provvedimento finale) puo' soltanto presentare ricorso giurisdizionale (se del caso, a seconda del valore della controversia, nella forma dell'istanza di reclamo-mediazione che vale come ricorso decorso il termine di novanta giorni senza accoglimento dell'istanza o conclusione della mediazione), fermo restando che l'avviso di accertamento, decorsi sessanta giorni dalla notifica, e' titolo esecutivo per la riscossione delle somme indicate. Si deve ulteriormente precisare che nel caso in questione l'avviso di accertamento (come risulta anche dal contesto dell'atto) e' stato emesso ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39 (rubricato «Redditi determinati in base alle scritture contabili»), comma 1, lettera d) (il quale prevede che, per i redditi d'impresa delle persone fisiche, l'ufficio procede alla rettifica «se l'incompletezza, la falsita' o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicita' delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonche' dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'art. 32. L'esistenza di attivita' non dichiarate o la inesistenza di passivita' dichiarate e' desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purche' queste siano gravi, precise e concordanti»). L'istruttoria - come si evince dalla copia dell'invito, prodotto in giudizio dall'Agenzia, ma anche dalle premesse all'avviso di accertamento - e' avvenuta ai sensi dell'art. 32 (che prevede, fra l'altro, l'invito al contribuente a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento). Tale disposizione stabilisce, per quanto qui rileva, che gli inviti e le richieste devono essere notificati ai sensi dell'art. 60. Dalla data di notifica decorre il termine fissato dall'ufficio per l'adempimento, che non puo' essere inferiore a quindici giorni, prorogabile di altri venti. Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile. Come si desume dalla lettura dell'art. 32 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, una volta avviata l'istruttoria (nel caso in questione, a seguito di invito all'interessato alla comparizione per fornire chiarimenti sulle indagini bancarie, ma la disposizione in questione prevede altre modalita' di acquisizione di dati e notizie, in alcuni casi coinvolgendo nella fase iniziale il contribuente, come nell'ipotesi di invio di questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento nei confronti degli stessi contribuenti o nei confronti di altri contribuenti con i quali si siano intrattenuti rapporti, in altri casi senza contatti con il contribuente, mediante acquisizione di dati e notizie presso terzi: si vedano le numerose categorie indicate nel citato art. 32), l'Amm.ne esamina la documentazione acquisita, e, conclusa l'istruttoria, raggiunte le proprie determinazioni, senza alcun previo contraddittorio con il contribuente, provvede all'emissione dell'avviso di accertamento, che comprende, oltre le maggiori imposte accertate, l'irrogazione di sanzioni amministrative, con intimazione ad adempiere; l'atto, decorsi sessanta giorni dalla notifica, e' titolo esecutivo. 5. Nella vicenda in esame da parte di questo Collegio giudicante, le tesi che si fronteggiano sono quella secondo la quale una volta che l'amministrazione finanziaria abbia istruito la pratica, valutato i dati e gli elementi raccolti, e concluso l'istruttoria, pervenendo alle proprie decisioni, prima dell'emissione dell'atto impositivo negativo deve instaurare il contraddittorio con il contribuente, comunicandogli circa le proprie conclusioni ed accordandogli un termine per la presentazione di memorie e documenti avverso le conclusioni negative alle quali l'amministrazione stessa sia pervenuta; e la tesi opposta, secondo la quale l'obbligo di instaurare il contraddittorio con il contribuente prima dell'emissione dell'atto impositivo e' riconosciuto dall'art. 12 dello statuto del contribuente unicamente nell'ipotesi in cui l'attivita' di verifica si sia svolta mediante accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguite nei locali destinati all'esercizio dell'attivita' del contribuente, ma non nell'ipotesi in cui l'accertamento sia stato avviato a seguito dell'iniziativa dell'ufficio senza accesso nei luoghi di residenza del contribuente, nella sede o nei locali dell'impresa. La problematica, dunque, ruota intorno alla necessita' o meno di avvisare il contribuente del fatto che, a conclusione di un'attivita' di controllo eseguita presso gli uffici dell'amministrazione finanziaria, quest'ultima e' pervenuta alla decisione di emettere un atto impositivo. La prevalente giurisprudenza (negli ultimi anni con alcune pronunce dissonanti) e' ferma nell'escludere che le garanzie in tema di contraddittorio assicurate al contribuente sottoposto a verifiche fiscali presso la propria residenza ovvero nella sede o nei locali dell'impresa debbano essere estese ai casi di attivita' di controllo presso gli uffici dell'amministrazione finanziaria. L'operato dell'Ufficio nel presente giudizio risulta, quindi, conforme alla giurisprudenza formatasi sul richiamato art. 12 dello Statuto del contribuente, stante il tenore testuale della norma, limitata alle verifiche fiscali presso il contribuente. Ebbene, tale disposizione, come verra' meglio chiarito in seguito, non appare rispettosa della normativa di seguito indicata, e conseguentemente, questo Collegio giudicante ritiene che la soluzione della presente controversia non possa prescindere dalla sottoposizione delle questioni di legittimita' costituzionale infra indicate. Rilevanza e motivazioni delle questioni sollevate. 6. Nel caso in esame di questa Commissione, il contribuente lamenta che gli e' pervenuto un atto di accertamento istruito e formato dall'amministrazione finanziaria in assenza di alcun contraddittorio. Occorre dare conto delle eccezioni sollevate dall'amministrazione anche in sede di discussione in udienza, sostenendosi che sarebbe sufficiente ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio la partecipazione del contribuente nella fase istruttoria e/o nella fase dell'accertamento con adesione. Questa Commissione deve farsi carico dell'esame di tali eccezioni che potrebbero condurre al rigetto del ricorso rendendo non rilevante la questione di legittimita' costituzionale. Ma la prospettazione dell'Ufficio non puo' essere condivisa, prestando questa Commissione adesione all'orientamento giurisprudenziale espresso dalle seguenti pronunce: S. Corte di cassazione, sentenza n. 2239 del 30 gennaio 2018, la quale afferma che, ai fini del rispetto dell'obbligo di previa instaurazione del contraddittorio, non rilevano le dichiarazioni rese dal contribuente in sede di ispezione, perche' la richiesta di chiarimenti al contribuente concorre alla formazione della valutazione (preventiva rispetto all'emanazione dell'avviso di accertamento) da parte dell'amministrazione finanziaria; applicando tale ragionamento (sebbene espresso in relazione ad altra tipologia di verifica fiscale ma con espressione di un principio generale applicabile anche al caso in esame), la documentazione prodotta dal ricorrente nel corso dell'attivita' istruttoria ha concorso (solo) alla formazione della valutazione da parte dell'amministrazione finanziaria, fase distinta e precedente rispetto alla successiva fase di emanazione dell'avviso di accertamento; Commissione tributaria regionale per la Lombardia, dec. n. 2 del 3 gennaio 2017, secondo la quale in sede di accertamento al di fuori dei locali dell'impresa, solo un atto di chiusura dell'attivita' di controllo consente al contribuente di fornire chiarimenti e documenti che potrebbero condurre l'ufficio a valutare diversamente la posizione del contribuente e adottare un atto di diverso contenuto; S. Corte di cassazione, dec. n. 24003 del 2016, la quale precisa che la violazione del contraddittorio non puo' essere sanata da un confronto postumo, in sede di tentativo (infruttuoso) di accertamento con adesione, «posto che in tal caso l'avviso di accertamento continua essere inficiato dalla patologia genetica derivante dall'omessa attivazione del contraddittorio preventivo». In applicazione di tali precedenti, le eccezioni dell'Ufficio non possono condurre alla reiezione del ricorso (non integrando un valido contraddittorio ne' l'attivita' svoltasi in sede istruttoria con la partecipazione del ricorrente e nemmeno quella svoltasi nella successiva fase dell'accertamento con adesione) e deve quindi essere presa in esame la questione centrale, cioe' se l'Ufficio fosse o meno tenuto, nel caso in questione, ad instaurare il contraddittorio con il contribuente alla fine dell'attivita' valutativa e prima dell'emissione dell'atto finale. Ora, nell'ordinamento giuridico interno non si ravvisa un generalizzato obbligo di contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo di formazione dell'atto fiscale, in quanto le garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dalla legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 si applicano soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente; e non in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell'Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. «verifiche a tavolino»). 7. La prevalente giurisprudenza ha ritenuto che, anche dopo l'entrata in vigore dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000), non sia possibile ritenere esistente un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale: Cassazione, n. 26316/10; con specifico riferimento alla previsione della legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, Cassazione 21391/14, 15583/14, 13588/14, 7598/14, 25515/13, 2360/13, 446/13 16354/12; con riguardo all'avviso bonario previsto, dall'art. 6, comma 5, della predetta legge, in relazione alle cartelle decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex art. 36-bis: Cassazione 12023/15, 8342/12, 7536/11, 795/11. In contrario, Cassazione, ss.uu., 19667/14 e 19668/14, che sviluppano l'argomento di una generalizzata espansione della garanzia del contraddittorio (peraltro in fattispecie diverse da quella in esame), quale espressione di principio immanente all'ordinamento nazionale ed a quello europeo. Si deve osservare che poco prima, Cassazione civile, sez. trib., con decisione del 5 febbraio 2014 n. 2594, in relazione ad una censura di omessa violazione della legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, da intendersi esteso anche ai casi di «istruttoria condotta nella sede dell'Ufficio tributario» (onde non incorrere nel vizio di incostituzionalita'), aveva ritenuto il motivo fondato. Di seguito, le Sez. un., con la decisione 18 settembre 2014, n. 10667, dopo aver premesso che lo statuto del contribuente e' costituito da un complesso di norme la cui precipua funzione e' quella di improntare l'attivita' dell'amministrazione finanziaria alle regole dell'efficienza e della trasparenza, nonche' quella di assicurare l'effettivita' della tutela del contribuente nella fase del procedimento tributario, con norme (quali gli artt. 5, 6, 7, l'art. 10, comma 1, 12, comma 2) che sostanzialmente riproducono alcune delle fondamentali regole dettate dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento in generale, dalle quali «emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimita' nella formazione procedimentalizzata di una "decisione partecipata" mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella "fase precontenziosa" o endoprocedimentale", al cui ordinato ed efficace sviluppo e' funzionale il rispetto dell'obbligo di comunicazione degli atti imponibili», affermavano che «il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell'emanazione di questo, realizza l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall'art. 24 Cost., e il buon andamento dell'amministrazione, presidiato dall'art. 97 Cost.», richiamando al riguardo le sentenze nn. 16412 del 2007 e 26635 del 2009, sempre delle Sezioni Unite. Inoltre, «il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell'adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell'Unione, come afferma - ricordando la propria precedente sentenza del 18 dicembre 2008, in causa C-349/07 Soprope' - la Corte di Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV. ... Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento, afferma la Corte di Giustizia, e' attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonche' il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensi' anche nell'art. 41 di quest'ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Il citato art. 41, par. 2 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo ... Conclude la Corte che in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sara' adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni». Va sottolineato che, pur avendo precisato che l'obbligo in questione, «ad avviso della Corte, incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalita'», le Sezioni poi concludevano nel senso che, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa, l'attivazione del «contraddittorio endoprocedimentale» « ... costituisce un principio fondamentale immanente nell'ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa». Ma successivamente, la Cassazione SS.UU., con decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823, dopo aver premesso che in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria non vi e' coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale (la prima, infatti, prevede il contraddittorio endoprocedimentale, in materia tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda, lo delinea, invece, quale obbligo gravante sull'Amministrazione a pena di nullita' dell'atto non, in via generale, ogni qual volta essa si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, ma, soltanto, in singoli casi), e che tale divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi c.d. «non armonizzati» (in particolare: quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell'Unione europea, e di quelli c.d. «armonizzati» (in particolare: l'Iva), in detta sfera rientranti, ha ulteriormente chiarito che: per i tributi «non armonizzati», l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidita' dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge; ai suddetti tributi, estranei alle competenze dell'Unione, non si applica, invero, il diritto europeo; nel campo dei tributi «armonizzati» (che, inerendo alle competenze dell'Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto) l'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale assume, invece, rilievo generalizzato, se, in mancanza di tale irregolarita', il procedimento «avrebbe potuto comportare un risultato diverso». A tale decisione hanno fatto seguito ulteriori pronunce: C.T. Reg. Firenze 18 gennaio 2016 n. 736/1/15, che ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, settimo comma dello Statuto del contribuente nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni, alle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita'» del contribuente, secondo il «diritto vivente» risultante dalla sentenza 24823/15 delle SS.UU.; Cassazione civile, sez. trib., 20 aprile 2016 n. 7914; in tale giudizio era stata sollevata, con ordinanza n. 24739 del 2013, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 600 cit., che veniva dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 132 del 2015, ritenendosi non contraria a Costituzione la previsione di una sanzione di nullita' per la mera violazione del termine dilatorio di giorni sessanta, quest'ultimo stabilito a favore del contribuente per consentire allo stesso l'esercizio del contraddittorio cosiddetto «endoprocedimentale» o amministrativo o preventivo. La S.C., nel dare atto della decisione delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015 (dalla quale deriva che la disciplina del contraddittorio amministrativo che deve precedere la notifica dell'atto impositivo va distinta a seconda del tributo oggetto di accertamento, cioe' tra tributi «armonizzati» e non), afferma che con tale decisione «e' stata quindi dismessa la soluzione trovata dalle precedenti Sezioni Unite della Corte, che era stata quella di ritenere "immanente" anche nel nostro ordinamento la obbligatorieta' del contraddittorio amministrativo tutte le volte in cui un atto erariale fosse "destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente" (Cass. sez. un. n. 19667 del 2014). Soluzione che avrebbe avuto l'effetto di rendere omogenea la disciplina italiana a quella europea, sotto il fondamentale aspetto del riconoscimento del diritto del contribuente di rappresentare le proprie ragioni prima dell'instaurazione del giudizio e quindi anche nella direzione di una maggiore realizzazione del principio di "buon andamento" della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., comma 2, e che e' norma in tutto omologa alla previsione contenuta nell'art. 41, comma 2, lettera a), Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» e che del resto appariva coerente con la decisione della Corte costituzionale n. 132 cit.; Commissione tributaria regionale di Reggio Emilia (sentenza 5/1/2016 - 16 marzo 2016 n. 59), che, pur dando atto degli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte, afferma il principio che le garanzie poste dall'art. 12, comma 7 dello Statuto prescindono dal luogo in cui e' effettuata la verifica, in quanto la norma tutela la difesa e l'affidabilita' dell'accertamento e non il luogo in cui la verifica viene messa in atto. L'art. 12 da' concreta attuazione agli articoli 97, 53 e 3 della Costituzione, imponendo agli uffici di garantire al contribuente il diritto di partecipare all'accertamento tributario attraverso un vero e proprio contraddittorio pre-accertativo. Diversamente ragionando si realizzerebbe una disparita' di trattamento con fattispecie analoghe, con violazione dei principi costituzionali di imparzialita' e buon andamento della Pa, di capacita' contributiva, della ragionevolezza e del diritto di difesa. D'altra parte, proprio nei casi delle verifiche eseguite in ufficio emerge a maggior ragione l'esigenza del confronto preventivo perche' «il contribuente potrebbe trovarsi a ricevere un accertamento esecutivo per tutta risposta di una produzione documentale - magari effettuata da terzi - o della risposta a un questionario, senza aver potuto mai interloquire con l'ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei confronti dell'ipotesi accusatoria, che sara' conosciuta per la prima volta solo a seguito di un atto gia' esecutivo, suscettibile di cristallizzarsi se non impugnato entro uno stretto termine di decadenza»; Commissione tributaria della Regione Piemonte (sentenza 126/1/2016), che afferma come, non essendo stato concesso il diritto al contraddittorio per l'imposta sul valore aggiunto (tributo armonizzato), la violazione va riconosciuta anche per gli altri tributi, data l'unicita' dei fatti. Tanto piu' che la contribuente aveva prodotto in giudizio documenti che, qualora fossero stati esaminati prima dell'emissione dell'avviso, avrebbero potuto «in linea teorica, se accolti, determinare quanto meno una diversa e minore pretesa tributaria»; nella stessa linea: Commissione tributaria prov.le di Campobasso, dec. numeri 29/2018, 116/2016, 1094/2016; Commissione tributaria della Regione Lombardia, n. 3509/2017, che ritiene il contraddittorio necessario soprattutto per una corretta azione della pubblica amministrazione; Commissione tributaria della Regione Puglia, sentenza 85/2016, secondo la quale, se l'atto impositivo riguarda sia Iva sia altri tributi, gli obblighi procedimentali di contraddittorio preventivo necessari per un legittimo accertamento IVA si estendono anche alle altre imposte; di segno opposto, la sentenza del 22 febbraio 2016 n. 203/5 della Comm. Trib. Reg. per l'Abruzzo, secondo la quale, alla stregua della Cass. S.U. 9 dicembre 2015 n. 24823, va escluso l'obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti «a tavolino» (nel caso in questione originati da controlli bancari). La questione, come si vede, ha registrato contrasti in giurisprudenza. In effetti, nell'ordinamento interno, la previsione della legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non e' fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell'Amministrazione fiscale; quindi, l'Amministrazione non ha alcun obbligo, allorquando si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, di attivare con l'interessato contraddittorio preventivo, pena l'invalidita' dell'atto, ne' in base alle specifiche norme in materia di accertamenti, ne' in base allo Statuto del contribuente, legge n. 212 del 2000, che ha si' previsto garanzie procedimentali, ma solo ed esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente. D'altra parte, la ricostruzione delle SS.UU. di cui alla decisione del 9 dicembre 2015, n. 24823 appare ineccepibile, avuto riguardo alla sfera di operativita' del diritto comunitario. Sicche' gli opposti orientamenti giurisprudenziali di cui si e' dato atto, pur esprimendo l'evidente disagio dell'interprete nel dover seguire il cd. doppio binario, si scontrano contro un dato testuale che appare insuperabile. Le disposizioni di diritto europeo rilevanti ed i relativi precedenti giurisprudenziali. 8. L'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nel garantire il diritto ad una buona amministrazione, prevede che, nell'ambito di tale diritto, va, tra gli altri, ricompreso «il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (cfr. Corte giust. 22 ottobre 2013, in causa C-276/12, Jiri' Sabou; 3 luglio 2014, in causa C-129 e C^130/13, Ramino International Logistics)». Le SS.UU. - dopo aver ricordato che dalle sentenze 3 luglio 2014 (causa C-129 e C/130/13, Ramino International Logistics), 22 ottobre 2013 (causa C-276/12, Jiri Sabou), 18 dicembre 2008 (causa C-349/07, Soprope'), 12 dicembre 2002 (causa C-395/00, Soc. Distillerie Cipriani), 21 settembre 2000 (causa C-462/98 P. Mediocurso c. Commissione), 4 ottobre 1996 (causa C-32/95 c. Lisrestat) emerge il principio generale secondo il quale il rispetto del contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce principio fondamentale dell'ordinamento europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l'Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo, per cui il destinatario del provvedimento teso ad incidere negativamente sui suoi interessi deve essere messo preventivamente in condizione di' manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la propria decisione - hanno tuttavia precisato come tale principio non possa trovare applicazione al di fuori dei casi dei tributi armonizzati. Deve tuttavia esaminarsi la compatibilita' delle disposizioni interne con alcune norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione dispone: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale. Le precedenti disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi oppure di ammende». Afferma la Cassazione civile, sez. trib., 30 giugno 2011, con sent. n. 14362: «Come espresso in diverse occasioni, la Corte ripete che l'art. 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: "la prima norma, esposta nella prima frase del primo paragrafo, e' di natura generale ed enuncia il principio del diritto al rispetto dei beni; la seconda norma, contenuta nella seconda frase del primo paragrafo, riguarda la privazione dei beni a certe condizioni; la terza norma, nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati Contraenti hanno il diritto, tra l'altro, di controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale ... Tali norme non sono "distinte" nel senso che non hanno un legame tra loro: la seconda e la terza norma, relative a particolari casi di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni, devono essere interpretate alla luce del principio contenuto nella prima norma» (cfr. James e altri a Regno Unito, 21 febbraio 1986, Serie A n. 98, che in parte ripete i termini della tesi della Corte in Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, Serie A n. 52, p 24; cfr. anche The Holy Monasteries c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, Serie A n. 301-A; Iatridis c. Grecia GC, n. 31107/96, CEDU 1999-11; e Beyeler c. Italia GC, n. 33202/96, CEDU 2000-1). In particolare - come affermato nel Provvedimento del 29 marzo 2006 Grande Camera, caso: Scordino contro Italia, Ricorso n. 36813/97 -: «L'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve contemperare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunita' e il requisito della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo (cfr. tra altre autorita' Sporrong e Ldnnroth, cit. supra). La preoccupazione di conseguire tale equilibrio si riflette nella struttura dell'Articolo 1, visto nella sua interezza, e che comprende quindi la seconda frase che deve essere letta alla luce del principio generale enunciato nella prima frase. In particolare, deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati ed il fine che si cerca di realizzare con qualsiasivoglia misura applicata dallo Stato, comprese le misure che privano una persona dei suoi beni (cfr. Pressos Campania Naviera S. A. e altri c. Belgio, sentenza 20 novembre 1995, Serie A n. 332; L'ex re di Grecia e altri c. Grecia GC, n. 25701/94; e Sporrong e Lonnroth, city supra).». Ebbene, la mancata previsione di un contraddittorio procedimentale anteriormente all'adozione di un avviso di accertamento che, vuoi per l'entita' delle sanzioni e degli interessi che si aggiungono al maggior reddito accertato, vuoi per la circostanza dell'esecutivita' connessa al titolo (che consente l'avvio della procedura esecutiva e quindi la spoliazione dei beni del contribuente), e' suscettibile di incidere gravemente sulla posizione del contribuente, appare violare il citato necessario rapporto di proporzionalita'. Infatti, avvisare il contribuente dell'imminente emissione di un atto di tal genere, indicando le motivazioni ed assegnando un termine ragionevole (ad es. i sessanta giorni previsti all'art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente), non comporterebbe alcun significativo aggravio per l'attivita' degli uffici. A fronte del quale, l'entita' della pretesa fiscale aggravata dalle sanzioni e' suscettibile di compromettere il diritto al rispetto dei beni alterando il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. Non si puo' non citare, in proposito, la sentenza 16 luglio 2015, C-255/14, con la quale la CGUE si e' pronunciata sul principio di proporzionalita' delle sanzioni che gli Stati membri debbono necessariamente rispettare, in base ai principi generali del diritto dell'UE, anche nei casi in cui manchi una armonizzazione europea delle sanzioni applicabili. La Corte, esaminando la compatibilita' con il diritto dell'UE delle sanzioni ungheresi a tutela degli obblighi dichiarativi in materia valutaria (pari al 60% delle somme in contanti non dichiarate in dogana), ha ribadito che «21. [...] secondo consolidata giurisprudenza della Corte, in mancanza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi tuttavia sono tenuti ad esercitare questa competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalita' (v. sentenze Ntionik e Pikoulas, C-430/05, EU:C:2007:410, punto 53, e Urban, C-210/10, EU:C:2012:64, punto 23). 22 In particolare, le misure amministrative o repressive consentite da una normativa nazionale non devono eccedere i limiti di cio' che e' necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da tale normativa (v. sentenze Ntionik e Pikoulas, C-430/05, EU:C:2007:410, punto 54, nonche' Urban, C-210/10, EU:C:2012:64, punti 24 e 53). 23 In tale contesto, la Corte ha precisato che la severita' delle sanzioni deve essere adeguata alla gravita' delle violazioni che esse reprimono e comportare, in particolare, un effetto realmente deterrente, fermo restando il principio generale della proporzionalita' (v. sentenze Asociaţia Accept, C-81/12, EU:C:2013:275, punto 63, e LCL Le Credit Lyonnais, C-565/12, EU:C:2014:190, punto 45)». Deve quindi concludersi che il canone di proporzionalita', che assurge a principio generale nell'ordinamento comunitario, appare violato dalle previsioni normative in materia di accertamenti sopra richiamate, perche' l'assenza del contraddittorio anteriormente all'emissione di un atto destinato in breve tempo a divenire titolo esecutivo dando luogo all'esproprio dei beni del contribuente concretizza un intervento sproporzionato rispetto ai fini perseguiti. Sicche' lo Stato, attraverso tale previsione, pregiudica in maniera sostanziale la situazione finanziaria dei contribuenti (si veda Imbert de Tremiolles c. Francia e Buffalo Srl en liquidation c. Italia), e in maniera irragionevole, tale da determinare la violazione dell'art. 1 del Prot. 1. 9. Appare parimenti violata anche un'altra disposizione della Convenzione. L'art. 6, primo paragrafo, nell'introdurre il principio dell'equo processo, stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti». Sebbene tale disposizione non contenga alcun esplicito riferimento ai giudizi tributari, tradizionalmente esclusi in quanto non rientranti nel novero dei giudizi civili o penali (cfr. Corte EDU, grande sezione, 12 luglio 2001, ricorso n. 44759/98, Ferrazzini v. Italy), l'esigenza di garanzia processuale che tale norma mira a realizzare deve estendersi anche al giudizio tributario nel quale si faccia valere una pretesa nei confronti dell'Amministrazione finanziaria dinanzi al giudice speciale tributario, come dimostrano alcune aperture della Corte (Corte EDU, 26 marzo 1992, ricorso nn. 11760/85, Editions Periscope v. France; e 23 ottobre 1997, ricorsi n. 21319/93, 21449/93 e 21675/93, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society v. the United Kingdom; decisione sull'ammissibilita' SA Cabinet Diot et Gras Savoye c. France). Soprattutto, la Corte EDU ritiene sussumibili sotto l'art. 6, primo paragrafo (controversie sulla «fondatezza di ogni accusa penale») le controversie che abbiano ad oggetto l'irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, pur di natura amministrativa, sono caratterizzate da una finalita', deterrente e punitiva ad un tempo, che consente di attribuire loro, ai fini dell'applicazione dei principi del giusto processo, natura genericamente penale (Corte EDU, sez. I, 23 luglio 2002, ricorso n. 34619/97, Janosevic v. Sweden, e sez. I, ricorso n. 36985/97, Västberga Taxi Aktiebolag and Vulic c. Sweden). In particolare, con la decisione della Grande sezione del 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01, Jussila v. Finland, la Corte, dato atto dell'impossibilita' di tenere distinte all'interno di un procedimento le parti che riguardano la contestazione delle imposte da quelle che concernono la contestazione delle sanzioni, implica che le regole del giusto processo devono potersi invocare in tutti quei giudizi tributari nei quali sia presente un aspetto sanzionatorio, anche se l'impugnazione necessariamente coinvolga anche l'aspetto attinente alla determinazione dell'imposta. Nel caso Cecchetti c. San Marino (ric. n. 40174/08, 9 aprile 2013) la Corte ha ritenuto applicabile l'art. 6 nel suo aspetto penale in relazione ad una condanna al pagamento di una porzione di tassa non pagata e della relativa sanzione (peraltro estremamente modesta). Conseguentemente, nei giudizi (quale quello in esame) nei quali la contestazione investe sia la pretesa fiscale sostanziale che le sanzioni, la presenza di quest'ultimo profilo di impugnazione consente di invocare le garanzie previste dall'art. 6, primo paragrafo della CEDU. Ora, non puo' non condividersi, in tema di rapporto tra attivita' istruttoria degli uffici e successivo processo tributario, quanto rimarcato dalla C.T. Reg. Firenze, con l'ordinanza 18 gennaio 2016 n. 736/1/15 sopra citata, e cioe' che: «Di fatto, l'istruttoria fiscale e' affidata quasi esclusivamente alla Amministrazione che - ad esempio - raccoglie dichiarazioni di persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono compromettere l'esito del processo ... Di conseguenza, gli "indizi" raccolti dalla Amministrazione svolgono un ruolo decisivo e producono effetti identici a quelli propri di una istruttoria giudiziaria ... Il contraddittorio amministrativo appare dunque strumentale a garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., ed altresi' che le parti processuali si collochino su un piano, se non di compiuta parita', almeno "in condizioni di parita'" di guisa che il processo risulti "giusto", come prescrive l'art. 111 della Costituzione; che si ispira all'art. 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo recepita dall'art. 9 della Costituzione europea; secondo cui "l'Unione aderisce alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali" (e quindi il citato art. 6 e' posto sotto lo "scudo" degli artt. 11 e 117, primo comma Cost.). E appare ovvio che non e' ne' giusto ne' equo un processo in cui le parti non siano poste "in condizione di parita'" ... ... per il processo tributario (ove) e' addirittura escluso che il giudice possa procedere ad una attivita' di acquisizione diretta (o quanto meno con la partecipazione delle parti) delle dichiarazioni di persone informate; e quindi il giudice conosce delle dichiarazioni di costoro solo attraverso i verbali degli accertatori tributari. Afferma infatti la giurisprudenza che "la disposizione contenuta nell'art. 7, quarto comma, decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, secondo cui nel processo tributario non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale, limita i poteri del giudice tributario ma non pure i poteri degli organi di verifica, e pertanto la limitazione vale solo per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, cioe' per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di spcifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio, mentre le dichiarazioni dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative e sono percio' pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento" (Cass. civ., sez. trib., 16 luglio 2014, n. 16223; Cassazione civ., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2916, Cassazione civ., sez. trib., 30 settembre 2011, n. 20032). La sancita impossibilita' che le persone "informate dei fatti" siano udite nell'ambito della procedura contenziosa con le garanzie del contraddittorio, rende necessaria una garanzia nella fase amministrativa in cui le dichiarazioni di queste persone sono raccolte e documentate ... ». Al riguardo, si deve ricordare che la giurisprudenza europea ha spesso affermato il principio che i diritti della difesa sono limitati in modo incompatibile con le garanzie dell'art. 6 quando una decisione si basa, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona «che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare ne' nella fase istruttoria ne' durante il dibattimento (sent. 14 dicembre 1999, A.M. c. Italia; sent. 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia; sent. 9 febbraio 2006, Cipriani c. Italia; sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia)». Infatti, le prove devono essere assunte nel contraddittorio tra le parti; l'art. 6 §§ 1 e 3 d) richiede che il presunto autore dell'illecito abbia un'adeguata e sufficiente occasione per contestare una testimonianza a carico e di interrogarne l'autore (El Haski c. Belgique, n. 649/08, 25 settembre 2012). D'altra parte, con la sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo del 21 febbraio 2008 nel caso «Ravon e altri c. Francia» (ric. n. 18497/03) in tema di perquisizioni domiciliari per verifiche fiscali, si precisa che la possibilita' di tutela cd. differita - pur consentita dall'ordinamento francese mediante l'impugnazione degli atti successivi, del tutto similmente a quanto avviene nell'ordinamento italiano - e' insufficiente ad assicurare una tutela effettiva. 10. Sotto ultimo profilo, deve rimarcarsi come appaia incompatibile con entrambe le disposizioni della Convenzione sopra esaminate la circostanza che il procedimento in questione si concluda, in assenza di contraddittorio, mediante l'emissione di un atto destinato a diventare titolo esecutivo (anche con riferimento alle sanzioni) dopo ristretto lasso di tempo dalla notifica. Occorre ricordare che con le sentenze Janosevic c. Suede (n. 34619/97) e Västberga Taxi Aktiebolag et Vulic c. Suede (n. 36985/97), la Corte ha ritenuto che ne' l'art. 6 ne' altre disposizioni della Convenzione escludono di per se' che delle misure di esecuzione siano adottate prima che le decisioni relative alle maggiorazioni di imposta siano divenute definitive. La Corte, tuttavia, ha sottolineato che, poiche' una tale rapida esecuzione puo' comportare conseguenze gravi per l'interessato, gli Stati sono tenuti a non ricorrere a tali esecuzione se non nei limiti della ragionevolezza, cercando di garantire un corretto bilanciamento tra gli interessi in gioco. Cio' risulta ancora piu' importante nei casi in cui le misure di esecuzione sono state adottate sulla base di decisioni dell'amministrazione finanziaria, ossia ancora prima che un tribunale abbia deciso sulla legittimita' delle maggiorazioni in questione. In proposito, l'interesse finanziario dello Stato, che in principio gode di un peso importante nel bilanciamento tra gli interessi in gioco tenuto conto della necessita' di assicurare l'effettivita' del sistema di imposizione, non possiede la stessa portata nel campo delle maggiorazioni di imposta. Infatti, nonostante tali sanzioni possano costituire somme notevoli, non sono concepite come fonte di finanziamento del sistema ma mirano a fare pressione sui contribuenti affinche' rispettino i loro obblighi di natura fiscale e a punire gli illeciti. Di conseguenza, se da una parte l'interesse finanziario puo' giustificare l'applicazione da parte dello Stato di regole standardizzate e di presunzioni legali (relative) al fine di accertare l'ammontare delle imposte da pagare e delle relative maggiorazioni, dall'altra questo stesso interesse puo' non legittimare, di per se', l'esecuzione immediata delle maggiorazioni di imposta. Ebbene, applicando tali principi alla problematica in esame, ne consegue che viola il prescritto canone di ragionevolezza che un procedimento, svolto in assenza di contraddittorio, si concluda con un titolo esecutivo che, a sua volta, consente di avviare l'espropriazione dei beni del contribuente. Altre disposizioni violate. 11. Per completezza, si deve ricordare che, secondo la C.T.P. di Reggio Emilia (ord. 280/3/2014 del 23 settembre 2014), anche a prescindere dalla certa applicabilita' dell'art. 6 CEDU nelle ipotesi (quale quella in esame) in cui nel processo tributario entrino in gioco anche sanzioni, non importa se qualificate quali penali o amministrative dall'ordinamento interno (Corte E.D.U. 23 novembre 2006, Jussila v . Finlandia), in ogni caso la fonte CEDU impatta egualmente sui processi tributari italiani, attraverso il principio di eguaglianza e la portata generale dell'art. 111 della Costituzione. Riguardo quest'ultima disposizione, deve ribadirsi come l'acquisizione di elementi di prova nel corso dell'istruttoria presso gli unici dell'amministrazione finanziaria, in carenza di contraddittorio, e' suscettibile di pregiudicare un'efficace difesa da parte del contribuente nella successiva fase processuale, con conseguente compromissione del principio della parita' delle armi, e quindi del «giusto processo» di cui all'art. 111 della Costituzione, la cui applicazione al processo tributario e' indubbia. Sotto altro profilo, occorre rilevare che l'assenza di un pieno contraddittorio nella fase amministrativa comporta, nella migliore delle ipotesi, uno spostamento del contraddittorio stesso nella fase processuale, tanto da poter determinare un irragionevole ampliamento dei tempi di durata del processo, finendo col vulnerare il canone fondamentale tutelato dall'art. 6 CEDU e dall'art. 111 Cost. Le questioni sollevate. 12. Essendo il contrasto tra le norme nazionali (nella parte in cui non prevedono l'instaurazione di alcun contraddittorio con il contribuente anteriormente all'emissione di un avviso di accertamento) e quelle convenzionali insuperabile in sede interpretativa, in ragione sia della lettera delle disposizioni che dell'interpretazione delle Sezioni Unite sopra riferita, che costituisce diritto vivente, si evidenzia l'insanabile conflitto delle norme di cui agli artt. 32, 39, 42 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 e 12) Statuto del contribuente con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede che la potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali, quale l'obbligo assunto con l'adesione alla Convenzione EDU, ratificata e posta in esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Infatti, l'assenza di contraddittorio nella fase immediatamente precedente all'adozione dell'avviso di accertamento viola sia l'art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, per le ragioni sopra evidenziate (irragionevole compressione dei beni privati al di fuori del canone di proporzionalita'), sia l'art. 6 della Carta, attesa la compromissione della posizione del contribuente non solo nell'ambito del procedimento ma anche nella successiva fase processuale e/o determinandosi (posticipando il contraddittorio nella fase processuale) un irragionevole ampliamento dei tempi di durata del processo. Di fronte a tale dubbio il giudice e' tenuto a risolvere il contrasto sollevando apposita questione di legittimita' costituzionale della disposizione di legge, in ragione del noto principio piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui le norme della Convenzione, cosi' come interpretate dalla Corte di Strasburgo, assumono rilevanza nell'ordinamento interno quali norme interposte, assumendo esse un'efficacia intermedia tra legge e Costituzione, idonea a dare corpo agli «obblighi internazionali» costituenti parametro normativo cui l'art. 117, primo comma, Cost. ricollega l'obbligo di conformazione (v. Ad. Plen. n. 2 del 2015). 13. Altresi' e' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle medesime disposizioni per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 111, 117 della Costituzione, per come sopra ampiamente argomentato. Infatti, come gia' affermato nell'ordinanza di rimessione della CTR di Firenze del 18 gennaio 2016 n. 736/1/15, il contraddittorio amministrativo appare strumentale a garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., ed altresi' che le parti processuali si collochino, su un piano se non di compiuta parita' almeno «in condizioni di parita'» di guisa che il processo risulti «giusto», come prescrive l'art. 111 della Costituzione; disposizione, quest'ultima, che osta altresi' a qualunque ipotesi di ingiustificabile dilatazione dei tempi del processo, che consegue inevitabilmente allo spostamento in sede giurisdizionale del contraddittorio tra contribuente ed amministrazione che dovrebbe invece svolgersi nella appropriata sede amministrativa. A sua volta, l'art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto al contraddittorio nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita'» del contribuente, appare parimenti sospetto di incostituzionalita'. Come condivisibilmente affermato dalla CTR di Firenze, nella piu' volte citata ordinanza di rimessione, «il particolare regime delle operazioni di accertamento a seguito di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita' del contribuente appare infine irragionevolmente discriminatorio in relazione a quei contribuenti che non hanno subito accesso o verifica nei locali. Alcuni hanno diritto al contraddittorio altri no in relazione al fatto - in se' non pertinente - di aver subito una ispezione. Ne' e' del tutto persuasiva la contro obiezione: "ma se c'e' stata l'ispezione vi e', o puo' essere, l'acquisizione di dati e documenti non forniti dal contribuente stesso; mentre se i dati sono stati forniti dal contribuente in fondo c'e' una sorta di contraddittorio preventivo". L'osservazione non copre infatti la gamma intera delle possibili circostanze di fatto. Se viene redatto un accertamento a carico di un soggetto in base a documenti di pertinenza di un altro imprenditore, reperiti in un accesso nella azienda di quest'ultimo, il primo contribuente nulla sa (rectius potrebbe sapere) e si vede piovere addosso magari all'improvviso un accertamento esecutivo. E qualcosa di simile accade ove un accertamento venga emanato sulla base di documenti forniti da terzi (cosi' come accaduto per la "lista Falciani"); o di dati bancari ricavati da un conto neppur direttamente riconducibile al contribuente, ma di pertinenza di altro soggetto (come il coniuge) che si ipotizzi a lui collegato. le proprie ragioni nei confronti dell'ipotesi accusatoria, che sara' conosciuta per la prima volta solo a seguito di un atto gia' esecutivo, suscettibile di cristallizzarsi se non impugnato entro uno stretto termine di decadenza». Sotto tale profilo, il caso in esame e' esemplare, poiche' il ricorrente ha ricevuto un invito di comparizione assolutamente generico, volto a fornire delucidazioni relativamente ad indagini bancarie in corso, senza ulteriori precisazioni; pertanto, ha prodotto la documentazione ritenuta utile; ma l'amministrazione, dopo averla esaminata e valutata, senza alcun contraddittorio, ha emesso l'avviso di accertamento con il quale ha ritenuto di sanzionare proprio quelle operazioni che il ricorrente non aveva ritenuto fosse necessario giustificare. Per cui la diversita' di disciplina tra le varie ipotesi di verifiche fiscali appare sospetta di incostituzionalita' alla luce degli artt. 3 e 53 della Costituzione (in quanto la capacita' contributiva viene accertata con strumenti differenti scelti in base a criteri non razionali). 14. Per tutte le ragioni sopra esposte, questa Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa, sez. V, alla luce delle considerazioni che precedono, considera necessaria la pronunzia della Corte costituzionale, in riferimento alle questioni prospettate, al fine di decidere la presente controversia. 15. Avuto riguardo al pregiudizio grave ed irreparabile che potrebbe conseguire al ricorrente dall'esecuzione dell'atto impugnato, data la notevole entita' delle somme oggetto dell'avviso di accertamento impugnato, e d'altra parte, avuto riguardo ad un presumibile fumus di fondatezza del ricorso, la Commissione ritiene sussistano i presupposti per disporre la sospensione interinale dell'atto impugnato.
P.Q.M. La Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa, sez. V, visti l'art. 134 Cost., l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 32, 39, 42 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (nella parte in cui non prevedono l'instaurazione di alcun contraddittorio con il contribuente anteriormente all'emissione di un avviso di accertamento) e 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni, limitatamente all'ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita'» del contribuente), in relazione all'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede che la potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali, quale l'obbligo assunto con l'adesione alla Convenzione EDU, ratificata e posta in esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli agli artt. 32, 39, 42 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (nella parte in cui non prevedono l'instaurazione di alcun contraddittorio con il contribuente anteriormente all'emissione di un avviso di accertamento) e 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni, limitatamente all'ipotesi in cui la Amministrazione abbia «effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita'» del contribuente), in relazione agli artt. 3, 24, 53 e 111 della Costituzione; dispone la sospensione del presente giudizio e ordina la trasmissione di questa ordinanza e degli atti alla Corte costituzionale; ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; concede la sospensione cautelare richiesta fino all'esito del giudizio di costituzionalita'; riserva al definitivo ogni altra decisione. Siracusa, 26 marzo 2018 Il Presidente: Ciccarello L'estensore: Boscarino