N. 195 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2018

Ordinanza del 18 gennaio 2018 del Tribunale di Catanzaro sul  ricorso
proposto da Intrieri Maria Emilia contro Regione Calabria. 
 
Enti locali - Norme della Regione Calabria - Garante per l'infanzia e
  l'adolescenza - Indennita' di funzione. 
- Legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del
  difensore civico presso la Regione Calabria), art. 9, primo  comma,
  come sostituito dall'art. 1 della legge regionale 6 aprile 2011, n.
  13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985,
  n. 4). 
(GU n.4 del 23-1-2019 )
 
                       TRIBUNALE DI CATANZARO 
                      (Seconda sezione civile)  
 
    Il Giudice, dott.ssa Carmen Ranieli, a scioglimento della riserva
assunta all'udienza dell'11 gennaio 2018, ha pronunciato la  seguente
ordinanza ex art. 23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  nella  causa
iscritta al n. 22 del Ruolo Generale  degli  Affari  Contenziosi  del
2017; 
    Tra Intrieri Maria Emilia (c.f.: NTRMML55A41D122R), elettivamente
domiciliata in Cosenza, via  Panebianco  n.  343,  presso  lo  studio
dell'avv.  Michele  Filippelli,  che  la  rappresenta  e  difende  in
giudizio, giusta procura in calce al ricorso ex art. 702-bis  c.p.c.;
- attrice; 
    Contro Regione Calabria, in persona del Presidente  della  Giunta
Regionale  pro  tempore,  elettivamente  domiciliata  in   Catanzaro,
localita'  Germaneto  (Cittadella  Regionale),  presso   gli   uffici
dell'Avvocatura Regionale, rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Paolo
Falduto, giusta  procura  generale  alle  liti  rilasciata  con  atto
pubblico rogato in data 2 aprile  2015  dal  notaio  Rocco  Guglielmo
(Rep. 153.618)  e  decreto  del  Dirigente  dell'Avvocatura  n.  3850
dell'11 aprile 2017; - convenuta. 
 
                           Fatto e diritto 
 
Il petitum: 
    La decisione della controversia  indicata  in  epigrafe  comporta
l'applicazione dell'art. 9 della legge regionale della  Calabria  del
16 gennaio 1985, n. 4 (recante la determinazione  dell'indennita'  di
funzione e  delle  indennita'  accessorie  del  Difensore  civico  in
Calabria) - in quanto richiamato dall'art. 3, comma  5,  della  legge
regionale 12 novembre  2004,  n.  28  in  materia  di  indennita'  di
funzione, rimborso spese  e  trattamento  di  missione  spettanti  al
Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Regione Calabria - come
sostituito dall'art. 1 della legge regionale del 6  aprile  2011,  n.
13, recante  «Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge  regionale  16
gennaio 1985,  n.  4»,  pubblicata  sul  Bollettino  Ufficiale  della
Regione n. 6 del 1° aprile 2011, Supplemento Straordinario n.  2  del
13 aprile 2011 ed in vigore dal giorno successivo. 
    Infatti, la fattispecie in esame e' regolata dall'art.  3,  comma
5, L.R. sul Garante per l'Infanzia, che cosi'  dispone:  "Al  garante
per l'infanzia e l'adolescenza spettano indennita'  di  finzione,  il
rimborso spese ed il trattamento di missione  nella  misura  prevista
per il difensore civico, dall'art. 9 della legge regionale 16 gennaio
1985, n. 4: «Istituzione  del  difensore  civico  presso  la  Regione
Calabria».". 
    A sua volta, l'art.  9  L.R.  sul  Difensore  civico,  nel  testo
originario vigente al momento di instaurazione del rapporto di durata
dedotto in causa, era cosi' formulato: 
      «Al difensore civico spetta la  indennita'  di  finzione  nella
misura stabilita per i consiglieri regionali. 
    Al difensore civico che non risieda nella sede  del  Consiglio  o
della Giunta regionale spetta, inoltre, per ogni viaggio compiuto per
l'espletamento delle sue funzioni in tali  sedi,  un  rimborso  spese
nella misura di un quinto del costo di un litro di benzina super  per
ogni chilometro di distanza dalla  localita'  di  residenza  sommando
andata e ritorno, con riferimento al percorso ferroviario, o misto in
caso  di  collegamento  automobilistico.  Tale  rimborso  non  spetta
qualora  il  Consiglio  regionale,  su   proposta   dell'Ufficio   di
Presidenza, deliberi di porre a disposizione del difensore civico  in
via permanente, un'autovettura di servizio. 
    In  caso  di  trasferta  in  localita'  diversa  dalla  sede  del
Consiglio o della Giunta, spetta al difensore civico  il  trattamento
di missione previsto per i consiglieri regionali. 
    Alla liquidazione delle indennita' e dei rimborsi spese di cui al
presente articolo provvede  l'Ufficio  di  Presidenza  del  Consiglio
regionale.». 
    La stessa norma, nella sua  versione  attuale,  ratione  temporis
applicabile alla fattispecie in esame - per  quanto  si  evidenziera'
infra - cosi' dispone: 
      «1. Al Difensore civico spetta il 25% dell'indennita' fissa  di
finzione stabilita per i Consiglieri regionali; 
      2.  L'Ufficio  di  Presidenza  del   Consiglio   regionale   e'
autorizzato  a  disciplinare  contenuti   limiti   e   modalita'   di
corresponsione  delle  indennita'  accessorie  (missioni  e  rimborsi
spese) spettanti al Difensore civico, fermo rimanendo che le missioni
dovranno essere autorizzate, di volta in volta,  dal  Presidente  del
Consiglio e  che  non  compete  indennita'  di  missione  e  rimborso
chilometrico nell'ambito del territorio regionale». 
    Sennonche', per effetto delle modifiche introdotte con la L.R. n.
13 del 2011, a far data dal 14 aprile 2011 l'indennita'  di  funzione
del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e' stata decurtata del  75
percento rispetto a quanto spettante fino al  giorno  precedente;  al
medesimo non competono piu', entro l'ambito  regionale,  il  rimborso
chilometrico (prima previsto nella misura di un quinto del  costo  di
un litro di benzina super  per  ogni  chilometro  di  distanza  dalla
localita' di  residenza  alla  sede  del  Consiglio  o  della  Giunta
Regionale) e il trattamento di  missione  in  caso  di  trasferta  in
localita' diversa dalla sede del  Consiglio  o  della  Giunta  (prima
previsto nella stessa misura stabilita per i  consiglieri  regionali)
mentre, in ambito extraregionale, la determinazione  della  misura  e
delle modalita' di  corresponsione  delle  indennita'  accessorie  e'
rimessa all'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale,  salva  la
necessita' di autorizzazione (prima non necessaria)  delle  trasferte
da parte del Presidente del Consiglio. 
    Accantonati i dubbi di legittimita' costituzionale che  anche  il
secondo comma  della  citata  norma  susciterebbe  e  che  pero'  non
risultano rilevanti ai fini della  decisione  della  controversia  in
esame, dubita invece questo Giudicante che, nella  parte  in  cui  si
applichi anche ai rapporti in corso alla data della stia  entrata  in
vigore, il comma 1 dell'art. 9 della legge regionale 16 gennaio  1985
n. 4 - in  quanto  richiamato  dall'art.  3,  comma  5,  della  legge
regionale 12 novembre 2004, n. 28 - contrasti  con  il  principio  di
tutela  del  legittimo  affidamento  nella  certezza   dei   rapporti
giuridici e il parametro della ragionevolezza di cui agli articoli  3
Cost. e 117, primo comma, Cost., in relazione quest'ultimo all'art. 1
del Protocollo n. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (d'ora  in  avanti  «CEDU»),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848, perche', venendo a modificare in  peius,
senza   un'inderogabile   esigenza,   in   maniera   improvvisa    ed
imprevedibile ed in misura eccessiva e  sproporzionata,  l'indennita'
di  funzione  in  precedenza  spettante  al  Garante,  violerebbe  il
legittimo  affidamento  riposto  dal  Garante  gia'  in  carica   nel
mantenimento del trattamento indennitario  previsto  al  momento  del
conferimento del ruolo. 
    Occorre pertanto, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953,  n.
87, sospendere il giudizio e disporre la trasmissione immediata degli
atti alla Corte costituzionale, specificando quanto segue  in  ordine
alla  rilevanza  della  questione   ed   alla   sua   non   manifesta
infondatezza. 
 
                   Sulla rilevanza della questione 
 
a) La ricostruzione della fattispecie in esame. 
    Maria Emilia Intrieri e' stata nominata Garante per l'Infanzia  e
l'Adolescenza per la Regione Calabria con decreto del Presidente  del
Consiglio Regionale della Calabria n. 46 del 22 dicembre 2010, figura
istituzionale istituita con legge regionale 12 novembre 2004, n.  28,
mai in precedenza nominata. 
    In  data  7  gennaio  2011,  la  Intrieri  accettava   l'incarico
affidatole, per la durata della legislatura fino al 21 maggio 2015. 
    Sussistendo la  situazione  di  incompatibilita'  prevista  dalla
lett. d) del comma 3 dell'art. 3 della legge istitutiva del  Garante,
rivestendo la Intrieri - al momento  della  nomina  a  Garante  -  la
carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione  del  Consorzio
per la Promozione della Cultura e degli Studi Universitari di Crotone
S.c.p.a (societa' a partecipazione  pubblica),  la  Regione  Calabria
sospendeva  la   corresponsione   dell'indennita'   per   la   carica
sopraggiunta fino alla rimozione  della  causa  di  incompatibilita',
facendo applicazione  analogica  dell'art.  93,  comma  3,  del  TUEL
(decreto legislativo n. 267/2000). 
    Sennonche', in data 24 marzo  2011,  la  Intrieri  rassegnava  la
dimissioni dalla carica di Presidente e  componente  del  C.d.A.  del
menzionato Consorzio, per le quali percepiva un  emolumento  pari  ad
euro 1.800,00 mensili, optando per l'indennita'  di  funzione  allora
prevista per il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza. 
    A quella data, infatti, la legge (art. 3, comma 5, L.R. n. 28 del
2004 in combinato disposto con l'art. 9 L.R. n. 4 del 1985) prevedeva
che l'indennita' di funzione del Garante fosse commisurata  a  quella
fissa dei consiglieri regionali (stabilita a sua volta  dall'art.  1,
comma 1, lettera e), L.R. 14 febbraio 1996, n. 3) e, percio', pari ad
euro 9.362,91 mensili, ridotti ad euro 8.348,00 a  decorrere  dal  1°
gennaio 2012. 
    Medio tempore, tuttavia, a  decorrere  dal  14  aprile  2011,  e'
intervenuta la legge regionale  6  aprile  2011,  n.  13,  contenente
modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4,
che - in particolare per quel che qui rileva - ha modificato l'art. 9
citato sull'indennita' di funzione del Difensore civico e, di rimando
in  virtu'  del  richiamo  normativo  suindicato,  del  Garante   per
l'Infanzia e l'Adolescenza, riducendola  al  25  percento  di  quella
fissa prevista per i consiglieri regionali, ovvero ad  euro  2.087,00
mensili. 
    Nel marzo del 2012 veniva corrisposta alla Intrieri  l'indennita'
annuale (per il periodo marzo 2011 - marzo 2012) calcolata sulla base
della normativa sopravvenuta e complessivamente pari ad € 28.712,92. 
    A decorrere dal 1° gennaio  2013,  per  effetto  della  riduzione
apportata  dalla   L.R.   10   gennaio   2013,   n.   1   all'entita'
dell'indennita' fissa del  consigliere  regionale  (rideterminata  in
euro 5.100,00), il  compenso  mensile  spettante  al  Garante  si  e'
ridotto proporzionalmente ad euro 1.275,00. 
    Contestando l'importo della indennita' corrisposta dalla  Regione
Calabria e deducendo la lesione delle caratteristiche  proprie  della
figura del Garante, nonche' la privazione di  un  diritto  soggettivo
gia' acquisito al momento dell'accettazione dell'incarico  e  per  il
quale aveva dovuto rinunciare ad altri diritti, la Intrieri ha  adito
questo Tribunale, con ricorso ex art. 702-bis  c.p.c.  depositato  in
data 3 gennaio 2017, chiedendo che, in applicazione dell'art. 9  L.R.
n. 4/1985 nel  testo  vigente  all'epoca  del  conferimento  e  della
accettazione dell'incarico, la Regione fosse condannata al  pagamento
delle somme illecitamente trattenute, pari complessivamente  ad  euro
249.901,20, oltre interessi,  rivalutazione  monetaria  e  contributi
previdenziali. 
    In punto di diritto, la ricorrente ha lamentato la violazione del
principio tempus regit actum di cui all'art.  11  delle  Disposizioni
sulla legge in generale, sostenendo che - in  virtu'  di  esso  -  la
modifica apportata dalla L.R. n. 13  del  2011  alla  disciplina  sul
trattamento economico del  Garante  per  l'Infanzia  e  l'Adolescenza
della Calabria non avrebbe potuto applicarsi al Garante  nominato  in
costanza della vecchia normativa, ma solo a  chi  sarebbe  subentrato
nell'incarico sotto la vigenza della nuova legge. 
    Ha allegato, all'uopo, una sentenza del TAR Veneto (decisione del
31 gennaio 2013, n. 111) che, in una vicenda analoga, ha annullato un
provvedimento  della  Regione   Veneto   -   adottato   per   effetto
dell'entrata in vigore  di  una  legge  successiva  alla  nomina  del
Presidente dell'Ufficio di Protezione e Pubblica Tutela  dei  Minori,
che modificava sfavorevolmente  il  regime  economico  in  essere  al
momento del conferimento dell'incarico  -  sul  presupposto  che,  in
virtu'  del  principio  generale  tempus  regit   actum,   la   norma
sopravvenuta dovesse essere  applicata  alle  fattispecie  successive
alla sua entrata in vigore, mentre quella precedente, ormai abrogata,
dovesse continuare ad aver vigore nei riguardi di  tutti  i  rapporti
nati prima dell'abrogazione stessa ed ancora pendenti. 
    L'amministrazione convenuta ha resistito in  giudizio,  eccependo
in via pregiudiziale l'incompetenza del Giudice Civile in favore  del
Giudice  del  Lavoro  e,  conseguenzialmente  alla  prima  eccezione,
l'incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore  di  quello
di Reggio Calabria.  Nel  merito,  ha  dedotto  l'infondatezza  della
avversa domanda, in virtu' dell'art. 2, comma 1, L.R. n. 13/2011, che
prevedeva espressamente l'entrata in vigore della nuova disciplina il
giorno successivo a quello della sua  pubblicazione  sul  BURC  ed  a
fronte della mancanza di alcuna disposizione transitoria che  facesse
decorrere l'efficacia della norma sull'indennita' dal  momento  della
prima nomina di Difensore civico (e, quindi, di  Garante)  successiva
all'entrata in vigore della stessa. 
    In particolare, la resistente ha evidenziato di avere  pienamente
rispettato il principio di irretroattivita' della legge, erroneamente
interpretato dalla ricorrente, provvedendo ad  adeguare  l'indennita'
spettante alla medesima solo per le mensilita' successive all'entrata
in vigore delle modifiche apportate dalla normativa  di  riferimento,
trattandosi di un rapporto di durata. 
    In realta' - occorre precisarlo - dal prospetto  riportato  nella
memoria  di  costituzione  della  Regione  emerge  che   l'indennita'
corrisposta alla ricorrente  e'  stata  liquidata  sulla  base  della
normativa sopravvenuta con decorrenza dal 24 marzo 2011, quindi anche
anteriormente all'entrata in vigore  della  novella  (avvenuta  -  si
ripete - in data 14 aprile 2011). 
b) La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    Ebbene,  innanzitutto  va   osservato   che   la   questione   di
costituzionalita' che si va sollevando con la presente  ordinanza  e'
rilevante per la decisione della fattispecie in esame atteso  che  le
eccezioni      pregiudiziali      di      incompetenza      sollevate
dall'Amministrazione  resistente  sono  state  ritenute  infondate  e
superate con  ordinanza  del  16  dicembre  2017,  depositata  il  19
dicembre 2017, le cui motivazioni si trascrivono per il principio  di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione (cfr. Corte  Cost.  ord.
n. 122 del 2015): «ritenuta  infondata  l'eccezione  sollevata  dalla
Regione resistente di incompetenza funzionale del  Giudice  adito  in
favore del Giudice del Lavoro, atteso che la nomina del  Garante  per
l'infanzia e l'adolescenza della Regione  Calabria  si  fonda  su  un
potere affidato al Consiglio regionale direttamente dalla legge (art.
3 cit.), che connota il rapporto non in termini di pubblico  impiego,
ma di servizio onorario: tale rapporto  non  rientra,  quindi,  nello
schema del lavoro subordinato, ne' in quello del lavoro autonomo,  la
nomina venendo unicamente a determinare l'attribuzione  di  pubbliche
funzioni,  promanante   da   una   scelta   discrezionale   di   alta
amministrazione,  e  conseguentemente  il   contingente   inserimento
funzionale, per un periodo determinato, di  un  organo  straordinario
nella struttura dell'ente. 
    Ritenuta  conseguentemente   infondata   anche   l'eccezione   di
incompetenza territoriale del Tribunale di Catanzaro  in  favore  del
Tribunale di Reggio Calabria, non trovando applicazione  il  disposto
dell'art. 413, comma 5, c.p.c., esulando la presente controversia  da
quelle relative a rapporti di lavoro alle dipendenze delle  pubbliche
amministrazioni». 
    Con la medesima ordinanza e'  stato  disposto  il  mutamento  del
rito,  da  sommario  in  ordinario  di  cognizione,   in   osservanza
dell'orientamento di legittimita' secondo cui «Qualora, nel corso  di
un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui
all'art. 702-bis codice procedura civile, insorga  una  questione  di
pregiudizialita' rispetto  ad  altra  controversia,  che  imponga  un
provvedimento di  sospensione  necessaria,  ai  sensi  dell'art.  295
codice procedura civile, o venga invocata l'autorita' di una sentenza
resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai  sensi  dell'art  337,
secondo comma, codice procedura civile,, si determina  la  necessita'
di un'istruzione non sommaria e, quindi, il  giudice  deve,  a  norma
dell'art. 702-ter, terzo comma, codice procedura civile, disporre  il
passaggio  al  rito  della  cognizione  piena.   Ne   consegue   che,
nell'ambito del  rito  sommario,  e'  illegittima  l'adozione  di  un
provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 codice  procedura
civile o dell'art.  337,  secondo  comma,  codice  procedura  civile»
(Cass., ord. 2 gennaio 2012, n. 3; conf. Cass., ord. 24 ottobre 2014,
n. 22605; Id., 27 ottobre 2015, n. 21914; Id., 30  gennaio  2017,  n.
2272). 
    Cio' premesso, ad avviso del Giudice rimettente, la norma di' cui
si dubita  deve  senza  dubbio  essere  applicata,  nella  sua  nuova
formulazione, al caso di specie, in  cui,  invero,  non  si  pone  un
problema di applicazione retroattiva di una legge sopravvenuta. 
    Occorre distinguere, infatti, tra  una  retroattivita'  in  senso
proprio, che si avrebbe qualora la nuova legge agisse  sugli  effetti
passati di un  fatto  compiuto  sotto  la  legge  precedente,  e  una
retroattivita'  soltanto  apparente,  in  cui  la  nuova   norma   e'
immediatamente applicabile agli effetti attuali di  situazioni  sorte
sotto la normativa anteriore, senza per  questo  essere  retroattiva,
purche' non incida sul fatto generatore. 
    In base a questa impostazione,  deve  ritenersi  che  insensibili
allo ius superveniens siano solamente quei fatti e rapporti che hanno
spiegato tutti i loro effetti e si sono esauriti sotto l'impero della
norma vecchia, non anche quelli che devono produrre  o  continuare  a
produrre i loro effetti nel tempo in cui  non  vige  piu'  la  regola
sotto il cui impero sorsero o si formarono. Mentre per i  primi  -  i
c.d. rapporti esauriti - si sono gia' realizzati non  soltanto  tutti
gli elementi costitutivi della fattispecie ma anche tutti gli effetti
ad essa ricondotti nel vigore della norma del passato, per i  secondi
si tratta di ipotesi diversa in cui si sono realizzati unicamente gli
elementi costitutivi della  fattispecie,  ma  non  gli  effetti,  che
continuano a prodursi finendo per rientrare  sotto  il  vigore  della
nuova norma, la quale ben puo' incidere su di essi senza  per  questo
violare il principio di irretroattivita' delle leggi. 
    In  altri  termini,  si  ha  retroattivita'  soltanto   apparente
nell'ipotesi di applicazione immediata della legge nuova agli effetti
di un rapporto non esaurito, come quello dedotto nel caso oggetto  di
esame. 
    Pertanto, non  sussistendo  disposizioni  transitorie  nel  corpo
normativo della legge regionale n.  13  del  2011  che  postdatassero
l'efficacia della nuova disciplina sul trattamento  indennitario  del
Garante per l'Infanzia dal  momento  della  prima  nomina  successiva
all'entrata in vigore della stessa, appare ineludibile l'applicazione
immediata della normativa sopravvenuta anche al  rapporto  in  corso,
per gli  effetti  che  si  sarebbero  ancora  dovuti  produrre,  come
conseguenza diretta del regime di successione delle norme  giuridiche
nel tempo. 
    Tirando le fila di quanto sin qui illustrato, la rilevanza  della
proponenda  questione  di   legittimita'   costituzionale   si   puo'
sintetizzare nei termini che seguono. 
    L'art. 9, comma 1 della legge regionale  della  Calabria  del  16
gennaio 1985, n. 4, come modificato dall'art. 1 della legge regionale
del 6 aprile 2011, n. 13 e in combinato disposto con l'art. 3,  comma
5, della legge regionale del 12 novembre 2004, n. 28, stabilisce  che
al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Calabria - nominando
o gia' in carica - spetta il 25  percento  dell'indennita'  fissa  di
funzione stabilita per i Consiglieri regionali. 
    In ragione della norma oggetto dei dubbi di legittimita', allora,
si dovrebbe ritenere che, a  partire  dall'entrata  in  vigore  della
normativa sopravvenuta, all'attrice Intrieri spettasse il trattamento
indennitario  ridotto  ut  sopra;  pertanto,  la  domanda  giudiziale
proposta dalla medesima, di  condanna  della  Regione  Calabria  alla
corresponsione del trattamento nella misura prevista dall'art. 9 L.R.
n. 4/1985 nella formulazione vigente all'atto della nomina,  dovrebbe
essere inesorabilmente rigettata. 
    Al contrario, laddove la norma venisse dichiarata illegittima, si
applicherebbe al caso di specie la normativa precedente  per  cui  la
domanda non potrebbe che trovare accoglimento. 
Sulla non manifesta infondatezza della questione: 
    L'applicazione della normativa sopravvenuta al rapporto di cui si
tratta, sorto anteriormente alla sua entrata in vigore ma  ancora  in
corso  al  momento  della  sua  vigenza,  frustra  -  ad  avviso  del
rimettente e per le modalita' con cui e' stato  operato  in  concreto
l'intervento legislativo  -  il  legittimo  affidamento  riposto  dal
soggetto  interessato  dalla  modifica  (l'odierna   attrice)   nella
continuita' del precedente trattamento indennitario. 
    Il  principio  del  legittimo  affidamento  nella  sicurezza  dei
rapporti  giuridici  costituisce  estrinsecazione  dei  principi   di
uguaglianza  e  ragionevolezza  presidiati  dall'art.  3  Cost.,  che
recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono  eguali
davanti alla' legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione,  di  opinioni  politiche,  di  condizioni  personali  e
sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico  e  sociale,  che,  limitando  di  fatto  la   liberta'   e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana e l'effettiva  partecipazione  di  tutti  i  lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». 
    La Corte costituzionale e' stata chiamata piu' volte ad  indicare
i limiti entro i quali il legislatore puo' emanare  disposizioni,  le
quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari  la
disciplina dei  rapporti  di  durata,  senza  stridere  col  predetto
precetto costituzionale. 
    Invero, il legislatore non puo'  considerarsi  totalmente  libero
nell'esercizio del suo potere di innovare anche in senso peggiorativo
l'ordinamento attraverso nuove statuizioni, sussistendo al  contrario
dei limiti derivanti dalla contrapposta esigenza  di  certezza  delle
regole e di  stabilita'  delle  posizioni  soggettive  gia'  sorte  e
consolidate nel tempo sulla base della disciplina precedente. 
    Dall'analisi delle relative pronunce in materia emerge un  quadro
giurisprudenziale sufficientemente preciso. 
    In piu' occasioni la  Corte  si  e'  premurata  di  affermare  la
centralita' dell'esigenza di  certezza  del  diritto  -  intesa  piu'
specificatamente come bisogno di tutela dei rapporti preteriti -  tra
i valori riconosciuti  dal  nostro  ordinamento,  «essendo,  sia  nel
diritto pubblico che in quello  privato,  la  certezza  dei  rapporti
preteriti (anche se non definiti in  via  di  giudicato,  transazione
ecc) uno dei cardini della tranquillita' sociale e del vivere civile»
(ex plurimis, Corte cost. 4 aprile 1990, n. 155). 
    Cio' e' coinciso con il  processo  di  emersione  del  principio,
connesso  alla  certezza  del  diritto   e   denominato   di   tutela
dell'affidamento, che  viene  in  gioco  per  tutelare  le  posizioni
sostanziali sorte sotto il vigore di  una  precedente  normativa,  ma
colpite da successive modifiche in  peius  operate  dal  legislatore,
senza che assuma specifico e necessario  rilievo  il  problema  della
retroattivita' della disciplina sopravvenuta. 
    Fin dal loro primo emergere nella giurisprudenza  costituzionale,
i principi di irretroattivita' e di tutela del legittimo  affidamento
si sono delineati infatti come distinti e  costitutivamente  diversi,
operando il primo come criterio cardine di  disciplina  dei  rapporti
della successione di norme nel tempo, il secondo invece come criterio
di tutela nel tempo delle situazioni giuridiche sostanziali  in  nome
di esigenze di equita' e giustizia. 
    L'esito e' stato che la Corte costituzionale e' pervenuta, cosi',
a riconoscere espressamente il principio  del  legittimo  affidamento
come   autonomo   parametro   di   valutazione   della   legittimita'
costituzionale   di   disposizioni   (piu'   o   meno   propriamente)
retroattive. 
    La giurisprudenza costituzionale fornisce importanti  indicazioni
sulle condizioni che debbono sussistere perche' possa  effettivamente
riscontrarsi  una  lesione  del  legittimo  affidamento  e,   dunque,
l'illegittimita' della  norma  sopravvenuta  incidente  su  posizioni
soggettive preesistenti. 
    E' stato, infatti, affermato  che,  in  materia  di  rapporti  di
durata - tra cui  va  annoverato  quello  oggetto  della  fattispecie
concreta - «non si puo' discorrere di un affidamento legittimo  nella
loro immutabilita'» (Corte cost. n. 127 del 2015; cosi', anche, Corte
cost. n. 274 del 2015, n. 1 del 2011, n. 74 del 2008, n. 234 del 2007
e n. 209 del 2010). 
    In altre parole, tutto cio' che non puo' dirsi  esaurito  non  e'
sufficiente a fondare un legittimo affidamento tale da resistere allo
ius superveniens peggiorativo. Sennonche', nella sentenza n.  56  del
2015 (ove sono citate anche le sentenze n. 302 del 2010, n. 236 e  n.
206 del 2009 e l'ordinanza n. 31 del 2011), la Corte ha affermato che
«Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, il  valore  del
legittimo affidamento riposto nella  sicurezza  giuridica  trova  si'
copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non  gia'  in  termini
assoluti  e  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la   posizione
giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve  risultare
adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per  un  periodo
sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento. Per  altro  verso,  interessi  pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico  limite
della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico perseguiti. Con la conseguenza che «non e' affatto
interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano  a
modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei
rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi  sia  costituito  da
diritti soggettivi perfetti»,  unica  condizione  essendo  «che  tali
disposizioni  non   trasmodino   in   un   regolamento   irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto.». 
    Ma  gia'  una  prima  compiuta  enunciazione  del  principio  del
legittimo affidamento, nei medesimi termini  di  cui  sopra,  si  era
avuta con la pronuncia n. 349 del 1985 in materia pensionistica,  ove
la Corte ha affermato appunto che,  pur  non  essendo  interdetto  al
legislatore   di   emanare   disposizioni   le   quali    modifichino
sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di  durata,  anche  se  il
loro oggetto sia costituito da diritti  soggettivi  perfetti,  «dette
disposizioni pero', al pari di qualsiasi  precetto  legislativo,  non
possono trasmodare in un regolamento  irrazionale  e  arbitrariamente
incidere sulle  situazioni  sostanziali  poste  in  essere  da  leggi
precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino  nella
sicurezza  giuridica,  che  costituisce   elemento   fondamentale   e
indispensabile dello Stato di diritto». 
    Nella successiva sentenza n. 416 del  1999  e'  ribadito  che  al
legislatore ordinario, fuori della materia  penale,  non  e'  inibito
emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione  pero'  che  la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul   piano   della
ragionevolezza e non  si  ponga  in  contrasto  con  altri  valori  e
interessi costituzionalmente protetti. Tra  questi  viene  annoverato
«l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che [...]  non
puo' essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino  in
un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti». 
    E' stato, peraltro, ritenuto che lo scrutinio  di  ragionevolezza
dell'intervento normativo sia da compiere, non su un piano  astratto,
ma valutando la modificazione subita  dai  rapporti  intaccati  dalla
disposizione  intertemporale  denunciata,  onde  evitare   «che   una
generalizzata esigenza di contenimento della finanza  pubblica  possa
risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente,  legittimata
a determinare la compromissione di diritti maturati o la  lesione  di
consolidate  sfere  di  interessi,   sia   individuali,   sia   anche
collettivi» (Corte cost. n. 92 del 2013). 
    Ancora, per le sentenze nn. 23 e 71 del 2015, in ambiti connotati
da  ampia  discrezionalita'  del   legislatore,   lo   scrutinio   di
ragionevolezza impone alla Corte di «verificare che il  bilanciamento
degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione  di
uno di essi in misura  eccessiva  e  pertanto  incompatibile  con  il
dettato costituzionale.  Tale  giudizio  deve  svolgersi  "attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella stia insindacabile discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988)». 
    La decisione n. 192 del 2015 ha, altresi', chiarito che «in  sede
di giudizio di legittimita' costituzionale, la ragionevolezza  di  un
intervento legislativo ha da essere apprezzata anche  alla  luce  del
contesto normativo in cui avviene e delle condizioni che,  di  fatto,
caratterizzano  la  materia  e  il  settore  sui  quali  e'   operato
l'intervento stesso». 
    Non sono mancate, poi, pronunce della  Corte  costituzionale,  in
tema di mutamenti normativi e di tutela  del  legittimo  affidamento,
che hanno preso in considerazione l'esigenza di tutela  di  posizioni
consolidate anche a fronte di interventi peggiorativi  valevoli  solo
de futuro, pur se incidenti su rapporti di durata gia' in  essere  e,
quindi,  riconducibili  alla  categoria  della  retroattivita'   c.d.
apparente (in cui rientra il caso di specie). 
    E' il caso, ad esempio, degli interventi  legislativi  che  hanno
modificato  in  senso  peggiorativo  la  disciplina  dei  canoni   di
concessione per utilizzo  di  beni  pubblici,  sospettati  di  ledere
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza dei  rapporti  giuridici,
essendo prevista l'incidenza dei nuovi criteri di determinazione  dei
canoni concessori anche sui rapporti in corso. Dalla pronuncia n. 264
del 2005 resa dalla Corte in subiecta materia, emerge una particolare
attenzione dei Giudici per la tutela  delle  posizioni  incise  dalla
normativa  sopravvenuta,  laddove   si   osserva   che   l'intervento
legislativo modula comunque il suo  impatto  secondo  modalita',  non
irragionevoli,  di  temperamento  degli  effetti  sul   rapporto   di
locazione in corso, sia diversificando gli incrementi  in  base  alla
consistenza  del  reddito  dei   conduttori,   sia   prevedendo   la'
possibilita'  di  recedere  dal  rapporto  stesso,  sia   consentendo
l'adempimento in piu' soluzioni. In sostanza, la previsione da  parte
del legislatore di misure volte ad attenuare  l'impatto  dell'entrata
in vigore della nuova disciplina rendeva la normativa sopravvenuta di
applicazione  non  necessariamente  immediata  a  tutti  i   rapporti
preesistenti,  dato  che  la  sua  operativita'  non  risultava   ne'
improvvisa ne' estemporanea, sfuggendo in tal guisa alle  censure  di
incostituzionalita'. 
    Il percorso argomentativo utilizzato  dalla  Corte  viene  meglio
esplicitato in altre pronunce in cui i Giudici, partendo dal  rifiuto
della invocata  pretesa  ad  «una  specie  di  immodificabilita'  del
sistema  tariffario»,  valorizzano  l'elemento  della  prevedibilita'
della modifica introdotta dal legislatore quale ragione per escludere
la lesione di un legittimo affidamento, ispirandosi espressamente  ai
principi elaborati in sede europea dalla Corte di Giustizia,  secondo
cui la mutazione dei rapporti di durata  deve  ritenersi  illegittima
quando incide sugli stessi  «in  modo  improvviso  e  imprevedibile»,
senza  che  lo  scopo   perseguito   dal   legislatore   ne   imponga
l'intervento:  cosi',  nella  sentenza  n.  302  del  2010  la  Corte
costituzionale rileva che la variazione dei criteri  di  calcolo  dei
canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, «non e' frutto  di
una  decisione  improvvisa  ed  arbitraria  del  legislatore,  ma  si
inserisce  in  una   precisa   linea   evolutiva   della   disciplina
dell'utilizzazione dei beni demaniali»; analogamente, nella  sentenza
n. 64 del 2014, riguardante la modifica  dei  canoni  di  concessione
idrica, la Corte, richiamando espressamente la sentenza  n.  302  del
2010 e la  giurisprudenza  della  Corte  di  Giustizia,  esclude  che
«l'effetto  dell'aumento  del  canone  prodotto  dalla   disposizione
legislativa censurata sia giunto inaspettato» in  considerazione  del
dato storico della reiterazione nel tempo  dell'intervento  normativo
sospettato di illegittimita' costituzionale, adottato  per  la  prima
volta nel 2000 e successivamente confermato nel 2004. 
    Ed  invero,  nell'ambito  della  giurisprudenza  della  Corte  di
Giustizia, il principio del legittimo  affidamento  assume  connotati
non strettamente connessi ad interventi propriamente retroattivi  dal
momento che con esso viene inteso, piu' in generale, il principio  in
virtu' del quale gli amministrati  devono  poter  contare,  in  buona
fede, sul mantenimento di una situazione giuridica a loro  favorevole
di  fronte  ad  una  sua  modifica  improvvisa   che   non   potevano
ragionevolmente    aspettarsi    o    qualora    il     comportamento
dell'istituzione abbia fatto sorgere nell'interessato  un'aspettativa
ragionevolmente fondata (cfr. sentenze CGE 29 aprile  2004  in  cause
riunite C-487/01 e C-7/02.; 15 luglio 2004 in cause riunite C-37/02 e
C-38/02; 4 ottobre 2007 in causa C-2I7/06; 14 giugno  2011  in  causa
C-360/09). 
    Ulteriori elementi di valutazione messi in  rilievo  dalla  Corte
costituzionale possono essere evidenziati attraverso recenti sentenze
relative ad interventi del  legislatore  in  materia  di  trattamenti
economici del pubblico impiego (cfr. Corte cost. n. 310 del 2013 e n.
219 del 2014). 
    In dette pronunce,  la  Corte  ha  innanzitutto  giustificato  la
legittimita'  dell'intervento   legislativo   diretto   a   congelare
uniformemente delle  progressioni  stipendiali  evidenziando  che  le
disposizioni censurate non modificano il meccanismo  di  progressione
economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in
un arco temporale maggiore e ritenendo pertanto che esse «superano il
vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio  di  spesa
[...] e per un periodo di tempo limitato» (Corte cost. n.  310/2013).
Cio'  che  acquista  rilievo  nelle  sentenze  da  ultimo  citate  e'
l'ammissibilita' di  una  modifica  introdotta  dal  legislatore  che
incida sulle posizioni soggettive  in  considerazione  della  ridotta
entita' del  sacrificio  imposto  ai  soggetti  interessati,  sia  in
termini quantitativi che temporali. 
    Ed ancora, con la sentenza del 27 giugno 2012, n. 166, in materia
di incompatibilita' tra lavoro part-time del  dipendente  pubblico  e
attivita' di avvocato, in relazione  alla  presunta  lesione  inferta
all'asserito  affidamento  dei  dipendenti  pubblici  part-time  gia'
legittimamente  iscritti  all'albo  degli  avvocati,   la   Corte   -
richiamando il principio costantemente ribadito secondo cui il valore
del legittimo affidamento riposto  nella  sicurezza  giuridica  trova
copertura  costituzionale  nell'art.  3  Cost.,  ma  non  in  termini
assoluti e inderogabili - conferma, da un lato, che «la fiducia nella
permanenza nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve
essere consolidata, dall'altro [che] l'intervento normativo incidente
su di esso deve risultare sproporzionato». 
    In considerazione di cio',  la  Corte,  concentrando  la  propria
attenzione sulle disposizioni transitorie contenute nella  disciplina
contestata e volte a tutelare le posizioni sostanziali e  i  rapporti
gia' in essere, si esprime nel  senso  che  il  descritto  regime  di
tutela, lungi dal  tradursi  in  un  regolamento  irrazionale  lesivo
dell'affidamento maturato  dai  titolari  di  situazioni  sostanziali
legittimamente sorte sotto l'impero della normativa  previgente,  «e'
da  ritenere  assolutamente  adeguato  a  contemperare  la   doverosa
applicazione del divieto generalizzato reintrodotto  dal  legislatore
per l'avvenire (con effetto, altresi',  sui  rapporti  di  durata  in
corso) con le  esigenze  organizzative  di  lavoro  e  di  vita»  dei
soggetti interessati. 
    Emerge,  dunque,  da  tale  pronuncia  come  il  criterio   della
proporzionalita' dell'intervento sopravvenuto deve poter  soddisfare,
insieme, l'esigenza di adattamento e di  cambiamento  connaturata  ai
rapporti di' lungo periodo e quella del  minor  sacrificio  possibile
imposto agli operatori interessati. Sotto questo profilo, un  rilievo
decisivo per il riconoscimento di tutela dell'affidamento e'  assunto
dalla  offensivita'   della   lesione,   ossia   dalla   gravita'   e
definitivita' del pregiudizio apportato  alle  posizioni  consolidate
degli operatori dalle nuove disposizioni. 
    Analogamente, la sentenza n. 272 del 2015 ha specificato  che  il
test di proporzionalita' «richiede di valutare se la norma oggetto di
scrutinio, con la misura e le modalita'  di  applicazione  stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (sentenza
n. 1 del 2014)». 
    La riscontrata lesione del principio  del  legittimo  affidamento
ha, infine, determinato o concorso a determinare le  declaratorie  di
illegittimita' costituzionale contenute nelle sentenze nn. 216 e  260
del 2015. 
    La sentenza  n.  216/2015  -  dopo  avere  rammentato  che,  «con
riguardo alla fissazione del  termine  di  prescrizione  dei  singoli
diritti», «il legislatore gode di ampia discrezionalita', con l'unico
limite   dell'eventuale   irragionevolezza,   qualora   "esso   venga
determinato in modo da  non  rendere  effettiva  la  possibilita'  di
esercizio del diritto cui si riferisce, e di  conseguenza  inoperante
la tutela voluta accordare al cittadino leso"» - ha  sanzionato  come
irragionevole e  lesivo  del  principio  di  tutela  dell'affidamento
l'art. 26 del decreto-legge n. 201  del  2011  che,  in  deroga  alla
precedente   legislazione   regolante    l'introduzione    dell'euro,
disponeva, «al dichiarato fine di ridurre  il  debito  pubblico»,  la
prescrizione anticipata, rispetto al termine decennale dalla data  di
cessazione del corso legale della lira (spirato il 28 febbraio 2012),
e con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione  e  dunque
del diritto di convertire in euro le relative banconote e  monete,  e
stabiliva  il  versamento  del  loro  controvalore  all'entrata   del
bilancio statale per essere riassegnato al Fondo  per  l'ammortamento
dei titoli di Stato. Il Collegio ha  osservato  che  il  preesistente
quadro legislativo  era  tale  da  far  «sorgere  nei  possessori  di
banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine
fino alla sua prevista scadenza decennale»;  e  che  il  lungo  tempo
trascorso senza alcuna modifica dell'originario assetto normativo  ha
reso ancora «piu' evidente il carattere certamente consolidato  della
posizione giuridica dei possessori di banconote in lire e della  loro
legittima aspettativa a convertirle in  euro  entro  il  termine  che
sarebbe  venuto  a  scadenza  il  28  febbraio  2012  e  tanto   piu'
censurabile l'improvviso intervento del legislatore». 
    Quanto  alla  sentenza  n.  260  del  2015,  essa  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  40,  comma  1-bis,   del
decreto-legge n. 69 del 2013 nella parte in cui, interpretando l'art.
3, comma  6,  primo  periodo,  del  decreto-legge  n.  64  del  2010,
prevedeva che alle fondazioni lirico -  sinfoniche,  fin  dalla  loro
trasformazione in soggetti di diritto privato (23 maggio  1998),  non
si applicassero le disposizioni sulla stabilizzazione del rapporto di
lavoro  come  conseguenza  della   violazione   delle   norme   sulla
stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. I  Giudici
hanno riscontrato la lesione dell'«affidamento dei  consociati  nella
sicurezza giuridica», «corroborato da un assetto normativo  risalente
(...) e da una  giurisprudenza  (...)  che  la  legge  interpretativa
consapevolmente ribalta, ripercuotendosi sui giudizi in  corso  e  su
vicende non ancora definite». 
    Volendo  sintetizzare  le  indicazioni   cosi'   complessivamente
fornite  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  si  deve   anzitutto
registrare come dalla Corte venga  ancora  considerato  determinante,
per  l'emergere  di  un  problema  di   affidamento,   il   carattere
retroattivo o meno della normativa esaminata: il fatto stesso di  non
essere propriamente retroattiva opera come una sorta  di  presunzione
di legittimita' della stessa,, che puo' essere superata solo  ove  si
dimostri che il trattamento introdotto  dal  legislatore  incide  sui
rapporti in corso in modo irragionevole. In tale ipotesi, la verifica
di ragionevolezza del regime giuridico sopravvenuto va fondata su tre
profili: la prevedibilita' della modifica  peggiorativa  imposta,  la
proporzionalita' con  cui  essa  incide  sulle  posizioni  giuridiche
preesistenti e la previsione di norme transitorie, che  rendano  meno
traumatico il passaggio dalla precedente normativa  a  quella  nuova,
cosi' consentendo ai  soggetti  interessati  di  adeguarsi  allo  ius
superveniens senza subirne un pregiudizio eccessivo. 
    Anche la Corte di Strasburgo si e'  espressa  in  piu'  occasioni
mostrando  di  tenere  in  grande  considerazione  il  principio  del
legittimo affidamento di fronte a norme sopravvenute, con particolare
riferimento ai casi in cui l'intervento normativo ha comportato per i
ricorrenti  conseguenze  negative  di   carattere   patrimoniale   in
violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. 
    L'art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU recita: «Ogni
persona fisica o giuridica ha diritto  al  rispetto  dei  suoi  beni.
Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa  di
utilita' pubblica e nelle  condizioni  previste  dalla  legge  e  dai
principi  generali  del  diritto  internazionale.   Le   disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di  mettere
in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso
dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare  il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.». 
    Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  della  Corte  EDU,   al
concetto  di  proprieta'  (il   testo   della   convenzione   ricorre
all'espressione «diritto al rispetto dei suoi beni») e' riconducibile
anche quello di aspettativa legittima  (esperance  legitime)  purche'
«il  titolare  dimostri  che  essa  ha  una   base   sufficientemente
riconosciuta dal  diritto  interno»  (cfr.  Prince  Hans-Adam  II  de
Liechtenstein c. Germania, 12.07.2001; Gratzinger et Gratzingerova c.
Repubblica Ceca, 10.07.2002 e Maurice c. France, 6.10.2006). 
    Seguendo questa interpretazione la Corte e' arrivata, ad  esempio
nel  caso  Agrati  e  altri  c.  Italia  (sent.  7  giugno  2011),  a
considerare  come  illegittima  ingerenza   quella   realizzata   dal
legislatore italiano con la legge finanziaria del 2006, ritenendo  in
particolare  che  i  ricorrenti  fossero  titolari  di  un  interesse
patrimoniale configurabile come la legittima aspettativa di  ottenere
il pagamento delle somme controverse,  riconoscendo  quindi  a  detta
aspettativa  il  carattere  di  «bene»  ai  sensi  dell'art.  1   del
Protocollo n. 1. 
    A questo punto,  nell'accertare  se  tale  ingerenza  legislativa
dello Stato perseguisse uno scopo legittimo, vale a dire se  esisteva
una «causa di pubblica utilita'» tale da giustificare  le  privazioni
della proprieta' privata, come previsto  dall'art.  1,  par.  2,  del
Protocollo n. 1, la Corte ha rammentato che, in linea  di  principio,
il  solo  interesse  finanziario  dello   Stato   non   consente   di
giustificare l'intervento retroattivo  di  una  legge  di  convalida,
dimostrando in tal modo di  nutrire  numerosi  dubbi  sul  fatto  che
l'ingerenza nel rispetto  dei  beni  dei  ricorrenti  rispondesse  ad
esigenze d'interesse generale. 
    Ad ogni modo, la Corte ha ricordato che l'ingerenza  nel  diritto
al rispetto dei beni deve  garantire  un  giusto  equilibrio  tra  le
esigenze dell'interesse generale della  comunita'  e  gli  imperativi
della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo e che deve
esistere un ragionevole rapporto  di  proporzionalita'  tra  i  mezzi
impiegati e lo scopo perseguito da qualsiasi misura  privativa  della
proprieta'. 
    In conclusione, la Corte ha sostenuto che l'adozione dell'art.  1
della  legge  finanziaria  del  2006  ha  effettivamente  gravato   i
ricorrenti  di  un  «onere  anomalo  ed  esorbitante»,   considerando
l'attacco portato ai loro beni sproporzionato. Pertanto ha dichiarato
la violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU. 
    Come noto, a seguito delle c.d. sentenze gemelle n. 348 e 349 del
2007, la Corte costituzionale ha riconosciuto alle norme della  CEDU,
nel significato loro  attribuito  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, la natura  giuridica  di  «norme  interposte»,  capaci  di
integrare il parametro costituzionale espresso dall'art.  117,  primo
comma, Cost., nella parte in  cui  impone  il  rispetto  dei  vincoli
derivanti dagli obblighi' internazionali. 
    Pertanto, la norma qui censurata violerebbe, in  uno  all'art.  3
Cost., anche l'art. 117, primo comma, Cost. e il parametro interposto
di cui all'art. 1 del Protocollo n.  1  CEDU,  atteso  che  nel  caso
all'attenzione  di  questo  Giudicante  non  appaiono  rispettate  le
condizioni  e  le  modalita'  attraverso  cui  il  legislatore   puo'
correttamente   operare   le   modifiche   in   senso    peggiorativo
dell'ordinamento e  appare  conseguentemente  lesa  la  posizione  di
affidamento dell'attrice. 
    Ed invero, giova considerare  innanzitutto,  quanto  al  contesto
normativo in cui si e' inserita la modifica in discorso, che sin  dal
2004 (anno di istituzione della figura del Garante per  l'Infanzia  e
l'Adolescenza per  la  Calabria),  il  trattamento  indennitario  del
Garante e' rimasto immutatamente parametrato a  quello  previsto  con
legge regionale n. 4 del 1985 per il Difensore civico  (a  sua  volta
parametrato, per oltre un venticinquennio, a quello  previsto  per  i
consiglieri regionali) e pertanto, se pure la  modifica  e'  di  poco
successiva al conferimento dell'incarico all'attrice, essa  comunque,
dal momento dell'accettazione, nutriva una ragionevole fiducia  nella
permanenza nel tempo  di  quel  consolidato  assetto,  si'  che  puo'
ritenersi che  la  modifica  in  peius  prodotta  dalla  disposizione
legislativa censurata sia giunta inaspettata. 
    In secondo luogo, l'applicazione immediata ed incidente anche sul
rapporto in corso della riduzione  dell'indennita'  di  funzione  del
Garante appare frutto di una decisione improvvisa  ed  imprevedibile,
che non si giustifica con la  sola  esigenza  di  contenimento  della
finanza pubblica. 
    Tanto piu' che il legislatore regionale non  ha  previsto  alcuna
misura volta ad attenuare  l'impatto  dell'entrata  in  vigore  della
nuova disciplina sul rapporto in corso. 
    Conseguentemente, l'intervento normativo  incidente  su  di  esso
risulta assolutamente sproporzionato, sol che si consideri che: 
      - non sono state previste norme transitorie; 
      - e' stato imposto un sacrificio eccessivo, non solo in termini
economici (per  l'abbattimento  ex  abrupto  dell'indennita'  del  75
percento), ma anche tenuto conto delle circostanze di fatto  e  delle
limitazioni   concretamente   sussistenti    per    lo    svolgimento
dell'incarico di Garante per l'Infanzia. 
    Ed invero, l'art. 3, comma 3, della legge istitutiva (L.R. n.  28
del 2004) prevede che: 
      «Sono incompatibili con l'incarico di cui al comma 1: 
        a) i membri del Parlamento, i Ministri, i Consiglieri  e  gli
Assessori regionali, provinciali e comunali, e i  titolari  di  altre
cariche elettive; 
        b) i Direttori  generali,  sanitari  e  amministrativi  delle
Aziende USL e delle aziende ospedaliere regionali; 
        c)  i  coordinatori  della  rete  dei  servizi  degli  ambiti
territoriali di cui all'art. 8, comma 3, lettera  a)  della  legge  8
novembre 2000, n. 328: «Legge-quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali»; 
        d) gli amministratori di enti pubblici, aziende  pubbliche  o
societa' a partecipazione  pubblica,  nonche'  gli  amministratori  o
dirigenti di enti, imprese o associazioni che  ricevono  a  qualsiasi
titolo contributi dalla Regione e/o da altri enti pubblici; 
        e) i segretari regionali, provinciali e locali di partiti, di
movimenti politici e di organizzazioni sindacali.». 
    Il successivo  quarto  comma,  nel  testo  originario,  stabiliva
altresi': «L'incarico e' inoltre incompatibile  con  qualsiasi  altra
attivita'   lavorativa,   anche    libero    professionale,    ovvero
rappresentativa, e puo' essere revocato per gravi e comprovati motivi
di ordine morale.». 
    E'  utile  osservare  che  la  predetta  disposizione  e'   stata
modificata dall'art. 1, comma 1, L.R. 23  novembre  2016,  n.  36,  a
decorrere  dal  25  novembre  2016  (ai  sensi  di  quanto  stabilito
dall'art. 3, comma 1, della medesima legge) - successivamente  quindi
alla scadenza del mandato dell'attrice - prevedendo  attualmente  che
«L'incarico  e',  inoltre,  incompatibile  con  lo   svolgimento   di
attivita' lavorative  che  determinino  situazioni  di  conflitto  di
interessi rispetto alla carica ricoperta e puo' essere  revocato  per
gravi e comprovati 'nativi di ordine morale.». 
    E'  da  notarsi,  dunque,  come,  in  costanza  di   assolvimento
dell'incarico da parte della odierna attrice, sussistesse  un  regime
di incompatibilita' assoluta del Garante con qualsiasi altro incarico
e/o attivita' lavorativa pubblici e/o  privati  -  tant'e'  che  ella
dovette dimettersi da Presidente del Consiglio di Amministrazione di'
una societa' consortile pubblica (per cui riceveva uno  stipendio  di
euro 1.800,00 mensili) e che non  percepi'  l'indennita'  di  Garante
fino alla rimozione della causa di incompatibilita' - regime  ora  in
parte attenuato per effetto delle modifiche apportate al quarto comma
della citata disposizione dalla legge n. 36 del 2016, modifiche che -
se introdotte contestualmente alla riduzione dell'indennita' nel 2011
- avrebbero potuto costituire misure di  temperamento  degli  effetti
della normativa sopravvenuta sul rapporto in corso idonee  a  rendere
l'intervento legislativo non irragionevole. 
    In conclusione, e' avviso di questo Giudice rimettente che, ferma
restando la liberta' del legislatore  regionale  di'  distinguere  le
indennita', originariamente equivalenti,  spettanti  al  Garante  per
l'Infanzia e al Difensore  civico,  da  un  lato,  e  ai  consiglieri
regionali, dall'altro, e di  valutarne  separatamente  l'adeguatezza,
non poteva tale discrezionalita' spingersi,  senza  il  rispetto  dei
limiti   di   cui    sopra    (ragionevolezza,    prevedibilita'    e
proporzionalita'),  fino   ad   incidere   anche   sulle   situazioni
sostanziali poste in essere dalla legge precedente, frustrando  cosi'
l'affidamento  del   cittadino   nella   sicurezza   giuridica,   che
costituisce elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto. Ne consegue che non e' manifestamente  infondato  il  dubbio
che la norma in oggetto violi il principio del legittimo  affidamento
come declinato dalla  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e
della  Corte  EDU,  dovendo  cosi'  essere  dichiarata  dalla   Corte
costituzionale illegittima. 
    Non   sembra,   d'altro   canto,   possibile   che,    attraverso
un'interpretazione     adeguatrice     e     costituzionalmente     e
convenzionalmente orientata,  la  norma  investita  dai  dubbi  possa
essere diversamente intesa, attribuendole  un  significato  tale  che
essa non vada ad esplicare i suoi effetti  sull'incarico  di  Garante
per l'Infanzia e l'Adolescenza in corso al momento della sua  entrata
in vigore. 
    Ne' e' consentita un'applicazione  in  via  diretta  della  norma
convenzionale in luogo di quella nazionale, con essa non compatibile,
atteso che, diversamente  dal  diritto  comunitario,  la  Convenzione
europea dei diritti  dell'uomo  non  crea  un  ordinamento  giuridico
sovranazionale, ma costituisce un modello di  diritto  internazionale
pattizio idoneo a vincolare lo  Stato,  ma  improduttivo  di  effetti
diretti nell'ordinamento interno. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Catanzaro, 
    Visto ed applicato l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  1,  della   legge
regionale della Calabria del  16  gennaio  1985,  n.  4  (recante  la
determinazione dell'indennita' di funzione del  Difensore  civico  in
Calabria) - richiamato dall'art. 3, comma 5, della L.R.  12  novembre
2004, n. 28 in materia di indennita' di funzione,  rimborso  spese  e
trattamento  di  missione  spettanti  al  Garante  per  l'Infanzia  e
l'Adolescenza per la Regione Calabria - come sostituito  dall'art.  1
della legge regionale del 6 aprile 2011, n. 13, recante «Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4»,  pubblicata
sul Bollettino Ufficiale della Regione  n.  6  del  1°  aprile  2011,
Supplemento Straordinario n. 2 del 13 aprile 2011; 
    sospende il giudizio; 
    dispone  la  trasmissione  immediata  degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata al Presidente della Giunta Regionale della Calabria ed  al
Presidente del Consiglio Regionale della Calabria. 
    Si comunichi alle parti. 
 
      Catanzaro, 18 gennaio 2018 
 
                         Il Giudice: Ranieli