N. 195 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2018
Ordinanza del 18 gennaio 2018 del Tribunale di Catanzaro sul ricorso proposto da Intrieri Maria Emilia contro Regione Calabria. Enti locali - Norme della Regione Calabria - Garante per l'infanzia e l'adolescenza - Indennita' di funzione. - Legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria), art. 9, primo comma, come sostituito dall'art. 1 della legge regionale 6 aprile 2011, n. 13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4).(GU n.4 del 23-1-2019 )
TRIBUNALE DI CATANZARO (Seconda sezione civile) Il Giudice, dott.ssa Carmen Ranieli, a scioglimento della riserva assunta all'udienza dell'11 gennaio 2018, ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, nella causa iscritta al n. 22 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi del 2017; Tra Intrieri Maria Emilia (c.f.: NTRMML55A41D122R), elettivamente domiciliata in Cosenza, via Panebianco n. 343, presso lo studio dell'avv. Michele Filippelli, che la rappresenta e difende in giudizio, giusta procura in calce al ricorso ex art. 702-bis c.p.c.; - attrice; Contro Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in Catanzaro, localita' Germaneto (Cittadella Regionale), presso gli uffici dell'Avvocatura Regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Falduto, giusta procura generale alle liti rilasciata con atto pubblico rogato in data 2 aprile 2015 dal notaio Rocco Guglielmo (Rep. 153.618) e decreto del Dirigente dell'Avvocatura n. 3850 dell'11 aprile 2017; - convenuta. Fatto e diritto Il petitum: La decisione della controversia indicata in epigrafe comporta l'applicazione dell'art. 9 della legge regionale della Calabria del 16 gennaio 1985, n. 4 (recante la determinazione dell'indennita' di funzione e delle indennita' accessorie del Difensore civico in Calabria) - in quanto richiamato dall'art. 3, comma 5, della legge regionale 12 novembre 2004, n. 28 in materia di indennita' di funzione, rimborso spese e trattamento di missione spettanti al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Regione Calabria - come sostituito dall'art. 1 della legge regionale del 6 aprile 2011, n. 13, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 6 del 1° aprile 2011, Supplemento Straordinario n. 2 del 13 aprile 2011 ed in vigore dal giorno successivo. Infatti, la fattispecie in esame e' regolata dall'art. 3, comma 5, L.R. sul Garante per l'Infanzia, che cosi' dispone: "Al garante per l'infanzia e l'adolescenza spettano indennita' di finzione, il rimborso spese ed il trattamento di missione nella misura prevista per il difensore civico, dall'art. 9 della legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4: «Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria».". A sua volta, l'art. 9 L.R. sul Difensore civico, nel testo originario vigente al momento di instaurazione del rapporto di durata dedotto in causa, era cosi' formulato: «Al difensore civico spetta la indennita' di finzione nella misura stabilita per i consiglieri regionali. Al difensore civico che non risieda nella sede del Consiglio o della Giunta regionale spetta, inoltre, per ogni viaggio compiuto per l'espletamento delle sue funzioni in tali sedi, un rimborso spese nella misura di un quinto del costo di un litro di benzina super per ogni chilometro di distanza dalla localita' di residenza sommando andata e ritorno, con riferimento al percorso ferroviario, o misto in caso di collegamento automobilistico. Tale rimborso non spetta qualora il Consiglio regionale, su proposta dell'Ufficio di Presidenza, deliberi di porre a disposizione del difensore civico in via permanente, un'autovettura di servizio. In caso di trasferta in localita' diversa dalla sede del Consiglio o della Giunta, spetta al difensore civico il trattamento di missione previsto per i consiglieri regionali. Alla liquidazione delle indennita' e dei rimborsi spese di cui al presente articolo provvede l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.». La stessa norma, nella sua versione attuale, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame - per quanto si evidenziera' infra - cosi' dispone: «1. Al Difensore civico spetta il 25% dell'indennita' fissa di finzione stabilita per i Consiglieri regionali; 2. L'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e' autorizzato a disciplinare contenuti limiti e modalita' di corresponsione delle indennita' accessorie (missioni e rimborsi spese) spettanti al Difensore civico, fermo rimanendo che le missioni dovranno essere autorizzate, di volta in volta, dal Presidente del Consiglio e che non compete indennita' di missione e rimborso chilometrico nell'ambito del territorio regionale». Sennonche', per effetto delle modifiche introdotte con la L.R. n. 13 del 2011, a far data dal 14 aprile 2011 l'indennita' di funzione del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e' stata decurtata del 75 percento rispetto a quanto spettante fino al giorno precedente; al medesimo non competono piu', entro l'ambito regionale, il rimborso chilometrico (prima previsto nella misura di un quinto del costo di un litro di benzina super per ogni chilometro di distanza dalla localita' di residenza alla sede del Consiglio o della Giunta Regionale) e il trattamento di missione in caso di trasferta in localita' diversa dalla sede del Consiglio o della Giunta (prima previsto nella stessa misura stabilita per i consiglieri regionali) mentre, in ambito extraregionale, la determinazione della misura e delle modalita' di corresponsione delle indennita' accessorie e' rimessa all'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, salva la necessita' di autorizzazione (prima non necessaria) delle trasferte da parte del Presidente del Consiglio. Accantonati i dubbi di legittimita' costituzionale che anche il secondo comma della citata norma susciterebbe e che pero' non risultano rilevanti ai fini della decisione della controversia in esame, dubita invece questo Giudicante che, nella parte in cui si applichi anche ai rapporti in corso alla data della stia entrata in vigore, il comma 1 dell'art. 9 della legge regionale 16 gennaio 1985 n. 4 - in quanto richiamato dall'art. 3, comma 5, della legge regionale 12 novembre 2004, n. 28 - contrasti con il principio di tutela del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti giuridici e il parametro della ragionevolezza di cui agli articoli 3 Cost. e 117, primo comma, Cost., in relazione quest'ultimo all'art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, perche', venendo a modificare in peius, senza un'inderogabile esigenza, in maniera improvvisa ed imprevedibile ed in misura eccessiva e sproporzionata, l'indennita' di funzione in precedenza spettante al Garante, violerebbe il legittimo affidamento riposto dal Garante gia' in carica nel mantenimento del trattamento indennitario previsto al momento del conferimento del ruolo. Occorre pertanto, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, sospendere il giudizio e disporre la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale, specificando quanto segue in ordine alla rilevanza della questione ed alla sua non manifesta infondatezza. Sulla rilevanza della questione a) La ricostruzione della fattispecie in esame. Maria Emilia Intrieri e' stata nominata Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Regione Calabria con decreto del Presidente del Consiglio Regionale della Calabria n. 46 del 22 dicembre 2010, figura istituzionale istituita con legge regionale 12 novembre 2004, n. 28, mai in precedenza nominata. In data 7 gennaio 2011, la Intrieri accettava l'incarico affidatole, per la durata della legislatura fino al 21 maggio 2015. Sussistendo la situazione di incompatibilita' prevista dalla lett. d) del comma 3 dell'art. 3 della legge istitutiva del Garante, rivestendo la Intrieri - al momento della nomina a Garante - la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio per la Promozione della Cultura e degli Studi Universitari di Crotone S.c.p.a (societa' a partecipazione pubblica), la Regione Calabria sospendeva la corresponsione dell'indennita' per la carica sopraggiunta fino alla rimozione della causa di incompatibilita', facendo applicazione analogica dell'art. 93, comma 3, del TUEL (decreto legislativo n. 267/2000). Sennonche', in data 24 marzo 2011, la Intrieri rassegnava la dimissioni dalla carica di Presidente e componente del C.d.A. del menzionato Consorzio, per le quali percepiva un emolumento pari ad euro 1.800,00 mensili, optando per l'indennita' di funzione allora prevista per il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza. A quella data, infatti, la legge (art. 3, comma 5, L.R. n. 28 del 2004 in combinato disposto con l'art. 9 L.R. n. 4 del 1985) prevedeva che l'indennita' di funzione del Garante fosse commisurata a quella fissa dei consiglieri regionali (stabilita a sua volta dall'art. 1, comma 1, lettera e), L.R. 14 febbraio 1996, n. 3) e, percio', pari ad euro 9.362,91 mensili, ridotti ad euro 8.348,00 a decorrere dal 1° gennaio 2012. Medio tempore, tuttavia, a decorrere dal 14 aprile 2011, e' intervenuta la legge regionale 6 aprile 2011, n. 13, contenente modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4, che - in particolare per quel che qui rileva - ha modificato l'art. 9 citato sull'indennita' di funzione del Difensore civico e, di rimando in virtu' del richiamo normativo suindicato, del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, riducendola al 25 percento di quella fissa prevista per i consiglieri regionali, ovvero ad euro 2.087,00 mensili. Nel marzo del 2012 veniva corrisposta alla Intrieri l'indennita' annuale (per il periodo marzo 2011 - marzo 2012) calcolata sulla base della normativa sopravvenuta e complessivamente pari ad € 28.712,92. A decorrere dal 1° gennaio 2013, per effetto della riduzione apportata dalla L.R. 10 gennaio 2013, n. 1 all'entita' dell'indennita' fissa del consigliere regionale (rideterminata in euro 5.100,00), il compenso mensile spettante al Garante si e' ridotto proporzionalmente ad euro 1.275,00. Contestando l'importo della indennita' corrisposta dalla Regione Calabria e deducendo la lesione delle caratteristiche proprie della figura del Garante, nonche' la privazione di un diritto soggettivo gia' acquisito al momento dell'accettazione dell'incarico e per il quale aveva dovuto rinunciare ad altri diritti, la Intrieri ha adito questo Tribunale, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato in data 3 gennaio 2017, chiedendo che, in applicazione dell'art. 9 L.R. n. 4/1985 nel testo vigente all'epoca del conferimento e della accettazione dell'incarico, la Regione fosse condannata al pagamento delle somme illecitamente trattenute, pari complessivamente ad euro 249.901,20, oltre interessi, rivalutazione monetaria e contributi previdenziali. In punto di diritto, la ricorrente ha lamentato la violazione del principio tempus regit actum di cui all'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, sostenendo che - in virtu' di esso - la modifica apportata dalla L.R. n. 13 del 2011 alla disciplina sul trattamento economico del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Calabria non avrebbe potuto applicarsi al Garante nominato in costanza della vecchia normativa, ma solo a chi sarebbe subentrato nell'incarico sotto la vigenza della nuova legge. Ha allegato, all'uopo, una sentenza del TAR Veneto (decisione del 31 gennaio 2013, n. 111) che, in una vicenda analoga, ha annullato un provvedimento della Regione Veneto - adottato per effetto dell'entrata in vigore di una legge successiva alla nomina del Presidente dell'Ufficio di Protezione e Pubblica Tutela dei Minori, che modificava sfavorevolmente il regime economico in essere al momento del conferimento dell'incarico - sul presupposto che, in virtu' del principio generale tempus regit actum, la norma sopravvenuta dovesse essere applicata alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore, mentre quella precedente, ormai abrogata, dovesse continuare ad aver vigore nei riguardi di tutti i rapporti nati prima dell'abrogazione stessa ed ancora pendenti. L'amministrazione convenuta ha resistito in giudizio, eccependo in via pregiudiziale l'incompetenza del Giudice Civile in favore del Giudice del Lavoro e, conseguenzialmente alla prima eccezione, l'incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore di quello di Reggio Calabria. Nel merito, ha dedotto l'infondatezza della avversa domanda, in virtu' dell'art. 2, comma 1, L.R. n. 13/2011, che prevedeva espressamente l'entrata in vigore della nuova disciplina il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul BURC ed a fronte della mancanza di alcuna disposizione transitoria che facesse decorrere l'efficacia della norma sull'indennita' dal momento della prima nomina di Difensore civico (e, quindi, di Garante) successiva all'entrata in vigore della stessa. In particolare, la resistente ha evidenziato di avere pienamente rispettato il principio di irretroattivita' della legge, erroneamente interpretato dalla ricorrente, provvedendo ad adeguare l'indennita' spettante alla medesima solo per le mensilita' successive all'entrata in vigore delle modifiche apportate dalla normativa di riferimento, trattandosi di un rapporto di durata. In realta' - occorre precisarlo - dal prospetto riportato nella memoria di costituzione della Regione emerge che l'indennita' corrisposta alla ricorrente e' stata liquidata sulla base della normativa sopravvenuta con decorrenza dal 24 marzo 2011, quindi anche anteriormente all'entrata in vigore della novella (avvenuta - si ripete - in data 14 aprile 2011). b) La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Ebbene, innanzitutto va osservato che la questione di costituzionalita' che si va sollevando con la presente ordinanza e' rilevante per la decisione della fattispecie in esame atteso che le eccezioni pregiudiziali di incompetenza sollevate dall'Amministrazione resistente sono state ritenute infondate e superate con ordinanza del 16 dicembre 2017, depositata il 19 dicembre 2017, le cui motivazioni si trascrivono per il principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione (cfr. Corte Cost. ord. n. 122 del 2015): «ritenuta infondata l'eccezione sollevata dalla Regione resistente di incompetenza funzionale del Giudice adito in favore del Giudice del Lavoro, atteso che la nomina del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Calabria si fonda su un potere affidato al Consiglio regionale direttamente dalla legge (art. 3 cit.), che connota il rapporto non in termini di pubblico impiego, ma di servizio onorario: tale rapporto non rientra, quindi, nello schema del lavoro subordinato, ne' in quello del lavoro autonomo, la nomina venendo unicamente a determinare l'attribuzione di pubbliche funzioni, promanante da una scelta discrezionale di alta amministrazione, e conseguentemente il contingente inserimento funzionale, per un periodo determinato, di un organo straordinario nella struttura dell'ente. Ritenuta conseguentemente infondata anche l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Catanzaro in favore del Tribunale di Reggio Calabria, non trovando applicazione il disposto dell'art. 413, comma 5, c.p.c., esulando la presente controversia da quelle relative a rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni». Con la medesima ordinanza e' stato disposto il mutamento del rito, da sommario in ordinario di cognizione, in osservanza dell'orientamento di legittimita' secondo cui «Qualora, nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui all'art. 702-bis codice procedura civile, insorga una questione di pregiudizialita' rispetto ad altra controversia, che imponga un provvedimento di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295 codice procedura civile, o venga invocata l'autorita' di una sentenza resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai sensi dell'art 337, secondo comma, codice procedura civile,, si determina la necessita' di un'istruzione non sommaria e, quindi, il giudice deve, a norma dell'art. 702-ter, terzo comma, codice procedura civile, disporre il passaggio al rito della cognizione piena. Ne consegue che, nell'ambito del rito sommario, e' illegittima l'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 codice procedura civile o dell'art. 337, secondo comma, codice procedura civile» (Cass., ord. 2 gennaio 2012, n. 3; conf. Cass., ord. 24 ottobre 2014, n. 22605; Id., 27 ottobre 2015, n. 21914; Id., 30 gennaio 2017, n. 2272). Cio' premesso, ad avviso del Giudice rimettente, la norma di' cui si dubita deve senza dubbio essere applicata, nella sua nuova formulazione, al caso di specie, in cui, invero, non si pone un problema di applicazione retroattiva di una legge sopravvenuta. Occorre distinguere, infatti, tra una retroattivita' in senso proprio, che si avrebbe qualora la nuova legge agisse sugli effetti passati di un fatto compiuto sotto la legge precedente, e una retroattivita' soltanto apparente, in cui la nuova norma e' immediatamente applicabile agli effetti attuali di situazioni sorte sotto la normativa anteriore, senza per questo essere retroattiva, purche' non incida sul fatto generatore. In base a questa impostazione, deve ritenersi che insensibili allo ius superveniens siano solamente quei fatti e rapporti che hanno spiegato tutti i loro effetti e si sono esauriti sotto l'impero della norma vecchia, non anche quelli che devono produrre o continuare a produrre i loro effetti nel tempo in cui non vige piu' la regola sotto il cui impero sorsero o si formarono. Mentre per i primi - i c.d. rapporti esauriti - si sono gia' realizzati non soltanto tutti gli elementi costitutivi della fattispecie ma anche tutti gli effetti ad essa ricondotti nel vigore della norma del passato, per i secondi si tratta di ipotesi diversa in cui si sono realizzati unicamente gli elementi costitutivi della fattispecie, ma non gli effetti, che continuano a prodursi finendo per rientrare sotto il vigore della nuova norma, la quale ben puo' incidere su di essi senza per questo violare il principio di irretroattivita' delle leggi. In altri termini, si ha retroattivita' soltanto apparente nell'ipotesi di applicazione immediata della legge nuova agli effetti di un rapporto non esaurito, come quello dedotto nel caso oggetto di esame. Pertanto, non sussistendo disposizioni transitorie nel corpo normativo della legge regionale n. 13 del 2011 che postdatassero l'efficacia della nuova disciplina sul trattamento indennitario del Garante per l'Infanzia dal momento della prima nomina successiva all'entrata in vigore della stessa, appare ineludibile l'applicazione immediata della normativa sopravvenuta anche al rapporto in corso, per gli effetti che si sarebbero ancora dovuti produrre, come conseguenza diretta del regime di successione delle norme giuridiche nel tempo. Tirando le fila di quanto sin qui illustrato, la rilevanza della proponenda questione di legittimita' costituzionale si puo' sintetizzare nei termini che seguono. L'art. 9, comma 1 della legge regionale della Calabria del 16 gennaio 1985, n. 4, come modificato dall'art. 1 della legge regionale del 6 aprile 2011, n. 13 e in combinato disposto con l'art. 3, comma 5, della legge regionale del 12 novembre 2004, n. 28, stabilisce che al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Calabria - nominando o gia' in carica - spetta il 25 percento dell'indennita' fissa di funzione stabilita per i Consiglieri regionali. In ragione della norma oggetto dei dubbi di legittimita', allora, si dovrebbe ritenere che, a partire dall'entrata in vigore della normativa sopravvenuta, all'attrice Intrieri spettasse il trattamento indennitario ridotto ut sopra; pertanto, la domanda giudiziale proposta dalla medesima, di condanna della Regione Calabria alla corresponsione del trattamento nella misura prevista dall'art. 9 L.R. n. 4/1985 nella formulazione vigente all'atto della nomina, dovrebbe essere inesorabilmente rigettata. Al contrario, laddove la norma venisse dichiarata illegittima, si applicherebbe al caso di specie la normativa precedente per cui la domanda non potrebbe che trovare accoglimento. Sulla non manifesta infondatezza della questione: L'applicazione della normativa sopravvenuta al rapporto di cui si tratta, sorto anteriormente alla sua entrata in vigore ma ancora in corso al momento della sua vigenza, frustra - ad avviso del rimettente e per le modalita' con cui e' stato operato in concreto l'intervento legislativo - il legittimo affidamento riposto dal soggetto interessato dalla modifica (l'odierna attrice) nella continuita' del precedente trattamento indennitario. Il principio del legittimo affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici costituisce estrinsecazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza presidiati dall'art. 3 Cost., che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla' legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La Corte costituzionale e' stata chiamata piu' volte ad indicare i limiti entro i quali il legislatore puo' emanare disposizioni, le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, senza stridere col predetto precetto costituzionale. Invero, il legislatore non puo' considerarsi totalmente libero nell'esercizio del suo potere di innovare anche in senso peggiorativo l'ordinamento attraverso nuove statuizioni, sussistendo al contrario dei limiti derivanti dalla contrapposta esigenza di certezza delle regole e di stabilita' delle posizioni soggettive gia' sorte e consolidate nel tempo sulla base della disciplina precedente. Dall'analisi delle relative pronunce in materia emerge un quadro giurisprudenziale sufficientemente preciso. In piu' occasioni la Corte si e' premurata di affermare la centralita' dell'esigenza di certezza del diritto - intesa piu' specificatamente come bisogno di tutela dei rapporti preteriti - tra i valori riconosciuti dal nostro ordinamento, «essendo, sia nel diritto pubblico che in quello privato, la certezza dei rapporti preteriti (anche se non definiti in via di giudicato, transazione ecc) uno dei cardini della tranquillita' sociale e del vivere civile» (ex plurimis, Corte cost. 4 aprile 1990, n. 155). Cio' e' coinciso con il processo di emersione del principio, connesso alla certezza del diritto e denominato di tutela dell'affidamento, che viene in gioco per tutelare le posizioni sostanziali sorte sotto il vigore di una precedente normativa, ma colpite da successive modifiche in peius operate dal legislatore, senza che assuma specifico e necessario rilievo il problema della retroattivita' della disciplina sopravvenuta. Fin dal loro primo emergere nella giurisprudenza costituzionale, i principi di irretroattivita' e di tutela del legittimo affidamento si sono delineati infatti come distinti e costitutivamente diversi, operando il primo come criterio cardine di disciplina dei rapporti della successione di norme nel tempo, il secondo invece come criterio di tutela nel tempo delle situazioni giuridiche sostanziali in nome di esigenze di equita' e giustizia. L'esito e' stato che la Corte costituzionale e' pervenuta, cosi', a riconoscere espressamente il principio del legittimo affidamento come autonomo parametro di valutazione della legittimita' costituzionale di disposizioni (piu' o meno propriamente) retroattive. La giurisprudenza costituzionale fornisce importanti indicazioni sulle condizioni che debbono sussistere perche' possa effettivamente riscontrarsi una lesione del legittimo affidamento e, dunque, l'illegittimita' della norma sopravvenuta incidente su posizioni soggettive preesistenti. E' stato, infatti, affermato che, in materia di rapporti di durata - tra cui va annoverato quello oggetto della fattispecie concreta - «non si puo' discorrere di un affidamento legittimo nella loro immutabilita'» (Corte cost. n. 127 del 2015; cosi', anche, Corte cost. n. 274 del 2015, n. 1 del 2011, n. 74 del 2008, n. 234 del 2007 e n. 209 del 2010). In altre parole, tutto cio' che non puo' dirsi esaurito non e' sufficiente a fondare un legittimo affidamento tale da resistere allo ius superveniens peggiorativo. Sennonche', nella sentenza n. 56 del 2015 (ove sono citate anche le sentenze n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009 e l'ordinanza n. 31 del 2011), la Corte ha affermato che «Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova si' copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti. Con la conseguenza che «non e' affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», unica condizione essendo «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto.». Ma gia' una prima compiuta enunciazione del principio del legittimo affidamento, nei medesimi termini di cui sopra, si era avuta con la pronuncia n. 349 del 1985 in materia pensionistica, ove la Corte ha affermato appunto che, pur non essendo interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, «dette disposizioni pero', al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto». Nella successiva sentenza n. 416 del 1999 e' ribadito che al legislatore ordinario, fuori della materia penale, non e' inibito emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione pero' che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. Tra questi viene annoverato «l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che [...] non puo' essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti». E' stato, peraltro, ritenuto che lo scrutinio di ragionevolezza dell'intervento normativo sia da compiere, non su un piano astratto, ma valutando la modificazione subita dai rapporti intaccati dalla disposizione intertemporale denunciata, onde evitare «che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi» (Corte cost. n. 92 del 2013). Ancora, per le sentenze nn. 23 e 71 del 2015, in ambiti connotati da ampia discrezionalita' del legislatore, lo scrutinio di ragionevolezza impone alla Corte di «verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella stia insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988)». La decisione n. 192 del 2015 ha, altresi', chiarito che «in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, la ragionevolezza di un intervento legislativo ha da essere apprezzata anche alla luce del contesto normativo in cui avviene e delle condizioni che, di fatto, caratterizzano la materia e il settore sui quali e' operato l'intervento stesso». Non sono mancate, poi, pronunce della Corte costituzionale, in tema di mutamenti normativi e di tutela del legittimo affidamento, che hanno preso in considerazione l'esigenza di tutela di posizioni consolidate anche a fronte di interventi peggiorativi valevoli solo de futuro, pur se incidenti su rapporti di durata gia' in essere e, quindi, riconducibili alla categoria della retroattivita' c.d. apparente (in cui rientra il caso di specie). E' il caso, ad esempio, degli interventi legislativi che hanno modificato in senso peggiorativo la disciplina dei canoni di concessione per utilizzo di beni pubblici, sospettati di ledere l'affidamento dei cittadini nella sicurezza dei rapporti giuridici, essendo prevista l'incidenza dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori anche sui rapporti in corso. Dalla pronuncia n. 264 del 2005 resa dalla Corte in subiecta materia, emerge una particolare attenzione dei Giudici per la tutela delle posizioni incise dalla normativa sopravvenuta, laddove si osserva che l'intervento legislativo modula comunque il suo impatto secondo modalita', non irragionevoli, di temperamento degli effetti sul rapporto di locazione in corso, sia diversificando gli incrementi in base alla consistenza del reddito dei conduttori, sia prevedendo la' possibilita' di recedere dal rapporto stesso, sia consentendo l'adempimento in piu' soluzioni. In sostanza, la previsione da parte del legislatore di misure volte ad attenuare l'impatto dell'entrata in vigore della nuova disciplina rendeva la normativa sopravvenuta di applicazione non necessariamente immediata a tutti i rapporti preesistenti, dato che la sua operativita' non risultava ne' improvvisa ne' estemporanea, sfuggendo in tal guisa alle censure di incostituzionalita'. Il percorso argomentativo utilizzato dalla Corte viene meglio esplicitato in altre pronunce in cui i Giudici, partendo dal rifiuto della invocata pretesa ad «una specie di immodificabilita' del sistema tariffario», valorizzano l'elemento della prevedibilita' della modifica introdotta dal legislatore quale ragione per escludere la lesione di un legittimo affidamento, ispirandosi espressamente ai principi elaborati in sede europea dalla Corte di Giustizia, secondo cui la mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi «in modo improvviso e imprevedibile», senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponga l'intervento: cosi', nella sentenza n. 302 del 2010 la Corte costituzionale rileva che la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, «non e' frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina dell'utilizzazione dei beni demaniali»; analogamente, nella sentenza n. 64 del 2014, riguardante la modifica dei canoni di concessione idrica, la Corte, richiamando espressamente la sentenza n. 302 del 2010 e la giurisprudenza della Corte di Giustizia, esclude che «l'effetto dell'aumento del canone prodotto dalla disposizione legislativa censurata sia giunto inaspettato» in considerazione del dato storico della reiterazione nel tempo dell'intervento normativo sospettato di illegittimita' costituzionale, adottato per la prima volta nel 2000 e successivamente confermato nel 2004. Ed invero, nell'ambito della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il principio del legittimo affidamento assume connotati non strettamente connessi ad interventi propriamente retroattivi dal momento che con esso viene inteso, piu' in generale, il principio in virtu' del quale gli amministrati devono poter contare, in buona fede, sul mantenimento di una situazione giuridica a loro favorevole di fronte ad una sua modifica improvvisa che non potevano ragionevolmente aspettarsi o qualora il comportamento dell'istituzione abbia fatto sorgere nell'interessato un'aspettativa ragionevolmente fondata (cfr. sentenze CGE 29 aprile 2004 in cause riunite C-487/01 e C-7/02.; 15 luglio 2004 in cause riunite C-37/02 e C-38/02; 4 ottobre 2007 in causa C-2I7/06; 14 giugno 2011 in causa C-360/09). Ulteriori elementi di valutazione messi in rilievo dalla Corte costituzionale possono essere evidenziati attraverso recenti sentenze relative ad interventi del legislatore in materia di trattamenti economici del pubblico impiego (cfr. Corte cost. n. 310 del 2013 e n. 219 del 2014). In dette pronunce, la Corte ha innanzitutto giustificato la legittimita' dell'intervento legislativo diretto a congelare uniformemente delle progressioni stipendiali evidenziando che le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore e ritenendo pertanto che esse «superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa [...] e per un periodo di tempo limitato» (Corte cost. n. 310/2013). Cio' che acquista rilievo nelle sentenze da ultimo citate e' l'ammissibilita' di una modifica introdotta dal legislatore che incida sulle posizioni soggettive in considerazione della ridotta entita' del sacrificio imposto ai soggetti interessati, sia in termini quantitativi che temporali. Ed ancora, con la sentenza del 27 giugno 2012, n. 166, in materia di incompatibilita' tra lavoro part-time del dipendente pubblico e attivita' di avvocato, in relazione alla presunta lesione inferta all'asserito affidamento dei dipendenti pubblici part-time gia' legittimamente iscritti all'albo degli avvocati, la Corte - richiamando il principio costantemente ribadito secondo cui il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non in termini assoluti e inderogabili - conferma, da un lato, che «la fiducia nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve essere consolidata, dall'altro [che] l'intervento normativo incidente su di esso deve risultare sproporzionato». In considerazione di cio', la Corte, concentrando la propria attenzione sulle disposizioni transitorie contenute nella disciplina contestata e volte a tutelare le posizioni sostanziali e i rapporti gia' in essere, si esprime nel senso che il descritto regime di tutela, lungi dal tradursi in un regolamento irrazionale lesivo dell'affidamento maturato dai titolari di situazioni sostanziali legittimamente sorte sotto l'impero della normativa previgente, «e' da ritenere assolutamente adeguato a contemperare la doverosa applicazione del divieto generalizzato reintrodotto dal legislatore per l'avvenire (con effetto, altresi', sui rapporti di durata in corso) con le esigenze organizzative di lavoro e di vita» dei soggetti interessati. Emerge, dunque, da tale pronuncia come il criterio della proporzionalita' dell'intervento sopravvenuto deve poter soddisfare, insieme, l'esigenza di adattamento e di cambiamento connaturata ai rapporti di' lungo periodo e quella del minor sacrificio possibile imposto agli operatori interessati. Sotto questo profilo, un rilievo decisivo per il riconoscimento di tutela dell'affidamento e' assunto dalla offensivita' della lesione, ossia dalla gravita' e definitivita' del pregiudizio apportato alle posizioni consolidate degli operatori dalle nuove disposizioni. Analogamente, la sentenza n. 272 del 2015 ha specificato che il test di proporzionalita' «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (sentenza n. 1 del 2014)». La riscontrata lesione del principio del legittimo affidamento ha, infine, determinato o concorso a determinare le declaratorie di illegittimita' costituzionale contenute nelle sentenze nn. 216 e 260 del 2015. La sentenza n. 216/2015 - dopo avere rammentato che, «con riguardo alla fissazione del termine di prescrizione dei singoli diritti», «il legislatore gode di ampia discrezionalita', con l'unico limite dell'eventuale irragionevolezza, qualora "esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilita' di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso"» - ha sanzionato come irragionevole e lesivo del principio di tutela dell'affidamento l'art. 26 del decreto-legge n. 201 del 2011 che, in deroga alla precedente legislazione regolante l'introduzione dell'euro, disponeva, «al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico», la prescrizione anticipata, rispetto al termine decennale dalla data di cessazione del corso legale della lira (spirato il 28 febbraio 2012), e con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione e dunque del diritto di convertire in euro le relative banconote e monete, e stabiliva il versamento del loro controvalore all'entrata del bilancio statale per essere riassegnato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Il Collegio ha osservato che il preesistente quadro legislativo era tale da far «sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale»; e che il lungo tempo trascorso senza alcuna modifica dell'originario assetto normativo ha reso ancora «piu' evidente il carattere certamente consolidato della posizione giuridica dei possessori di banconote in lire e della loro legittima aspettativa a convertirle in euro entro il termine che sarebbe venuto a scadenza il 28 febbraio 2012 e tanto piu' censurabile l'improvviso intervento del legislatore». Quanto alla sentenza n. 260 del 2015, essa ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge n. 69 del 2013 nella parte in cui, interpretando l'art. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge n. 64 del 2010, prevedeva che alle fondazioni lirico - sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato (23 maggio 1998), non si applicassero le disposizioni sulla stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme sulla stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. I Giudici hanno riscontrato la lesione dell'«affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica», «corroborato da un assetto normativo risalente (...) e da una giurisprudenza (...) che la legge interpretativa consapevolmente ribalta, ripercuotendosi sui giudizi in corso e su vicende non ancora definite». Volendo sintetizzare le indicazioni cosi' complessivamente fornite dalla giurisprudenza costituzionale, si deve anzitutto registrare come dalla Corte venga ancora considerato determinante, per l'emergere di un problema di affidamento, il carattere retroattivo o meno della normativa esaminata: il fatto stesso di non essere propriamente retroattiva opera come una sorta di presunzione di legittimita' della stessa,, che puo' essere superata solo ove si dimostri che il trattamento introdotto dal legislatore incide sui rapporti in corso in modo irragionevole. In tale ipotesi, la verifica di ragionevolezza del regime giuridico sopravvenuto va fondata su tre profili: la prevedibilita' della modifica peggiorativa imposta, la proporzionalita' con cui essa incide sulle posizioni giuridiche preesistenti e la previsione di norme transitorie, che rendano meno traumatico il passaggio dalla precedente normativa a quella nuova, cosi' consentendo ai soggetti interessati di adeguarsi allo ius superveniens senza subirne un pregiudizio eccessivo. Anche la Corte di Strasburgo si e' espressa in piu' occasioni mostrando di tenere in grande considerazione il principio del legittimo affidamento di fronte a norme sopravvenute, con particolare riferimento ai casi in cui l'intervento normativo ha comportato per i ricorrenti conseguenze negative di carattere patrimoniale in violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. L'art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU recita: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.». Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, al concetto di proprieta' (il testo della convenzione ricorre all'espressione «diritto al rispetto dei suoi beni») e' riconducibile anche quello di aspettativa legittima (esperance legitime) purche' «il titolare dimostri che essa ha una base sufficientemente riconosciuta dal diritto interno» (cfr. Prince Hans-Adam II de Liechtenstein c. Germania, 12.07.2001; Gratzinger et Gratzingerova c. Repubblica Ceca, 10.07.2002 e Maurice c. France, 6.10.2006). Seguendo questa interpretazione la Corte e' arrivata, ad esempio nel caso Agrati e altri c. Italia (sent. 7 giugno 2011), a considerare come illegittima ingerenza quella realizzata dal legislatore italiano con la legge finanziaria del 2006, ritenendo in particolare che i ricorrenti fossero titolari di un interesse patrimoniale configurabile come la legittima aspettativa di ottenere il pagamento delle somme controverse, riconoscendo quindi a detta aspettativa il carattere di «bene» ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1. A questo punto, nell'accertare se tale ingerenza legislativa dello Stato perseguisse uno scopo legittimo, vale a dire se esisteva una «causa di pubblica utilita'» tale da giustificare le privazioni della proprieta' privata, come previsto dall'art. 1, par. 2, del Protocollo n. 1, la Corte ha rammentato che, in linea di principio, il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l'intervento retroattivo di una legge di convalida, dimostrando in tal modo di nutrire numerosi dubbi sul fatto che l'ingerenza nel rispetto dei beni dei ricorrenti rispondesse ad esigenze d'interesse generale. Ad ogni modo, la Corte ha ricordato che l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve garantire un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunita' e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo e che deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito da qualsiasi misura privativa della proprieta'. In conclusione, la Corte ha sostenuto che l'adozione dell'art. 1 della legge finanziaria del 2006 ha effettivamente gravato i ricorrenti di un «onere anomalo ed esorbitante», considerando l'attacco portato ai loro beni sproporzionato. Pertanto ha dichiarato la violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU. Come noto, a seguito delle c.d. sentenze gemelle n. 348 e 349 del 2007, la Corte costituzionale ha riconosciuto alle norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, la natura giuridica di «norme interposte», capaci di integrare il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi' internazionali. Pertanto, la norma qui censurata violerebbe, in uno all'art. 3 Cost., anche l'art. 117, primo comma, Cost. e il parametro interposto di cui all'art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU, atteso che nel caso all'attenzione di questo Giudicante non appaiono rispettate le condizioni e le modalita' attraverso cui il legislatore puo' correttamente operare le modifiche in senso peggiorativo dell'ordinamento e appare conseguentemente lesa la posizione di affidamento dell'attrice. Ed invero, giova considerare innanzitutto, quanto al contesto normativo in cui si e' inserita la modifica in discorso, che sin dal 2004 (anno di istituzione della figura del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Calabria), il trattamento indennitario del Garante e' rimasto immutatamente parametrato a quello previsto con legge regionale n. 4 del 1985 per il Difensore civico (a sua volta parametrato, per oltre un venticinquennio, a quello previsto per i consiglieri regionali) e pertanto, se pure la modifica e' di poco successiva al conferimento dell'incarico all'attrice, essa comunque, dal momento dell'accettazione, nutriva una ragionevole fiducia nella permanenza nel tempo di quel consolidato assetto, si' che puo' ritenersi che la modifica in peius prodotta dalla disposizione legislativa censurata sia giunta inaspettata. In secondo luogo, l'applicazione immediata ed incidente anche sul rapporto in corso della riduzione dell'indennita' di funzione del Garante appare frutto di una decisione improvvisa ed imprevedibile, che non si giustifica con la sola esigenza di contenimento della finanza pubblica. Tanto piu' che il legislatore regionale non ha previsto alcuna misura volta ad attenuare l'impatto dell'entrata in vigore della nuova disciplina sul rapporto in corso. Conseguentemente, l'intervento normativo incidente su di esso risulta assolutamente sproporzionato, sol che si consideri che: - non sono state previste norme transitorie; - e' stato imposto un sacrificio eccessivo, non solo in termini economici (per l'abbattimento ex abrupto dell'indennita' del 75 percento), ma anche tenuto conto delle circostanze di fatto e delle limitazioni concretamente sussistenti per lo svolgimento dell'incarico di Garante per l'Infanzia. Ed invero, l'art. 3, comma 3, della legge istitutiva (L.R. n. 28 del 2004) prevede che: «Sono incompatibili con l'incarico di cui al comma 1: a) i membri del Parlamento, i Ministri, i Consiglieri e gli Assessori regionali, provinciali e comunali, e i titolari di altre cariche elettive; b) i Direttori generali, sanitari e amministrativi delle Aziende USL e delle aziende ospedaliere regionali; c) i coordinatori della rete dei servizi degli ambiti territoriali di cui all'art. 8, comma 3, lettera a) della legge 8 novembre 2000, n. 328: «Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»; d) gli amministratori di enti pubblici, aziende pubbliche o societa' a partecipazione pubblica, nonche' gli amministratori o dirigenti di enti, imprese o associazioni che ricevono a qualsiasi titolo contributi dalla Regione e/o da altri enti pubblici; e) i segretari regionali, provinciali e locali di partiti, di movimenti politici e di organizzazioni sindacali.». Il successivo quarto comma, nel testo originario, stabiliva altresi': «L'incarico e' inoltre incompatibile con qualsiasi altra attivita' lavorativa, anche libero professionale, ovvero rappresentativa, e puo' essere revocato per gravi e comprovati motivi di ordine morale.». E' utile osservare che la predetta disposizione e' stata modificata dall'art. 1, comma 1, L.R. 23 novembre 2016, n. 36, a decorrere dal 25 novembre 2016 (ai sensi di quanto stabilito dall'art. 3, comma 1, della medesima legge) - successivamente quindi alla scadenza del mandato dell'attrice - prevedendo attualmente che «L'incarico e', inoltre, incompatibile con lo svolgimento di attivita' lavorative che determinino situazioni di conflitto di interessi rispetto alla carica ricoperta e puo' essere revocato per gravi e comprovati 'nativi di ordine morale.». E' da notarsi, dunque, come, in costanza di assolvimento dell'incarico da parte della odierna attrice, sussistesse un regime di incompatibilita' assoluta del Garante con qualsiasi altro incarico e/o attivita' lavorativa pubblici e/o privati - tant'e' che ella dovette dimettersi da Presidente del Consiglio di Amministrazione di' una societa' consortile pubblica (per cui riceveva uno stipendio di euro 1.800,00 mensili) e che non percepi' l'indennita' di Garante fino alla rimozione della causa di incompatibilita' - regime ora in parte attenuato per effetto delle modifiche apportate al quarto comma della citata disposizione dalla legge n. 36 del 2016, modifiche che - se introdotte contestualmente alla riduzione dell'indennita' nel 2011 - avrebbero potuto costituire misure di temperamento degli effetti della normativa sopravvenuta sul rapporto in corso idonee a rendere l'intervento legislativo non irragionevole. In conclusione, e' avviso di questo Giudice rimettente che, ferma restando la liberta' del legislatore regionale di' distinguere le indennita', originariamente equivalenti, spettanti al Garante per l'Infanzia e al Difensore civico, da un lato, e ai consiglieri regionali, dall'altro, e di valutarne separatamente l'adeguatezza, non poteva tale discrezionalita' spingersi, senza il rispetto dei limiti di cui sopra (ragionevolezza, prevedibilita' e proporzionalita'), fino ad incidere anche sulle situazioni sostanziali poste in essere dalla legge precedente, frustrando cosi' l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto. Ne consegue che non e' manifestamente infondato il dubbio che la norma in oggetto violi il principio del legittimo affidamento come declinato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU, dovendo cosi' essere dichiarata dalla Corte costituzionale illegittima. Non sembra, d'altro canto, possibile che, attraverso un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente e convenzionalmente orientata, la norma investita dai dubbi possa essere diversamente intesa, attribuendole un significato tale che essa non vada ad esplicare i suoi effetti sull'incarico di Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza in corso al momento della sua entrata in vigore. Ne' e' consentita un'applicazione in via diretta della norma convenzionale in luogo di quella nazionale, con essa non compatibile, atteso che, diversamente dal diritto comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo non crea un ordinamento giuridico sovranazionale, ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo di effetti diretti nell'ordinamento interno.
P.Q.M. Il Tribunale di Catanzaro, Visto ed applicato l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, della legge regionale della Calabria del 16 gennaio 1985, n. 4 (recante la determinazione dell'indennita' di funzione del Difensore civico in Calabria) - richiamato dall'art. 3, comma 5, della L.R. 12 novembre 2004, n. 28 in materia di indennita' di funzione, rimborso spese e trattamento di missione spettanti al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza per la Regione Calabria - come sostituito dall'art. 1 della legge regionale del 6 aprile 2011, n. 13, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 6 del 1° aprile 2011, Supplemento Straordinario n. 2 del 13 aprile 2011; sospende il giudizio; dispone la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale; dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente della Giunta Regionale della Calabria ed al Presidente del Consiglio Regionale della Calabria. Si comunichi alle parti. Catanzaro, 18 gennaio 2018 Il Giudice: Ranieli