N. 222 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2019

Ordinanza del 23 ottobre 2019 della Corte di cassazione  sul  reclamo
proposto da Ministero della giustizia contro G.G.. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Adozione di tutte  le  misure  di  sicurezza  volte  a
  garantire che sia assicurata l'assoluta impossibilita' di scambiare
  oggetti per i detenuti  in  regime  differenziato  appartenenti  al
  medesimo gruppo di socialita'. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f). 
(GU n.50 del 11-12-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima sezione penale 
 
    Composta da: 
        Adriano Iasillo - Presidente; 
        Teresa Liuni; 
        Giuseppe Santalucia; 
        Stefano Aprile; 
        Carlo Renoldi - relatore; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
Ministero della giustizia nel procedimento  nei  confronti  di  G.G.,
nato ... il ..., avverso l'ordinanza n. 1115/2018  del  Tribunale  di
sorveglianza di Perugia in data 19 settembre 2018; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; 
    Letta la requisitoria del  Pubblico  ministero,  in  persona  del
sostituto Procuratore  generale  Paolo  Canevelli,  che  ha  concluso
chiedendo il rigetto del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. G.G. sottoposto nella Casa  di  reclusione  di  ... al  regime
differenziato previsto dall'art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354
(di seguito indicata come ordinanza penale), aveva «proposto reclamo,
ai sensi dell'art. 35-bis ordinanza penale, davanti al Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto, avverso l'ordine di servizio  del  15  marzo
2015 con il quale  la  direzione  dell'Istituto  penitenziario  aveva
preannunciato che a seguito della entrata in vigore  della  legge  15
luglio 2009, n. 94, doveva ritenersi vietato, ai sensi  dell'art.  2,
comma 25, lettera f), numero 3, che aveva modificato  l'art.  41-bis,
comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, lo scambio  di  oggetti
di qualunque genere, quand'anche realizzato tra detenuti appartenenti
al medesimo «gruppo di socialita'». Secondo il  reclamante,  infatti,
dallo scambio di oggetti, e  in  particolare  dai  generi  alimentari
provenienti dai consueti canali (pacco famiglia, acquisti  effettuati
attraverso il circuito interno dell'istituto penitenziario in base al
cd. mod. 72), non poteva configurarsi alcun rischio per le  finalita'
previste  dall'art.  41-bis,  ordinanza  penale,  considerato  che  i
detenuti interessati dallo scambio, appartenendo al medesimo  gruppo,
erano gia' stati ammessi a fruire in comune la cd. socialita'. 
    2. Con ordinanza  n.  546/2018  in  data  26  febbraio  2018,  il
Magistrato di sorveglianza  di  Spoleto  dichiaro'  inammissibile  il
reclamo, rilevando che l'art. 41-bis,  comma  2-quater,  lettera  f),
ordinanza  penale  nella   formulazione   successiva   alla   novella
introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, stabiliva il divieto di
scambiare «oggetti», compresi i  «generi  alimentari»,  anche  tra  i
detenuti  dello  stesso  gruppo   di   socialita',   secondo   quanto
riconosciuto  dalla  Corte  di  cassazione  in  plurime  pronunce   e
conformemente a quanto previsto dall'art. 4, comma 1, della circolare
n.  3676/6126  del  Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria
datata 1° ottobre 2017;  e  non  potendo  riconoscersi,  in  capo  al
detenuto, la  sussistenza  di  alcun  diritto  soggettivo  avente  ad
oggetto il passaggio di generi alimentari ad altri ristretti. 
    3.   Avverso   il   provvedimento   di   inammissibilita'   aveva
personalmente proposto reclamo, ai sensi dell'art.  35-bis  ordinanza
penale, lo stesso G.; e, con separato atto, analoga impugnazione  era
stata presentata dal  difensore  di  fiducia  del  detenuto.  Secondo
quanto dedotto dai reclamanti, il divieto in questione, ove applicato
nei confronti degli appartenenti al medesimo  gruppo  di  socialita',
doveva  ritenersi  distonico  rispetto  alle  finalita'  del   regime
differenziato  e,   dunque,   inutilmente   vessatorio,   comprimendo
ingiustificatamente  il  diritto  fondamentale  alla  «socialita'  in
genere», che il detenuto  avrebbe  inteso  esercitare  attraverso  lo
scambio di generi alimentari con gli altri reclusi. 
    3.1. Con ordinanza n. 1115/2018 in data  19  settembre  2018,  il
Tribunale di sorveglianza  di  Perugia  accolse  i  reclami  proposti
nell'interesse di G. 
    Sotto un primo profilo, il Collegio affermo' che la materia dello
scambio  di  oggetti  (e  di  generi   alimentari   in   particolare,
provenienti  dai  pacchi   famiglia,   dal   sopravitto,   dal   cibo
somministrato dalla  stessa  amministrazione  penitenziaria),  riceve
tutela in base al combinato disposto  degli  articoli  35-bis  e  69,
comma  6,  lettera  b),  della  legge  n.  354  del   1975,   essendo
configurabile, quale estrinsecazione del piu' generale  principio  ex
art. 1, ordinanza penale  sul  trattamento  rieducativo,  il  diritto
soggettivo del detenuto a fruire di momenti di socialita' tra persone
ristrette. Diritto che deve essere  riconosciuto  anche  ai  detenuti
sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis  ordinanza  penale,  i
quali, infatti, possono condividere la cd. socialita' all'interno del
relativo «gruppo», quest'ultimo previsto dalla stessa lettera f)  del
comma 2-quater del medesimo articolo, oltre che dall'art. 3.1.  della
circolare del D.A.P. in data 2 ottobre 2017. 
    Secondo il Tribunale di sorveglianza di Perugia, inoltre, essendo
lo scambio di oggetti comunque  limitato,  in  base  alla  previsione
generale dell'art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica  30
giugno   2000,   numero   230   (cd.   regolamento   di    esecuzione
all'ordinamento penitenziario), a  quelli  di  «modico  valore»,  con
conseguente  impossibilita'  di  configurare  alcuna  «posizione   di
supremazia» tra i detenuti, il divieto di scambio  tra  soggetti  del
medesimo gruppo di  socialita'  non  poteva  essere  giustificato  da
ragioni di sicurezza, non rilevandosi alcuna congruita' tra lo stesso
e il fine  perseguito  dal  regime  differenziato,  costituito  dalla
necessita'  di  recidere   i   collegamenti   tra   il   detenuto   e
l'associazione criminale di appartenenza. 
    Infatti, dal momento che i detenuti riferibili al medesimo gruppo
di socialita' possono incontrarsi liberamente, doveva escludersi che,
attraverso il divieto di scambio  di  oggetti  di  modico  valore  (e
finanche di  generi  alimentari),  potesse  essere  neutralizzato  il
pericolo per l'ordine e la  sicurezza  costituito  dal  passaggio  di
comunicazioni non consentite,  potendo  le  stesse  essere  trasmesse
oralmente. 
    Su tali premesse, il collegio ritenne, dunque, che il divieto  in
discussione  si  palesasse  come  «meramente  vessatorio»,  tale   da
determinare una irragionevole disparita' di trattamento tra  detenuti
ordinari e detenuti sottoposti al regime dell'art. 41-bis,  ordinanza
penale, con conseguente violazione del principio' affermato dall'art.
3 della Costituzione, coerentemente agli arresti della giurisprudenza
costituzionale. 
    Per  l'effetto,  il  Tribunale   di   sorveglianza   dispose   la
disapplicazione  dell'art.  4,   comma   1,   della   circolare   del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria  in  data  2  ottobre
2017  e  dell'ordine  di  servizio  della  Direzione  della  Casa  di
reclusione di ... del  16  marzo  2015;  e  ordino',  altresi',  alla
Direzione della stessa Casa di reclusione di emettere  un  ordine  di
servizio volto a consentire il  passaggio  di  oggetti  e  di  generi
alimentari tra i  detenuti  facenti  parte  del  medesimo  gruppo  di
socialita' cui G. era stato assegnato. 
    4. Avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza  di  Perugia
ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo  dell'Avvocatura  dello
Stato, il Ministero della giustizia, che ha  dedotto,  con  un  unico
motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti  strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173, disposizione di  attuazione
del  codice  di  procedura  penale,   la   inosservanza   o   erronea
applicazione degli articoli 35-bis e  41-bis,  ordinanza  penale.  In
particolare, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma  1,
lettera b), del codice di procedura penale, che i giudici  di  merito
abbiano fornito una interpretazione contraria  all'inequivoco  tenore
letterale della citata lettera f) del comma 2-quater dell'art. 41-bis
ordinanza penale. Tale disposizione, secondo quanto confermato  dalla
giurisprudenza di legittimita',  non  consentirebbe  di  superare  il
divieto di scambio di oggetti  anche  tra  detenuti  appartenenti  al
medesimo gruppo  di  socialita',  avuto  riguardo  alla  formulazione
letterale della disposizione, «chiarissima nello statuire che solo il
divieto di comunicazione  ammette  deroga  all'interno  del  medesimo
gruppo  di   socialita'».   Una   diversita'   di   regime   che   si
giustificherebbe   in   quanto,   mentre   da   un   lato    «sarebbe
contraddittorio comporre dei gruppi di socialita' e poi  impedire  ai
loro componenti di comunicare», dall'altro lato lo scambio di oggetti
non  sarebbe  «cosi'  essenziale   alla   socializzazione   come   il
comunicare», rendendo «il divieto di scambio di oggetti (...) congruo
e plausibile» nell'ambito del  «bilanciamento  tra  l'interesse  alla
socializzazione del detenuto e l'interesse (fondante  il  regime  del
41-bis)  ad  arginare  flussi  informativi  tra  detenuti  in  regime
speciale». 
    Secondo il ricorrente,  inoltre,  l'inequivoco  tenore  letterale
della legge e la sua solida ragione giustificativa escluderebbero  la
necessita' dell'interpretazione secundum constitutionem  operata  dai
giudici  di  merito,  i  quali  avrebbero  coniato  una  disposizione
sostanzialmente contraria alla volonta' espressa dal legislatore. 
    Ne' alcuna  censura  potrebbe  essere  operata  sul  piano  della
legittimita' costituzionale del divieto  in  questione,  non  essendo
stati  valicati   i   limiti   posti   dalla   Corte   costituzionale
all'applicabilita' del  regime  di  cui  all'art.  41-bis,  comma  2,
ordinanza penale, individuati,  in  primo  luogo,  nella  «congruita'
della  misura  rispetto  allo  scopo»,  ovvero  nella  corrispondenza
funzionale  tra  la  sospensione  di  regole  e   istituti   previsti
dall'ordinamento penitenziario e le esigenze di ordine  e  sicurezza;
e, in secondo luogo, nella «funzione rieducativa della  pena»  e  nel
«divieto di pene contrarie al senso di umanita'» ai  sensi  dell'art.
27 della Costituzione.  Infatti,  con  riferimento  alle  restrizioni
tipizzate dallo stesso  legislatore,  quali  quelle  contenute  nelle
lettere da b) a f) del  comma  2  dell'art.  41-bis,  il  legislatore
avrebbe effettuato, a monte, la  relativa  valutazione,  mediante  il
bilanciamento tra le esigenze di prevenzione e la tutela dei  diritti
fondamentali. 
    5. In  data  9  maggio  2019,  e'  pervenuta  in  Cancelleria  la
requisitoria scritta del Procuratore generale  presso  questa  Corte,
con la quale e' stato chiesto il  rigetto  del  ricorso.  Secondo  il
Procuratore generale, invero, l'ordinanza impugnata  rappresenterebbe
una condivisibile opzione interpretativa volta a proporre una lettura
della  norma  restrittiva  rispettosa   dei   fondamentali   principi
costituzionali, cosi' come  ricostruiti  dalla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, la quale avrebbe affermato, in piu'  occasioni,
la ingiustificata disparita' di trattamento tra detenuti  ordinari  e
detenuti sottoposti al regime penitenziario differenziato in tutti  i
casi in  cui  le  limitazioni  imposte  a  questi  ultimi  non  siano
funzionali all'obiettivo primario del regime di cui all'art.  41-bis,
ordinanza  penale,  costituito  dall'escludere  i  contatti  tra   il
detenuto e il gruppo criminale di riferimento. 
    Impostazione che sarebbe stata ribadita, da ultimo,  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza 26 settembre  2018,  n.  186,  con  la
quale e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, nella parte  in
cui  dispone  il  divieto  per  i  detenuti  sottoposti   al   regime
differenziato  di  cuocere  cibi  all'interno  della  propria   cella
detentiva; sentenza con la  quale  sarebbe  stato  affermato  che  la
negazione  dell'accesso  a  tale  modalita'  di   espressione   della
socialita' «finisce per configurarsi come una lesione  dell'art.  27,
comma  terzo,  Costituzione,  presentandosi  come  una  indebita   ed
ulteriore limitazione, contraria al senso  di  umanita'»,  in  quanto
incongrua e inutile alla luce degli  obiettivi  cui  tende  la  norma
restrittiva,   configurandosi   come   una   ingiustificata    deroga
all'ordinario  regime  carcerario  dotata  di  valore   meramente   e
ulteriormente afflittivo. Nel caso di specie, infatti, il divieto  di
scambio  di  oggetti  di  modico  valore,  ivi  compresi   i   generi
alimentari,  tra  detenuti  che,  in  virtu'  della  appartenenza  al
medesimo gruppo di socialita', sono liberi di incontrarsi per due ore
al giorno, condividendo l'uscita all'aperto e  la  apposita  sala  di
ritrovo, non sarebbe idonea a configurare alcun  reale  pericolo  per
l'ordine e per la sicurezza, finendo per costituire  una  limitazione
priva di alcuna attinenza con le ragioni  del  regime  differenziato.
Pertanto, la lettura offerta  dai  due  provvedimenti  di  merito  si
porrebbe nel solco di una lettura costituzionalmente  conforme  della
cennata disposizione penitenziaria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Rileva il Collegio che deve  essere  sollevata  d'ufficio,  in
quanto  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  questione   di
legittimita' costituzionale, con riferimento agli  articoli  3  e  27
della Costituzione, dell'art. 41-bis,  comma  2-quater,  lettera  f),
della legge n. 354 del 1975. 
    2. L'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f),  ordinanza  penale,
prevede l'adozione di «tutte le necessarie misure di sicurezza, anche
attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione,
volte a garantire che sia  assicurata  l'assoluta  impossibilita'  di
comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di  socialita',
scambiare oggetti e cuocere cibi». 
    Secondo l'interpretazione  di  tale  disposizione  che  e'  stata
offerta dalla giurisprudenza  di  legittimita',  «tenendo  conto  del
significato e della connessione delle  parole  e  dei  segni  grafici
utilizzati, nonche' del senso  logico  del  testo»,  deve  ritenersi,
«soprattutto  in  considerazione  dell'inserimento   del   segno   di
interpunzione della virgola fra le parole «socialita'» e «scambiare»,
(...) che, nel periodo sintattico  in  esame,  le  vane  proposizioni
riferite  a  comportamenti  dei  detenuti,  in  ordine  ai  quali  va
perseguita  la  «assoluta  impossibilita'»  di  realizzazione,  siano
costituiti,  per  un  verso,   dalla   comunicazione   fra   detenuti
appartenenti a diversi gruppi di socialita' e, per altro verso, dallo
scambio di oggetti e dalla cottura di cibi».  Diversamente,  infatti,
«la disposizione avrebbe contemplato «la assoluta  impossibilita'  di
comunicare e scambiare oggetti tra detenuti  appartenenti  a  diversi
gruppi di socialita', e di cuocere cibi». Pertanto, il  perseguimento
della  «assoluta  impossibilita'»  deve  ritenersi   «riferito   alle
comunicazioni  fra  detenuti  appartenenti  a   diversi   gruppi   di
socialita', con l'ovvia conseguenza che non e' richiesto di  impedire
in modo cosi' radicale le comunicazioni fra i  detenuti  appartenenti
al  medesimo  gruppo  di  socialita'»;  mentre  «la   necessita'   di
assicurare la "assoluta  impossibilita'"  dello  scambio  di  oggetti
riguarda tutti gli scambi fra detenuti, e non  e'  limitata  ai  soli
scambi fra detenuti appartenenti  a  diversi  gruppi  di  socialita'»
(cosi sezione 1, n. 5977 del 13 luglio 2016, dep. 2017, Guarino,  rv.
269185). 
    4. L'orientamento interpretativo teste'  riassunto,  ribadito  in
diverse pronunce della Corte di legittimita' (sezione 1, n. 29301 del
18 aprile 2019, Cammarata, non massimata; sezione 1, n. 29300 del  18
aprile 2019, Riina, non massimata; sezione 1, n. 4993 del  20  luglio
2017, dep. 2018, Attanasio, non massimata), parrebbe coerente con  il
dato testuale e, in  tesi,  sintonico  rispetto  a  una  ratio  legis
ispirata a istanze di  particolare  rigore,  connesse  alla  notevole
caratura  criminale  dei  detenuti  che  sono  sottoposti  al  regime
differenziato.  E  a  fronte  di  una   formulazione   dell'enunciato
normativo che sembrerebbe  chiara  nel  suo  significato  precettivo,
l'interprete non potrebbe pervenire,  come  osservato  dal  Ministero
ricorrente, a un epilogo esegetico di significato  opposto  a  quello
fatto  palese  dal  significato  delle  parole  che   quell'enunciato
compongono. 
    Nondimeno, compito dell'interprete e' anche quello di  verificare
la compatibilita' costituzionale  delle  disposizioni  di  legge  non
suscettibili, senza forzature ermeneutiche, di assumere un differente
significato normativo e, se del caso,  di  investire  l'unico  organo
che, nel sistema vigente, e' chiamato  a  vagliarne  la  legittimita'
costituzionale. Una verifica che,  nel  caso  di  specie,  impone  di
ritenere non manifestamente infondata,  oltre  che  indiscutibilmente
rilevante,  la  questione  di  costituzionalita'   della   norma   in
questione, quantomeno nella specifica ipotesi, qui  in  rilievo,  del
divieto di scambio di oggetti tra detenuti appartenenti  al  medesimo
gruppo di socialita'. 
    5.  Giova  ricordare,  in  premessa,  che   la   funzione   della
sospensione del regime  penitenziario  ordinario  prevista  dall'art.
41-bis, ordinanza penale, deve  essere  individuata,  secondo  quanto
piu' volte sottolineato dalla Corte costituzionale, nella  necessita'
di rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra  i  detenuti  che
appartengano a determinate  organizzazioni  criminali,  sia  tra  gli
stessi e gli  altri  componenti  del  sodalizio  che  si  trovano  in
liberta'. 
    Tale obiettiva e' perseguito mediante la previsione di una  serie
di  significative  restrizioni  a  quegli  istituti  dell'ordinamento
penitenziario  i  quali,  ordinariamente  rivolti   a   favorire   il
reinserimento sociale dei detenuti,  sono  tuttavia  suscettibili  di
favorire il mantenimento dei  contatti  con  l'ambiente  esterno  (v.
Corte costituzionale, sentenza 26 novembre 1997, n. 376; ordinanze 17
novembre 2004, n. 417 e 7 aprile 1998, n. 192) e, in tale ambito, con
la consorteria criminale di appartenenza, consentendo ai  reclusi  di
continuare a impartire direttive all'esterno o  di  mantenere,  anche
dall'interno del carcere,  il  controllo  sulle  attivita'  criminose
dell'associazione (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  17  giugno
2013, n. 143, in tema di colloqui con il difensore). 
    In particolare, il comma  2-quater  dell'art.  41-bis,  ordinanza
penale, nel testo introdotto dalla legge n.  94  del  2009,  volto  a
incidere drasticamente sulle possibilita' di relazione dei  detenuti,
elenca una serie di misure specifiche «di elevata  sicurezza  interna
ed esterna» finalizzate a «prevenire  contatti  con  l'organizzazione
criminale di appartenenza o di attuale riferimento»  del  detenuto  o
dell'internato, oltre che «contrasti con elementi  di  organizzazioni
contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti
alla medesima organizzazione ovvero ad altre  ad  essa  alleate»,  le
quali costituiscono il  contenuto  tipico  e  necessario  del  regime
stesso (cosi' Corte costituzionale,  sentenza  8  febbraio  2017,  n.
122). 
    Nel dettaglio, la citata disposizione prevede, con riferimento ai
«rapporti tra il detenuto e l'esterno»: alla lettera b),  limitazioni
nel numero e nelle modalita' di  svolgimento  dei  colloqui  e  delle
telefonate;  alla  lettera  c),  limitazioni  nelle  somme  e   nella
quantita'  e  tipologia  dei  beni  che   possono   essere   ricevuti
dall'esterno; alla lettera e), limitazioni della  corrispondenza.  Lo
stesso comma  2-quater  prevede,  altresi',  per  quanto  attiene  ai
«rapporti  tra  i  detenuti»:  alla  lettera  d)  l'esclusione  dalla
partecipazione alle rappresentanze dei  detenuti;  alla  lettera  f),
significative limitazioni sia nella permanenza all'aria  aperta,  sia
nella cd. socialita', atteso che i c.d. «gruppi  di  socialita'»  non
possono essere composti da piu' di quattro persone e che, come si  e'
gia' osservato, devono  essere  adottate  le  necessarie  misure  per
garantire  «l'assoluta  impossibilita'  di  comunicare  tra  detenuti
appartenenti  a  diversi  gruppi  di  socialita'»  e  per  «scambiare
oggetti», essendo ormai venuta meno la possibilita' di «cuocere cibi»
per effetto della sentenza 26 settembre  2018,  n.  186  della  Corte
costituzionale (sulla quale infra). 
    6.  Nondimeno,  come  la  Corte  costituzionale  ha  piu'   volte
ricordato,  il  regime  differenziato  previsto   dall'art.   41-bis,
ordinanza penale, soggiace a due limiti essenziali,  aventi  entrambi
fondamento costituzionale. 
    6.1. Il primo  di  essi  attiene  alla  congruita'  della  misura
applicata rispetto allo scopo che essa persegue. 
    La Corte costituzionale ha affermato che  «non  possono  disporsi
misure che  per  il  loro  contenuto  non  siano  riconducibili  alla
concreta esigenza di  tutelare  l'ordine  e  la  sicurezza,  o  siano
palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di  ordine  e
di sicurezza che motivano i1 provvedimento. Mancando tale congruita',
infatti, le misure in questione non risponderebbero piu' al fine  per
il  quale  la  legge   consente   che   esse   siano   adottate,   ma
acquisterebbero  un  significato  diverso,  divenendo  ingiustificate
deroghe all'ordinario regime carcerario, con  una  portata  puramente
afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge  al
provvedimento  ministeriale.  Ne'  tale  funzione   potrebbe   essere
alterata  o  forzata  attribuendo  alle  misure  disposte  uno  scopo
«dimostrativo», volto cioe' a privare una categoria  di  detenuti  di
quelle che vengono cosiderate o manifestazioni di  «potere  reale»  e
occasioni per aggregare intorno ad  essi  «consenso»  traducibile  in
termini di potenzialita' offensive criminali. Se e' vero infatti  che
va combattuto in ogni modo il manifestarsi all'interno del carcere di
forme  di  «potere»  dei  detenuti  piu'  forti  o  piu'   facoltosi,
suscettibili anche di  rafforzare  le  organizzazioni  criminali,  e'
anche vero che cio' deve  perseguirsi  attraverso  la  definizione  e
l'applicazione rigorosa e imparziale  delle  regole  del  trattamento
carcerario (...). Non potrebbe, per converso, considerarsi legittimo,
a questo scopo, l'impiego di misure piu' restrittive nei confronti di
singoli detenuti in funzione di  semplice  discriminazione  negativa,
non altrimenti  giustificata,  rispetto  alle  regole  e  ai  diritti
valevoli per tutti» (v. Corte  costituzionale,  sentenza  14  ottobre
1996, n. 351).  E  nella  stessa  prospettiva,  si  e'  affermata  la
legittimita' del regime detentivo speciale nella misura in  cui  esso
implichi «quelle sole restrizioni che siano  concretamente  idonee  a
prevenire  tale  pericolo»  per  la  sicurezza  pubblica  (v.   Corte
costituzionale, sentenza 5 dicembre 1997, n. 376). 
    Anche successivamente alla introduzione  della  legge  15  luglio
2009, n. 94, la Corte costituzionale ha ribadito il principio secondo
cui  «non  puo'  esservi  un  decremento  di  tutela  di  un  diritto
fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento
di  tutela  di  altro  interesse   di   pari   rango»   (cfr.   Corte
costituzionale, sentenza 17 giugno 2013, n. 143, in tema di  colloqui
difensivi). 
    Una esigenza, quella della congruita' tra  misura  e  scopo,  che
costituisce una declinazione del principio di  proporzione,  rispetto
al quale la stessa giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti
dell'Uomo  richiede  che   le   misure   incidenti   sulle   liberta'
riconosciute dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo debbano,
per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo;
essere idonee rispetto all'obiettivo di tutela; risultare necessarie,
non potendo essere  disposte  misure  meno  restrittive  e  parimenti
idonee al conseguimento dello scopo;  non  realizzare  un  sacrificio
eccessivo del diritto compresso. 
    E del resto  non  va  dimenticato  che  lo  stesso  art.  41-bis,
ordinanza penale, nel prevedere, al  comma  2,  che  «la  sospensione
comporta le  restrizioni  necessarie  per  il  soddisfacimento  delle
predette esigenze e per impedire i collegamenti con  l'associazione»,
si omologa, espressamente, alla  medesima  prospettiva,  considerando
legittime, appunto, solo le limitazioni «necessarie», ovvero  congrue
rispetto allo scopo e, in ogni caso, proporzionate. 
    6.2. Il secondo limite attiene alla  funzione  rieducativa  della
pena e al divieto di pene contrarie al  senso  di  umanita',  sanciti
dall'art. 27 della Costituzione. 
    Da tali principi, infatti, consegue che le  restrizioni  disposte
ai sensi dell'art. 41-bis,  comma  2,  ordinanza  penale  non  devono
essere tali  da  vanificare  completamente  la  necessaria  finalita'
rieducativa della  pena  e  da  violare  il  divieto  di  trattamenti
contrari al senso di umanita' (v. Corte costituzionale,  sentenze  14
ottobre 1996, n. 351, 24 giugno 1993, n. 349 e  21  giugno  2018,  n.
149), «verifica  quest'ultima  tanto  piu'  delicata  trattandosi  di
misure che derogano  al  trattamento  carcerario  ordinario»  (cosi',
ancora, la citata sentenza n. 351 del 1996). 
    7. Se, come sopra argomentato, la  disciplina  dettata  dall'art.
41-bis, ordinanza penale rinviene specifici limiti costituzionali  in
ordine  alla  possibilita'  di  disporre   misure   che   non   siano
riconducibili alla  concreta  esigenza  di  tutelare  l'ordine  e  la
sicurezza o che siano palesemente inidonee o incongrue rispetto  alle
esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento, deve
conseguentemente ritenersi non manifestamente infondata la  questione
di legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,  comma  2-quater,
lettera f), ordinanza penale in relazione agli articoli 3 e 27  della
Costituzione. 
    7.1. Con riferimento al solo primo parametro, infatti, mentre  la
previsione   secondo   cui   l'amministrazione   penitenziaria   deve
assicurare  il  divieto   assoluto   di   comunicare   tra   detenuti
appartenenti a diversi gruppi  di  socialita'  appare  effettivamente
funzionale a garantire gli obiettivi di prevenzione della misura  (v.
sezione 7, n. 378 del 29  maggio  2014,  dep.  2015,  Piromalli,  Rv.
261890, che ha ritenuto  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale della disposizione in  esame,  in  quanto
finalizzata a evitare dinamiche relazionali, tra detenuti per delitti
di  criminalita'  organizzata,  che  potrebbero   agevolare   logiche
associative  aggreganti  tra  esponenti  dello  stesso  sodalizio  o,
all'opposto, contrapposizioni conflittuali nei  confronti  di  gruppi
avversi), l'ulteriore disposizione, concernente il divieto di scambio
di  oggetti,  che  il  ricordato   enunciato   normativo   riferisce,
indifferentemente,   a   tutti   gli   altri   ristretti,   ancorche'
appartenenti al medesimo gruppo  di  socialita',  non  puo',  invece,
ritenersi funzionale a fronteggiare alcun pericolo per  la  sicurezza
pubblica, assumendo ««una portata meramente afflittiva». 
    Mentre nel primo caso, infatti, lo scambio  di  oggetti  potrebbe
consentire di veicolare informazioni  tra  soggetti  che,  in  quanto
assegnati a differenti gruppi  di  socialita',  l'amministrazione  ha
ritenuto, sulla base di una  valutazione  in  concreto,  non  debbano
essere ammessi a comunicare proprio per interrompere  ogni  forma  di
relazione e per ovviare al pericolo della circolazione di determinate
conoscenze, nella seconda ipotesi tale essenziale  esigenza  e',  per
definizione,  inesistente,  dal  momento  che   proprio   la   comune
appartenenza al medesimo gruppo consentirebbe, a monte, lo scambio di
qualunque  contenuto  informativo;  e  cio'  senza  dover  ricorrere,
appunto, allo scambio di oggetti. 
    Ne' potrebbe ritenersi che il divieto di scambio di oggetti possa
giustificarsi in rapporto alla necessita' di impedire che taluno  dei
soggetti del sinallagma possa, attraverso tale operazione,  acquisire
una  posizione  di  supremazia  nel  contesto   penitenziario.   Come
puntualmente argomentato  dalla  Corte  costituzionale  nella  citata
sentenza n. 186 del 2018, infatti, il manifestarsi,  all'interno  del
carcere, di  forme  di  «potere»  dei  detenuti  piu'  forti  o  piu'
facoltosi,  suscettibili  anche  di  rafforzare   le   organizzazioni
criminali,  deve  essere  impedito  «attraverso  la   definizione   e
l'applicazione rigorosa e imparziale  delle  regole  del  trattamento
carcerario  [...]»;  e  «non  potrebbe,  per  converso,  considerarsi
legittimo, a questo scopo, l'impiego di misure piu'  restrittive  nei
confronti di singoli detenuti in funzione di semplice discriminazione
negativa, non altrimenti giustificata,  rispetto  alle  regole  e  ai
diritti valevoli per tutti» (cosi gia' la sentenza n. 351 del  1996).
Inoltre, il riferimento alla  necessita'  di  contrastare  attraverso
regole dal sapore dimostrativo forme di «potere reale»  dei  detenuti
rivela ulteriormente la propria palese incongruita', se concretamente
riferito al particolare divieto in esame, in rapporto  al  fatto  che
gia'  la  regola  generale,  posta  dall'art.  15  del  decreto   del
Presidente della Repubblica  30  giugno  2000,  n.  230  (Regolamento
recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative
e limitative della liberta'),  consente  la  cessione  o  lo  scambio
unicamente di beni di «modico valore». Beni che, nel caso di  specie,
consistevano in generi alimentari (zucchero, caffe'  et  similia)  o,
comunque, di prima necessita' (per l'igiene personale  o  la  pulizia
della cella) inviati dall'esterno, e quindi ulteriormente limitati ex
art.  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  c),  o  acquistati  al  cd,
sopravvitto, sicche' la  possibilita'  di  un  utilizzo  di  beni  di
rilevante valore quale «mezzo improprio di scambio» doveva  ritenersi
esclusa in radice; e risultando del tutto improbabile, in ogni  caso,
che il perpetuarsi delle gerarchie criminali all'interno del  carcere
possa realizzarsi attraverso lo scambio di caffe' o sapone,  peraltro
nei  contenuti  limiti  quantitativi  gia'   previsti   dai   vigenti
regolamenti (cfr., ancora, quanto osservato da Corte  costituzionale,
sentenza n. 186 del 2018 in relazione al consumo di cibi di lusso). 
    Pertanto, gia' sotto  tale  primo  aspetto,  non  puo'  ritenersi
manifestamente infondato  il  dubbio  che  il  divieto  di  scambiare
oggetti  tra  detenuti  sottoposti  al   regime   differenziato,   ma
appartenenti  al  medesimo  gruppo  di  socialita',   configuri   una
ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto  ai  ristretti  in
regime ordinario e  una  irragionevole  limitazione  dal  significato
inutilmente vessatorio. 
    7.2. Quanto, poi, all'art. 27, anche  in  relazione  all'art.  3,
della Costituzione, dal momento che, come ricordato, il principio del
finalismo rieducativo non puo' essere obliterato e che le limitazioni
al  regime  penitenziario  ordinario  non   possono   consistere   in
trattamenti contrari al senso di umanita', il divieto di  cedere  e/o
scambiare oggetti di  modico  valore  tra  detenuti  appartenenti  al
medesimo  gruppo  di  socialita'  configura  un  vulnus  ai  principi
affermati dal richiamato parametro costituzionale e al divieto di  un
trattamento irragionevolmente differenziato. 
    Infatti,  proprio   la   previsione   secondo   cui   «l'assoluta
impossibilita' di comunicare  tra  detenuti  appartenenti  a  diversi
gruppi di socialita'» comporta, a contrariis, che anche ai detenuti e
agli  internati  sottoposti  al  regime  differenziato  deve   essere
riconosciuto, cosi come ai detenuti e  agli  internati  «comuni»,  un
diritto  alla  socialita',  il  quale  costituisce,  a   sua   volta,
esplicazione del diritto al  trattamento  rieducativo.  E  una  volta
stabilito che il diritto  alla  socialita'  debba  essere  esercitato
nell'ambito    di    un    gruppo    di    ristretti,     selezionato
dall'amministrazione  penitenziaria  in   ragione   della   ricordata
necessita' di impedire il  mantenimento  dei  legami  con  il  gruppo
criminale  di  provenienza,  la  ulteriore  limitazione   conseguente
all'applicazione del divieto di cui si discute, che  impedisca  anche
quelle forme «minime» di socialita' che si estrinsecano nello scambio
di oggetti di scarso valore e  di  immediata  utilita'  o  di  generi
alimentari tra persone che si frequentano «senza filtri» ogni  giorno
e in  una  prospettiva  di  normalita'  di  rapporti  interpersonali,
finisce per realizzare una non consentita limitazione ai principi del
finalismo  rieducativo  e  del  divieto  di  trattamenti  degradanti.
Degradazione  che  si  ha  ogni  volta  che  il   detenuto/internato,
sottoposto   a   misure    ingiustificatamente    afflittive,    vede
strumentalizzata  la  propria  umanita'  per  finalita'  di  politica
criminale del tutto distoniche rispetto alle specifiche finalita'  di
sicurezza perseguite dal regime differenziato, con una ingiustificata
differenziazione della relativa disciplina penitenziaria. 
    8. Osserva, poi,  il  Collegio  che  la  prospetta  questione  di
legittimita' costituzionale deve ritenersi rilevante in ragione degli
evidenti effetti che l'eventuale declaratoria di incostituzionalita',
sia pure in parte qua, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera  f),
ordinanza penale, produrrebbe sul  procedimento  in  corso.  Cio'  in
quanto  l'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale
della norma censurata farebbe venire meno la base legale  degli  atti
dell'amministrazione penitenziaria in relazione  ai  quali  e'  stato
proposto il reclamo (e segnatamente dell'ordine di servizio 15  marzo
2015, ma anche della circolare n. 3676/6126 del  D.A.P.  in  data  1°
ottobre 2017,  successivamente  intervenuta,  che  ha  costituito  un
ulteriore determinazione  amministrativa  incidente  sulla  posizione
soggettiva del detenuto reclamante), sicche' tali atti diventerebbero
illegittimi,  con  ovvie  conseguenze  sul  merito  della   questione
devoluta con  l'impugnazione  presentata  dal  Ministero  ricorrente.
Infatti, il venir meno della limitazione prevista dalla  disposizione
in  esame  per  i  detenuti  sottoposti   al   regime   differenziato
determinerebbe il riespandersi, anche per tale categoria di  reclusi,
delle previsioni generali legate al  diritto  alla  socialita'  quale
momento  essenziale  del  trattamento  penitenziario   (articoli   1,
ordinanza penale) e  alla  facolta'  di  cedere  «oggetti  di  modico
valore» accordata a detenuti e internati dall'art. 15, comma  2,  del
regolamento di esecuzione; sicche' anche per i reclusi sottoposti  al
regime previsto  dall'art.  41-bis,  ordinanza  penale,  diventerebbe
esperibile il reclamo previsto, per il caso della lesione di  diritti
soggettivi, dal combinato disposto degli articoli 35-bis, comma 3,  e
69, comma 6, lettera  b)  e  69,  ordinanza  penale,  nella  versione
risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 3, comma  1,  lettere
b) e i), numero 2),  del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  146
(Misure urgenti in  tema  di  tutela  dei  diritti  fondamentali  dei
detenuti e di riduzione controllata  della  popolazione  carceraria),
convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 10 -  in
virtu' dei  quali  il  magistrato  di  sorveglianza,  se  accerta  la
sussistenza    e     l'attualita'     del     pregiudizio,     ordina
all'amministrazione  penitenziaria  di   porvi   rimedio   entro   un
determinato termine. 
    Va, infatti, ribadito che sebbene  il  comma  2-sexies  dell'art.
41-bis, ordinanza penale abbia limitato il sindacato  giurisdizionale
sul regime detentivo speciale alla  verifica  della  sussistenza  dei
presupposti  applicativi,  deve  comunque  ritenersi  esperibile   un
controllo   giudiziale   sul   contenuto   dell'atto   (cosi'   Corte
costituzionale, sentenza 28 maggio 2010, n. 190),  oggi  esercitabile
attraverso lo strumento del reclamo di cui all'art. 35-bis  ordinanza
penale. 
    9. Alla luce delle considerazioni che precedono,  deve  ritenersi
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  con  riferimento  agli
articoli 3 e 27 della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), legge 26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),  come
modificato dall'art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), nella parte in cui prevede che  siano  adottate  tutte  le
necessarie misure di sicurezza volte a garantire che  sia  assicurata
la assoluta impossibilita' di scambiare oggetti  per  i  detenuti  in
regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87 del 1953, dichiara rilevante  e
non manifestamente infondata, con  riferimento  agli  artt.  3  e  27
Castituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
41-bis, comma 2-quater, lettera f), legge  n.  354  del  1975,  nella
parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di
sicurezza  volte  a  garantire  che  sia   assicurata   la   assoluta
impossibilita'  di  scambiare  oggetti  per  i  detenuti  in   regime
differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'.  Dispone
la immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
sospende il giudizio in corso. Ordina che, a cura della  Cancelleria,
la presente ordinanza sia notificata al Ministero ricorrente, a G.G.,
al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al  Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in data 29 maggio 2019 
 
                       Il Presidente: Iasillo 
 
 
                                    Il consigliere estensore: Renoldi