N. 222 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2019
Ordinanza del 23 ottobre 2019 della Corte di cassazione sul reclamo proposto da Ministero della giustizia contro G.G.. Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione - Adozione di tutte le misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata l'assoluta impossibilita' di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f).(GU n.50 del 11-12-2019 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Prima sezione penale Composta da: Adriano Iasillo - Presidente; Teresa Liuni; Giuseppe Santalucia; Stefano Aprile; Carlo Renoldi - relatore; ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal Ministero della giustizia nel procedimento nei confronti di G.G., nato ... il ..., avverso l'ordinanza n. 1115/2018 del Tribunale di sorveglianza di Perugia in data 19 settembre 2018; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; Letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto 1. G.G. sottoposto nella Casa di reclusione di ... al regime differenziato previsto dall'art. 41-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (di seguito indicata come ordinanza penale), aveva «proposto reclamo, ai sensi dell'art. 35-bis ordinanza penale, davanti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto, avverso l'ordine di servizio del 15 marzo 2015 con il quale la direzione dell'Istituto penitenziario aveva preannunciato che a seguito della entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94, doveva ritenersi vietato, ai sensi dell'art. 2, comma 25, lettera f), numero 3, che aveva modificato l'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, lo scambio di oggetti di qualunque genere, quand'anche realizzato tra detenuti appartenenti al medesimo «gruppo di socialita'». Secondo il reclamante, infatti, dallo scambio di oggetti, e in particolare dai generi alimentari provenienti dai consueti canali (pacco famiglia, acquisti effettuati attraverso il circuito interno dell'istituto penitenziario in base al cd. mod. 72), non poteva configurarsi alcun rischio per le finalita' previste dall'art. 41-bis, ordinanza penale, considerato che i detenuti interessati dallo scambio, appartenendo al medesimo gruppo, erano gia' stati ammessi a fruire in comune la cd. socialita'. 2. Con ordinanza n. 546/2018 in data 26 febbraio 2018, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto dichiaro' inammissibile il reclamo, rilevando che l'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale nella formulazione successiva alla novella introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, stabiliva il divieto di scambiare «oggetti», compresi i «generi alimentari», anche tra i detenuti dello stesso gruppo di socialita', secondo quanto riconosciuto dalla Corte di cassazione in plurime pronunce e conformemente a quanto previsto dall'art. 4, comma 1, della circolare n. 3676/6126 del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria datata 1° ottobre 2017; e non potendo riconoscersi, in capo al detenuto, la sussistenza di alcun diritto soggettivo avente ad oggetto il passaggio di generi alimentari ad altri ristretti. 3. Avverso il provvedimento di inammissibilita' aveva personalmente proposto reclamo, ai sensi dell'art. 35-bis ordinanza penale, lo stesso G.; e, con separato atto, analoga impugnazione era stata presentata dal difensore di fiducia del detenuto. Secondo quanto dedotto dai reclamanti, il divieto in questione, ove applicato nei confronti degli appartenenti al medesimo gruppo di socialita', doveva ritenersi distonico rispetto alle finalita' del regime differenziato e, dunque, inutilmente vessatorio, comprimendo ingiustificatamente il diritto fondamentale alla «socialita' in genere», che il detenuto avrebbe inteso esercitare attraverso lo scambio di generi alimentari con gli altri reclusi. 3.1. Con ordinanza n. 1115/2018 in data 19 settembre 2018, il Tribunale di sorveglianza di Perugia accolse i reclami proposti nell'interesse di G. Sotto un primo profilo, il Collegio affermo' che la materia dello scambio di oggetti (e di generi alimentari in particolare, provenienti dai pacchi famiglia, dal sopravitto, dal cibo somministrato dalla stessa amministrazione penitenziaria), riceve tutela in base al combinato disposto degli articoli 35-bis e 69, comma 6, lettera b), della legge n. 354 del 1975, essendo configurabile, quale estrinsecazione del piu' generale principio ex art. 1, ordinanza penale sul trattamento rieducativo, il diritto soggettivo del detenuto a fruire di momenti di socialita' tra persone ristrette. Diritto che deve essere riconosciuto anche ai detenuti sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis ordinanza penale, i quali, infatti, possono condividere la cd. socialita' all'interno del relativo «gruppo», quest'ultimo previsto dalla stessa lettera f) del comma 2-quater del medesimo articolo, oltre che dall'art. 3.1. della circolare del D.A.P. in data 2 ottobre 2017. Secondo il Tribunale di sorveglianza di Perugia, inoltre, essendo lo scambio di oggetti comunque limitato, in base alla previsione generale dell'art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, numero 230 (cd. regolamento di esecuzione all'ordinamento penitenziario), a quelli di «modico valore», con conseguente impossibilita' di configurare alcuna «posizione di supremazia» tra i detenuti, il divieto di scambio tra soggetti del medesimo gruppo di socialita' non poteva essere giustificato da ragioni di sicurezza, non rilevandosi alcuna congruita' tra lo stesso e il fine perseguito dal regime differenziato, costituito dalla necessita' di recidere i collegamenti tra il detenuto e l'associazione criminale di appartenenza. Infatti, dal momento che i detenuti riferibili al medesimo gruppo di socialita' possono incontrarsi liberamente, doveva escludersi che, attraverso il divieto di scambio di oggetti di modico valore (e finanche di generi alimentari), potesse essere neutralizzato il pericolo per l'ordine e la sicurezza costituito dal passaggio di comunicazioni non consentite, potendo le stesse essere trasmesse oralmente. Su tali premesse, il collegio ritenne, dunque, che il divieto in discussione si palesasse come «meramente vessatorio», tale da determinare una irragionevole disparita' di trattamento tra detenuti ordinari e detenuti sottoposti al regime dell'art. 41-bis, ordinanza penale, con conseguente violazione del principio' affermato dall'art. 3 della Costituzione, coerentemente agli arresti della giurisprudenza costituzionale. Per l'effetto, il Tribunale di sorveglianza dispose la disapplicazione dell'art. 4, comma 1, della circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in data 2 ottobre 2017 e dell'ordine di servizio della Direzione della Casa di reclusione di ... del 16 marzo 2015; e ordino', altresi', alla Direzione della stessa Casa di reclusione di emettere un ordine di servizio volto a consentire il passaggio di oggetti e di generi alimentari tra i detenuti facenti parte del medesimo gruppo di socialita' cui G. era stato assegnato. 4. Avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, il Ministero della giustizia, che ha dedotto, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disposizione di attuazione del codice di procedura penale, la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 35-bis e 41-bis, ordinanza penale. In particolare, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, che i giudici di merito abbiano fornito una interpretazione contraria all'inequivoco tenore letterale della citata lettera f) del comma 2-quater dell'art. 41-bis ordinanza penale. Tale disposizione, secondo quanto confermato dalla giurisprudenza di legittimita', non consentirebbe di superare il divieto di scambio di oggetti anche tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialita', avuto riguardo alla formulazione letterale della disposizione, «chiarissima nello statuire che solo il divieto di comunicazione ammette deroga all'interno del medesimo gruppo di socialita'». Una diversita' di regime che si giustificherebbe in quanto, mentre da un lato «sarebbe contraddittorio comporre dei gruppi di socialita' e poi impedire ai loro componenti di comunicare», dall'altro lato lo scambio di oggetti non sarebbe «cosi' essenziale alla socializzazione come il comunicare», rendendo «il divieto di scambio di oggetti (...) congruo e plausibile» nell'ambito del «bilanciamento tra l'interesse alla socializzazione del detenuto e l'interesse (fondante il regime del 41-bis) ad arginare flussi informativi tra detenuti in regime speciale». Secondo il ricorrente, inoltre, l'inequivoco tenore letterale della legge e la sua solida ragione giustificativa escluderebbero la necessita' dell'interpretazione secundum constitutionem operata dai giudici di merito, i quali avrebbero coniato una disposizione sostanzialmente contraria alla volonta' espressa dal legislatore. Ne' alcuna censura potrebbe essere operata sul piano della legittimita' costituzionale del divieto in questione, non essendo stati valicati i limiti posti dalla Corte costituzionale all'applicabilita' del regime di cui all'art. 41-bis, comma 2, ordinanza penale, individuati, in primo luogo, nella «congruita' della misura rispetto allo scopo», ovvero nella corrispondenza funzionale tra la sospensione di regole e istituti previsti dall'ordinamento penitenziario e le esigenze di ordine e sicurezza; e, in secondo luogo, nella «funzione rieducativa della pena» e nel «divieto di pene contrarie al senso di umanita'» ai sensi dell'art. 27 della Costituzione. Infatti, con riferimento alle restrizioni tipizzate dallo stesso legislatore, quali quelle contenute nelle lettere da b) a f) del comma 2 dell'art. 41-bis, il legislatore avrebbe effettuato, a monte, la relativa valutazione, mediante il bilanciamento tra le esigenze di prevenzione e la tutela dei diritti fondamentali. 5. In data 9 maggio 2019, e' pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale e' stato chiesto il rigetto del ricorso. Secondo il Procuratore generale, invero, l'ordinanza impugnata rappresenterebbe una condivisibile opzione interpretativa volta a proporre una lettura della norma restrittiva rispettosa dei fondamentali principi costituzionali, cosi' come ricostruiti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale avrebbe affermato, in piu' occasioni, la ingiustificata disparita' di trattamento tra detenuti ordinari e detenuti sottoposti al regime penitenziario differenziato in tutti i casi in cui le limitazioni imposte a questi ultimi non siano funzionali all'obiettivo primario del regime di cui all'art. 41-bis, ordinanza penale, costituito dall'escludere i contatti tra il detenuto e il gruppo criminale di riferimento. Impostazione che sarebbe stata ribadita, da ultimo, dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 settembre 2018, n. 186, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, nella parte in cui dispone il divieto per i detenuti sottoposti al regime differenziato di cuocere cibi all'interno della propria cella detentiva; sentenza con la quale sarebbe stato affermato che la negazione dell'accesso a tale modalita' di espressione della socialita' «finisce per configurarsi come una lesione dell'art. 27, comma terzo, Costituzione, presentandosi come una indebita ed ulteriore limitazione, contraria al senso di umanita'», in quanto incongrua e inutile alla luce degli obiettivi cui tende la norma restrittiva, configurandosi come una ingiustificata deroga all'ordinario regime carcerario dotata di valore meramente e ulteriormente afflittivo. Nel caso di specie, infatti, il divieto di scambio di oggetti di modico valore, ivi compresi i generi alimentari, tra detenuti che, in virtu' della appartenenza al medesimo gruppo di socialita', sono liberi di incontrarsi per due ore al giorno, condividendo l'uscita all'aperto e la apposita sala di ritrovo, non sarebbe idonea a configurare alcun reale pericolo per l'ordine e per la sicurezza, finendo per costituire una limitazione priva di alcuna attinenza con le ragioni del regime differenziato. Pertanto, la lettura offerta dai due provvedimenti di merito si porrebbe nel solco di una lettura costituzionalmente conforme della cennata disposizione penitenziaria. Considerato in diritto 1. Rileva il Collegio che deve essere sollevata d'ufficio, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimita' costituzionale, con riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge n. 354 del 1975. 2. L'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, prevede l'adozione di «tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata l'assoluta impossibilita' di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita', scambiare oggetti e cuocere cibi». Secondo l'interpretazione di tale disposizione che e' stata offerta dalla giurisprudenza di legittimita', «tenendo conto del significato e della connessione delle parole e dei segni grafici utilizzati, nonche' del senso logico del testo», deve ritenersi, «soprattutto in considerazione dell'inserimento del segno di interpunzione della virgola fra le parole «socialita'» e «scambiare», (...) che, nel periodo sintattico in esame, le vane proposizioni riferite a comportamenti dei detenuti, in ordine ai quali va perseguita la «assoluta impossibilita'» di realizzazione, siano costituiti, per un verso, dalla comunicazione fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita' e, per altro verso, dallo scambio di oggetti e dalla cottura di cibi». Diversamente, infatti, «la disposizione avrebbe contemplato «la assoluta impossibilita' di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita', e di cuocere cibi». Pertanto, il perseguimento della «assoluta impossibilita'» deve ritenersi «riferito alle comunicazioni fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita', con l'ovvia conseguenza che non e' richiesto di impedire in modo cosi' radicale le comunicazioni fra i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialita'»; mentre «la necessita' di assicurare la "assoluta impossibilita'" dello scambio di oggetti riguarda tutti gli scambi fra detenuti, e non e' limitata ai soli scambi fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'» (cosi sezione 1, n. 5977 del 13 luglio 2016, dep. 2017, Guarino, rv. 269185). 4. L'orientamento interpretativo teste' riassunto, ribadito in diverse pronunce della Corte di legittimita' (sezione 1, n. 29301 del 18 aprile 2019, Cammarata, non massimata; sezione 1, n. 29300 del 18 aprile 2019, Riina, non massimata; sezione 1, n. 4993 del 20 luglio 2017, dep. 2018, Attanasio, non massimata), parrebbe coerente con il dato testuale e, in tesi, sintonico rispetto a una ratio legis ispirata a istanze di particolare rigore, connesse alla notevole caratura criminale dei detenuti che sono sottoposti al regime differenziato. E a fronte di una formulazione dell'enunciato normativo che sembrerebbe chiara nel suo significato precettivo, l'interprete non potrebbe pervenire, come osservato dal Ministero ricorrente, a un epilogo esegetico di significato opposto a quello fatto palese dal significato delle parole che quell'enunciato compongono. Nondimeno, compito dell'interprete e' anche quello di verificare la compatibilita' costituzionale delle disposizioni di legge non suscettibili, senza forzature ermeneutiche, di assumere un differente significato normativo e, se del caso, di investire l'unico organo che, nel sistema vigente, e' chiamato a vagliarne la legittimita' costituzionale. Una verifica che, nel caso di specie, impone di ritenere non manifestamente infondata, oltre che indiscutibilmente rilevante, la questione di costituzionalita' della norma in questione, quantomeno nella specifica ipotesi, qui in rilievo, del divieto di scambio di oggetti tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialita'. 5. Giova ricordare, in premessa, che la funzione della sospensione del regime penitenziario ordinario prevista dall'art. 41-bis, ordinanza penale, deve essere individuata, secondo quanto piu' volte sottolineato dalla Corte costituzionale, nella necessita' di rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra i detenuti che appartengano a determinate organizzazioni criminali, sia tra gli stessi e gli altri componenti del sodalizio che si trovano in liberta'. Tale obiettiva e' perseguito mediante la previsione di una serie di significative restrizioni a quegli istituti dell'ordinamento penitenziario i quali, ordinariamente rivolti a favorire il reinserimento sociale dei detenuti, sono tuttavia suscettibili di favorire il mantenimento dei contatti con l'ambiente esterno (v. Corte costituzionale, sentenza 26 novembre 1997, n. 376; ordinanze 17 novembre 2004, n. 417 e 7 aprile 1998, n. 192) e, in tale ambito, con la consorteria criminale di appartenenza, consentendo ai reclusi di continuare a impartire direttive all'esterno o di mantenere, anche dall'interno del carcere, il controllo sulle attivita' criminose dell'associazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza 17 giugno 2013, n. 143, in tema di colloqui con il difensore). In particolare, il comma 2-quater dell'art. 41-bis, ordinanza penale, nel testo introdotto dalla legge n. 94 del 2009, volto a incidere drasticamente sulle possibilita' di relazione dei detenuti, elenca una serie di misure specifiche «di elevata sicurezza interna ed esterna» finalizzate a «prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento» del detenuto o dell'internato, oltre che «contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate», le quali costituiscono il contenuto tipico e necessario del regime stesso (cosi' Corte costituzionale, sentenza 8 febbraio 2017, n. 122). Nel dettaglio, la citata disposizione prevede, con riferimento ai «rapporti tra il detenuto e l'esterno»: alla lettera b), limitazioni nel numero e nelle modalita' di svolgimento dei colloqui e delle telefonate; alla lettera c), limitazioni nelle somme e nella quantita' e tipologia dei beni che possono essere ricevuti dall'esterno; alla lettera e), limitazioni della corrispondenza. Lo stesso comma 2-quater prevede, altresi', per quanto attiene ai «rapporti tra i detenuti»: alla lettera d) l'esclusione dalla partecipazione alle rappresentanze dei detenuti; alla lettera f), significative limitazioni sia nella permanenza all'aria aperta, sia nella cd. socialita', atteso che i c.d. «gruppi di socialita'» non possono essere composti da piu' di quattro persone e che, come si e' gia' osservato, devono essere adottate le necessarie misure per garantire «l'assoluta impossibilita' di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'» e per «scambiare oggetti», essendo ormai venuta meno la possibilita' di «cuocere cibi» per effetto della sentenza 26 settembre 2018, n. 186 della Corte costituzionale (sulla quale infra). 6. Nondimeno, come la Corte costituzionale ha piu' volte ricordato, il regime differenziato previsto dall'art. 41-bis, ordinanza penale, soggiace a due limiti essenziali, aventi entrambi fondamento costituzionale. 6.1. Il primo di essi attiene alla congruita' della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue. La Corte costituzionale ha affermato che «non possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano i1 provvedimento. Mancando tale congruita', infatti, le misure in questione non risponderebbero piu' al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all'ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale. Ne' tale funzione potrebbe essere alterata o forzata attribuendo alle misure disposte uno scopo «dimostrativo», volto cioe' a privare una categoria di detenuti di quelle che vengono cosiderate o manifestazioni di «potere reale» e occasioni per aggregare intorno ad essi «consenso» traducibile in termini di potenzialita' offensive criminali. Se e' vero infatti che va combattuto in ogni modo il manifestarsi all'interno del carcere di forme di «potere» dei detenuti piu' forti o piu' facoltosi, suscettibili anche di rafforzare le organizzazioni criminali, e' anche vero che cio' deve perseguirsi attraverso la definizione e l'applicazione rigorosa e imparziale delle regole del trattamento carcerario (...). Non potrebbe, per converso, considerarsi legittimo, a questo scopo, l'impiego di misure piu' restrittive nei confronti di singoli detenuti in funzione di semplice discriminazione negativa, non altrimenti giustificata, rispetto alle regole e ai diritti valevoli per tutti» (v. Corte costituzionale, sentenza 14 ottobre 1996, n. 351). E nella stessa prospettiva, si e' affermata la legittimita' del regime detentivo speciale nella misura in cui esso implichi «quelle sole restrizioni che siano concretamente idonee a prevenire tale pericolo» per la sicurezza pubblica (v. Corte costituzionale, sentenza 5 dicembre 1997, n. 376). Anche successivamente alla introduzione della legge 15 luglio 2009, n. 94, la Corte costituzionale ha ribadito il principio secondo cui «non puo' esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango» (cfr. Corte costituzionale, sentenza 17 giugno 2013, n. 143, in tema di colloqui difensivi). Una esigenza, quella della congruita' tra misura e scopo, che costituisce una declinazione del principio di proporzione, rispetto al quale la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo richiede che le misure incidenti sulle liberta' riconosciute dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo debbano, per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo; essere idonee rispetto all'obiettivo di tutela; risultare necessarie, non potendo essere disposte misure meno restrittive e parimenti idonee al conseguimento dello scopo; non realizzare un sacrificio eccessivo del diritto compresso. E del resto non va dimenticato che lo stesso art. 41-bis, ordinanza penale, nel prevedere, al comma 2, che «la sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l'associazione», si omologa, espressamente, alla medesima prospettiva, considerando legittime, appunto, solo le limitazioni «necessarie», ovvero congrue rispetto allo scopo e, in ogni caso, proporzionate. 6.2. Il secondo limite attiene alla funzione rieducativa della pena e al divieto di pene contrarie al senso di umanita', sanciti dall'art. 27 della Costituzione. Da tali principi, infatti, consegue che le restrizioni disposte ai sensi dell'art. 41-bis, comma 2, ordinanza penale non devono essere tali da vanificare completamente la necessaria finalita' rieducativa della pena e da violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' (v. Corte costituzionale, sentenze 14 ottobre 1996, n. 351, 24 giugno 1993, n. 349 e 21 giugno 2018, n. 149), «verifica quest'ultima tanto piu' delicata trattandosi di misure che derogano al trattamento carcerario ordinario» (cosi', ancora, la citata sentenza n. 351 del 1996). 7. Se, come sopra argomentato, la disciplina dettata dall'art. 41-bis, ordinanza penale rinviene specifici limiti costituzionali in ordine alla possibilita' di disporre misure che non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza o che siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento, deve conseguentemente ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione. 7.1. Con riferimento al solo primo parametro, infatti, mentre la previsione secondo cui l'amministrazione penitenziaria deve assicurare il divieto assoluto di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita' appare effettivamente funzionale a garantire gli obiettivi di prevenzione della misura (v. sezione 7, n. 378 del 29 maggio 2014, dep. 2015, Piromalli, Rv. 261890, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disposizione in esame, in quanto finalizzata a evitare dinamiche relazionali, tra detenuti per delitti di criminalita' organizzata, che potrebbero agevolare logiche associative aggreganti tra esponenti dello stesso sodalizio o, all'opposto, contrapposizioni conflittuali nei confronti di gruppi avversi), l'ulteriore disposizione, concernente il divieto di scambio di oggetti, che il ricordato enunciato normativo riferisce, indifferentemente, a tutti gli altri ristretti, ancorche' appartenenti al medesimo gruppo di socialita', non puo', invece, ritenersi funzionale a fronteggiare alcun pericolo per la sicurezza pubblica, assumendo ««una portata meramente afflittiva». Mentre nel primo caso, infatti, lo scambio di oggetti potrebbe consentire di veicolare informazioni tra soggetti che, in quanto assegnati a differenti gruppi di socialita', l'amministrazione ha ritenuto, sulla base di una valutazione in concreto, non debbano essere ammessi a comunicare proprio per interrompere ogni forma di relazione e per ovviare al pericolo della circolazione di determinate conoscenze, nella seconda ipotesi tale essenziale esigenza e', per definizione, inesistente, dal momento che proprio la comune appartenenza al medesimo gruppo consentirebbe, a monte, lo scambio di qualunque contenuto informativo; e cio' senza dover ricorrere, appunto, allo scambio di oggetti. Ne' potrebbe ritenersi che il divieto di scambio di oggetti possa giustificarsi in rapporto alla necessita' di impedire che taluno dei soggetti del sinallagma possa, attraverso tale operazione, acquisire una posizione di supremazia nel contesto penitenziario. Come puntualmente argomentato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 186 del 2018, infatti, il manifestarsi, all'interno del carcere, di forme di «potere» dei detenuti piu' forti o piu' facoltosi, suscettibili anche di rafforzare le organizzazioni criminali, deve essere impedito «attraverso la definizione e l'applicazione rigorosa e imparziale delle regole del trattamento carcerario [...]»; e «non potrebbe, per converso, considerarsi legittimo, a questo scopo, l'impiego di misure piu' restrittive nei confronti di singoli detenuti in funzione di semplice discriminazione negativa, non altrimenti giustificata, rispetto alle regole e ai diritti valevoli per tutti» (cosi gia' la sentenza n. 351 del 1996). Inoltre, il riferimento alla necessita' di contrastare attraverso regole dal sapore dimostrativo forme di «potere reale» dei detenuti rivela ulteriormente la propria palese incongruita', se concretamente riferito al particolare divieto in esame, in rapporto al fatto che gia' la regola generale, posta dall'art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta'), consente la cessione o lo scambio unicamente di beni di «modico valore». Beni che, nel caso di specie, consistevano in generi alimentari (zucchero, caffe' et similia) o, comunque, di prima necessita' (per l'igiene personale o la pulizia della cella) inviati dall'esterno, e quindi ulteriormente limitati ex art. 41-bis, comma 2-quater, lettera c), o acquistati al cd, sopravvitto, sicche' la possibilita' di un utilizzo di beni di rilevante valore quale «mezzo improprio di scambio» doveva ritenersi esclusa in radice; e risultando del tutto improbabile, in ogni caso, che il perpetuarsi delle gerarchie criminali all'interno del carcere possa realizzarsi attraverso lo scambio di caffe' o sapone, peraltro nei contenuti limiti quantitativi gia' previsti dai vigenti regolamenti (cfr., ancora, quanto osservato da Corte costituzionale, sentenza n. 186 del 2018 in relazione al consumo di cibi di lusso). Pertanto, gia' sotto tale primo aspetto, non puo' ritenersi manifestamente infondato il dubbio che il divieto di scambiare oggetti tra detenuti sottoposti al regime differenziato, ma appartenenti al medesimo gruppo di socialita', configuri una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai ristretti in regime ordinario e una irragionevole limitazione dal significato inutilmente vessatorio. 7.2. Quanto, poi, all'art. 27, anche in relazione all'art. 3, della Costituzione, dal momento che, come ricordato, il principio del finalismo rieducativo non puo' essere obliterato e che le limitazioni al regime penitenziario ordinario non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita', il divieto di cedere e/o scambiare oggetti di modico valore tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialita' configura un vulnus ai principi affermati dal richiamato parametro costituzionale e al divieto di un trattamento irragionevolmente differenziato. Infatti, proprio la previsione secondo cui «l'assoluta impossibilita' di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'» comporta, a contrariis, che anche ai detenuti e agli internati sottoposti al regime differenziato deve essere riconosciuto, cosi come ai detenuti e agli internati «comuni», un diritto alla socialita', il quale costituisce, a sua volta, esplicazione del diritto al trattamento rieducativo. E una volta stabilito che il diritto alla socialita' debba essere esercitato nell'ambito di un gruppo di ristretti, selezionato dall'amministrazione penitenziaria in ragione della ricordata necessita' di impedire il mantenimento dei legami con il gruppo criminale di provenienza, la ulteriore limitazione conseguente all'applicazione del divieto di cui si discute, che impedisca anche quelle forme «minime» di socialita' che si estrinsecano nello scambio di oggetti di scarso valore e di immediata utilita' o di generi alimentari tra persone che si frequentano «senza filtri» ogni giorno e in una prospettiva di normalita' di rapporti interpersonali, finisce per realizzare una non consentita limitazione ai principi del finalismo rieducativo e del divieto di trattamenti degradanti. Degradazione che si ha ogni volta che il detenuto/internato, sottoposto a misure ingiustificatamente afflittive, vede strumentalizzata la propria umanita' per finalita' di politica criminale del tutto distoniche rispetto alle specifiche finalita' di sicurezza perseguite dal regime differenziato, con una ingiustificata differenziazione della relativa disciplina penitenziaria. 8. Osserva, poi, il Collegio che la prospetta questione di legittimita' costituzionale deve ritenersi rilevante in ragione degli evidenti effetti che l'eventuale declaratoria di incostituzionalita', sia pure in parte qua, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordinanza penale, produrrebbe sul procedimento in corso. Cio' in quanto l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma censurata farebbe venire meno la base legale degli atti dell'amministrazione penitenziaria in relazione ai quali e' stato proposto il reclamo (e segnatamente dell'ordine di servizio 15 marzo 2015, ma anche della circolare n. 3676/6126 del D.A.P. in data 1° ottobre 2017, successivamente intervenuta, che ha costituito un ulteriore determinazione amministrativa incidente sulla posizione soggettiva del detenuto reclamante), sicche' tali atti diventerebbero illegittimi, con ovvie conseguenze sul merito della questione devoluta con l'impugnazione presentata dal Ministero ricorrente. Infatti, il venir meno della limitazione prevista dalla disposizione in esame per i detenuti sottoposti al regime differenziato determinerebbe il riespandersi, anche per tale categoria di reclusi, delle previsioni generali legate al diritto alla socialita' quale momento essenziale del trattamento penitenziario (articoli 1, ordinanza penale) e alla facolta' di cedere «oggetti di modico valore» accordata a detenuti e internati dall'art. 15, comma 2, del regolamento di esecuzione; sicche' anche per i reclusi sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis, ordinanza penale, diventerebbe esperibile il reclamo previsto, per il caso della lesione di diritti soggettivi, dal combinato disposto degli articoli 35-bis, comma 3, e 69, comma 6, lettera b) e 69, ordinanza penale, nella versione risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 3, comma 1, lettere b) e i), numero 2), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 10 - in virtu' dei quali il magistrato di sorveglianza, se accerta la sussistenza e l'attualita' del pregiudizio, ordina all'amministrazione penitenziaria di porvi rimedio entro un determinato termine. Va, infatti, ribadito che sebbene il comma 2-sexies dell'art. 41-bis, ordinanza penale abbia limitato il sindacato giurisdizionale sul regime detentivo speciale alla verifica della sussistenza dei presupposti applicativi, deve comunque ritenersi esperibile un controllo giudiziale sul contenuto dell'atto (cosi' Corte costituzionale, sentenza 28 maggio 2010, n. 190), oggi esercitabile attraverso lo strumento del reclamo di cui all'art. 35-bis ordinanza penale. 9. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), come modificato dall'art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilita' di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Castituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), legge n. 354 del 1975, nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilita' di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'. Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Ministero ricorrente, a G.G., al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in data 29 maggio 2019 Il Presidente: Iasillo Il consigliere estensore: Renoldi