N. 132 SENTENZA 7 - 16 maggio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza  -  Indennita'  premio  di  fine  servizio  per  direttore
  generale, direttore  amministrativo  e  direttore  sanitario  delle
  A.S.L. 
- Decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della
  disciplina in materia sanitaria,  a  norma  dell'articolo  1  della
  legge 23 ottobre 1992, n. 421), art. 3-bis, comma 11. 
-   
(GU n.22 del 21-5-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-bis,
comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502  (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), inserito dall'art. 3,  comma  3,  del
decreto  legislativo  19  giugno  1999,  n.   229   (Norme   per   la
razionalizzazione  del  Servizio   sanitario   nazionale,   a   norma
dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Trento nel procedimento vertente  tra  F.C.  e
l'INPS, con ordinanza del 17 gennaio 2013, iscritta  al  n.  199  del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti di costituzione di F.C. e dell'INPS; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  marzo  2014  il   Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi gli avvocati Carlo Cester per  F.C.  e  Maria  Assumma  per
l'INPS. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 gennaio 2013 il Tribunale  ordinario  di
Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  3-bis,  comma  11,   del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino   della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23  ottobre  1992,  n.  421),  in  riferimento  all'art.   76   della
Costituzione e all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione, (recte:
terzo  comma)  nel  testo  introdotto   dall'art.   6   della   legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del  principio  del
pareggio di bilancio nella Carta costituzionale). 
    Si legge nell'ordinanza di rimessione che il  ricorrente  F.C.  -
gia' dipendente dell'Azienda ospedaliera di  Padova  con  rapporto  a
tempo indeterminato fino alla data del 31 dicembre 2007,  quando  era
stato collocato a riposo - aveva agito  nei  confronti  dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale  (INPS)  -  gestione  ex  Istituto
nazionale  di  previdenza  per  i   dipendenti   dell'amministrazione
pubblica  (INPDAP)  -  chiedendo  che  questo  fosse   condannato   a
corrispondere la differenza tra l'ammontare dell'indennita' premio di
fine servizio (cosiddetto IPS) effettivamente percepito e quello  che
il ricorrente riteneva che gli sarebbe spettato secondo la disciplina
dettata dall'art. 3-bis, comma  11,  del  d.lgs.  n.  502  del  1992,
introdotto dall'art. 3, comma 3, del decreto  legislativo  19  giugno
1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del  Servizio  sanitario
nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre  1998,  n.
419), in relazione al periodo  corrente  tra  il  1999  ed  il  2007,
durante il quale questi,  posto  in  aspettativa  presso  il  proprio
datore di lavoro,  aveva  svolto  dapprima  l'incarico  di  direttore
generale dell'Azienda unita'  locale  socio  sanitaria  n.  19  della
Regione Veneto e successivamente, dal  1°  gennaio  2000,  quello  di
direttore  amministrativo  dell'Azienda  provinciale  per  i  servizi
sanitari della Provincia autonoma di Trento. 
    L'art. 3-bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992 stabilisce che
«La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina
per i lavoratori dipendenti  il  collocamento  in  aspettativa  senza
assegni e il diritto al  mantenimento  del  posto.  L'aspettativa  e'
concessa  entro  sessanta  giorni  dalla  richiesta.  Il  periodo  di
aspettativa e' utile ai fini  del  trattamento  di  quiescenza  e  di
previdenza.  Le  amministrazioni  di   appartenenza   provvedono   ad
effettuare il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
comprensivi delle  quote  a  carico  del  dipendente,  calcolati  sul
trattamento economico corrisposto per l'incarico conferito nei limiti
dei massimali di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo
24 aprile 1997, n. 181, e a richiedere il rimborso di  tutto  l'onere
da esse complessivamente  sostenuto  all'unita'  sanitaria  locale  o
all'azienda ospedaliera interessata, la  quale  procede  al  recupero
della quota a carico dell'interessato». 
    1.1.- Il Tribunale  ordinario  di  Trento  solleva  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 3-bis, comma 11, nella parte in
cui, commisurando l'indennita' premio di servizio disciplinata  dagli
artt. 2 e 4 della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in  materia
previdenziale per il personale degli  Enti  locali),  al  trattamento
retributivo effettivamente percepito  in  relazione  all'incarico  di
direttore generale (o di  direttore  amministrativo  o  di  direttore
sanitario)  delle  aziende  e  degli  enti  del  Servizio   sanitario
regionale e  delle  Province  autonome  -  in  luogo  del  precedente
riferimento  costituito  dal  trattamento  retributivo  previsto   in
relazione al rapporto di lavoro dipendente in corso di svolgimento al
momento  di  assumere  il  nuovo  incarico  -   comporterebbe   oneri
aggiuntivi per il bilancio dell'INPS (succeduto ex  lege  all'INPDAP,
ai sensi dell'art. 21 del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,
recante  «Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici»,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge  22  dicembre  2011,  n.  214),  in
violazione  dell'art.  76  Cost.,  con  particolare  riferimento   al
precetto della legge di delega contenuto nell'art. 1, comma 4,  della
legge  30  novembre  1998,  n.  419  (Delega  al   Governo   per   la
razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e  per  l'adozione
di un testo unico in materia di organizzazione  e  funzionamento  del
Servizio sanitario nazionale. Modifiche  al  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502), nonche' in violazione  dell'art.  81,  ultimo
comma, Cost. (recte: terzo  comma),  nel  testo  attualmente  vigente
introdotto dall'art. 6 della legge costituzionale 20 aprile 2012,  n.
1), in quanto il legislatore delegato non avrebbe  indicato  i  mezzi
per fare fronte alle nuove e maggiori spese. 
    1.2.- Secondo il giudice a quo il giudizio in corso non  potrebbe
essere definito  indipendentemente  dalla  soluzione  della  suddetta
questione di legittimita' costituzionale,  in  quanto,  si  sostiene,
applicando le norme impugnate  la  domanda  proposta  dal  ricorrente
dovrebbe essere accolta. 
    Nemmeno, si prosegue, l'accoglimento della domanda del ricorrente
sarebbe preclusa dalla disposizione dettata dall'art.  19,  comma  2,
ultimo periodo, del d.lgs. 30 marzo  2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), come modificato dall'art, 1, comma 32, del  decreto-legge
13  agosto  2011,  n.  138   (Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148 - secondo cui «ai fini della liquidazione del  trattamento  di
fine servizio, comunque denominato, l'ultimo stipendio va individuato
nell'ultima   retribuzione   percepita   prima    del    conferimento
dell'incarico avente durata inferiore a tre anni»  -  stante  la  sua
inapplicabilita' ratione temporis al caso in esame (il ricorrente  ha
maturato il diritto all'indennita' premio  di  servizio  in  data  31
dicembre 2007, precedente l'entrata in vigore  della  norma),  tenuto
conto che a mente dell'ultimo periodo del medesimo art. 1, comma  32,
«[...] la disposizione del presente comma si applica  agli  incarichi
conferiti successivamente alla data di entrata in vigore del presente
decreto nonche' agli incarichi aventi comunque decorrenza  successiva
al 1° ottobre 2011». 
    1.3.-  Con  riguardo  alla  non  manifesta   infondatezza   della
questione sollevata, il Tribunale  ordinario  di  Trento  espone  che
l'art. 1, comma 1, della legge n. 419 del 1998 ha delegato il Governo
ad «emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore
della  presente  legge,  uno  o  piu'  decreti  legislativi   recanti
disposizioni modificative e integrative del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502, e successive  modificazioni,  sulla  base  dei
principi e  dei  criteri  direttivi  previsti  dall'articolo  2»;  il
successivo comma 4 dispone che: «l'esercizio della delega di cui alla
presente legge non comporta complessivamente oneri aggiuntivi per  il
bilancio dello Stato e degli enti di cui agli articoli 25 e 27  della
legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive  modificazioni»  (tra  tali
enti,  precisa  il  rimettente,   figurerebbero,   secondo   l'elenco
contenuto nella tabella A allegata alla legge n. 468 del 1978, l'INPS
e gli enti preposti alla gestione delle pensioni e delle liquidazioni
dei dipendenti dello Stato e degli enti locali, confluiti nell'INPDAP
in forza del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 479, recante «Attuazione della
delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, in materia di riordino e soppressione  di  enti  pubblici  di
previdenza e assistenza»). 
    Il legislatore delegato, prosegue il giudice a quo, con l'art. 3,
comma 3, del d.lgs. n. 229 del 1999 ha inserito nel d.lgs. n. 502 del
1992 l'art 3-bis, in ossequio al criterio direttivo dettato dall'art.
2,  comma  1,  lettera  t),  («rendere  omogenea  la  disciplina  del
trattamento  assistenziale  e  previdenziale  dei  soggetti  nominati
direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di
azienda, nell'ambito dei trattamenti  assistenziali  e  previdenziali
previsti  dalla  legislazione  vigente,  prevedendo  altresi'  per  i
dipendenti privati l'applicazione dell'articolo 3, comma  8,  secondo
periodo, del decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502  ,  e
successive modificazioni»). 
    Per effetto di tale modifica  normativa,  prosegue  il  Tribunale
ordinario  di  Trento,  sebbene  l'INPDAP  avesse  sostenuto  che  la
previsione introdotta dall'art. 3-bis del d.lgs.  n.  502  del  1992,
concernerebbe esclusivamente il trattamento pensionistico e non anche
l'IPS, si sarebbe consolidato il contrario orientamento  della  Corte
di cassazione (sono citate le sentenze n. 11925 del 2008, n. 24286  e
n. 28510 del 2011) in ragione del quale il servizio  prestato  da  un
dipendente di  un  ente  locale  a  seguito  di  nomina  a  direttore
generale, amministrativo o sanitario, deve ritenersi utile  anche  ai
fini del trattamento di quiescenza e previdenza (tanto che -  osserva
la Corte di cassazione nelle sentenze dianzi citate  -  per  esso  le
amministrazioni  di  appartenenza  effettuano   il   versamento   dei
contributi  previdenziali  commisurati   al   trattamento   economico
corrisposto  per  l'incarico  conferito).  Ne  conseguirebbe  quindi,
secondo il rimettente, che la misura dell'indennita' premio  di  fine
servizio,  dovuta  al  dipendente,  dovrebbe  essere  determinata  in
relazione al trattamento retributivo considerato  dall'art.  4  della
legge n. 152 del 1968 ma riferito all'incarico assunto  di  direttore
generale, amministrativo o sanitario, seppur nei limiti del massimale
di cui all'art. 3, comma 7, del decreto legislativo 24  aprile  1997,
n. 181 (Attuazione della delega conferita dall'articolo 2, comma  22,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di regime pensionistico
per gli iscritti all'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti
di  aziende  industriali).  Secondo  il  giudice   a   quo,   quindi,
apparirebbe indubbio, anche alla  luce  delle  modalita'  di  computo
dell'indennita' premio di servizio di cui all'art. 4 della  legge  n.
152 del 1968 («[...] l'indennita' premio di servizio, prevista  dagli
artt. 2  e  3,  sara'  pari  a  un  quindicesimo  della  retribuzione
contributiva degli ultimi dodici mesi, considerata in ragione dell'80
per cento  ai  sensi  del  successivo  art.  11,  per  ogni  anno  di
iscrizione all'Istituto»), che il nuovo parametro comporti per l'ente
previdenziale,  ai  fini  della  corresponsione  dell'IPS,   maggiori
esborsi  che  sarebbero  «[...]  compensati  solo  in  misura  minima
dall'incremento  dei  contributi  previdenziali   (come   si   evince
chiaramente dall'esempio pratico  illustrato  dall'INPS  a  pag.  6-7
della memoria di costituzione)». 
    Riferisce in proposito il  Tribunale  che  l'INPS  ha  sostenuto,
senza contestazione alcuna da parte del ricorrente, che «per  effetto
della modifica introdotta [...] si avrebbe un  notevole  aggravio  di
spesa dell'ordine di 100.000,00/200.000,00 euro  per  ogni  direttore
generale o sanitario o amministrativo  di  ciascuna  delle  centinaia
ULSS/ASL esistenti in Italia, ancorche' se nominato, in ipotesi,  per
un anno soltanto. Il buco erariale per circa  500  ULS/ASL  italiane,
con una liquidazione all'anno tra direttori generali,  amministrativi
e sanitari, ammonterebbe ad almeno 75.000.000,00 di euro annui». 
    Di tanto, prosegue il giudice a quo, darebbe conferma la  pretesa
del ricorrente, il  quale,  dall'applicazione  del  nuovo  parametro,
beneficerebbe di una maggiorazione dell'indennita' premio di servizio
di ammontare superiore a 20.000,00 in relazione ad un periodo di poco
piu' di sette anni di lavoro. 
    1.4.- In definitiva, secondo il Tribunale ordinario di Trento non
apparirebbe manifestamente infondato  l'assunto  secondo  cui  l'art.
3-bis, comma  11,  del  d.lgs.  n.  502  del  1992,  mutando,  per  i
dipendenti  pubblici  nominati  o  direttore  generale  o   direttore
amministrativo o direttore sanitario delle aziende e degli  enti  del
Servizio sanitario regionale e delle Province autonome  il  parametro
costituito dalla retribuzione assoggettabile a prelievo  contributivo
ai  fini  della  quantificazione  dell'IPS,  abbia   comportato,   in
violazione del precetto contenuto nella legge di delega  ex  art.  1,
comma 4, della legge  n.  419  del  1998,  oneri  aggiuntivi  per  il
bilancio dell'INPS, gestione ex INPDAP, integrando in tal modo sia la
violazione dell'art. 76 Cost., nonche' dell'art.  81,  ultimo  comma,
Cost. (recte: terzo comma), nel testo  attualmente  vigente  inserito
dall'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 2012, in  quanto  non
avrebbe indicato i mezzi per far fronte alle nuove e  maggiori  spese
(sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n.1 del  1966
e n. 92 del 1981). 
    2.- Si e' costituito in giudizio l'INPS il quale, concludendo per
l'accoglimento della presente questione, ne ha evidenziato la novita'
rispetto a quelle affrontate e decise con le sentenze di questa Corte
n. 351 del 2010 e n. 119 del 2012. Secondo l'INPS la norma sospettata
di  illegittimita'   costituzionale   avrebbe   accordato   ai   soli
beneficiari degli incarichi apicali presso le  aziende  sanitarie  un
trattamento di particolare favore, ben superiore  a  quello  previsto
per gli altri titolari di  indennita'  analoghe,  con  ingiustificato
privilegio  che  si  mostrerebbe  ancor  maggiormente  stridente   se
confrontato con le piu' recenti  riforme  che  hanno  interessato  la
generale platea dei lavoratori, il cui trattamento di  fine  rapporto
utilizza come parametro le retribuzioni conseguite  nell'intera  vita
lavorativa. 
    3.- Si e' altresi' costituito F.C.,  ricorrente  nel  giudizio  a
quo,  il  quale  ha  concluso  chiedendo  che   la   Corte   dichiari
l'infondatezza della  questione,  valutatane  anche  l'ammissibilita'
alla luce dei precedenti gia' decisi.  Nella  memoria  depositata  in
vista dell'udienza pubblica, F.C. ha richiamato gli  argomenti  delle
due precedenti sentenze della Corte  con  le  quali  era  stata  gia'
dichiarata   l'infondatezza   delle   questioni    di    legittimita'
costituzionale della medesima norma, che dimostrerebbero la  mancanza
di novita' della presente questione. Sostiene inoltre il medesimo che
l'assoggettamento a contribuzione dei compensi attribuiti ai  vertici
delle  aziende  sanitarie  costituirebbe  una  sufficiente  forma  di
copertura  degli  oneri  derivanti  dall'aumento  delle   prestazioni
pensionistiche, in perfetta conformita' con  il  sistema  complessivo
dell'epoca,  mentre  il  presunto  aggravio  di   spesa   deriverebbe
unicamente da una evenienza di fatto che gia' la Corte costituzionale
ha ritenuto non meritevole di rilevanza nel giudizio di  legittimita'
costituzionale e che comunque era perfettamente insita  nel  sistema,
senza che la disposizione impugnata abbia  recato  qualche  modifica.
Per tali motivi, secondo l'interveniente, la norma impugnata dovrebbe
restare immune anche da ogni censura di preteso difetto di  copertura
ai sensi dell'art.  81  Cost.,  disposizione  che  comunque  dovrebbe
essere  inquadrata  nell'ambito   del   complessivo   assetto   delle
prestazioni previdenziali ed assistenziali, laddove gia'  in  passato
la Corte di cassazione avrebbe ritenuto prive di fondamento eccezioni
sollevate  in  giudizio  che  colpivano  singole  disposizioni  (sono
richiamate le sentenze n. 8035 del 1990 e n.  20731  del  2004),  ne'
potendosi rinvenire nel caso di specie quelle particolari circostanze
che  avevano  caratterizzato  la  questione  affrontata  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 92 del 1981. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 gennaio 2013 il Tribunale  ordinario  di
Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 3-bis, comma  11,  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421), in  riferimento  all'art.  76  della  Costituzione  ed
all'art. 81, ultimo comma, Cost.  (recte:  terzo  comma),  nel  testo
introdotto dall'art. 6 della legge costituzionale 20 aprile 2012,  n.
1 (Introduzione del principio del pareggio di  bilancio  nella  Carta
costituzionale). 
    1.1.- Riferisce il giudice a quo che il ricorrente  F.C.  -  gia'
dipendente dell'Azienda  Ospedaliera  di  Padova  -  aveva  agito  in
giudizio  nei  confronti  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) - gestione ex Istituto nazionale di previdenza  per  i
dipendenti dell'amministrazione pubblica  (INPDAP)  -  chiedendo  che
questo fosse condannato a corrispondere la differenza tra l'ammontare
dell'indennita'  premio  di  fine   servizio   (IPS)   effettivamente
percepito e  quello  che  il  ricorrente  riteneva  che  gli  sarebbe
spettato secondo la disciplina recata dall'art. 3-bis, comma 11,  del
d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto dall'art. 3, comma 3, del  decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme  per  la  razionalizzazione
del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge
30 novembre 1998, n. 419), in relazione al periodo  corrente  tra  il
1999 ed il 2007, durante il quale il ricorrente, posto in aspettativa
presso il proprio datore di lavoro, aveva svolto dapprima  l'incarico
di direttore generale dell'Azienda unita' locale socio  sanitaria  n.
19 della Regione Veneto, e  successivamente,  dal  1°  gennaio  2000,
quello di direttore amministrativo  dell'Azienda  provinciale  per  i
servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento. 
    1.2.- Secondo il rimettente, per effetto della norma impugnata la
misura dell'IPS dovuta al dipendente che avesse assunto l'incarico di
direttore  generale,  amministrativo  o  sanitario   presso   aziende
sanitarie  dovrebbe  determinarsi   sulla   base   degli   emolumenti
effettivamente percepiti in conseguenza  di  tali  incarichi  e  non,
invece, utilizzando  come  parametro  la  retribuzione  in  godimento
riferita al rapporto di lavoro dipendente in corso di svolgimento  al
momento di assumere la nuova funzione (come avveniva  precedentemente
all'introduzione dell'art. 3-bis del d.lgs. n. 502 del 1992). 
    Il Tribunale ordinario di Trento solleva  pertanto  questione  di
legittimita' costituzionale del citato art. 3-bis per  la  violazione
dell'art. 76 Cost.  -  in  quanto  il  legislatore  delegato  avrebbe
contravvenuto al precetto della legge di delega  contenuto  nell'art.
1, comma 4, della legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega  al  Governo
per la razionalizzazione  del  Servizio  sanitario  nazionale  e  per
l'adozione  di  un  testo  unico  in  materia  di  organizzazione   e
funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n.  502),  che  avrebbe  prescritto  il
divieto di recare oneri aggiuntivi  per  lo  Stato  e  per  le  altre
pubbliche amministrazioni -  e  dell'art.  81,  ultimo  comma,  Cost.
(recte: terzo comma), nel testo introdotto dall'art.  6  della  legge
cost. n. 1 del 2012, in quanto il legislatore  delegato  non  avrebbe
indicato i mezzi per fare fronte alle nuove e maggiori  spese  recate
dalle disposizioni contenute nell'art. 3-bis. 
    2.- In via preliminare, deve essere valutata l'ammissibilita' del
riferimento del giudice rimettente «all'art. 81, ultimo comma, Cost.,
nel testo attualmente vigente alla luce della disposizione ex art.  6
legge costituzionale 20 aprile 2012, n.  1».  Detta  indicazione  del
parametro e' inficiata da un duplice errore: il riferimento al  sesto
anziche' al terzo comma dell'art. 81 Cost. nel testo introdotto dalla
legge costituzionale n. 1 del 2012 -  secondo  cui  «Ogni  legge  che
importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte»  -
e la sua pretesa applicazione alla fattispecie in esame, non  tenendo
conto di quanto stabilito dall'art. 6, comma 1, della medesima  legge
costituzionale,  che  ne  determina   l'operativita'   «a   decorrere
dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014». 
    Al contrario di quanto affermato nell'ordinanza, al caso in esame
puo' trovare applicazione solamente l'art. 81,  quarto  comma,  Cost.
nel testo in vigore al momento della rimessione. 
    Detti errori, peraltro, non  precludono  l'esame  del  merito  in
relazione al parametro della copertura della spesa, giacche'  risulta
chiaro  il  senso  del  richiamo  del  giudice  a  quo  al   precetto
costituzionale, anche in considerazione del fatto - almeno per quanto
attiene  al  rapporto  tra  la  presente  fattispecie  ed  i   valori
prescrittivi di riferimento - che tra il vecchio parametro  e  quello
sopravvenuto sussiste una sostanziale continuita'. 
    3.- La questione deve quindi essere esaminata in riferimento  sia
all'art. 76 che all'art. 81 Cost.,  quest'ultimo  nella  formulazione
anteriore alla novella costituzionale del 2012. A tal fine  e'  utile
ricostruire  l'attuale  quadro  normativo  in  relazione  ai  profili
inerenti alle questioni sollevate dal rimettente, i quali si  possono
cosi' sintetizzare: a) esistenza di un principio di invarianza  della
spesa  prescritto  dalla  legge  di  delega  per  tutte  le   singole
componenti analitiche - categoria cui appartiene  il  trattamento  di
fine rapporto dei dirigenti  delle  Aziende  sanitarie  locali  (ASL)
cessati nel corso dello svolgimento dell'incarico - della riforma; b)
disallineamento della disposizione rispetto ai criteri  generali  che
disciplinano la determinazione dell'entita' dell'IPS, dal momento che
la normativa censurata avrebbe introdotto un criterio di calcolo piu'
vantaggioso per i soli dirigenti apicali delle aziende sanitarie, con
conseguente aggravio degli oneri addossati all'istituto di previdenza
deputato all'erogazione di tali prestazioni, senza peraltro  indicare
i mezzi con cui far fronte a tali maggiori spese. 
    3.1.- Quanto al profilo sub a), e'  opportuno  ricordare  che  la
legge n. 419 del 1998, contenente la delega in attuazione della quale
e' stato emanato il decreto legislativo di cui la norma impugnata  fa
parte, conferiva al Governo  la  facolta'  di  adottare  uno  o  piu'
decreti legislativi finalizzati alla razionalizzazione  del  Servizio
sanitario nazionale ed  alla  realizzazione  di  un  testo  unico  in
materia di organizzazione e funzionamento  del  Servizio  stesso.  In
particolare, essa specificava (art. 1,  comma  4)  che:  «L'esercizio
della delega di cui alla presente legge non comporta complessivamente
oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti di cui agli
articoli 25 e 27 della legge 5 agosto  1978,  n.  468,  e  successive
modificazioni». 
    In sostanza, il senso letterale della  disposizione  consente  di
concludere  che  il  vincolo  di  invarianza,  posto  come   criterio
direttivo della delega, attiene agli oneri complessivi della riforma,
comportando conseguentemente una ponderazione  globale  ed  aggregata
degli effetti positivi e negativi delle prescrizioni  introdotte  dal
d.lgs. n. 229 del 1999. Ne consegue che lo scrutinio  di  correttezza
dell'operato del legislatore delegato consiste nel verificare  se  la
compensazione tra previsioni recanti aggravi di spesa e quelle aventi
effetti riduttivi siano neutre o vantaggiose in termini di equilibrio
complessivo  degli  effetti  economico  finanziari   prodotti   dalla
riforma. 
    3.2.- Quanto al profilo concernente l'introduzione di un criterio
di calcolo dell'IPS piu' vantaggioso per  i  soli  dirigenti  apicali
delle aziende sanitarie, senza indicare i mezzi con cui far fronte  a
tali   maggiori   spese,   e'   opportuno   inquadrare   l'evoluzione
dell'istituto  della  liquidazione,  con  particolare  riguardo  alla
disciplina  del  personale   dirigente   coinvolto   nella   presente
fattispecie. 
    Originariamente il criterio per  determinare  l'entita'  dell'IPS
(prima della modifica introdotta dal d.lgs.  n.  229  del  1999)  era
contenuto nell'art. 4 (Indennita' premio di servizio - Misura)  della
legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale  per
il personale degli Enti locali), il quale disponeva che: «Per i  casi
di cessazione dal servizio che si verifichino a partire  dall'entrata
in vigore della presente  legge,  l'indennita'  premio  di  servizio,
prevista dagli articoli 2 e 3, sara' pari  a  un  quindicesimo  della
retribuzione contributiva degli ultimi dodici  mesi,  considerata  in
ragione dell'80 per cento ai sensi del  successivo  art.  11  (...)».
L'art. 11 (Misura del contributo previdenziale) della medesima legge,
nell'indicare le percentuali di riparto del contributo tra lavoratore
e datore di lavoro, precisava al quinto comma che:  «La  retribuzione
contributiva e' costituita  dallo  stipendio  o  salario  comprensivo
degli aumenti periodici, della tredicesima mensilita'  e  del  valore
degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti
parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso. [...]». 
    Successivamente,  con  specifico  riguardo   ai   soli   pubblici
dipendenti nominati direttore generale,  amministrativo  o  sanitario
delle aziende sanitarie, l'art. 3, comma 8, del  d.lgs.  n.  502  del
1992 prevedeva che: «per i pubblici dipendenti [...]  il  periodo  di
aspettativa e' utile ai fini  del  trattamento  di  quiescenza  e  di
previdenza e  dell'anzianita'  di  servizio.  Le  amministrazioni  di
appartenenza provvedono ad  effettuare  il  versamento  dei  relativi
contributi, comprensivi delle quote a carico del dipendente,  nonche'
dei contributi assistenziali, calcolati sul  trattamento  stipendiale
spettante al medesimo ed a richiedere  il  rimborso  del  correlativo
onere alle unita' sanitarie locali interessate, le quali procedono al
recupero delle quote a carico dall'interessato. Qualora il  direttore
generale, il direttore sanitario ed il direttore amministrativo siano
dipendenti privati sono collocati in aspettativa  senza  assegni  con
diritto al mantenimento del posto». 
    Pertanto, prima della modifica introdotta con il  d.lgs.  n.  229
del 1999, il sistema previdenziale nel suo complesso  non  teneva  in
considerazione i  maggiori  compensi  percepiti  per  lo  svolgimento
dell'incarico di direttore generale, amministrativo o sanitario,  ma,
pur affermando che il  periodo  suddetto  era  "utile"  ai  fini  del
trattamento di  quiescenza  e  di  previdenza  e  dell'anzianita'  di
servizio,  stabiliva  che  i  contributi  andassero  calcolati   «sul
trattamento stipendiale spettante», cioe' sul compenso che in  teoria
sarebbe spettato al dirigente, se questi fosse  rimasto  in  servizio
presso l'amministrazione  di  provenienza  (cosiddetto  criterio  del
compenso "virtuale"). 
    Per i dipendenti privati, al contrario, l'art. 3, comma 8, ultimo
periodo, del d.lgs. n. 502 del 1992  non  prevedeva  alcun  beneficio
previdenziale, limitandosi a prescrivere che  essi  dovessero  essere
collocati  in  aspettativa  senza  assegni,   ma   con   diritto   al
mantenimento del posto. 
    Nulla,  infine,  veniva  stabilito  per  i   privati   lavoratori
autonomi. 
    La legge di delega n.  419  del  1998  includeva  tra  i  criteri
direttivi, all'art. 2, comma 1, lettera t), «l'omogeneizzazione della
disciplina del trattamento assistenziale e previdenziale dei soggetti
nominati direttore generale,  direttore  amministrativo  e  direttore
sanitario di azienda, nell'ambito  dei  trattamenti  assistenziali  e
previdenziali previsti dalla legislazione vigente». 
    L'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 229 del  1999,  attuativo  della
delega, ha inserito nel  d.lgs.  n.  502  del  1992  (contestualmente
abrogando il comma 8 dell'art. 3 del  medesimo  decreto)  l'impugnato
art. 3-bis, il quale dispone che: «La nomina  a  direttore  generale,
amministrativo e sanitario determina per i lavoratori  dipendenti  il
collocamento  in  aspettativa  senza  assegni   e   il   diritto   al
mantenimento del posto.  L'aspettativa  e'  concessa  entro  sessanta
giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa e'  utile  ai  fini
del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni  di
appartenenza provvedono ad effettuare il  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali comprensivi delle quote  a  carico  del
dipendente,  calcolati  sul  trattamento  economico  corrisposto  per
l'incarico conferito nei limiti dei massimali di cui all'articolo  3,
comma 7, del  decreto  legislativo  24  aprile  1997,  n.  181,  e  a
richiedere il rimborso di  tutto  l'onere  da  esse  complessivamente
sostenuto  all'unita'  sanitaria  locale  o  all'azienda  ospedaliera
interessata, la quale  procede  al  recupero  della  quota  a  carico
dell'interessato». 
    Dalla successione nel tempo e dal disposto delle norme richiamate
emerge che, al fine di rendere omogenee - in  ossequio  al  principio
contenuto della delega - le posizioni ed i trattamenti  dei  titolari
degli incarichi, il d.lgs. n. 229 del 1999 ha previsto  per  tutti  i
soggetti, pubblici o privati, l'assimilazione del compenso  percepito
per l'incarico di direttore generale, amministrativo o  sanitario  al
reddito da lavoro dipendente, con il conseguente  assoggettamento  di
tali   emolumenti   ai   prelievi   contributivi   previdenziali   ed
assistenziali, secondo il regime delle rispettive discipline. 
    In tal modo e' mutata la base contributiva, non piu' fondata  sul
trattamento stipendiale  in  godimento  presso  l'amministrazione  di
provenienza,  ma   sul   compenso   effettivo   percepito   derivante
dall'incarico di  direttore  generale,  amministrativo  e  sanitario.
Questa Corte ha gia' precisato che  «[...]  la  norma  censurata  non
istituisce una irragionevole differenza di trattamento  previdenziale
[...] a favore di una categoria di soggetti, bensi' prevede una  base
di calcolo unitaria  [...].  Rimane  intatto  il  principio  generale
secondo cui l'indennita' dovuta al dipendente  alla  fine  della  sua
vita lavorativa e' sempre commisurata all'ultima  retribuzione  annua
percepita [...]. A  tale  principio  si  deve  aggiungere  l'altro  -
chiaramente  enunciato  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',   in
conformita'  all'indirizzo  di  questa  Corte   -   "di   tendenziale
corrispondenza  proporzionale  fra  entita'  della  retribuzione   ed
entita'   della   contribuzione,   atteso   che   l'opposta   opzione
interpretativa determinerebbe un ulteriore squilibrio fra trattamento
di quiescenza e indennita' premio  di  servizio,  sebbene  la  stessa
abbia  natura  previdenziale"  (ex  plurimis,  Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, ordinanza n. 28510 del 2011)» (sentenza  n.  119  del
2012). 
    4.- Alla luce delle esposte premesse, le censure  del  rimettente
non sono fondate ne' in riferimento all'art. 76  ne'  in  riferimento
all'art. 81, quarto comma, Cost. 
    4.1.- Il criterio di invarianza degli oneri  finanziari,  fissato
con riguardo agli effetti complessivi dell'«esercizio  della  delega»
dall'art. 1, comma 6, della legge n. 419 del 1998,  non  comporta  la
preclusione   di   un   eventuale   aggravio   di   spesa   derivante
dall'applicazione  della  disposizione  impugnata.   Riguardando   il
vincolo di cui al  predetto  art.  1  la  materia  delegata  nel  suo
insieme, l'eventuale sindacato sulla sua corretta attuazione dovrebbe
rivolgersi all'effetto complessivo di tutte le innovazioni introdotte
dal d.lgs. n. 229 del 1999, dal momento che ben potrebbe  un  singolo
aggravio  di  spesa  trovare  compensazione  in  altre   disposizioni
produttive di risparmi o di maggiori entrate. 
    Diversamente da quanto ritenuto dal giudice a  quo,  il  criterio
direttivo posto dal  legislatore  delegante  rimette  interamente  al
delegato la facolta' di adottare eventuali scelte -  che  nella  loro
individualita' potrebbero essere anche onerose - con il  solo  limite
dell'incremento  complessivo  degli   effetti   finanziari   prodotti
dall'intera  normativa  delegata.  In  proposito  questa   Corte   ha
affermato che la discrezionalita' nell'esercizio della delega dipende
anche dal «grado di specificita' dei principi e criteri fissati nella
legge delega» (sentenza n. 199 del  2003),  che  nel  caso  in  esame
determinano appunto quale unico limite la consistenza neutra o attiva
dell'aggregato complessivo  degli  effetti  del  decreto  legislativo
sulla spesa pubblica. 
    Circa il rispetto di detto  limite,  la  cui  violazione  avrebbe
assunto valore dirimente, l'ordinanza di rimessione difetta,  invece,
di ogni argomentazione ed allegazione. 
    4.2.- Peraltro, l'aggravio degli  oneri  che  l'INPS  lamenta  si
verifica solo nell'ipotesi in cui il titolare  dell'incarico  apicale
presso le aziende sanitarie decida  di  chiedere  il  collocamento  a
riposo durante l'espletamento di tale incarico, oppure al momento del
suo compimento. Evento, quest'ultimo, che puo'  non  verificarsi  (ad
esempio  per  espressa  volonta'  dell'interessato  o   per   mancata
maturazione dei necessari requisiti): in queste ipotesi, il saldo tra
maggior prelievo contributivo effettuato sugli  emolumenti  percepiti
per l'incarico di direttore generale, amministrativo  o  sanitario  e
misura dell'indennita' premio di fine servizio spettante  al  momento
del pensionamento presso l'amministrazione di  appartenenza  potrebbe
essere addirittura positivo. 
    In ogni  caso,  i  maggiori  importi  dell'IPS  erogati  agli  ex
titolari di incarichi apicali presso le  aziende  sanitarie  derivano
innanzi tutto dall'applicazione della disciplina generale  previgente
che determinava l'entita' delle prestazioni previdenziali sulla  base
della retribuzione percepita negli ultimi dodici mesi di servizio. 
    Tale disciplina non e' stata modificata dal legislatore delegato,
dal momento che il criterio direttivo dell'art. 2, comma  l,  lettera
t), prescriveva che l'omogeneizzazione dovesse  avvenire  nell'ambito
dei  trattamenti  assistenziali  e   previdenziali   previsti   dalla
legislazione vigente. In proposito questa Corte  ha  gia'  ampiamente
chiarito che «il criterio di  calcolo  della  misura  dell'indennita'
premio di servizio [...] rimane  quello  fissato  dall'art.  4  della
legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale  per
il personale degli Enti locali)» (sentenza n. 351 del 2010). 
    Inoltre, come gia'  precisato,  l'incremento  degli  oneri  sulla
parte pubblica si verifica solo nel caso di collocamento a riposo del
dirigente nel corso o al termine dell'incarico. Detta circostanza  e'
priva di valore in  quanto  si  risolve  in  un'evenienza  di  fatto,
ancorche' frutto di un calcolo di convenienza  del  dipendente:  essa
non costituisce effetto necessario delle  norme,  bensi'  di  private
volizioni,  che  non  rilevano  ai  fini  della   valutazione   della
legittimita' costituzionale delle norme stesse (sentenza n.  119  del
2012). 
    E' ben vero che la scelta legislativa in esame e'  solo  uno  dei
possibili strumenti attuativi della delega, con  tutte  le  possibili
implicazioni positive e negative intrinsecamente legate al modello di
riforma adottato. 
    Essa tuttavia - come questa Corte ha gia' affermato (sentenza  n.
119  del  2012)  -  «non  puo'  essere   considerata   manifestamente
irragionevole» ed in questo contesto non e' implausibile che tra  gli
effetti collaterali  del  meccanismo  di  omogeneizzazione  vi  possa
essere la valorizzazione  -  attraverso  la  parziale  scissione  tra
prelievo contributivo e prestazione resa, che nel caso di specie puo'
avere  una  valenza   economica   bidirezionale   -   del   principio
solidaristico che caratterizza in modo peculiare  il  trattamento  di
fine rapporto nell'ambito pubblico. 
    In definitiva, «con l'attuazione  della  delega,  il  legislatore
delegato ha scelto uno dei possibili mezzi per realizzare l'obiettivo
indicato  nella  legge  di  delegazione,  partendo  da  un  dato,  la
retribuzione percepita per l'incarico, sicuramente comune a  tutti  i
dipendenti, pubblici e  privati.  Non  si  tratta  dell'unica  scelta
possibile, ma la stessa non puo'  essere  considerata  manifestamente
irragionevole dal momento che  realizza  una  completa  parificazione
[pur  nel   rispetto   delle   peculiarita'   dei   diversi   sistemi
previdenziali che la delega non consentiva di modificare] di tutti  i
soggetti, dipendenti pubblici e privati, che si trovino ad esercitare
una certa funzione, quale che sia l'amministrazione di provenienza  o
il lavoro svolto nel settore privato» (sentenza n. 119 del 2012). 
    5.- Dunque il legislatore delegato,  assimilando  il  regime  dei
compensi  a  quelli   da   lavoro   dipendente   ed   assoggettandoli
coerentemente a prelievo contributivo secondo le previsioni generali,
non ha violato le regole di copertura  della  spesa,  come  delineate
dalla legge delega, e non ha  introdotto,  sempre  nel  rispetto  del
mandato ricevuto, alcuna modifica strutturale nell'ordinamento  della
previdenza pubblica, limitandosi a rendere omogenea la disciplina del
rapporto di lavoro dei soggetti di  diversa  provenienza  chiamati  a
svolgere  le  funzioni  di  direttore  generale,   amministrativo   e
sanitario. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 3-bis, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 502 (Riordino della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a  norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421),  sollevata  in
riferimento agli artt. 76 e 81, quarto comma, della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, con
l'ordinanza in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI