N. 82 SENTENZA 3 - 13 aprile 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Determinazione della retribuzione annua pensionabile per
  l'assicurazione  generale  obbligatoria   per   l'invalidita',   la
  vecchiaia ed i  superstiti  -  Periodi  contributivi  ammessi  alla
  "neutralizzazione". 
- Legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del  trattamento  di  fine
  rapporto e norme in materia  pensionistica),  dell'art.  3,  ottavo
  comma. 
-   
(GU n.16 del 19-4-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  ottavo
comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento
di fine rapporto e norme  in  materia  pensionistica),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di  giudice  del  lavoro,
nel procedimento che verte tra R. B.  e  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 2 marzo  2015,  iscritta
al n. 117 del registro ordinanze 2015  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Sergio Preden  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 2  marzo  2015,  iscritta  al  n.  117  del
registro ordinanze  2015,  il  Tribunale  ordinario  di  Ravenna,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29
maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di  fine  rapporto  e
norme in materia pensionistica), in riferimento agli artt. 3, 36 e 38
della Costituzione. 
    Il giudice rimettente censura la norma citata, che  determina  la
retribuzione pensionabile per l'assicurazione  generale  obbligatoria
per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti, «nella parte  in  cui
non  prevede  il  diritto  alla  neutralizzazione  dei   periodi   di
contribuzione per disoccupazione nei limiti  del  quinquennio  e  dei
contributi obbligatori,  dei  contributi  per  disoccupazione  e  dei
contributi per integrazione  salariale  anche  oltre  il  limite  del
quinquennio sempre  che,  nell'uno  e  nell'altro  caso,  gli  stessi
periodi contributivi  non  siano  necessari  per  l'integrazione  del
diritto a pensione». 
    1.1.- In punto di  fatto,  il  giudice  a  quo  espone  di  dover
decidere sul ricorso proposto da R. B., al fine  di  escludere  dalla
determinazione  della  retribuzione   pensionabile   i   periodi   di
contribuzione ridotta dal 3 dicembre 1996 al 19 giugno 2010, relativi
alla contribuzione figurativa per disoccupazione e  per  integrazione
salariale e alla contribuzione «effettiva da lavoro dipendente». 
    La parte ricorrente nel giudizio principale ha  dedotto  di  aver
percepito, dal 3 dicembre 1996 al 19 giugno  2010,  una  retribuzione
inferiore rispetto a quella precedente e, inoltre, di essere  rimasta
disoccupata e sospesa in cassa integrazione. 
    In base a tali deduzioni, la parte  ricorrente  ha  richiesto  di
escludere dal computo della retribuzione pensionabile -  e  cosi'  di
"neutralizzare"  -  i  periodi  di   contribuzione   obbligatoria   e
figurativa per integrazione salariale,  anche  oltre  il  limite  del
quinquennio, e i periodi  contributivi  per  disoccupazione,  che  si
collocano entro tale limite temporale. 
    Il giudice a quo, poste  tali  premesse,  ha  argomentato  che  i
periodi indicati non  sono  necessari  «per  il  perfezionamento  dei
requisiti  di  assicurazione  e  contribuzione   richiesti   per   la
maturazione del diritto a pensione alla data di compimento  dell'eta'
pensionabile»  e  che  la  «neutralizzazione»  di  tali  periodi   e'
necessaria, in quanto nessun meccanismo  di  computo  della  pensione
«puo' mai danneggiare il lavoratore che continui  a  lavorare  ovvero
venga figurativamente considerato come al lavoro, dopo aver  maturato
un certo importo di pensione». 
    1.2.-  Il  giudice  rimettente,  dopo   avere   ricostruito   gli
antecedenti della vicenda, ha preso  le  mosse  dalla  giurisprudenza
costituzionale  in  tema   di   determinazione   della   retribuzione
pensionabile nell'ipotesi di prosecuzione volontaria  dei  contributi
nell'assicurazione obbligatoria (sentenze n. 428 del 1992  e  n.  307
del 1989) e di periodi di minore retribuzione (sentenza  n.  264  del
1994) e di integrazione salariale (sentenza n. 388 del 1995). 
    Nella  prospettiva  del  giudice   a   quo,   il   principio   di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  i   precetti   costituzionali   di
proporzionalita' tra il trattamento pensionistico e la quantita' e la
qualita' di lavoro prestato  (art.  36,  primo  comma,  Cost.)  e  di
adeguatezza della  tutela  previdenziale  (art.  38,  secondo  comma,
Cost.), imporrebbero di negare ogni rilievo ai  periodi  contributivi
meno  favorevoli  ai  fini  del  calcolo   della   pensione,   quando
l'interessato abbia gia' conseguito la  pensione,  anche  senza  tali
periodi. 
    Ad avviso del giudice rimettente, tali principi dovrebbero essere
estesi anche ai periodi di contribuzione per  disoccupazione  e  alla
contribuzione «anche  oltre  il  quinquennio,  per  tutti  i  periodi
contributivi che non  siano  utili  al  fine  del  conseguimento  del
diritto a pensione». 
    2.- Nel giudizio si  e'  costituito  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), con memoria  del  10  luglio  2015,  e  ha
chiesto  di  dichiarare  manifestamente  inammissibile   o   comunque
infondata la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
Tribunale ordinario di Ravenna. 
    La difesa dell'INPS imputa al giudice  rimettente  di  non  avere
offerto una motivazione esaustiva  in  ordine  alla  rilevanza  della
questione proposta. 
    Il giudice a quo,  in  particolare,  non  avrebbe  fornito  alcun
ragguaglio sui  periodi  contributivi  necessari  per  conseguire  la
pensione e si sarebbe limitato a indicare come pacifico il fatto  che
la parte ricorrente maturi il diritto alla pensione,  anche  senza  i
periodi che ha chiesto di neutralizzare. 
    Il giudice rimettente, inoltre, menzionerebbe  indistintamente  i
periodi di  disoccupazione  entro  il  quinquennio  e  i  periodi  di
contribuzione anche oltre il  quinquennio,  senza  individuare  alcun
limite per la pronuncia di accoglimento della Corte. 
    3.- Con memoria del 14 luglio 2015, e' intervenuto il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  e  ha  chiesto  di  dichiarare  irrilevanti,
inammissibili e manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna. 
    In punto di ammissibilita', la difesa  dello  Stato  lamenta,  in
primo luogo, una carente  motivazione  sulla  rilevanza:  il  giudice
rimettente non avrebbe dato  conto  delle  ragioni  che  renderebbero
ininfluenti, ai fini del sorgere del diritto a pensione, i periodi di
contribuzione per integrazione salariale e per disoccupazione. 
    L'Avvocatura generale dello Stato, inoltre, addebita  al  giudice
rimettente   di   non   avere   esplorato   la   praticabilita'    di
un'interpretazione  rispettosa   dei   precetti   costituzionali:   i
precedenti della Corte avrebbero potuto condurre all'accoglimento del
ricorso, con riguardo ai periodi di contribuzione «non necessari  per
il  conseguimento  della  pensione  gia'  maturata,  nei  limiti  del
quinquennio». 
    Nel merito, la questione non sarebbe fondata. 
    Secondo  la  difesa  dello  Stato,  puo'   ritenersi   plausibile
l'equiparazione   dei   periodi   di    disoccupazione    dell'ultimo
quinquennio, «connotati  da  contribuzione  figurativa»,  agli  altri
periodi di contribuzione ammessi al beneficio della  neutralizzazione
e, nondimeno, non appare costituzionalmente obbligata  la  scelta  di
«neutralizzare» i periodi di contribuzione oltre il quinquennio: tale
limite  risponderebbe  ad  esigenze  di   certezza,   che   sarebbero
inevitabilmente frustrate con l'estendere a  ritroso,  per  un  tempo
indeterminato, i periodi  di  contribuzione  suscettibili  di  essere
neutralizzati. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del
lavoro, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3,  ottavo
comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento
di fine rapporto e norme in materia pensionistica), «nella  parte  in
cui non prevede il  diritto  alla  neutralizzazione  dei  periodi  di
contribuzione per disoccupazione nei limiti  del  quinquennio  e  dei
contributi obbligatori,  dei  contributi  per  disoccupazione  e  dei
contributi per integrazione  salariale  anche  oltre  il  limite  del
quinquennio sempre  che,  nell'uno  e  nell'altro  caso,  gli  stessi
periodi contributivi  non  siano  necessari  per  l'integrazione  del
diritto a pensione». 
    La norma censurata dispone che, per le pensioni liquidate dopo il
30   giugno   1982,   «la   retribuzione   annua   pensionabile   per
l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia
ed i superstiti dei  lavoratori  dipendenti»  sia  costituita  «dalla
quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza  di
rapporto  di  lavoro,  o  corrispondenti   a   periodi   riconosciuti
figurativamente,  ovvero  ad  eventuale   contribuzione   volontaria,
risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la
decorrenza della pensione». 
    Il giudice a quo assume  che  tale  disciplina,  destinata,  alla
stregua delle convergenti allegazioni  delle  parti,  a  regolare  la
fattispecie   controversa,   contrasti   con    il    principio    di
ragionevolezza, consacrato  dall'art.  3  Cost.  In  un  sistema  che
considera per la determinazione della retribuzione pensionabile  solo
l'ultimo periodo, in linea di massima piu' favorevole al  lavoratore,
sarebbe palesemente irragionevole la valutazione  di  un  periodo  di
minore retribuzione nella base di calcolo della pensione. 
    Un meccanismo cosi' congegnato pregiudicherebbe il lavoratore che
ha gia' maturato il diritto a pensione, anche senza tale  periodo  di
minore  retribuzione:  «a  maggior  lavoro  e   a   maggior   apporto
contributivo» corrisponderebbe «una riduzione della pensione  che  il
lavoratore avrebbe  maturato  al  momento  della  liquidazione  della
pensione per effetto della precedente contribuzione» (sentenza n. 264
del 1994). 
    Tale riduzione della pensione si porrebbe in contrasto anche  con
l'art.  36,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto   sacrificherebbe   la
proporzionalita' tra il trattamento pensionistico e la quantita' e la
qualita' del lavoro prestato durante il servizio attivo. 
    Sarebbe  pregiudicata,  per  altro  verso,  l'adeguatezza   della
prestazione previdenziale, con conseguente violazione  dell'art.  38,
secondo comma, Cost. 
    I criteri di determinazione della retribuzione  pensionabile  non
potrebbero in alcun caso «danneggiare il lavoratore  che  continui  a
lavorare ovvero venga figurativamente  considerato  come  al  lavoro,
dopo aver maturato un certo importo di pensione»  e  imporrebbero  di
escludere dal computo i periodi che non sono necessari per conseguire
il diritto alla pensione. 
    2.- Devono essere  esaminate  le  eccezioni  di  inammissibilita'
formulate in via preliminare dalle parti. 
    2.1.-  L'INPS  e  l'Avvocatura   generale   dello   Stato   hanno
denunciato, sotto un primo profilo, la carenza della  motivazione  in
ordine alla rilevanza della questione sollevata. 
    In  particolare,  sarebbero  meramente  assertivi  gli  argomenti
addotti dal giudice rimettente in merito a un  aspetto  saliente  del
contendere:  il  giudice  a  quo  annovera  tra  le  circostanze  non
contestate il fatto che la parte ricorrente «maturi il  diritto  alla
prestazione senza il periodo  oggetto  di  neutralizzazione  che  gli
arreca danno». 
    L'INPS, a tale riguardo, evidenzia che il giudice  rimettente  ha
trascurato di accertare se effettivamente il ricorrente conservi  «il
diritto al trattamento nonostante il taglio dei periodi  contributivi
indicati nell'atto introduttivo del giudizio». 
    A tale rilievo si associa anche la difesa dello Stato, che reputa
sfornito di ogni  prova  l'assunto  che  la  parte  ricorrente,  «per
maturare il diritto alla  pensione»,  non  debba  fruire  anche  «del
periodo  di  contribuzione   per   integrazione   salariale   e   per
disoccupazione». 
    L'eccezione deve essere disattesa. 
    La  motivazione  in  ordine  alla   rilevanza   del   dubbio   di
costituzionalita',  pur  concisa,  non   incorre   nei   profili   di
inammissibilita' segnalati dalle parti. 
    Nell'indicare come "non contestato" un fatto,  che  incide  sulla
rilevanza della questione proposta, il giudice a quo si e' conformato
alla regola di diritto, oggi enunciata dall'art. 115  del  codice  di
procedura civile, che conferisce una precisa  valenza  probatoria  ai
fatti non specificamente contestati dalle parti costituite. 
    L'INPS e l'Avvocatura generale dello Stato non deducono di  avere
svolto contestazioni specifiche sui fatti che il  giudice  rimettente
assume come pacifici e si limitano a obiettare che i fatti  in  esame
devono essere suffragati da elementi di prova persuasivi. 
    Tali rilievi critici non si cimentano  con  le  implicazioni  del
"principio di  non  contestazione",  che  esclude  dall'ambito  delle
circostanze controverse, e percio' bisognose  di  prova,  quei  fatti
costitutivi della pretesa che le parti non  abbiano  fatto  segno  di
critiche mirate. 
    2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito,  in  secondo
luogo, l'omessa sperimentazione di un'interpretazione adeguatrice. 
    Alla  luce  delle  reiterate  affermazioni   del   principio   di
"neutralizzazione della contribuzione", il giudice rimettente avrebbe
potuto interpretare la norma censurata  in  armonia  con  i  principi
sanciti dalla Carta fondamentale, senza investire questa Corte  della
soluzione del dubbio di costituzionalita'. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    L'univoco  tenore  letterale  della  norma   impugnata   preclude
un'interpretazione adeguatrice, che deve, pertanto, cedere  il  passo
al sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 36 del  2016
e n. 78 del 2012). 
    Inoltre, le pronunce di questa  Corte,  nel  vagliare  l'art.  3,
ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, hanno sempre ponderato  la
peculiarita' delle fattispecie  di  volta  in  volta  scrutinate  (la
contribuzione  volontaria,   con   riferimento   alle   diversificate
discipline  di   settore,   i   periodi   di   minore   retribuzione,
l'integrazione salariale), nei rapporti con la  determinazione  della
retribuzione pensionabile (sentenze n. 433, n. 432 e n. 201 del 1999,
sentenze n. 427 del 1997, n. 388 del 1995, n. 264 del  1994,  n.  428
del 1992 e n. 307 del 1989). 
    Le pronunce menzionate, pur  presupponendo  una  ratio  decidendi
unitaria,  intervengono   in   maniera   puntuale   sulla   normativa
applicabile,  con  valutazioni  calibrate  sulla  specificita'  delle
molteplici situazioni coinvolte. 
    2.3.- Coglie nel segno  l'eccezione  di  inammissibilita'  svolta
dall'Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla richiesta  di
estendere la "neutralizzazione" dei contributi per  disoccupazione  e
integrazione salariale anche oltre i limiti  dell'ultimo  quinquennio
che prelude alla decorrenza della pensione. 
    Il   giudice   rimettente   equipara   la    contribuzione    per
disoccupazione  che   si   colloca   nell'ultimo   quinquennio   alla
contribuzione per disoccupazione e  per  integrazione  salariale  che
copre un periodo piu' risalente, senza porre in  risalto  le  ragioni
idonee a rendere  a  rime  costituzionalmente  obbligate  l'addizione
richiesta a questa Corte. 
    L'intervento auspicato  si  riverbera  sulla  determinazione  del
periodo di riferimento della retribuzione pensionabile,  che  esprime
una scelta eminentemente discrezionale del legislatore  (sentenza  n.
388 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto, e sentenza n.  264
del 1994, punto 3. del Considerato in diritto), volta a  contemperare
le esigenze  di  certezza  con  le  ragioni  di  tutela  dei  diritti
previdenziali dei lavoratori. 
    A fronte di una previsione, incentrata  sulla  valutazione  delle
retribuzioni   dell'ultimo   quinquennio,   e   del   richiamo   alla
giurisprudenza di questa Corte, che  ha  inteso  porre  rimedio  alle
incongruenze   del   meccanismo   di   calcolo   della   retribuzione
pensionabile nell'arco temporale indicato, il giudice rimettente  non
illustra  le  ragioni  che  allineano  alle  rime  costituzionalmente
obbligate  l'estensione  della  "neutralizzazione"  anche  oltre   il
quinquennio. 
    3.-  La  questione  e'  fondata  con  riguardo  ai   periodi   di
contribuzione  per  disoccupazione  che  si  situano   nelle   ultime
duecentosessanta settimane  lavorative,  in  riferimento  a  tutti  i
parametri costituzionali evocati. 
    3.1.-  Anche  nel   caso   oggetto   dell'odierno   giudizio   di
legittimita' costituzionale, si applicano i principi a  piu'  riprese
enunciati da questa Corte. 
    Quando  il  lavoratore  possiede  i  requisiti   assicurativi   e
contributivi  per  beneficiare  della  pensione,   la   contribuzione
acquisita nella fase successiva non puo'  determinare  una  riduzione
della prestazione virtualmente gia' maturata. 
    Tale principio e' stato enunciato con riguardo alla contribuzione
volontaria, sulla scorta della finalita' caratteristica di tale forma
di contribuzione, che si prefigge di «ovviare agli effetti  negativi,
ai  fini  previdenziali,  della  mancata  prestazione  di   attivita'
lavorativa» e non puo' risolversi, con «paradossale risultato», in un
pregiudizio per il lavoratore (sentenza n. 307 del 1989, punto 2. del
Considerato in diritto). 
    In termini piu' generali, questa Corte ha  in  seguito  censurato
l'irragionevolezza  di  un   meccanismo   di   determinazione   della
retribuzione pensionabile,  che,  pur  preordinato  a  «garantire  al
lavoratore una piu' favorevole base di calcolo  per  la  liquidazione
della pensione», correlata all'ultimo scorcio della vita  lavorativa,
sia foriero di risultati antitetici e incida in senso riduttivo sulla
pensione potenzialmente gia' maturata. 
    Un meccanismo cosi' strutturato entra in conflitto con i principi
di proporzionalita'  fra  trattamento  pensionistico  e  quantita'  e
qualita' del lavoro prestato durante il  servizio  attivo  (art.  36,
primo comma, Cost.) e di adeguatezza delle prestazioni  previdenziali
(art. 38, secondo comma, Cost.). 
    In particolare, chiamata a  esaminare  l'ipotesi  di  periodi  di
contribuzione obbligatoria di importo notevolmente  inferiore  e  non
necessari  ai  fini  del  perfezionamento  della  minima   anzianita'
contributiva, questa Corte ha ritenuto «irragionevole e ingiusto  che
a maggior lavoro e a maggior  apporto  contributivo  corrisponda  una
riduzione della  pensione  che  il  lavoratore  avrebbe  maturato  al
momento  della  liquidazione  della  pensione   per   effetto   della
precedente contribuzione» (sentenza n. 264 del  1994,  punto  3.  del
Considerato in diritto). 
    Questa Corte ha ripreso tali argomentazioni anche nell'ipotesi di
contribuzione  figurativa  del  lavoratore  collocato  in  regime  di
integrazione salariale, che subisce «la falcidia salariale imposta da
eventi  esterni  alla  sua  volonta'»  e,  in  ragione  della   norma
censurata, accusa tale pregiudizio «anche nel successivo  trattamento
pensionistico» (sentenza n. 388 del 1995, punto 3. del Considerato in
diritto). 
    La natura  della  contribuzione  versata,  sia  essa  volontaria,
obbligatoria o figurativa, non riveste alcun rilievo distintivo e non
giustifica deroghe a  un  principio  provvisto  di  valenza  generale
(sentenze n. 433 e n. 201 del 1999, n. 427 del 1997). 
    3.2.- Nel solco tracciato dalle pronunce di questa  Corte  si  e'
mossa anche la giurisprudenza di legittimita', oramai consolidata nel
ribadire che ogni forma di contribuzione,  sopravvenuta  rispetto  al
maturare dell'anzianita' assicurativa  e  contributiva  minima,  deve
essere esclusa dal computo della base pensionabile, ove tale  apporto
produca un risultato  meno  favorevole  per  l'assicurato  (Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenze 25 marzo 2014,  n.  6966,  e  24
novembre 2008, n. 27879). Si e' precisato che  la  "neutralizzazione"
non opera per quei periodi contributivi che concorrano  ad  integrare
il requisito necessario per l'accesso  al  trattamento  pensionistico
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 28 febbraio  2014,  n.
4868, e 26 ottobre 2004, n. 20732). 
    3.3.-  Anche  dagli  sviluppi  normativi  piu'  recenti,   e   in
particolare dall'art. 12 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.  22
(Disposizioni  per  il  riordino  della  normativa  in   materia   di
ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione  involontaria  e  di
ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della  legge
10 dicembre 2014, n. 183), traspare il ruolo cruciale del  meccanismo
di  "neutralizzazione",  inteso  come  criterio   volto   a   evitare
sperequazioni e disarmonie nella  determinazione  della  retribuzione
pensionabile. 
    4.- Le considerazioni svolte da questa Corte, nell'evolvere di un
coerente  orientamento,  si  impongono  anche  per   i   periodi   di
contribuzione per  disoccupazione,  relativi  all'ultimo  quinquennio
della vita lavorativa. 
    4.1.- Non e' senza significato, a tale riguardo,  che  la  stessa
difesa dello Stato ritenga "plausibile" un  intervento  della  Corte,
volto  ad  assimilare  i  periodi   di   disoccupazione   dell'ultimo
quinquennio agli altri periodi di contribuzione ammessi al  beneficio
della "neutralizzazione". 
    Non  si  ravvisano  elementi  che   inducano   questa   Corte   a
disattendere, per i periodi di contribuzione per  disoccupazione,  la
ratio decidendi che l'ha orientata nella valutazione dei  periodi  di
minore retribuzione e di integrazione salariale. 
    4.2.-  Si  deve  rilevare,   anche   nella   vicenda   sottoposta
all'odierno   vaglio   di   legittimita'   costituzionale,   che   il
legislatore, nel delimitare l'arco temporale di  riferimento  per  il
computo della retribuzione pensionabile, e' vincolato al rispetto del
canone di ragionevolezza. 
    Quando il diritto alla pensione sia gia' sorto in conseguenza dei
contributi in precedenza versati,  la  contribuzione  successiva  non
puo'  compromettere  la  misura  della   prestazione   potenzialmente
maturata, soprattutto quando sia piu' esigua per fattori indipendenti
dalle scelte del lavoratore. 
    Sarebbe intrinsecamente irragionevole un meccanismo che,  per  la
fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo,
si tramutasse in un decremento della  prestazione  previdenziale,  in
antitesi con la finalita'  di  favore  che  la  norma  persegue,  nel
considerare il livello  retributivo,  tendenzialmente  piu'  elevato,
degli ultimi anni di lavoro. 
    L'irragionevolezza riscontrata e'  lesiva,  in  pari  tempo,  dei
diritti previdenziali del lavoratore, che, con  riguardo  alla  norma
censurata, questa Corte riconduce agli artt. 36, primo comma,  e  38,
secondo comma, Cost. 
    5.- Si deve pertanto dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982,  nella  parte
in cui non prevede che, nell'ipotesi di  lavoratore  che  abbia  gia'
maturato i requisiti assicurativi e contributivi  per  conseguire  la
pensione e percepisca  contributi  per  disoccupazione  nelle  ultime
duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della  pensione,
la pensione liquidata non possa essere comunque  inferiore  a  quella
che  sarebbe  spettata,  al  raggiungimento  dell'eta'  pensionabile,
escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi  di  contribuzione
per disoccupazione relativi alle ultime  duecentosessanta  settimane,
in  quanto  non  necessari  ai  fini  del  requisito  dell'anzianita'
contributiva minima. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  3,  ottavo
comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento
di fine rapporto e norme in materia pensionistica),  nella  parte  in
cui non prevede  che,  nell'ipotesi  di  lavoratore  che  abbia  gia'
maturato i requisiti assicurativi e contributivi  per  conseguire  la
pensione e percepisca  contributi  per  disoccupazione  nelle  ultime
duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della  pensione,
la pensione liquidata non possa essere comunque  inferiore  a  quella
che  sarebbe  spettata,  al  raggiungimento  dell'eta'  pensionabile,
escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi  di  contribuzione
per disoccupazione relativi alle ultime  duecentosessanta  settimane,
in  quanto  non  necessari  ai  fini  del  requisito  dell'anzianita'
contributiva minima; 
    2) dichiara l'inammissibilita' della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, ottavo comma,  della  legge  n.  297  del
1982,  nella   parte   in   cui   non   prevede   il   diritto   alla
«neutralizzazione» dei periodi di contribuzione per disoccupazione  e
per integrazione salariale anche  oltre  i  limiti  del  quinquennio,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38  della  Costituzione,
dal Tribunale ordinario  di  Ravenna,  in  funzione  di  giudice  del
lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                   Carmelinda MORANO, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2017. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Carmelinda MORANO