N. 102 ORDINANZA 12 aprile - 10 maggio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati in materia di imposte sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto  -
  Condizioni per l'accesso al "patteggiamento". 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.  74  (Nuova  disciplina  dei
  reati in materia di imposte sui redditi e sul  valore  aggiunto,  a
  norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), art. 13,
  comma 2-bis, aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies  semel,  lettera
  m), del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori  misure
  urgenti per la stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo),
  convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148. 
-   
(GU n.20 del 17-5-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma
2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina
dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto,  a
norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n.  205),  aggiunto
dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso dal Tribunale ordinario  di
Treviso nel procedimento penale a carico di F. M. con  ordinanza  del
20 gennaio 2015, iscritta al n. 160 del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  35,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12  aprile  2017  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 20  gennaio  2015,  il  Tribunale
ordinario di Treviso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3  e  24
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13, comma 2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.
74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte  sui  redditi  e
sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno
1999, n. 205), aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies  semel,  lettera
m), del decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori  misure
urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo),
convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, in
forza  del  quale,  per  i  delitti  di  cui  al   medesimo   decreto
legislativo, l'applicazione della pena ai  sensi  dell'art.  444  del
codice di procedura penale  puo'  essere  chiesta  dalle  parti  solo
qualora ricorra l'attenuante prevista dai commi 1 e  2  dello  stesso
art. 13, ossia solo nel caso di estinzione, mediante  pagamento,  dei
debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti -
comprensivi delle sanzioni amministrative - prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado; 
    che il giudice a quo premette di essere  investito  del  processo
penale nei confronti di una  persona  imputata  del  delitto  di  cui
all'art. 10-ter del d.lgs.  n.  74  del  2000,  per  aver  omesso  di
versare,   quale   legale   rappresentante   di   una   societa'    a
responsabilita'  limitata  in  liquidazione,  l'imposta  sul   valore
aggiunto (IVA) risultante dalle dichiarazioni relative agli anni 2010
e 2011, per un importo, rispettivamente, di euro 1.189.322 e di  euro
510.904; 
    che il difensore, munito di procura speciale,  aveva  chiesto  in
udienza   l'ammissione   dell'imputato   al   "patteggiamento",   con
applicazione della pena finale di  quattro  mesi  di  reclusione,  da
convertire in euro 30.000 di multa ai sensi dell'art. 53 della  legge
24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema  penale):  pena  cosi'
determinata per effetto del riconoscimento  della  continuazione  con
precedenti fatti di omesso versamento dell'IVA gia' giudicati; 
    che il pubblico ministero aveva negato, peraltro, il consenso, in
ragione dell'inammissibilita' dell'istanza  ai  sensi  dell'art.  13,
comma 2-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000, non  essendo  intervenuto  il
pagamento del debito tributario; 
    che  il  giudice  a  quo  dubita,  tuttavia,  della  legittimita'
costituzionale della citata disposizione; 
    che, ad avviso del rimettente, le questioni sarebbero  rilevanti,
essendo la norma impugnata applicabile nel giudizio a quo; 
    che i reati per cui si procede risultano, infatti,  consumati  il
27 dicembre 2011 e il 27 dicembre 2012: dunque, in data successiva  a
quella a partire dalla quale la norma  censurata  trova  applicazione
(17 settembre 2011), con la conseguenza che solo nel caso in  cui  la
norma  fosse  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  l'imputato
potrebbe fruire del rito alternativo; 
    che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a
quo ritiene che la norma denunciata violi l'art.  3  Cost.  sotto  un
duplice profilo; 
    che  la  disposizione  determinerebbe,  in   primo   luogo,   una
ingiustificata disparita' di trattamento fra gli imputati  dei  reati
tributari, in relazione sia alla loro capacita' economica sia al loro
ruolo all'interno della societa' rappresentata; 
    che la maggiore o minore disponibilita' economica  dell'imputato,
e  la  conseguente  possibilita'  o   impossibilita'   materiale   di
estinguere il debito tributario, finirebbero, infatti,  per  incidere
sulla misura della pena applicata e sul regime degli  effetti  penali
del reato commesso, creando cosi' una  discriminazione  tra  soggetti
abbienti e non abbienti; 
    che  anche  la  posizione  dell'imputato  all'interno   dell'ente
rappresentato diverrebbe, peraltro, un fattore discriminante: chi  e'
stato legale rappresentante di una societa', ma non lo e' piu', o  lo
e' stato  di  una  societa'  fallita  o  ammessa  alla  procedura  di
concordato preventivo, non avrebbe, infatti, alcuna  possibilita'  di
provvedere al pagamento del  debito  tributario  tramite  le  risorse
societarie,  diversamente  da  chi  abbia   ancora   il   potere   di
rappresentanza della societa'; 
    che,  in  secondo  luogo,  gli  imputati  dei   reati   tributari
verrebbero assoggettati ad un trattamento irragionevolmente deteriore
rispetto a quello riservato agli imputati di altri  reati,  anche  di
maggiore gravita' e commessi in danno dello Stato  o  di  altri  enti
pubblici,  quali  la  truffa  per  il  conseguimento  di   erogazioni
pubbliche (art. 640-bis del codice penale), la malversazione a  danno
dello Stato (art. 316-bis  cod.  pen.)  e  l'indebita  percezione  di
erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter  cod.  pen.):  reati  in
rapporto ai quali l'accesso al rito alternativo non incontra analoghi
ostacoli; 
    che risulterebbe violato, altresi', l'art. 24 Cost.,  in  ragione
della discriminazione degli imputati dei reati tributari che  versino
in condizioni di non abbienza, ai quali verrebbe impedito l'esercizio
di scelte processuali idonee a determinare risultati piu' favorevoli; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili   o
infondate. 
    Considerato che il Tribunale  ordinario  di  Treviso  dubita,  in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della  legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 2-bis, del decreto legislativo  10
marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia  di  imposte
sui redditi e sul valore aggiunto,  a  norma  dell'articolo  9  della
legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall'art. 2, comma  36-vicies
semel,  lettera  m),  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.   138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011,
n. 148, il quale stabilisce che, per i delitti  di  cui  al  medesimo
decreto legislativo, le parti possono  accedere  al  "patteggiamento"
solo ove ricorra l'attenuante prevista dai commi 1 e 2  dello  stesso
art. 13, e, cioe', solo se  i  debiti  tributari  relativi  ai  fatti
costitutivi  dei  predetti  delitti  -  comprensivi  delle   sanzioni
amministrative - siano stati estinti, mediante pagamento, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'  intervenuto
il decreto legislativo 24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del
sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1,  della
legge 11 marzo 2014, n. 23), che ha apportato un ampio  complesso  di
modifiche al sistema sanzionatorio tributario,  tanto  penale  quanto
amministrativo; 
    che  l'art.  11  del  citato  decreto  legislativo  ha  riscritto
integralmente l'art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, il  quale  risulta
attualmente dedicato alla disciplina dei casi nei quali il  pagamento
del debito tributario, gia' configurato come  circostanza  attenuante
speciale, assurge a causa di non punibilita'; 
    che la disposizione limitativa dell'accesso  al  "patteggiamento"
e' stata, quindi, trasferita nel comma 2 del nuovo  art.  13-bis  del
d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall'art. 12 del d.lgs.  n.  158  del
2015; 
    che  la  nuova  disposizione  non  e',  peraltro,  identica  alla
precedente, sottoposta a scrutinio dal rimettente: cosi' come non  lo
e' la disciplina, richiamata da  detta  disposizione,  relativa  alla
circostanza attenuante  speciale  del  risarcimento  del  danno,  ora
dislocata nel comma 1 del citato art. 13-bis (disciplina  che  assume
un carattere residuale rispetto alle ipotesi nelle quali il pagamento
del debito tributario esclude in radice la punibilita' del fatto); 
    che le due discipline - vecchia e nuova - differiscono  tra  loro
sotto plurimi profili: spetta, pertanto, al rimettente verificare se,
e in quale misura, lo ius superveniens incida sulla rilevanza e sulla
non manifesta infondatezza delle questioni formulate; 
    che, a tali fini - conformemente a quanto gia' deciso  da  questa
Corte in rapporto ad analoghe questioni (ordinanza n. 225 del 2015) -
va, dunque, disposta la restituzione degli atti al giudice a quo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    ordina la restituzione  degli  atti  al  Tribunale  ordinario  di
Treviso. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA