N. 104 SENTENZA 22 marzo - 11 maggio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Universita' - Sistema di ripartizione del Fondo per il  finanziamento
  ordinario - Introduzione del criterio del costo  standard  unitario
  di formazione per studenti in corso - Individuazione,  con  decreto
  ministeriale, delle percentuali  del  Fondo  da  ripartire  tra  le
  universita'. 
- Legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di  organizzazione
  delle universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'
  delega al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del
  sistema universitario), art. 5, commi 1, lettera b), e  4,  lettera
  f); decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49,  recante  «Disciplina
  per la programmazione,  il  monitoraggio  e  la  valutazione  delle
  politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione
  della delega prevista dall'articolo 5,  comma  1,  della  legge  30
  dicembre 2010, n. 240  e  per  il  raggiungimento  degli  obiettivi
  previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi
  e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d),  e)
  ed f) e al comma 5», artt. 8 e 10, comma 1. 
-   
(GU n.20 del 17-5-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  «articoli  5,
comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [recte: dell'art. 5, commi 1,  lettera
b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme  in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del sistema universitario), e degli artt. 8 e  10  del
decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per  la
programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle  politiche  di
bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione  della  delega
prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre  2010,  n.
240 e per il raggiungimento degli obiettivi  previsti  dal  comma  1,
lettere b) e c), secondo i principi normativi e i  criteri  direttivi
stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f)  e  al  comma  5»,
promosso dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,  nel
procedimento vertente tra l'Universita' degli Studi di Macerata e  il
Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca ed altri,
con ordinanza dell'11 dicembre 2015, iscritta al n. 85  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti l'atto di  costituzione  dell'Universita'  degli  Studi  di
Macerata nonche' l'atto di intervento del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Francesco de Leonardis per  l'Universita'  degli
Studi di Macerata e l'avvocato  dello  Stato  Andrea  Fedeli  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  sezione  terza-bis,
solleva questioni di legittimita' costituzionale «degli  articoli  5,
comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [recte: dell'art. 5, commi 1,  lettera
b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme  in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del sistema universitario), in riferimento all'art. 76
della  Costituzione;  nonche'  degli  artt.  8  e  10   del   decreto
legislativo  29  marzo  2012,  n.  49,  recante  «Disciplina  per  la
programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle  politiche  di
bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione  della  delega
prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre  2010,  n.
240 e per il raggiungimento degli obiettivi  previsti  dal  comma  1,
lettere b) e c), secondo i principi normativi e i  criteri  direttivi
stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5»,  in
riferimento agli artt. 33, 34, 76 e 97 Cost. 
    1.1.-  Il  TAR  rimettente   espone   di   essere   stato   adito
dall'Universita'  degli  Studi  di  Macerata  con  due  ricorsi,  per
l'annullamento del decreto 9 dicembre 2014,  n.  893  (Determinazione
del costo standard unitario di formazione per studenti in  corso,  ai
sensi dell'art. 8 del decreto legislativo  29  marzo  2012,  n.  49),
emanato  dal  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e   della
ricerca di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze;
del decreto 4 novembre 2014, n. 815 (Decreto criteri di  Ripartizione
del Fondo di Finanziamento  Ordinario  (FFO)  delle  Universita'  per
l'anno 2014), emanato dal Ministro dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca; di una nota tecnica recante «Costo standard unitario
di formazione per studente in corso (Decreto Ministeriale n. 893  del
09 dicembre 2014)». 
    Si tratta degli atti che per  la  prima  volta,  nell'anno  2014,
hanno applicato il nuovo sistema di ripartizione  del  Fondo  per  il
finanziamento ordinario delle universita' (FFO), ispirato al criterio
del costo standard per studente in corso. L'Universita'  degli  Studi
di Macerata sostiene  che  il  sistema  e'  illegittimo  e  produrra'
effetti  gravemente  pregiudizievoli  per  la  ricorrente.   Il   TAR
riferisce che la ricorrente reputa che tale sistema  sarebbe  viziato
per l'illegittimita' costituzionale delle norme di legge che  l'hanno
introdotto: la legge n. 240 del 2010  aveva  delegato  il  Governo  a
delineare, con decreto legislativo, i  tratti  essenziali  del  nuovo
sistema; ma il d.lgs. n. 49 del 2012  non  ha  affatto  chiarito  gli
elementi qualificanti del  sistema,  dato  che  manca  del  tutto  la
specificazione della percentuale del FFO da  attribuire  in  base  al
nuovo criterio e le modalita' di quantificazione del costo  standard;
invece, la definizione di tali elementi e' stata  demandata  ad  atti
amministrativi, in violazione dell'art. 76 Cost. e della  riserva  di
legge relativa in materia di ordinamento universitario. 
    Secondo la ricorrente, «[i] decreti ministeriali impugnati con il
ricorso hanno, conseguentemente, definito il sistema di finanziamento
in   modo   illegittimo,   in   primo   luogo,   per   illegittimita'
costituzionale delle disposizioni da cui derivano e quindi  per  vizi
propri sia procedurali che sostanziali». 
    1.2.- Cosi' descritto l'oggetto del  giudizio  rimesso  alla  sua
cognizione, il TAR ritiene rilevanti  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dalla ricorrente, poiche' gli atti dei quali
si chiede l'annullamento  costituiscono  applicazione  diretta  delle
disposizioni  del  d.lgs.  n.  49  del  2012,  di   cui   si   assume
l'illegittimita' per violazione della legge di delega e dell'art.  76
Cost. 
    1.3.-  Le  questioni  sarebbero   altresi'   non   manifestamente
infondate. 
    1.3.1.- La legge n. 240 del 2010  delega  il  Governo  a  emanare
decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema  universitario
sotto vari profili, incluso il sistema di finanziamento, nell'ambito,
tra l'altro, dei seguenti principi e criteri direttivi: «introduzione
del costo standard unitario di  formazione  per  studente  in  corso,
calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi
di  studio  e  ai  differenti  contesti  economici,  territoriali   e
infrastrutturali  in   cui   opera   l'universita',   cui   collegare
l'attribuzione all'universita' di  una  percentuale  della  parte  di
fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell'articolo
2 del  decreto-legge  10  novembre  2008,  n.  180,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1; individuazione degli
indici da  utilizzare  per  la  quantificazione  del  costo  standard
unitario di formazione per studente in corso, sentita l'ANVUR» (cosi'
l'art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010;  l'alinea
del comma 4 si richiama al precedente  comma  1,  lettera  b),  dello
stesso art. 5). 
    In tal modo, tuttavia, sarebbe definito solo  l'ambito  oggettivo
della delega (introduzione del costo standard, definizione di  indici
e percentuali), non i principi e  criteri  direttivi  pure  richiesti
dall'art. 76 Cost. 
    1.3.2.- In via subordinata, per il caso che  la  prima  questione
sia dichiarata infondata, il TAR ne prospetta un'altra, basata  sullo
stesso parametro costituzionale, ma attinente alle  disposizioni  del
decreto legislativo emanate per l'attuazione della delega predetta. 
    A tal fine il d.lgs. n.  49  del  2012  avrebbe  dovuto  definire
direttamente gli indici e gli indicatori per la  quantificazione  del
costo standard, nonche' la percentuale del  FFO  da  «parametrare»  a
questo criterio. A cio', il decreto legislativo ha dedicato gli artt.
8 e 10. 
    La prima disposizione, dopo avere definito il costo standard,  ha
previsto che esso sia determinato «tenuto conto  della  tipologia  di
corso  di  studi,  delle  dimensioni  dell'ateneo  e  dei  differenti
contesti economici, territoriali  e  infrastrutturali  in  cui  opera
l'universita'». In aggiunta, dando seguito al parere critico  di  una
commissione parlamentare,  l'art.  8  elenca  le  voci  di  costo  da
considerare per la determinazione del costo standard:  «a)  attivita'
didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente
e ricercatore destinato alla formazione dello  studente;  b)  servizi
didattici, organizzativi e  strumentali,  compresa  la  dotazione  di
personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare  adeguati
servizi di supporto alla  formazione  dello  studente;  c)  dotazione
infrastrutturale, di funzionamento  e  di  gestione  delle  strutture
didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;
d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard  di
riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari». 
    Queste  sarebbero  pero'   voci   di   costo,   non   indicatori:
stabiliscono «cosa misurare», non  «come  misurare».  L'ultima  voce,
poi, risulterebbe oltremodo generica, essendo costruita come  puro  e
semplice contenitore residuale. 
    Per contro, «la scelta fondamentale di "come" costruire il  costo
standard (e quindi in definitiva di come distribuire le risorse  alle
Universita')»  sarebbe  rimessa  ad  atti   amministrativi,   neppure
regolamentari, come il citato decreto ministeriale n. 893  del  2014,
il quale avrebbe  disciplinato  in  modo  integrale  e  specifico  la
modalita' di distribuzione delle risorse. «Si e' dunque prodotto  non
solo un abbassamento  del  livello  della  fonte  normativa,  ma  una
delegificazione non prevista da alcuna norma di rango primario in  un
ambito che investe, sia pure attraverso l'enunciazione di algoritmi e
formule  matematiche,  scelte  altamente  politiche  in  termini   di
sviluppo del sistema universitario e di redistribuzione delle risorse
economiche al suo interno». 
    L'art.  10  demanda  a   un   decreto   ministeriale   anche   la
determinazione delle percentuali del FFO  da  ripartire  in  base  al
costo standard, senza nemmeno fissare «una forbice o  un  "range"  di
riferimento»: cio' pure comporta una scelta «altamente politica»,  da
cui dipende il maggiore o minore impatto del criterio  nei  confronti
delle universita'. 
    1.3.3.- Sulle stesse disposizioni del d.lgs. n. 49  del  2012  il
TAR solleva un'ulteriore questione, in riferimento agli artt. 33,  34
e 97 Cost. e alle riserve di legge ivi previste. 
    In particolare, la riserva prevista dalle prime due  disposizioni
costituzionali coprirebbe tutti i profili organizzativi e  funzionali
del sistema di istruzione, ivi compreso il finanziamento; sicche'  la
materia  avrebbe  dovuto   essere   disciplinata   non   da   decreti
ministeriali, ma da leggi o atti aventi forza di legge. E' citata  al
riguardo, la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998,  la
quale  ha  bensi'  ammesso  atti  normativi  secondari  del   Governo
integrativi della legge, ma al contempo ha negato che al  legislatore
sia consentito  «istituire  un  potere  ministeriale,  svincolato  da
adeguati criteri di esercizio». 
    Nel caso in esame, invece, il decreto legislativo non  ha  svolto
la necessaria opera di delimitazione dei poteri  dell'amministrazione
e quest'ultima,  con  i  decreti  impugnati,  «ha  effettuato  scelte
svincolate da criteri di esercizio "forti" e di natura sostanziale». 
    2.- Con atto depositato il 24  maggio  2016,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni   di   legittimita'   costituzionale    siano    dichiarate
inammissibili o infondate. 
    2.1.- Con  riguardo  alla  prima  questione,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, richiamato il testo  dell'art.  5,  comma  4,
lettera f), della legge n. 240 del 2010, sostiene che il  legislatore
ha demandato al decreto legislativo l'introduzione del  criterio  del
costo standard e la determinazione non di tale criterio  per  intero,
ma solo dei parametri («indici per la quantificazione»)  in  base  ai
quali, con successivi atti, esso sarebbe stato definito. 
    Secondo la giurisprudenza costituzionale, la  determinazione  dei
principi e criteri direttivi  non  deve  eliminare  ogni  margine  di
scelta nell'esercizio del potere delegato, ma solo circoscriverne  il
campo, affinche' si possano valutare  le  particolari  situazioni  da
disciplinare. L'art. 76 Cost. e' soddisfatto qualora la delega non si
limiti a enunciazioni troppo  generiche  o  generali,  riferibili  ad
ambiti  normativi  vastissimi,  o   a   enunciazioni   di   finalita'
insufficienti a indirizzare l'attivita' del legislatore delegato. 
    Nel caso, la legge n. 240 del 2010, nell'ambito della piu'  ampia
finalita' di  rilanciare  la  qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario, ha dettato precisi obiettivi,  tra  cui  la  revisione
della disciplina di contabilita' degli atenei,  di  cui  all'art.  5,
comma 1, lettera b), da  realizzare  secondo  i  principi  e  criteri
direttivi enunciati al comma 4, la cui lettera f), a  propria  volta,
prevede l'introduzione del costo standard unitario di formazione  per
studente in corso, al quale collegare l'attribuzione alle universita'
della parte del  FFO  non  legata  ai  risultati  di  qualita'.  Tale
previsione sarebbe adeguatamente  limitativa  della  discrezionalita'
del legislatore delegato. 
    2.2.- Con riguardo all'art. 8 del  d.lgs.  n.  49  del  2012,  la
difesa statale osserva come esso, dopo avere puntualmente definito la
nozione di costo standard, ne rinvia la determinazione a  un  decreto
del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e  della  ricerca,  di
concerto con il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  «previa
esatta e puntuale  definizione  dei  criteri  cui  attenersi»:  cosi'
facendo, il decreto legislativo si sarebbe adeguato al  parere  della
VII Commissione permanente  del  Senato  (Istruzione  pubblica,  beni
culturali), espresso durante l'iter di adozione del  decreto  stesso,
il quale peraltro aveva criticato non il rinvio al successivo decreto
interministeriale, ma solo la mancata indicazione degli indici per la
quantificazione del  costo  standard.  In  tal  modo,  sarebbe  stata
definita «una precisa  ed  esatta  cornice»  entro  cui  i  Ministeri
avrebbero potuto procedere a definire il predetto criterio. 
    L'art 10 del d.lgs. n. 49 del 2012 ha poi devoluto a  un  decreto
del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e  della  ricerca,  da
adottare nell'ambito dell'attivita' di indirizzo e programmazione del
sistema universitario, la definizione delle percentuali  del  FFO  da
ripartire «in relazione al costo standard per studente, ai  risultati
della didattica, della ricerca, delle  politiche  di  reclutamento  e
agli interventi perequativi ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n.
240». 
    In proposito, la difesa statale osserva che l'art. 5 della  legge
n. 240 del 2010 non include  nell'oggetto  della  delega  la  precisa
individuazione delle percentuali del  FFO  da  ripartire  secondo  il
criterio del costo standard, ma si limita  a  prevedere  che  a  tale
criterio sia ricollegata una percentuale  della  quota  del  FFO  non
assegnata ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n.
180  (Disposizioni  urgenti  per   il   diritto   allo   studio,   la
valorizzazione del merito e la qualita' del sistema  universitario  e
della ricerca), convertito, con modificazioni, dalla legge 9  gennaio
2009, n. 1. E'  ragionevole  che  tale  percentuale  sia  determinata
periodicamente dal Ministero competente, tenendo  conto  anche  degli
altri indici di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 49 del 2012. 
    2.3.- In merito alla denunciata violazione degli artt.  33  e  34
Cost., il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ricorda  che  la
riserva relativa di legge  non  vieta  al  legislatore  ordinario  di
rinviare la disciplina ad altre  fonti,  ma  gli  impone  di  fissare
precetti idonei a vincolare e indirizzare la normazione secondaria o,
comunque, di individuare le linee essenziali della  disciplina.  Cio'
sarebbe avvenuto nel caso in esame, in  cui  il  legislatore  avrebbe
puntualmente indicato i criteri alla luce dei quali  provvedere,  con
successivo decreto  interministeriale,  alla  definizione  del  costo
standard per studente in corso. 
    3.- Con atto depositato il 23 maggio 2016, si  e'  costituita  in
giudizio l'Universita' degli Studi  di  Macerata,  chiedendo  che  le
questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate fondate. 
    3.1.- L'Universita' premette che il  finanziamento  degli  atenei
pubblici si articola in una quota base e in una premiale, legata alle
«performance», di peso inferiore ma comunque significativo, oltre che
crescente.  Nel  2014,  l'Universita'  degli  Studi  di  Macerata  ha
beneficiato di finanziamenti premiali elevati; ma le sue  prospettive
sono repentinamente peggiorate, a causa degli atti impugnati  dinanzi
al TAR rimettente, con i quali e' stato introdotto, come criterio  di
riparto della quota base, il costo standard, destinato a  soppiantare
la spesa storica. Il nuovo criterio,  astrattamente  giusto,  sarebbe
stato   attuato   in   modo    contraddittorio,    irragionevole    e
discriminatorio, con grave pregiudizio  dell'Universita'  ricorrente,
alla quale e' stato attribuito il costo per studente  piu'  basso  in
assoluto, con gravi conseguenze potenziali, qualora il nuovo  sistema
dovesse trovare piena  attuazione.  Cio',  «lungi  dal  dipendere  da
criteri meritocratici, o da una corretta  stima  dei  costi  che  gli
atenei devono sostenere», sarebbe invece  «il  frutto,  piu'  o  meno
casuale, di un sistema cervellotico e assurdamente  congegnato  dalla
burocrazia ministeriale, nel completo silenzio del legislatore». 
    Le irragionevolezze e contraddizioni di tale sistema  sono  state
denunciate nel ricorso al TAR rimettente, ma molte di esse  risalgono
«ad un vizio di origine», costituito  dalla  «assoluta  incertezza  e
ambiguita' concettuale del  modello  di  "costo  standard"  concepito
dall'amministrazione». In astratto, il costo standard potrebbe essere
inteso in due modi: come  costo  medio  sostenuto  dalle  universita'
italiane per formare uno studente; oppure come costo  medio  che  una
determinata universita' sostiene per formare un proprio studente.  Il
legislatore non ha affatto chiarito il concetto  di  costo  standard,
mentre  l'amministrazione  ha  «combinato   in   modo   promiscuo   e
complessivamente contraddittorio i due modelli».  Ne  sarebbe  venuto
fuori «un pasticcio, in virtu' del quale le Universita'  ricevono  un
finanziamento che non e' commisurato ne' ai  propri  costi  standard,
ne' al costo medio standard di tutti gli atenei italiani,  bensi'  ad
una  miscela  del  tutto  incomprensibile   dell'uno   e   dell'altro
elemento». 
    Al  di   la'   di   tali   irragionevolezze   e   contraddizioni,
esemplificate dall'Universita' degli Studi  di  Macerata  con  alcuni
dati che la riguardano, la  difesa  dell'ateneo  evidenzia  che  «una
cosi' profonda rivoluzione  del  sistema  di  finanziamento  pubblico
delle   Universita'   italiane   e'   stata   approvata   con    atti
amministrativi, sulla base di atti legislativi adottati in violazione
degli articoli 76, 33, 34 e 97 della Costituzione»: il Parlamento  ha
approvato  una  delega  «a  maglie  larghissime»,  priva  di  criteri
direttivi  sull'individuazione  del  costo   standard;   il   decreto
legislativo   attuativo   ha   demandato   interamente   al   livello
amministrativo la definizione degli elementi qualificanti  del  nuovo
sistema di finanziamento. 
    3.2.- L'Universita', dopo  avere  riassunto  il  contenuto  delle
norme in questione e i dubbi di legittimita' costituzionale  del  TAR
rimettente, condivide le valutazioni  di  quest'ultimo  in  punto  di
rilevanza,  giacche'  gli  atti  impugnati  sono  stati  adottati  in
applicazione delle norme predette. 
    3.3.- Oltre che rilevanti, tutte le questioni sarebbero fondate. 
    3.3.1.- La delega legislativa, riconducibile all'art. 5, comma 1,
lettera b), e comma 4, lettera f), della legge n. 240  del  2010,  si
limiterebbe  a  definire  l'oggetto  del  decreto  delegato,  ma  non
fisserebbe principi e  criteri  direttivi,  volti  a  indirizzare  il
Governo nella disciplina della quantificazione del costo  standard  e
nell'identificazione   delle   percentuali   di   finanziamento    da
distribuire in base a tale criterio, o  quantomeno  utilizzerebbe  al
riguardo solo formule generali, ampie e, in definitiva, ambigue. 
    3.3.2.- «Ancor piu' fondata»  sarebbe  la  seconda  questione  di
legittimita' costituzionale: il potere discrezionale,  eccessivamente
ampio, attribuito dal Parlamento al  Governo  avrebbe  dovuto  essere
esercitato con un atto di rango legislativo, che stabilisse  sia  gli
indici e gli indicatori per la quantificazione  del  costo  standard,
sia la percentuale del FFO da agganciare a questo criterio. «In altri
termini, l'adozione delle scelte politico-istituzionali  fondamentali
non poteva essere ulteriormente rinviata a fonti secondarie,  dovendo
trovare compiuta estrinsecazione a livello primario. La sub-delega  a
fonti secondarie, infatti, non puo' essere ammessa, ogni  qual  volta
la delega imponga al  legislatore  delegato  di  definire  con  fonte
primaria una determinata materia (o parte di essa)». 
    In primo luogo, per quanto riguarda gli indici di quantificazione
del costo standard, lo schema  di  decreto  legislativo  inizialmente
approvato dal Consiglio dei ministri (nella  seduta  del  13  gennaio
2012) si limitava addirittura a una mera riproduzione  letterale  del
criterio di delega (corrispondente al vigente art. 8,  comma  1,  del
d.lgs. n. 49 del  2012)  e  alla  definizione  del  procedimento  per
l'emanazione del successivo decreto non regolamentare  del  Ministro.
In  occasione  dell'esame  dello  schema,  ai  fini  del  parere   di
competenza  della  VII  Commissione  permanente  della   Camera   dei
deputati, il Servizio Studi della stessa Camera  sottolineo'  che  la
mancata individuazione degli indici da  parte  del  decreto  delegato
poneva  un   problema   di   rispetto   della   delega.   Nel   testo
definitivamente  approvato,  il  Governo  ha  fatto  ricorso  «ad  un
maldestro e posticcio rimedio», inserendo la descrizione  delle  voci
di costo attualmente elencate al  comma  2  del  citato  art.  8.  Si
sarebbe trattato, pero', «di un puro  esercizio  di  stile»,  che  si
limita a menzionare ovvie  voci  di  costo,  quali  il  costo  per  i
professori, i segretari, le aule. 
    Condividendo il rilievo del TAR, secondo cui il decreto  delegato
avrebbe  cosi'  individuato  solo  voci,  non  indicatori  di  costo,
l'Universita' soggiunge che la «pochezza dello "spessore"  normativo»
del decreto stesso sarebbe manifesta, a paragone della  densita'  ben
maggiore di altri decreti legislativi in materia di  costi  standard.
In proposito, sono citati il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68
(Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e  il  decreto
legislativo 26 novembre 2010, n.  216  (Disposizioni  in  materia  di
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni,  Citta'
metropolitane e Province). 
    «Anche  a  ritenere  che  il  decreto  legislativo  non   dovesse
necessariamente contenere formule e algoritmi matematici», come  pure
avviene di prassi nei  corposi  allegati  tecnici  di  molti  decreti
delegati, almeno le scelte  di  fondo  non  avrebbero  dovuto  essere
omesse. «Occorre infatti tenere bene a mente che non  si  discute  di
tecnicismi, ma di questioni fondamentali per la  vita  di  tutti  gli
Atenei nazionali,  dense  di  politicita':  scegliere  un  indicatore
rispetto ad un altro, significa favorire gli atenei piccoli piuttosto
che quelli grandi, quelli con maggiore vocazione umanistica piuttosto
che tecnico-scientifica, quelli di recente fondazione  piuttosto  che
quelli tradizionali, ecc.». 
    In  secondo  luogo,  per  quanto  riguarda  la   percentuale   di
finanziamento da attribuire in base al criterio del  costo  standard,
l'aggiramento della delega sarebbe  persino  piu'  patente:  su  tale
delicato aspetto, dal quale dipende l'impatto del nuovo criterio  sui
bilanci delle universita', il legislatore delegato si e'  limitato  a
ribadire il principio del collegamento  tra  costo  standard  e  FFO,
senza indicare una percentuale, o almeno criteri  stringenti  per  la
quantificazione della stessa. 
    3.3.3.-  Fondata  sarebbe  pure   la   questione   sollevata   in
riferimento agli  artt.  33,  34  e  97  Cost.,  alla  stregua  degli
argomenti esposti nella sentenza n. 383 del 1998. 
    Tale sentenza  ha  abbracciato  una  interpretazione  complessiva
degli artt. 33 e 34 Cost. e  una  lettura  unitaria  del  sistema  di
istruzione, in tutti i profili funzionali e  organizzativi,  compresi
quelli finanziari.  La  riserva  relativa,  che  sussiste  in  questa
materia, non esclude l'intervento di fonti  secondarie,  ma  assicura
l'intervento del legislatore sulle scelte qualificanti e pretende che
a tale compito  l'autorita'  normativa  primaria  non  si  sottragga.
Invece, il d.lgs. n. 49 del 2012 sarebbe sfuggito a  questo  compito,
omettendo  qualsiasi  previsione  sulla  percentuale  di  risorse  da
assegnare in base  al  costo  standard,  e  limitandosi  a  enunciare
criteri generici e insignificanti  sulla  quantificazione  del  costo
stesso. Quand'anche poi si ritenesse consentito al legislatore di non
disciplinare direttamente gli aspetti qualificanti del sistema, ma di
demandarli a poteri dell'amministrazione, tali poteri non  dovrebbero
comunque essere liberi, bensi' inseriti  in  un  contesto  di  scelte
normative sostanziali  predeterminate,  secondo  limiti  e  indirizzi
ascrivibili al legislatore: e pure da questo punto di vista il d.lgs.
n.  49  del  2012  apparirebbe  difettoso,  come  osservato  dal  TAR
rimettente. 
    4.- In data 1°  marzo  2017,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato una memoria nella quale insiste per il rigetto
delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.1.- In merito alla questione concernente l'art. 5  della  legge
n. 240 del 2010, osserva che la  delega  conferita  al  Governo  puo'
desumersi solo attraverso una lettura d'insieme dell'intero articolo.
Il complesso oggetto della delega e' definito,  in  particolare,  dal
comma 1, lettere a), b), c) e d); mentre, per quanto qui interessa, i
principi e i criteri direttivi sono fissati dal successivo  comma  4,
di cui fa parte la  lettera  f),  specificamente  dedicata  al  costo
standard. 
    Peraltro, prosegue la difesa statale, gia'  l'art.  5,  comma  3,
della legge 24  dicembre  1993,  n.  537  (Interventi  correttivi  di
finanza pubblica), nell'istituire il FFO, faceva  riferimento  a  una
«quota  di  riequilibrio,  da  ripartirsi  sulla  base   di   criteri
determinati con decreto del Ministro dell'universita' e della ricerca
scientifica e tecnologica, [...] relativi a  standard  dei  costi  di
produzione  per  studente  [...]  tenuto  conto  delle  dimensioni  e
condizioni  ambientali  e  strutturali».  Il  primo  modello  per  la
determinazione  del  costo  standard,  ai  sensi  della  disposizione
citata, risale al 1995 (tra  i  relativi  decreti  ministeriali  sono
citati, a titolo di esempio, il decreto 9 febbraio 1998, n. 107, e il
decreto 5 maggio 1999, n. 228). Lo scopo della legge n. 240 del 2010,
dunque,  non  sarebbe  stato  «quello  di  delegare  il   Governo   a
disciplinare puntualmente, con  atto  avente  valore  di  legge,  uno
strumento gia' da tempo esistente»; ma invece «quello di  rendere  il
principio del costo standard parte di  un  processo  piu'  generale»,
finalizzato alla revisione della contabilita' degli atenei. Il  costo
standard,  siccome  criterio  piu'  equo  ed   efficiente,   dovrebbe
sostituire gradualmente la «cosiddetta "quota o spesa  storica"»,  al
fine  di  correggere  gli  squilibri  nel  sistema  di  finanziamento
accumulatisi nel corso degli anni. 
    L'applicazione del costo standard, peraltro, sarebbe «ancorata  a
elementi di elevata complessita' tecnico-scientifica fra  loro  molto
differenziati che sono conformi, a loro volta, a principi generali  e
ad istituti dell'ordinamento universitario». 
    Il  Presidente  del  Consiglio  fa  riferimento,  in   proposito,
all'art. 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7  (Disposizioni
urgenti per l'universita' e la ricerca, per i  beni  e  le  attivita'
culturali, per il completamento di grandi opere strategiche,  per  la
mobilita' dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti
relativi a imposte di bollo e tasse  di  concessione,  nonche'  altre
misure urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 31  marzo
2005, n. 43,  richiamato  altresi'  dalla  legge  n.  240  del  2010,
all'art. 2, comma 1, lettere b) ed e). Il citato art. 1-ter individua
nel documento di programmazione triennale - che deve essere  coerente
con linee generali di indirizzo definite dal Ministro - il principale
strumento con cui gli organi universitari decidono i corsi di  studio
da  attivare  e  il  personale  da  impegnare  in  essi,   osservando
determinati requisiti  minimi  essenziali,  in  termini  di  «risorse
strutturali ed umane», il cui rispetto ha comportato la  definizione,
con decreto ministeriale, di appositi standard di docenza per ciascun
corso. A questi requisiti minimi fa riferimento, oltre al  d.lgs.  n.
49 del 2012, anche il decreto legislativo 27  gennaio  2012,  n.  19,
recante   «Valorizzazione   dell'efficienza   delle   universita'   e
conseguente introduzione di meccanismi premiali  nella  distribuzione
di risorse pubbliche sulla base di criteri  definiti  ex  ante  anche
mediante la previsione di  un  sistema  di  accreditamento  periodico
delle universita' e la valorizzazione della figura dei ricercatori  a
tempo indeterminato non confermati al  primo  anno  di  attivita',  a
norma dell'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge  30  dicembre
2010, n. 240». E' all'intero insieme di questa normativa  di  settore
che occorre avere  riguardo,  anche  nell'esaminare  la  parte  della
delega riguardante le modalita' di calcolo del costo standard. 
    Infine, la difesa statale osserva che il legislatore delegante ha
bensi' demandato al Governo l'introduzione  del  costo  standard  cui
collegare una quota del FFO, ma non gli ha prescritto di  determinare
tale quota, ne' ha disposto alcunche' sulla fonte con cui procedere a
tale determinazione. In mancanza  di  prescrizioni  al  riguardo,  il
rinvio a fonti ministeriali, «nella misura in cui non  e'  vietato  o
vincolato», sarebbe legittimo e conforme all'art. 76 Cost. 
    4.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri esamina quindi  la
questione sollevata in riferimento all'art.  76  Cost.  con  riguardo
agli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012. 
    4.2.1.- Il  censurato  art.  8  avrebbe  definito  sia  il  costo
standard,  sia  gli  indici  di  riferimento  per  calcolarlo,  cosi'
assicurando all'impianto normativo adeguate garanzie  di  certezza  e
stabilita'. 
    La legge delega non avrebbe in alcun modo precluso che «la  parte
tipicamente tecnica-operativa» della disciplina potesse essere recata
da  fonti  subordinate.  Secondo  la  difesa  statale,   il   decreto
ministeriale n. 893 del 9 dicembre 2014 «non ha introdotto principi o
istituti nuovi rispetto a quanto delimitato dalla legge  delega,  ne'
ha operato su un campo lasciato in bianco dalla  normativa  primaria,
ma si e' limitato, piuttosto, alla specificazione puntuale delle voci
di costo introdotte dal D.Lgs. 49 del 2012 e  all'introduzione  degli
algoritmi necessari per effettuare  il  calcolo  del  costo  standard
unitario». Per la loro specificita'  tecnica,  queste  determinazioni
sono state lasciate alle amministrazioni in possesso delle competenze
e dei dati necessari alla quantificazione con  metodo  analitico  del
costo standard: «[s]i tratta di un modus  operandi  coerente  con  lo
stesso concetto di costo standard, laddove, i  possibili  criteri  di
determinazione di tale costo implicano processi  di  ripartizione  di
risorse che devono tenere conto di un  equilibrio  generale  [da]  un
lato e della sostanziale congruita' tra le risorse  assegnate  e  gli
specifici compiti istituzionali degli atenei dall'altro». 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  procede,  quindi,  a
spiegare il metodo utilizzato per  il  calcolo  del  costo  standard.
Rispetto alle «metodologie generalmente proposte», e'  stato  seguito
un   approccio   misto,   in   parte   «statistico»   e   in    parte
«ingegneristico-aziendale»,  avendo  come  riferimento  sia  principi
specifici  del  sistema  universitario,  come  quello  dei  requisiti
minimi, sia la semplicita' e neutralita' della stima  statistica.  Le
voci di cui all'art. 8, comma 2, lettere a) e b), del  d.lgs.  n.  49
del 2012 sono state determinate secondo  l'approccio  ingegneristico,
considerando gli indicatori per l'accreditamento dei corsi di  studio
e, quindi, i gia' citati requisiti minimi.  Queste  voci  pesano  per
circa  il  75%  del  costo  standard  totale   e   sono   determinate
separatamente per ciascuna classe di  corsi.  Le  voci  di  cui  alla
lettera c), per le quali non  si  hanno  parametri  istituzionali  di
riferimento, «sono stimate con un modello  econometrico,  sulla  base
della spesa media complessiva per il  funzionamento  dell'ateneo  nel
triennio 2014-2016». Le voci di  cui  alla  lettera  d),  poi,  hanno
considerato determinate tipologie di personale, impiegate  in  ambiti
specifici,  utilizzando  ove  possibile  indicatori   gia'   definiti
dall'ANVUR   (Agenzia   nazionale   di   valutazione   del    sistema
universitario e della ricerca). 
    Determinazioni siffatte non potevano che essere  demandate  dalla
fonte primaria alle amministrazioni competenti, per ragioni  tecniche
e   anche   per   l'opportunita'   di    consentirne    l'adeguamento
all'evoluzione  dei  sistemi  informativi  e  conoscitivi   e   degli
algoritmi  definibili,  anche  sulla  base  di  analoghe   esperienze
internazionali.  La  stessa  ANVUR  ha  segnalato  alcuni  punti   di
attenzione per successive modifiche  del  modello,  che  puo'  essere
rivisto a decorrere dal 2017. 
    Questa tecnica legislativa, del resto, e' diffusa anche in  altri
settori dell'ordinamento «considerati molto "sensibili" al tema della
legislazione delegata»: si fa l'esempio della  disciplina  penale  in
materia  di  stupefacenti,  e  della   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale che  ha  ritenuto  compatibile  con  l'art.  25  Cost.
l'integrazione dei precetti penali, gia' sufficientemente specificati
nella legge, da parte di fonti tecniche subordinate (sono  citate  le
sentenze n. 282 del 1990 e n. 26 del 1966), anche previste in decreti
legislativi. Ai fini del principio di legalita', di cui e' corollario
la riserva di legge (assoluta o relativa), cio' che importa,  secondo
la difesa statale, e' che la fonte  subordinata  si  muova  entro  un
ambito puntualmente delimitato e  definito  dalla  legge,  «anche  in
assenza di espresso rinvio  alle  fonti  ministeriali».  Se  cio'  e'
consentito in materia penale,  a  maggior  ragione  dovrebbe  esserlo
nell'ambito oggi in esame, in cui la fonte subordinata si e' limitata
allo svolgimento dell'algoritmo per  ciascuna  delle  voci  di  costo
previste nel decreto delegato, senza aggiungere elementi nuovi. 
    4.2.2.- Analoghe considerazioni varrebbero a proposito  dell'art.
10 del d.lgs. n. 49 del  2012.  Ribadito  che  la  legge  delega  non
richiedeva al Governo di individuare direttamente la percentuale  del
FFO da distribuire in base  al  costo  standard,  l'art.  10  avrebbe
ragionevolmente demandato tale compito al  Ministro  dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, per l'intima connessione tra il FFO
e la programmazione finanziaria triennale, richiamando al contempo le
porzioni dello stesso fondo da distribuire in base ad altri criteri. 
    La percentuale in esame, prosegue il Presidente del Consiglio dei
ministri, e' un dato dinamico, che deve tenere  conto,  tra  l'altro,
delle  risorse  complessivamente  disponibili,  in  base  a  ciascuna
manovra finanziaria, e di fattori di contesto quali, ad  esempio,  la
contrazione del numero degli studenti  nelle  aree  svantaggiate  del
Mezzogiorno.   Per   questo,   la   percentuale   non   puo'   essere
cristallizzata,  ma  deve  essere   considerata   nell'ambito   della
programmazione triennale del sistema universitario: come e'  avvenuto
con i decreti ministeriali 15 ottobre 2013, n. 827 (Linee generali di
indirizzo della programmazione  delle  universita'  per  il  triennio
2013-2015) e n. 815 del 2014, il secondo dei quali ha  accentuato  la
gradualita' dell'introduzione del criterio del  costo  standard.  Gli
stessi principi governano l'applicazione complessiva di tutto il FFO:
l'art. 60,  comma  01,  del  decreto-legge  21  giugno  2013,  n.  69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni, dalla legge  9  agosto  2013,  n.  98,  vieta  che  la
riduzione della quota di FFO spettante a ciascuna universita'  superi
il 5 per cento rispetto all'anno precedente; il d.m. n. 815 del  2014
(allegato 2) ha contenuto questo valore (somma di quota  base,  quota
premiale e intervento perequativo) nel 3,5 per cento. 
    4.3.- Con riguardo alle censure rivolte agli stessi artt. 8 e  10
del d.lgs. n. 49 del 2012 in riferimento agli artt. 33  e  34  Cost.,
come interpretati nella sentenza n. 383 del 1998, il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ritiene che il potere  amministrativo  si  sia
mosso  esclusivamente   nei   termini   indicati   dal   legislatore,
limitandosi a una mera specificazione di quanto stabilito nelle fonti
primarie, senza introdurre nulla che non fosse gia' ivi richiamato  e
delimitato. 
    Inoltre, nell'interpretare l'art. 33,  quarto  comma,  Cost.,  la
giurisprudenza amministrativa e costituzionale  ha  inteso  in  senso
flessibile  la  nozione  dei  limiti  che  possono   essere   imposti
all'autonomia universitaria, ammettendo che i  contenuti  sostanziali
della legge possano essere integrati e svolti in  concreto  da  fonti
secondarie.   Nell'esercizio    della    relativa    discrezionalita'
legislativa, la legge n. 240 del 2010 avrebbe optato per  un  modello
di organizzazione e finanziamento orientato verso un  esercizio  piu'
efficace  e  responsabile  dell'autonomia  universitaria:  di  questo
modello, la  revisione  della  disciplina  della  contabilita'  e  il
principio del costo  standard  sarebbero  parti  imprescindibili.  Lo
stesso Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza  17  marzo  2016,  n.
1095) avrebbe ammesso che l'autonomia finanziaria  delle  universita'
puo' essere  disciplinata  da  regolamenti  di  delegificazione,  che
rinvengono pur sempre la loro copertura nella legge che ne  autorizza
l'emanazione. 
    Ricordando che la sentenza n. 383  del  1998  aveva  riconosciuto
come la riserva relativa di legge potesse essere soddisfatta anche da
norme comunitarie recanti  obblighi  per  gli  Stati  in  materia  di
organizzazione  universitaria,  il  Presidente  del   Consiglio   dei
ministri afferma che «la determinazione del costo  standard  unitario
di cui all'art. 5, comma 4, lettera f), della l. 240 del 2010  e'  un
principio che si e' andato a saldare prima con l'attuazione in Italia
[del] "Patto di Stabilita' e  crescita",  pilastro  della  governance
finanziaria dell'Unione europea e,  ancor  piu'  importante,  con  la
novella costituzionale dell'art. 81 Cost., tesa a dare attuazione  al
trattato di Bruxelles  del  2012  c.d.  "fiscal  compact"».  Infatti,
prosegue la difesa statale, «[i]l Programma  Nazionale  di  Riform[a]
2014,  deliberato  dal  Consiglio  dei  Ministri  l'8  aprile   2014,
nell'ambito del Documento di economia e finanza 2014,  nel  riferirsi
alla parte finanziaria, cita espressamente la premialita' del  FFO  e
l'approvazione della norma che prevede la ripartizione  in  3/5  alla
ricerca e 1/5 al reclutamento». Il Consiglio dell'Unione europea, con
raccomandazione dell'8 luglio 2014, avrebbe chiesto, tra l'altro,  di
assegnare i finanziamenti pubblici destinati alle universita' e  agli
istituti di  ricerca  in  funzione  dei  risultati  conseguiti  nella
ricerca e  nell'insegnamento,  premiando  in  modo  piu'  congruo  la
qualita'. In seguito a cio', «il  Programma  Nazionale  di  Riform[a]
2015, deliberato  il  10  aprile  2015  dal  Consiglio  dei  Ministri
nell'ambito del Documento  di  economia  e  finanza  2015,  ha  fatto
riferimento al costo standard come misura messa in atto  al  fine  di
rispondere a quanto richiesto  dal  Consiglio  Europeo»,  sicche'  il
Consiglio non  ha  formulato  ulteriori  raccomandazioni,  mentre  la
Commissione europea, nella «Relazione per paese  relativa  all'Italia
2015» del 18 marzo 2015 (COM(2015)  85  final),  ha  riconosciuto  il
contributo del costo standard. 
    La paventata illegittimita' costituzionale dovrebbe tenere  conto
degli impegni cosi' assunti dall'Italia in seno  all'Unione  europea,
la cui attuazione sarebbe impedita dal venir meno della normativa sul
costo standard. Sul  presupposto  che  le  leggi  non  si  dovrebbero
dichiarare  costituzionalmente   illegittime   se   non   quando   e'
impossibile darne interpretazioni conformi a Costituzione (e'  citata
al riguardo la sentenza n. 356 del 1996), la difesa statale  conclude
osservando che la normativa  in  esame  «e',  oltre  che  formalmente
conforme  alla  Costituzione  per  i  motivi  sopra  esposti,   anche
sostanzialmente conforme alla Carta fondamentale, in  virtu'  di  una
lettura  costituzionalmente  (e,  si   direbbe,   "comunitariamente")
orientata di tutti i principi coinvolti dalla disciplina  complessiva
della materia». 
    5.- L'Universita' degli  Studi  di  Macerata  ha  depositato  una
memoria in data 2 marzo 2017, anticipandola il 1° marzo 2017  tramite
invio all'indirizzo di posta elettronica  della  Segreteria  generale
della Corte costituzionale, effettuato oltre l'orario di apertura  al
pubblico della Cancelleria, in cui ribadisce le  argomentazioni  gia'
espresse nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  sezione  terza-bis,
solleva questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  5,  commi
1, lettera b), e 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n.  240
(Norme in materia di organizzazione delle universita',  di  personale
accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per  incentivare
la qualita' e l'efficienza del sistema universitario), in riferimento
all'art. 76 della Costituzione;  nonche'  degli  artt.  8  e  10  del
decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per  la
programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle  politiche  di
bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione  della  delega
prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre  2010,  n.
240 e per il raggiungimento degli obiettivi  previsti  dal  comma  1,
lettere b) e c), secondo i principi normativi e i  criteri  direttivi
stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5»,  in
riferimento agli artt. 33, 34, 76 e 97 Cost. 
    1.1.- L'art. 5 della legge n. 240 del 2010 delega il  Governo  ad
adottare uno o piu' decreti legislativi per la  riforma  del  sistema
universitario, al fine di conseguire alcuni obiettivi, che  includono
(comma 1, lettera b) la «revisione della  disciplina  concernente  la
contabilita', al fine di garantirne coerenza  con  la  programmazione
triennale di  ateneo,  maggiore  trasparenza  ed  omogeneita',  e  di
consentire  l'individuazione  della  esatta  condizione  patrimoniale
dell'ateneo e dell'andamento complessivo della gestione» (l'ordinanza
di rimessione fa  riferimento  alla  lettera  c)  del  comma  1,  con
evidente lapsus calami). 
    Il comma 4 dello stesso art. 5 enuncia i  principi  e  i  criteri
direttivi cui il Governo doveva attenersi nell'esercizio della delega
predetta,  tra  i  quali  il  seguente  (di  cui  alla  lettera   f):
«introduzione del costo standard unitario di formazione per  studente
in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie
dei corsi di studio e ai differenti contesti economici,  territoriali
e  infrastrutturali  in  cui  opera  l'universita',   cui   collegare
l'attribuzione all'universita' di  una  percentuale  della  parte  di
fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell'articolo
2 del  decreto-legge  10  novembre  2008,  n.  180,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1; individuazione degli
indici da  utilizzare  per  la  quantificazione  del  costo  standard
unitario di  formazione  per  studente  in  corso,  sentita  l'ANVUR»
(l'ordinanza di rimessione fa riferimento  all'art.  4,  lettera  f),
anziche' al comma 4, lettera f), dell'art. 5, con un  altro  evidente
lapsus calami). 
    Le due disposizioni citate, ad  avviso  del  rimettente,  violano
l'art. 76 Cost., in quanto definiscono solo l'oggetto della delega  -
vale a dire, secondo il TAR, l'introduzione del  costo  standard,  la
definizione di indici per la quantificazione del costo  standard,  la
definizione  della  percentuale  del  Fondo  per   il   finanziamento
ordinario per le universita' (FFO) da attribuire sulla base  di  tale
criterio - ma non i principi e i criteri  direttivi  per  l'esercizio
della delega stessa. 
    1.2.-  In  via  subordinata,  il   TAR   solleva   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 8 e 10 del d.lgs. n.  49  del
2012, ossia delle disposizioni attraverso  le  quali  il  Governo  ha
attuato la delega di cui sopra. 
    L'art. 8 definisce il costo standard unitario di  formazione  per
studente in corso come il costo di riferimento attribuito al  singolo
studente iscritto entro  la  durata  normale  del  corso  di  studio,
determinato  in  considerazione  della  tipologia  di  corso,   delle
dimensioni  dell'ateneo  e   dei   differenti   contesti   economici,
territoriali e infrastrutturali in  cui  opera  ciascuna  universita'
(comma  1).  La  determinazione  del  costo  standard   e'   definita
attraverso un decreto del Ministro dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia  e  delle
finanze,  sentita  l'ANVUR  (Agenzia  nazionale  di  valutazione  del
sistema universitario e della ricerca); il decreto  deve  considerare
voci di costo cosi' definite: «a) attivita' didattiche e di  ricerca,
in termini di dotazione di personale docente e ricercatore  destinato
alla formazione dello studente; b) servizi didattici, organizzativi e
strumentali,   compresa   la   dotazione   di    personale    tecnico
amministrativo,  finalizzati  ad  assicurare  adeguati   servizi   di
supporto   alla   formazione    dello    studente;    c)    dotazione
infrastrutturale, di funzionamento  e  di  gestione  delle  strutture
didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;
d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard  di
riferimento e commisurate alla tipologia degli  ambiti  disciplinari»
(comma 2). 
    L'art.    10    attribuisce    al    Ministro    dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca,  nell'ambito  dell'attivita'  di
indirizzo e programmazione del sistema universitario,  il  potere  di
individuare con proprio decreto le percentuali del FFO  da  ripartire
in relazione al costo standard per studente, oltre che  ai  risultati
della didattica, della ricerca, delle  politiche  di  reclutamento  e
agli interventi perequativi ai sensi della legge n. 240 del 2010. 
    Gli artt. 8 e 10, ad avviso  del  Tribunale  rimettente,  violano
l'art. 76 Cost. (in relazione alle predette disposizioni di  delega),
perche' demandano per intero a decreti ministeriali  l'individuazione
degli indici in base ai quali determinare il costo standard,  nonche'
delle percentuali del FFO destinate a essere ripartite in base a tale
costo standard. Sarebbero altresi' disattesi gli artt. 33,  34  e  97
Cost., perche'  i  censurati  artt.  8  e  10  istituirebbero  poteri
ministeriali svincolati  da  adeguati  criteri  di  indirizzo,  cosi'
violando le pertinenti riserve relative di legge. 
    2.-  La  memoria  depositata  dall'Universita'  degli  Studi   di
Macerata in prossimita' dell'udienza e'  fuori  termine  e  non  puo'
essere  considerata.  Essa  e'  stata  inviata  il  1°   marzo   2017
all'indirizzo di posta elettronica certificata di  un  ufficio  della
Corte diverso dalla Cancelleria, in un orario in cui quest'ultima era
gia' chiusa al pubblico; mentre e' stata depositata nella Cancelleria
in copia cartacea solo il 2 marzo 2017. 
    Secondo le Norme integrative per i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale, approvate con delibera del 7 ottobre  2008,  ciascuna
parte puo' depositare  nella  cancelleria  della  Corte  una  memoria
illustrativa, «in un numero di copie sufficiente per le  parti,  fino
al ventesimo giorno libero prima dell'udienza» (art.  10,  comma  1),
curando che le copie siano «scritte in carattere chiaro e  leggibile»
(art. 6, comma 2). Pertanto, nel termine predetto, puo'  considerarsi
rituale  solo  il  deposito   di   memorie   in   formato   cartaceo,
correttamente stampate in un numero sufficiente di copie.  Nel  caso,
tale deposito e' avvenuto dopo lo spirare del termine. 
    3.- La questione sollevata in riferimento  all'art.  76  Cost.  e
avente ad oggetto l'art. 5, comma 1, lettera b), e comma  4,  lettera
f), della legge n. 240 del 2010 non e' fondata. 
    3.1.- Non v'e' dubbio  che,  ai  sensi  dell'art.  76  Cost.,  il
legislatore delegante, nel conferire al Governo  l'esercizio  di  una
porzione della  funzione  legislativa,  e'  tenuto  a  circoscriverne
adeguatamente l'ambito, predeterminandone i limiti di  oggetto  e  di
contenuto,  oltre  che  di  tempo.  A  questo  scopo,   secondo   gli
orientamenti costanti di questa Corte, la legge delega, fondamento  e
limite  del  potere  legislativo   delegato,   non   deve   contenere
enunciazioni  troppo  generali  o  comunque  inidonee  a  indirizzare
l'attivita' normativa del legislatore delegato, ma  ben  puo'  essere
abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalita',  e  un
corrispondente spazio, entro il quale il  Governo  possa  agevolmente
svolgere la propria attivita' di "riempimento" normativo, la quale e'
pur sempre esercizio  delegato  di  una  funzione  "legislativa"  (ex
multis, sentenze n. 98 del 2008 e n. 158 del 1985). 
    I   confini   del   potere   legislativo    delegato    risultano
complessivamente dalla determinazione dell'oggetto e dei  principi  e
criteri direttivi, unitariamente considerati. A tal fine il contenuto
della delega deve essere identificato tenendo conto,  oltre  che  del
dato testuale, di una lettura sistematica delle disposizioni  che  la
prevedono, anche alla luce del contesto normativo nel quale  essa  si
inserisce, nonche' della ratio e delle finalita' che la ispirano (tra
le molte, sentenze n. 250 del 2016, n.  210  del  2015,  n.  229  del
2014).  Entro  questa  cornice  unitaria  -  emergente  dalla  delega
interpretata in chiave anche sistematica e teleologica - deve  essere
inquadrata la discrezionalita' del legislatore delegato, il quale  e'
chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire,  le  previsioni  della
legge di delega. 
    Ferma questa esigenza di  contenere  adeguatamente  l'ambito  del
potere  legislativo  affidato  al  Governo  nello  svolgimento  della
funzione legislativa delegata, occorre peraltro ribadire che  non  e'
possibile  specificare  in  astratto  ulteriori  canoni   rigidamente
predeterminati, valevoli per ogni evenienza, che  il  Parlamento  sia
tenuto a  rispettare  all'atto  dell'approvazione  di  una  legge  di
delegazione (sentenze n. 98 del 2008 e n. 340 del 2007). 
    3.2.-  Nel   caso   odierno,   le   previsioni   censurate   sono
effettivamente scarne nel delineare lo specifico istituto  del  costo
standard, ma, come rilevato dalla difesa statale,  una  loro  lettura
nel  complessivo  contesto  delineato  dall'art.  5  e  dalle   altre
disposizioni della legge n. 240 del 2010, nonche' dalle finalita'  di
quest'ultima, non consente di ravvisare il  vizio  di  illegittimita'
costituzionale prospettato dal giudice rimettente. 
    L'art.  5  contiene  una  pluralita'  di  previsioni  di   delega
legislativa, ciascuna contraddistinta  da  profili  di  complessita'.
Queste previsioni individuano gli aspetti del  sistema  universitario
da riformare e,  per  ciascuno  di  essi,  i  principi  e  i  criteri
direttivi  degli  interventi  di  riforma.  In  questa   prospettiva,
l'introduzione del costo standard e'  solo  una  delle  direttive  di
innovazione che la legge stabilisce  in  merito  alla  riforma  della
finanza universitaria, orientata, tra l'altro, a conseguire obiettivi
di trasparenza e di  coerenza  con  la  programmazione  triennale  di
ateneo, la quale, a sua volta, abbraccia anche la didattica, ai sensi
dell'art. 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni
urgenti per l'universita' e la ricerca, per i  beni  e  le  attivita'
culturali, per il completamento di grandi opere strategiche,  per  la
mobilita' dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti
relativi a imposte di bollo e tasse  di  concessione,  nonche'  altre
misure urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 31  marzo
2005, n. 43, richiamato dalla difesa statale. 
    L'art. 5, d'altra parte, si inserisce in un  disegno  di  riforma
ancora piu' articolato, tra i cui principi ispiratori - che in  parte
si  riallacciano  ad  assetti  normativi  precedenti  -  figurano  la
valorizzazione della responsabilita',  assieme  all'autonomia,  delle
universita';  la  previsione  dei  poteri,  in  capo   al   Ministero
competente, di dettare indirizzi strategici e,  tramite  l'ANVUR,  di
verificare e valutare i risultati conseguiti; il collegamento tra  la
distribuzione delle risorse pubbliche, da un lato, e, dall'altro,  il
conseguimento  degli  indirizzi  anzidetti  e   i   risultati   delle
valutazioni eseguite (art. 1, commi 2, 4 e  5).  Attraverso  numerose
disposizioni,  anche  diverse  da  quelle  su  cui  si  e'  appuntata
l'attenzione del rimettente,  la  legge  n.  240  del  2010  tende  a
stabilire, o a rafforzare, le correlazioni tra la distribuzione delle
risorse finanziarie per le universita' e l'applicazione di  parametri
diversi dalla spesa storica, aventi scopi  perequativi  (art.  11)  o
premiali (art. 13). 
    Pertanto, non puo' condividersi la lettura riduttiva della delega
offerta dal giudice a quo:  essa  trascura  del  tutto  il  complesso
reticolo di previsioni (istituzionali, programmatiche,  incentivanti)
in cui le disposizioni di delega si  inseriscono  e,  cosi'  facendo,
pretermette gli  elementi  sistematici  e  teleologici  che,  invece,
concorrono a delineare l'alveo entro  il  quale  puo'  esprimersi  la
discrezionalita' del legislatore delegato,  indubbiamente  ampia  con
riguardo alla specifica fisionomia del costo standard. 
    4.- Sulla base  di  queste  stesse  premesse,  si  rivela  invece
fondata, nei limiti di seguito  precisati,  la  questione  avente  ad
oggetto gli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del  2012,  per  violazione
dell'art. 76 Cost., basata sul rilievo che le disposizioni  censurate
si limitano a ripetere i contenuti della delega, e  a  demandare  poi
per intero a decreti ministeriali la determinazione degli  indici  in
base ai quali calcolare il costo standard,  nonche'  la  precisazione
delle percentuali del FFO destinate a essere ripartite in base a tale
nuovo criterio. 
    4.1.- A questo proposito, con precipuo riguardo al censurato art.
8,  giova  ripercorrere  alcuni  passaggi   dell'esame   parlamentare
dell'atto governativo (XVI Legislatura, n. 437), poi  definitivamente
approvato ed emanato come d.lgs. n. 49 del 2012,  svoltosi,  a  norma
dell'art. 5, comma 7, della legge n. 240  del  2010,  presso  la  VII
Commissione permanente  (Istruzione  pubblica,  beni  culturali)  del
Senato della  Repubblica  e  presso  la  VII  Commissione  permanente
(Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei  deputati,  in  sede
consultiva. 
    4.1.1.- Lo schema di decreto legislativo e' stato trasmesso  alle
Camere  in  prossimita'   dell'originaria   scadenza   della   delega
legislativa, si' da attivare il  differimento  del  termine  previsto
dall'ultimo periodo del citato art. 5, comma 7. Lo  schema  riportava
un articolo 8 sostanzialmente analogo a quello oggetto di censura, ma
ancor piu' laconico, in quanto privo di  qualsiasi  riferimento  alle
voci di costo da prendere in considerazione per la determinazione del
nuovo criterio di riparto dei finanziamenti tra i vari atenei. 
    Nel corso dell'esame, sia i documenti  predisposti  dagli  uffici
parlamentari, sia le  discussioni  in  seno  alle  Commissioni  hanno
evidenziato  che,  cosi'  redatta,  la  disposizione  si  limitava  a
corredare quanto gia' stabilito nella delega con un mero  riferimento
alle  dimensioni  degli  atenei  e,  cosi'   facendo,   ometteva   di
individuare piu' concretamente  gli  indici  di  quantificazione  del
costo  standard,  affidando  questo  passaggio  a   successivi   atti
ministeriali. 
    In particolare, la VII Commissione  permanente  del  Senato  (nel
parere approvato nella seduta del 21 marzo 2012, allegato al relativo
resoconto), dopo avere rilevato criticamente che, in  tal  modo,  non
era stata data piena attuazione  al  principio  di  delega  contenuto
nell'art. 5, comma 4, lettera f), della legge n.  240  del  2010,  si
esprimeva  in  senso  favorevole  all'approvazione  dello  schema  di
decreto legislativo, ma poneva la seguente condizione:  «all'articolo
8, comma 1, vengano espressamente individuati, sentita  l'ANVUR,  gli
indici da  utilizzare  per  la  quantificazione  del  costo  standard
unitario di formazione per studente in corso, quali: il  costo  delle
attivita' didattiche  e  di  ricerca,  in  termini  di  dotazione  di
personale docente  e  ricercatore  destinato  alla  formazione  dello
studente;  il  costo   dei   servizi   didattici,   organizzativi   e
strumentali,     compresa     la     dotazione      di      personale
tecnico-amministrativo, finalizzati ad assicurare  adeguato  supporto
alla formazione dello studente;  il  costo  relativo  alla  dotazione
infrastrutturale, di funzionamento  e  di  gestione  delle  strutture
didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari;
ulteriori voci di costo finalizzate a  qualificare  gli  standard  di
riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari». 
    La versione del decreto legislativo poi definitivamente approvata
dal Consiglio dei ministri riprendeva le  esemplificazioni  suggerite
dalla Commissione del Senato, articolandole come  voci  di  costo  da
considerare nell'emanando atto ministeriale. 
    Effettivamente,   il   decreto   9   dicembre   2014,   n.    893
(Determinazione  del  costo  standard  unitario  di  formazione   per
studenti in corso, ai sensi dell'art. 8 del  decreto  legislativo  29
marzo  2012,  n.   49),   emanato   dal   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  di  concerto  con  il   Ministro
dell'economia e  delle  finanze,  ha  definito  i  parametri  per  la
quantificazione di queste voci di costo, fissando il contenuto  della
voce residuale di cui all'art. 8, comma 2, lettera d), del d.lgs.  n.
49  del  2012  e,  altresi',  aggiungendo  un   importo   di   natura
perequativa. 
    4.1.2.- L'esame delle dinamiche procedimentali che hanno condotto
all'approvazione del censurato art.  8  comprova  la  fondatezza  del
rilievo, condiviso dal TAR rimettente e dalla difesa dell'Universita'
degli Studi di Macerata, secondo cui il Governo,  nell'esercitare  la
delega, non ha aggiunto pressoche' nulla ai contenuti dei principi  e
criteri direttivi gia' stabiliti nell'art. 5, comma  4,  lettera  f),
della legge n. 240 del 2010. Limitandosi a riportare  testualmente  i
suggerimenti enunciati a titolo meramente esemplificativo nel  parere
della VII Commissione del Senato in merito  alle  voci  di  costo  da
tenere  in  considerazione,  il  Governo  non  ha  fatto  altro   che
esplicitare contenuti intrinseci  alla  nozione  di  costo  standard,
limitandosi a stabilire che il «costo standard unitario di formazione
per studente in corso», previsto dalla delega, deve ricomprendere  le
spese  per   la   remunerazione   dei   docenti   e   del   personale
amministrativo,  nonche'  per  l'allestimento  di  servizi,  spazi  e
strumenti per la didattica. Fatta salva  questa  enunciazione,  manca
una piu' precisa individuazione delle spese da includere nel  computo
del costo standard, nonche' i criteri per la ponderazione di ciascuna
voce. 
    4.2.- Conclusioni analoghe valgono, a maggior ragione, per l'art.
10. 
    Alla delega, che prescriveva di collegare al costo  standard  una
percentuale del FFO, diversa  dalla  cosiddetta  quota  premiale,  il
decreto delegato ha risposto  prevedendo  soltanto  che  la  suddetta
percentuale fosse da individuare in un decreto ministeriale,  emanato
con  validita'  almeno  triennale,  nell'ambito   dell'attivita'   di
indirizzo  e  programmazione  del  sistema  universitario.  A  questa
reiterazione  pressoche'   letterale   della   delega,   il   decreto
legislativo non aggiunge altre precisazioni in merito alla quota  del
FFO da distribuire in base al costo  standard,  nemmeno  nella  forma
dell'indicazione di un minimo o un massimo, o nella  rappresentazione
di una sua incidenza dinamica, anche solo tendenziale, sul  complesso
del finanziamento da distribuire fra gli atenei. 
    4.3.-  Considerati  i  contenuti  delle  disposizioni  censurate,
occorre  verificare  se  il  rinvio  da  esse  disposto   a   decreti
ministeriali per la determinazione di aspetti qualificanti la riforma
del  sistema  del  finanziamento  universitario  -  quali   sono   la
determinazione degli indici in base ai quali  calcolare  le  voci  di
spesa rientranti nel costo standard  e  la  percentuale  del  FFO  da
ripartire in base ai nuovi criteri  -  non  configuri  una  forma  di
sub-delega, incompatibile con la legge di delega  e,  in  definitiva,
con l'art. 76 Cost. 
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  precisare,  in   alcune
occasioni, che non integra di per se' una  sub-delega  dell'esercizio
del potere legislativo, illegittima ai sensi dell'art. 76  Cost.,  la
circostanza che le norme del decreto delegato,  senza  attribuire  la
potesta' di emanare disposizioni con  forza  di  legge  all'esecutivo
(sentenza n. 139 del 1976), conferiscano agli organi di  tale  potere
il compito di emanare normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79
del 1966), disposizioni di carattere tecnico  (sentenza  n.  106  del
1967) o atti amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176 del 1998;
per ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del 1965 e n. 103  del
1957). 
    Con  specifico  riguardo  all'ordinamento  universitario,  questa
Corte ha gia' da  tempo  rilevato  che  il  rinvio  a  fonti  e  atti
amministrativi non solo non e' vietato,  ma  e'  in  un  certo  senso
persino fisiologico: nulla  nella  Costituzione  -  ivi  comprese  le
riserve relative di legge di cui agli artt. 33, 34 e 97 - vieta  alla
legge di affidare l'integrazione e lo sviluppo dei  propri  contenuti
sostanziali ad un'attivita' normativa secondaria di  organi  statali,
quando  «si  versi  in   aspetti   della   materia   che   richiedono
determinazioni  bensi'  unitarie,  e  quindi  non  rientranti   nelle
autonome responsabilita' dei singoli atenei, ma anche tali  da  dover
essere conformate a circostanze  e  possibilita'  materiali  varie  e
variabili, e quindi non facilmente  regolabili  in  concreto  secondo
generali e stabili  previsioni  legislative»  (sentenza  n.  383  del
1998). 
    Tuttavia, nel caso in esame, il decreto  legislativo  non  si  e'
limitato ad affidare ad atti amministrativi  l'esecuzione  di  scelte
gia' delineate nelle loro linee fondamentali negli atti con forza  di
legge  del  Parlamento  e  del  Governo.  Esso  ha  invece   lasciato
indeterminati aspetti essenziali della nuova  disciplina,  dislocando
di fatto l'esercizio della funzione normativa dal Governo, nella  sua
collegialita', ai  singoli  Ministri  competenti,  e  declassando  la
relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative, con tutte  le
conseguenze,  anche  di  natura   giurisdizionale,   che   una   tale
ricollocazione comporta sul piano ordinamentale. 
    Vero e' che la legge delega non  aveva  prescritto  che  l'intera
disciplina del costo standard trovasse la propria  sede  nel  decreto
legislativo, consentendo implicitamente che la quantificazione  fosse
determinata da  atti  amministrativi  in  applicazione  degli  indici
prefissati dal decreto legislativo,  sentita  l'ANVUR.  Tuttavia,  al
Governo, in sede di decretazione legislativa, era stato conferito  il
compito di individuare quantomeno gli indici per la quantificazione e
di dettare disposizioni  in  merito  alla  valorizzazione  del  costo
standard, ossia al suo collegamento con una parte  del  FFO.  A  tale
compito il decreto legislativo si e' sottratto, devolvendo  tutte  le
scelte sostanziali agli atti ministeriali, che vengono emanati con il
concorso di organi amministrativi, ma  non  di  quelli  parlamentari,
senza assunzione diretta di responsabilita'  politica  da  parte  del
Governo (art. 95, secondo comma, Cost.) e al  di  fuori  del  termine
previsto per l'esercizio della delega. 
    4.4.- Non vale a  scalfire  questa  conclusione  il  rilievo  del
Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui le  determinazioni
relative  al   costo   standard   dovevano   essere   lasciate   alle
amministrazioni competenti in  ragione  della  natura  tecnica  delle
valutazioni implicate e anche allo scopo di facilitarne l'adeguamento
ai dati emergenti e il tempestivo aggiornamento nel corso del tempo. 
    Indubbiamente, e' anche per queste ragioni che, come gia'  detto,
puo' ritenersi fisiologico, pure nell'ordinamento  universitario,  il
rinvio a  fonti  e  atti  amministrativi  attuativi  della  normativa
primaria. Tuttavia, nemmeno questo giustifica l'operazione  compiuta,
nel caso in esame, dagli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012,  nei
termini ricostruiti sopra. 
    Anzitutto, era la stessa delega ad affidare  determinati  compiti
normativi al decreto  delegato,  sicche',  data  l'esistenza  di  una
riserva di legge in materia di ordinamento universitario (artt. 33  e
34 Cost.),  doveva  ritenersi  necessaria  a  fortiori  una  maggiore
precisione del decreto legislativo per la determinazione degli indici
di quantificazione e della valorizzazione del costo standard, a causa
della concomitanza, sul punto, di  disposizioni  di  delega  che  non
risultano affatto particolareggiate. 
    Inoltre, per sua natura il decreto legislativo corrisponde  a  un
tipo di fonte primaria che meglio di altre si presta  a  disciplinare
materie a contenuto tecnico, tanto da  essere  stato  utilizzato  per
disciplinare materie paragonabili a quella oggi in esame, come rileva
l'Universita' degli Studi di  Macerata  -  che  richiama  il  decreto
legislativo  6  maggio  2011,  n.  68  (Disposizioni  in  materia  di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore sanitario), con particolare riguardo al Capo  IV
(Costi e fabbisogni standard nel settore  sanitario),  e  il  decreto
legislativo 26 novembre 2010, n.  216  (Disposizioni  in  materia  di
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni,  Citta'
metropolitane e Province). 
    Infine,  nelle  determinazioni  relative  ai  costi  standard,  i
profili squisitamente tecnici - indubbiamente consistenti, delicati e
mutevoli - sono frammisti  ad  altri,  di  natura  politica:  esulano
dall'ambito meramente tecnico, ad esempio, le decisioni in merito  al
ritmo della transizione dal criterio della spesa storica a quello dei
costi standard; o quelle relative all'identificazione e al peso delle
differenze   tra    i    «contesti    economici,    territoriali    e
infrastrutturali» in cui operano le varie universita'. 
    5.- Deve dunque essere dichiarata, per le ragioni anzidette e con
assorbimento di ogni altro profilo,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 8 del d.lgs. n. 49  del  2012,  nonche'  dell'art.  10  del
medesimo decreto legislativo limitatamente  alla  parte  in  cui,  al
comma 1, prevede che il Ministro dell'istruzione, dell'universita'  e
della ricerca individui percentuali del FFO da ripartire in relazione
al costo standard. 
    Tale declaratoria di illegittimita'  costituzionale,  determinata
esclusivamente  da  vizi  dell'esercizio   del   potere   legislativo
delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento
e del Governo, sui  quali  comunque  incombe  la  responsabilita'  di
assicurare, con modalita' conformi alla Costituzione, la  continuita'
e l'integrale distribuzione  dei  finanziamenti  per  le  universita'
statali, indispensabili per l'effettivita' dei principi e dei diritti
consacrati negli artt. 33 e 34 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  8  del
decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per  la
programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle  politiche  di
bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione  della  delega
prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre  2010,  n.
240 e per il raggiungimento degli obiettivi  previsti  dal  comma  1,
lettere b) e c), secondo i principi normativi e i  criteri  direttivi
stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5»; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  10,  comma
1, del d.lgs. n. 49 del 2012, limitatamente  alle  parole  «al  costo
standard per studente,»; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, commi 1, lettera b),  e  4,  lettera  f),
della  legge  30  dicembre  2010,  n.  240  (Norme  in   materia   di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza del sistema universitario),  sollevata,  in  riferimento
all'art.  76  della  Costituzione,   dal   Tribunale   amministrativo
regionale per il Lazio, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2017. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA