N. 117 ORDINANZA 12 aprile - 19 maggio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Continuazione tra reati - Detrazione  dalla  pena
  da espiare della  carcerazione  ingiustamente  sofferta  per  reato
  successivo. 
- Codice di procedura penale, artt.  657,  comma  4,  e  671;  codice
  penale, art. 81, secondo comma. 
-   
(GU n.21 del 24-5-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  657,
comma 4, e 671 del codice di procedura penale e dell'art. 81, secondo
comma, del codice  penale,  promosso  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Lecce, nel procedimento penale
a carico di A. M., con ordinanza del 22 giugno 2015, iscritta  al  n.
322 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12  aprile  2017  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata  il  22  giugno  2015,  il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di  Lecce
ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,  13,  primo  comma,  24,
quarto comma, e 27, terzo comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt.  657,  comma  4,  e  671  del
codice di procedura penale e dell'art. 81, secondo comma, del  codice
penale,   «nella   parte   in   cui   non   consentono   al   Giudice
dell'Esecuzione, una volta ritenuta la continuazione tra reati per  i
quali la pena e'  espiata  e  reati  per  i  quali  e'  in  corso  di
espiazione, di verificare la data di commissione del reato per cui e'
in corso l'esecuzione e, ove differente ed antecedente  a  quella  di
accertamento, nelle ipotesi di continuazione tra reato associativo  e
reati-fine, [di] tenere  conto,  ai  fini  della  fungibilita'  della
custodia espiata sine titulo, [di] quella di commissione»; 
    che il giudice a quo premette di essere investito, quale  giudice
dell'esecuzione,  dell'incidente  promosso  dal   difensore   di   un
detenuto, volto ad ottenere che dalla pena in corso di espiazione sia
detratto - in applicazione  dell'istituto  della  fungibilita'  della
pena, regolato dall'art. 657 cod. proc. pen. -  il  periodo  di  pena
detentiva sofferto senza titolo per altri reati; 
    che nei confronti dell'interessato erano state pronunciate, il 17
settembre 1997 e  il  27  gennaio  2000,  due  sentenze  di  condanna
divenute irrevocabili: la prima alla pena di un anno e otto  mesi  di
reclusione (oltre la  multa)  per  i  reati  di  detenzione  e  porto
illegali di armi; la seconda alla pena di un anno, un  mese  e  dieci
giorni di reclusione (oltre la  multa)  per  il  delitto  di  tentata
estorsione; 
    che dette pene detentive erano  state  intieramente  espiate,  in
parte in carcere e in parte in regime di detenzione domiciliare; 
    che successivamente l'interessato aveva riportato  tre  ulteriori
condanne, anch'esse irrevocabili: il 18 settembre 2008 alla  pena  di
diciotto anni e quattro mesi di reclusione per associazione  di  tipo
mafioso, tentato omicidio, associazione finalizzata  al  traffico  di
stupefacenti e altri reati; il 4  novembre  2009  a  dodici  anni  di
reclusione per reati non specificati nell'ordinanza di rimessione; il
26 gennaio 2012 a due mesi di reclusione per violazione  della  legge
sugli stupefacenti; 
    che, con provvedimenti del 6 novembre 2012 e del 28 gennaio 2014,
il Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Lecce aveva applicato in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 671  cod.
proc. pen., la disciplina della continuazione  ai  reati  oggetto  di
tutte le sentenze dianzi elencate; 
    che, in applicazione dell'art. 81, secondo comma, cod.  pen.,  le
pene inflitte con le prime due sentenze - gia' espiate - erano state,
quindi, ridotte rispettivamente a otto  mesi  e  a  quattro  mesi  di
reclusione: con la conseguenza che, in relazione ai  reati  cui  tali
sentenze si riferivano,  l'interessato  risultava  aver  scontato  un
periodo di detenzione in eccesso; 
    che, nel determinare la pena da eseguire,  il  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale ordinario di  Lecce  aveva,  peraltro,
escluso che il predetto periodo di detenzione potesse essere detratto
dalla pena inflitta con le sentenze  del  2008  e  del  2009  (quella
inflitta con la sentenza del 2012 era stata condonata), ostandovi  il
disposto dell'art. 657, comma 4, cod. proc. pen., in forza del  quale
la carcerazione  sine  titulo,  per  poter  essere  scomputata,  deve
seguire, e non gia' precedere, il reato per il quale  e'  intervenuta
la condanna da espiare; 
    che, ad avviso del rimettente, la  tesi  del  pubblico  ministero
apparirebbe corretta; 
    che il capo di imputazione  relativo  ai  reati  di  associazione
mafiosa e di associazione finalizzata al narcotraffico reca, infatti,
l'indicazione della data del loro accertamento («dal  marzo  2004  al
gennaio 2005»), la quale risulta successiva al periodo di  detenzione
in eccesso sofferto per i reati oggetto delle prime due  sentenze  di
condanna, commessi, rispettivamente, nel 1997 e nel 2000; 
    che, secondo il giudice a quo, tuttavia, il reato di associazione
mafiosa - a prescindere dalla data del suo  accertamento  -  dovrebbe
ritenersi commesso prima della carcerazione sine titulo; 
    che  dalla  sentenza  di  condanna   e   dai   provvedimenti   di
applicazione della continuazione in executivis - anch'essi  non  piu'
contestabili, perche' coperti dal giudicato -  emergerebbe,  infatti,
che tutti i reati ascritti al condannato si connettono ad un medesimo
ed iniziale disegno  criminoso,  rappresentato  dall'adesione  ad  un
sodalizio di stampo mafioso e al suo programma, comprensivo di azioni
violente anche con  uso  delle  armi:  adesione  che  andrebbe  fatta
risalire agli anni '90 dello scorso secolo; 
    che, di conseguenza, la partecipazione  associativa  risulterebbe
certamente anteriore alla commissione dei reati-fine, in relazione ai
quali e' divenuta sine titulo parte della detenzione patita; 
    che il rimettente e' consapevole del fatto che, secondo un  «noto
indirizzo giurisprudenziale»,  l'istituto  della  fungibilita'  della
pena non e' applicabile ai reati permanenti  -  quale  l'associazione
per  delinquere  -  allorche'  la   permanenza   sia   cessata   dopo
l'espiazione della pena senza  titolo,  non  potendosi  scomporre  la
fattispecie  criminosa,  integrata  da  una  condotta   antigiuridica
unitaria che si protrae nel tempo; 
    che nel caso di specie, tuttavia, sarebbero configurabili plurime
condotte riconducibili alla  previsione  punitiva  dell'art.  416-bis
cod. pen.: l'arresto e la successiva  espiazione  della  pena  per  i
reati-fine avrebbero, infatti, interrotto  la  permanenza  del  reato
associativo iniziato negli anni '90 e poi accertato  solo  nel  marzo
2004, di modo che, almeno con riguardo al  segmento  piu'  remoto  di
tale reato, la permanenza sarebbe cessata prima della detenzione sine
titulo; 
    che,  a  fronte  di  cio',  occorrerebbe  sottoporre  alla  Corte
costituzionale  la  questione  relativa  «alla  necessita'   di   far
riferimento, ai fini della fungibilita', qualora vi  sia  divergenza,
alla data di commissione e non di accertamento del fatto per  cui  si
e' riportata la pena da cui scomputare quella sine  titulo»,  nonche'
la questione inerente alla spettanza al giudice  dell'esecuzione  del
compito di effettuare  la  relativa  verifica:  questioni  che  -  in
ragione della «diversita' della situazione di fatto» che le origina -
differirebbero da quelle gia' decise dalla Corte con la  sentenza  n.
198 del 2014; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente assume
che l'art. 3 Cost.  risulterebbe  violato,  sotto  il  profilo  della
irragionevole disparita' di trattamento fra casi analoghi, qualora il
riconoscimento  della  fungibilita'  dovesse  rimanere  collegato  al
momento in cui il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale  -
e, dunque, a un fattore casuale - anziche' al momento in cui il reato
e' stato commesso; 
    che, nella specie, se il detenuto istante avesse beneficiato,  al
pari di altri, per la coincidenza tra le date  di  commissione  e  di
accertamento  dei  reati,  del  simultaneo  processo  per   i   fatti
associativi e  per  i  reati-fine  (relativamente  ai  quali  ha  poi
ottenuto, in sede esecutiva, la riduzione di  pena  per  la  ritenuta
continuazione) non  si  troverebbe  ad  aver  scontato  una  pena  in
eccesso, non recuperabile tramite l'istituto della fungibilita'; 
    che l'irragionevolezza, in parte qua,  dell'art.  657,  comma  4,
cod. proc. pen. -  nei  casi  in  cui  il  carattere  indebito  della
detenzione  derivi  dall'applicazione   in   sede   esecutiva   della
disciplina del reato continuato - si coglierebbe anche  nel  rapporto
con la previsione dell'art. 81, secondo comma, cod. pen.; 
    che la presunzione  assoluta  di  pericolosita',  costituente  la
ratio ispiratrice del limite temporale previsto dall'art. 657,  comma
4, cod. proc. pen. - legata all'esigenza di  evitare  che  l'istituto
della  fungibilita'  si  risolva  in  un  incentivo   a   delinquere,
trasformando il pregresso periodo di  carcerazione  ingiusta  in  una
"riserva di impunita'" per futuri reati - si  porrebbe,  infatti,  in
conflitto  con  la  presunzione  di  ridotta  pericolosita'   sottesa
all'istituto  della  continuazione:  il  legislatore   non   potrebbe
riconoscere, cioe', da un lato,  una  riduzione  di  pena  in  quanto
l'autore  si   e'   dimostrato   meno   pericoloso,   avendo   ideato
contemporaneamente tutti i reati commessi, e impedire, pur  tuttavia,
all'agente di usufruire effettivamente di  detta  riduzione  in  base
alla presunzione assoluta di pericolosita' che radica  la  previsione
limitativa in questione; 
    che la preclusione denunciata violerebbe,  altresi',  l'art.  13,
primo comma, Cost.; 
    che, nell'ipotesi  in  cui  la  data  di  commissione  del  reato
associativo differisca  da  quella  dell'accertamento  e  preceda  la
carcerazione sine titulo per i reati-fine, la scelta  legislativa  di
non privilegiare il favor libertatis non  potrebbe  essere,  infatti,
giustificata con il timore che l'interessato sia indotto a commettere
reati dalla  possibilita'  di  sottrarsi  alle  relative  conseguenze
sanzionatorie,  opponendo  in  compensazione  un  "credito  di  pena"
precedentemente maturato; 
    che risulterebbe violato, ancora, l'art. 27, terzo comma,  Cost.,
in quanto la pena patita ingiustamente sarebbe inidonea a  realizzare
una funzione rieducativa; 
    che le norme censurate si porrebbero,  da  ultimo,  in  contrasto
anche con l'art. 24, quarto comma, Cost., che impone  al  legislatore
di determinare «le condizioni e  i  modi  per  la  riparazione  degli
errori giudiziari»: il divieto da esse stabilito renderebbe, infatti,
«vane [...] tali procedure riparatorie  e  lo  stesso  esercizio  del
diritto di difesa, di per se' ancora piu' incomprimibile se  volto  a
tutelare la liberta' della persona»; 
    che le questioni sarebbero altresi' rilevanti, giacche' solo  una
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  nei  sensi  auspicati
permetterebbe di accogliere la richiesta  di  detrazione  della  pena
presentata dall'istante; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che   le   questioni   siano   dichiarate   manifestamente
inammissibili o, in subordine, infondate; 
    che, ad avviso della difesa dell'interveniente, il rimettente non
avrebbe specificato,  anzitutto,  quali  atti  avrebbero  determinato
l'asserita interruzione dell'«affectio» dell'interessato al sodalizio
di stampo mafioso, il cui momento  genetico  viene  retrodatato  agli
anni '90: cio' tenuto conto del fatto che la permanenza  del  vincolo
mafioso anche in costanza di  detenzione  inframuraria  costituirebbe
«ius receptum»; 
    che, in questo modo, il giudice a quo non avrebbe consentito alla
Corte  costituzionale  di  verificare  l'effettiva  rilevanza   delle
questioni; 
    che, contrariamente a quanto sostenuto  dal  rimettente,  d'altro
canto, le questioni sarebbero gia' state affrontate e  risolte  dalla
Corte, nel senso della non fondatezza, con la  sentenza  n.  198  del
2014, nella quale si e' concluso che la disciplina della fungibilita'
della detenzione ingiustamente sofferta «non contiene, in alcun modo,
regole irragionevolmente discriminatorie»; 
    che, in ogni caso, le questioni apparirebbero infondate  per  non
avere il rimettente verificato la  praticabilita'  di  una  soluzione
interpretativa  diversa  da  quella  posta  a  base  dei   dubbi   di
costituzionalita' prospettati e tale da consentirne  il  superamento:
in particolare, il giudice a quo - disponendo dei necessari  elementi
di  fatto  -  avrebbe   potuto,   anziche'   «scorporare   l'unitaria
permanenza», ritenere diversi i fatti associativi  commessi  prima  e
dopo i reati-fine che hanno determinato  il  "credito  detentivo"  ed
operare la compensazione richiesta dalla  difesa  solo  sul  segmento
precedente. 
    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Lecce dubita, in riferimento agli artt. 3, 13,
primo comma, 24, quarto comma, e 27, terzo comma, della Costituzione,
della legittimita' costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 del
codice di procedura penale e dell'art. 81, secondo comma, del  codice
penale, nella parte in cui - a suo avviso - non  consentirebbero  «al
Giudice dell'Esecuzione, una  volta  ritenuta  la  continuazione  tra
reati per i quali la pena e' espiata e reati per i quali e' in  corso
di espiazione, di verificare la data di commissione del reato per cui
e' in corso l'esecuzione e, ove differente ed antecedente a quella di
accertamento, nelle ipotesi di continuazione tra reato associativo  e
reati-fine, [di] tenere  conto,  ai  fini  della  fungibilita'  della
custodia espiata sine titulo, [di] quella di commissione»; 
    che l'eccezione di inammissibilita' delle questioni  per  difetto
di motivazione sulla  rilevanza  formulata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato non e' fondata; 
    che il rimettente basa, in effetti, la valutazione  di  rilevanza
delle questioni sull'assunto che, nel caso di specie,  la  detenzione
patita  dall'interessato  per  i  reati-fine  avrebbe  interrotto  la
permanenza del reato di  partecipazione  ad  associazione  di  stampo
mafioso a lui ascritto; 
    che e' ben vero che - come ricorda la  difesa  dell'interveniente
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  -  la  giurisprudenza   di
legittimita' ha affermato, in piu' occasioni, che la  permanenza  del
reato di associazione per  delinquere  (e  di  associazione  di  tipo
mafioso,   in   particolare)   e'   perfettamente   compatibile   con
l'inattivita' degli  associati  nella  perpetrazione  dei  reati-fine
connessa al loro stato detentivo,  venendo  meno  solo  nel  caso  di
scioglimento  della  consorteria  criminale,  ovvero  nelle  ipotesi,
positivamente  accertate,  di  recesso  o  esclusione   del   singolo
associato,  che  implicano  la  cessazione  dell'affectio  societatis
scelerum; 
    che il panorama giurisprudenziale in materia  non  e',  tuttavia,
completamente uniforme; 
    che a fianco, infatti, di un  orientamento  di  segno  opposto  a
quello dianzi indicato - sia pure  piu'  risalente  -  si  registrano
anche decisioni  della  Corte  di  cassazione  secondo  le  quali  il
principio di compatibilita' della permanenza  del  reato  associativo
con  lo  stato  di  detenzione   dell'associato   non   puo'   essere
trasformato, comunque sia, in una presunzione, in forza  della  quale
chi e' inserito in un sodalizio  criminoso  continua  a  farvi  parte
anche se detenuto, salva prova  contraria:  poiche'  la  condotta  di
partecipazione ad una associazione per delinquere  non  si  esaurisce
nella sola affectio societatis, occorrerebbe invece - specie nel caso
di stabile isolamento dal gruppo, conseguente a detenzione prolungata
- che sia  provata  la  persistenza  di  un  contributo  apprezzabile
dell'associato alla vita  e  all'organizzazione  del  gruppo  stesso,
ancorche' solo morale (tra le altre,  Corte  di  cassazione,  sezione
seconda, 31 gennaio-12 febbraio 2013, n. 6819; Corte  di  cassazione,
sezione quarta, 7 dicembre 2005-25 gennaio 2006, n. 2893); 
    che, in questo quadro,  l'asserzione  del  giudice  a  quo  circa
l'avvenuta interruzione della  permanenza  nel  caso  di  specie  per
effetto  dello  stato  detentivo  dell'interessato  -  ancorche'  non
corroborata con l'indicazione di ulteriori  elementi  rivelatori  del
venir meno dell'affectio societatis - appare sufficiente a soddisfare
l'onere di motivazione sulla rilevanza, non potendo essere  ritenuta,
a  prima  vista,  assolutamente  priva  di  fondamento  o  del  tutto
implausibile: su tale soglia arrestandosi la verifica di questa Corte
sulla valutazione di rilevanza della questione, spettante al  giudice
rimettente (ex plurimis, sentenze n. 228 del 2016 e n. 71 del 2015); 
    che,  nel  merito,  tuttavia,  le  questioni  si  basano  su   un
presupposto interpretativo palesemente inesatto; 
    che il censurato art. 657, comma 4, cod. proc.  pen.  stabilisce,
infatti, che l'istituto della fungibilita' della pena - in forza  del
quale e' possibile, tra l'altro, detrarre dalla pena  da  espiare  la
carcerazione ingiustamente sofferta per un diverso reato - operi solo
quando la carcerazione sine titulo intervenga  «dopo  la  commissione
del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire»; 
    che il dato rilevante,  a  tali  fini,  e'  dunque  -  alla  luce
dell'univoco testo della disposizione - proprio e soltanto la data di
commissione del reato con pena da  espiare,  e  non  quella  del  suo
accertamento: cio' in pieno accordo con la ratio del limite temporale
in questione, legata, per un verso, all'esigenza di  evitare  che  il
pregresso periodo di carcerazione ingiusta si traduca in una "riserva
di impunita'" per futuri reati, e dunque in un stimolo a  delinquere;
per altro verso, alla considerazione che una pena anticipata rispetto
al reato e' inidonea ad assolvere funzioni di prevenzione speciale  e
di rieducazione (sentenze n. 198 del 2014 e n. 442 del 1988); 
    che, in quest'ottica, la Corte di cassazione ha  sottolineato  in
piu' occasioni come, nell'applicare la norma  censurata,  il  giudice
debba  accertare  rigorosamente  e  rendere  esplicito  con  adeguata
motivazione il momento di commissione del reato per il quale e' stato
emesso ordine di esecuzione, e  non  la  data  del  suo  accertamento
(Corte di cassazione, sezione quarta, 19 ottobre 2001-7 maggio  2002,
n. 16637; Corte di cassazione,  sezione  quinta,  19  aprile  1998-18
maggio 1999, n.  1739),  con  la  precisazione  che,  ove  il  tempus
commissi delicti non risulti  esplicitamente  indicato  nel  capo  di
imputazione,  il  giudice  deve  trarre   i   necessari   riferimenti
cronologici dalla  motivazione  della  sentenza  di  condanna  e,  se
occorre, anche dagli atti del procedimento con essa  definito  (Corte
di cassazione, sezione prima, 16 febbraio-14 marzo 1990, n. 367); 
    che  tale   indagine   non   puo'   che   spettare   al   giudice
dell'esecuzione, funzionalmente competente in  materia,  con  l'ovvio
vincolo del rispetto delle  valutazioni  e  degli  accertamenti  gia'
operati dal giudice della cognizione, ormai coperti dal giudicato; 
    che, in assenza di  qualsiasi  indicazione  normativa  contraria,
l'esposta conclusione non soffre eccezioni neppure nelle ipotesi alle
quali e' specificamente riferito il petitum del rimettente: ossia ne'
nel caso in cui il "credito di pena"  utilizzabile  in  compensazione
derivi - come generalmente si ammette (Corte di  cassazione,  sezione
prima, 11 febbraio-1° marzo  2010,  n.  8109;  Corte  di  cassazione,
sezione  prima,   17   febbraio-17   giugno   2009,   n.   25186)   -
dall'applicazione in sede  esecutiva  della  continuazione  tra  piu'
reati oggetto di separate condanne; ne' nel caso in cui il  reato  al
quale si riferisce la pena da  eseguire  sia  un  reato  associativo:
fermo  restando  che  -  secondo  un  consolidato   indirizzo   della
giurisprudenza di legittimita' - nei reati permanenti (quali  appunto
quelli  associativi)  l'anteriorita'  del  reato  alla   carcerazione
ingiustamente sofferta deve  essere  verificata  avendo  riguardo  al
momento di cessazione della  permanenza,  e  non  a  quello  del  suo
inizio; 
    che a prescindere, pertanto, dalla  correttezza  in  fatto  e  in
diritto della ricostruzione operata dal giudice a quo con riguardo al
caso di specie - che non spetta a questa Corte scrutinare funditus  -
ove  il  giudice  dell'esecuzione  verifichi  (nel   rispetto   degli
accertamenti gia' svolti in sede cognitiva) che il reato associativo,
con pena da espiare, e' stato commesso - nei sensi dianzi precisati -
in epoca  anteriore  alla  carcerazione  sine  titulo  patita  per  i
reati-fine  dell'associazione,  egli   deve   scomputare   senz'altro
quest'ultima dalla pena relativa al primo reato,  quale  che  sia  la
data del suo accertamento: detto altrimenti, quello che il rimettente
chiede alla Corte e' gia' consentito, e anzi imposto, dalla normativa
in vigore; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt.  657,  comma  4,  e  671  del
codice di procedura penale e dell'art. 81, secondo comma, del  codice
penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma,  24,
quarto comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice  per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Lecce   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA