N. 135 SENTENZA 9 maggio - 7 giugno 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Sospensione  per  l'anno  2016
  dell'efficacia delle leggi regionali e  delle  deliberazioni  degli
  enti locali nella parte in cui  prevedono  aumenti  dei  tributi  e
  delle addizionali,  rispetto  ai  livelli  di  aliquote  o  tariffe
  applicabili per l'anno 2015. 
- Legge 28 dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
  stabilita' 2016)», art. 1, comma 26. 
-   
(GU n.24 del 14-6-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
26, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2016)», promosso  dalla  Regione  Veneto,  con  ricorso
notificato il 29 febbraio 2016, depositato in cancelleria  l'8  marzo
2016 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2017 il Giudice relatore
Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe, la  Regione  Veneto  ha  proposto
questione di legittimita'  costituzionale  di  numerose  disposizioni
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)» e, tra queste, del comma 26 dell'art. 1, prevedente
che, per il 2016, «[a]l fine  di  contenere  il  livello  complessivo
della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di
finanza pubblica», sia «sospesa l'efficacia delle leggi  regionali  e
delle deliberazioni degli enti locali nella parte  in  cui  prevedono
aumenti dei tributi e delle addizionali  attribuiti  alle  regioni  e
agli enti locali  con  legge  dello  Stato  rispetto  ai  livelli  di
aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015». 
    La norma censurata violerebbe, secondo la ricorrente,  gli  artt.
3,  5,  32,  97,  117,  terzo  e  quarto  comma,  118  e  119   della
Costituzione, poiche', a fronte della imposizione (recata  dal  comma
723 dello stesso art. 1 della legge n. 208 del 2015) di «un  pareggio
contabile  di  bilancio»,  con  sanzioni   conseguenti   al   mancato
raggiungimento (come il divieto dell'indebitamento per  la  spesa  di
investimento),  in  modo  palesemente  irragionevole,  da  un   lato,
«impedisce uno sforzo fiscale» e, dall'altro, «lo impone», in  quanto
«incrementa i LEA» e «decrementa  il  finanziamento  statale»  (commi
553, 555 e 574 dell'art. 1 della  stessa  legge  n.  208  del  2015),
cosicche' il mancato conseguimento dell'imposto pareggio contabile di
bilancio   «potrebbe   trovare   direttamente   causa   nel    blocco
dell'autonomia fiscale regionale, che appunto preclude  alle  Regioni
la possibilita' di  pareggiare  il  bilancio  attraverso  un  proprio
sforzo fiscale». 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si e' costituito per
il  tramite  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la  quale   ha
preliminarmente eccepito l'inammissibilita' del ricorso,  per  essere
in esso solo richiamati «i parametri costituzionali che si  presumono
violati, senza esporre in che modo  essi  risultino  incisi».  E,  in
subordine,  ha  concluso  per  la  sua   infondatezza   nel   merito,
richiamando i conformi precedenti di questa Corte  (sentenze  n.  381
del 2004; n. 284 e n. 298 del 2009), relativi ad  altrettante  misure
di sospensione (in un caso anche triennale) del potere delle  Regioni
di aumentare le aliquote di tributi ed addizionali: misure analoghe a
quella recata  dalla  norma  ora  censurata,  le  quali  hanno  tutte
superato il vaglio di legittimita' per la loro riconducibilita'  alla
competenza esclusiva dello Stato, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. 
    3.- Entrambe le parti hanno anche presentato memoria: 
    la Regione per contestare  l'eccezione  di  inammissibilita'  del
ricorso  formulata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato   e   per
sottolineare la peculiarita' della norma impugnata che - diversamente
da quelle scrutinate con le sentenze richiamate dall'Avvocatura dello
Stato - presenterebbe profili specifici di irragionevolezza,  per  la
contestualita' tra il disposto «blocco» della leva fiscale  regionale
e l'incremento degli impegni finanziari posti a carico della  Regione
(in particolare nel settore sanitario),  aggravati  da  un  parallelo
taglio del concorso dello Stato in relazione agli stessi; 
    il Presidente del Consiglio dei ministri per ribadire le  proprie
precedenti conclusioni, anche in ragione dell'intervenuto aumento del
finanziamento del settore sanitario per l'anno 2016 «fissato  in  111
miliardi di euro, a fronte del  valore  di  109,7  miliardi  di  euro
stabilito per l'anno 2015», che escluderebbe «particolari  criticita'
finanziarie, tali da rendere necessario l'incremento della tassazione
regionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- L'art. 1, comma 26, della legge 28  dicembre  2015,  n.  208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge  di  stabilita'  2016)»,  testualmente
dispone che «[a]l fine di  contenere  il  livello  complessivo  della
pressione tributaria, in  coerenza  con  gli  equilibri  generali  di
finanza pubblica, per l'anno 2016 e' sospesa l'efficacia delle  leggi
regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in  cui
prevedono aumenti dei tributi e  delle  addizionali  attribuiti  alle
regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai  livelli
di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015». 
    2.- Nell'impugnare la suddetta disposizione (unitamente ad  altre
della stessa legge di stabilita' riservate a separata trattazione) la
Regione Veneto ne denuncia il contrasto con gli artt. 3, 5,  32,  97,
117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    Cio' perche', contestualmente a un tal «blocco» del «potere delle
Regioni di aumentare le aliquote dei tributi e delle addizionali», lo
stesso art. 1 della legge n. 208 del  2015,  «ai  commi  553  e  555,
sottostima l'impatto finanziario dei  nuovi  LEA  e,  al  comma  574,
riduce  drasticamente  il  livello  di  finanziamento  del   Servizio
sanitario nazionale cui concorre lo  Stato  per  il  2016»,  oltre  a
ridurre le basi imponibili dell'IRAP e delle addizionali IRPEF (commi
67, 121 e 182); per di piu', con «la previsione, da parte  del  comma
723, di pesanti sanzioni per il caso di mancato conseguimento  di  un
saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e
le spese finali da parte dell'ente». 
    Dal   che,   appunto,   secondo   la   ricorrente,    «l'evidente
irragionevolezza» della norma censurata «che, da un  lato,  impedisce
uno sforzo fiscale, dall'altro lo impone in quanto  i)  incrementa  i
LEA e ii) decrementa il finanziamento statale».  Con  la  conseguenza
che, «per effetto della sospensione della possibilita' di manovra sui
tributi propri derivati», «la Regione potrebbe trovarsi  esposta,  se
non riduce la spesa per i  servizi  ai  cittadini  -  in  particolare
quella relativa  alla  sanita',  che  costituisce  il  capitolo  piu'
rilevante e penalizzato dalle ultime manovre statali, a danno  quindi
del diritto alla salute, al mancato conseguimento del suddetto  [...]
pareggio di bilancio». 
    3.- Va preliminarmente esaminata l'eccezione di  inammissibilita'
del ricorso, formulata dall'Avvocatura dello Stato,  per  genericita'
dello stesso, che si limiterebbe a «richiamare  i  parametri  che  si
presumono violati, senza esporre in che modo essi risultino incisi». 
    L'eccezione e' fondata. 
    3.1.-   La   giurisprudenza   di   questa   Corte   e'   costante
nell'affermare  che,  nella  impugnazione  in  via   principale,   il
ricorrente non solo deve, a  pena  di  inammissibilita',  individuare
l'oggetto della questione proposta (con  riferimento  alla  normativa
che censura ed ai  parametri  che  denuncia  violati),  ma  anche  ha
l'onere (da considerare addirittura piu' pregnante rispetto a  quello
sussistente nei giudizi incidentali: sentenze n. 239 del 2016, n. 142
del 2015) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata (sentenze
n. 249 del 2015; n. 259, n. 88, n. 39 e n. 11  del  2014)  in  ordine
alle  specifiche  ragioni  che  determinerebbero  la  violazione  dei
parametri che assume incisi (soprattutto se  diversi  da  quelli  che
sovrintendono al riparto di attribuzioni, e rispetto ai quali alleghi
una ridondante lesione sulle competenze regionali:  sentenza  n.  141
del 2016), dovendo, quindi, evidenziare e  spiegare  il  quomodo  del
preteso vulnus (sentenze n. 38 del 2016  e  n.  8  del  2014)  e  non
limitarsi a tesi meramente assertive in ordine al pregiudizio che  la
norma  impugnata  arrecherebbe   alle   attribuzioni   regionali   e,
specificamente, alla autonomia finanziaria (ex plurimis, sentenze  n.
153, n. 82 e n. 13 del 2015). 
    3.2.-  Nell'odierna  impugnazione  della   Regione   Veneto,   la
presupposta, e  lamentata,  negativa  incidenza  del  «blocco»  degli
aumenti tributari  sulle  attribuzioni  regionali  (che  si  assumono
violate, anche per  il  tramite  di  una  lesione  del  principio  di
ragionevolezza,  di  quello  del  buon   andamento   della   pubblica
amministrazione e del diritto alla salute) e' correlata, come  detto,
alla  "cornice"  che  la  stessa  legge  n.  208  del  2015   avrebbe
contraddittoriamente costruito intorno al censurato comma 26 del  suo
art. 1, sottostimando il  funzionamento  dei  Livelli  essenziali  di
assistenza (LEA) e riducendo il finanziamento  statale  del  servizio
sanitario (commi 553, 555 e 574); riducendo  le  basi  imponibili  di
tributi regionali (commi 67, 121, 182); prevedendo  sanzioni  per  il
mancato raggiungimento del  pareggio  contabile  di  bilancio  (comma
723). 
    Ma la conseguenza che da cio' trae  la  ricorrente  -  nel  senso
della non sostenibilita',  nel  2016,  del  costo  delle  prestazioni
relative (soprattutto) al settore sanitario senza  l'incremento  (che
le si vieta) del livello della pressione tributaria rispetto a quello
del 2015 - e' prospettata in termini assertivi e di pura enunciazione
di principio. Per cui, ancor prima  della  dovuta  dimostrazione  del
vulnus, e' proprio il piano allegatorio ad essere carente. 
    Manca, infatti, in  ricorso,  il  raffronto  tra  la  «situazione
tributaria regionale» (con cui far fronte agli impegni di spesa) e il
pregiudizio (asserito) che a  detta  "situazione"  deriverebbe  dalla
disposizione censurata per il tramite delle citate norme della  legge
n. 208 del 2015, diverse da quella di cui al comma 26 del suo art. 1,
tale da spiegare come quest'ultima -  e  non  le  prime  -  lederebbe
direttamente le attribuzioni regionali  e,  segnatamente,  quelle  di
autonomia finanziaria, ovvero comporterebbe un  vulnus  di  parametri
non direttamente evocabili  nel  giudizio  in  via  principale  dalle
Regioni (artt. 3, 32 e 97 Cost.), ma la cui lesione inciderebbe sulle
competenze regionali costituzionalmente garantite. 
    Una tale carenza di motivazione  e'  ancor  piu'  accentuata  dal
fatto che la Regione tace, nel ricorso, sulle "deroghe"  al  «blocco»
disposte dallo stesso comma 26 denunciato; deroghe  che,  del  resto,
incidono su come possa determinarsi il prelievo tributario  regionale
e, quindi, assumono un sicuro  rilievo  in  quella  descrizione  (che
sarebbe, per l'appunto, necessaria) del rapporto tra quadro normativo
presupposto e lesione dei parametri evocati ad opera (non gia'  delle
altre su citate disposizioni, ma) del comma 26 censurato. 
    In particolare, non vi e' cenno,  in  ricorso,  alla  deroga  (al
blocco) di cui all'art. 1, comma 174, della legge 30  dicembre  2004,
n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», che,  proprio  a
fronte di un eventuale disavanzo regionale,  parrebbe  consentire  in
prima battuta alla stessa Regione (e, dunque, in prevenzione rispetto
al commissariamento) di  adottare  le  misure  necessarie  per  farvi
fronte e, tra queste, gli  aumenti  tributari;  ne'  si  tiene  conto
dell'ulteriore disposizione di cui all'art.  2  del  decreto-legge  8
aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei  debiti
scaduti  della  pubblica   amministrazione,   per   il   riequilibrio
finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento
di tributi degli enti locali), convertito, con  modificazioni,  dalla
legge 6 giugno 2013, n. 64 -  anch'essa  "fatta  salva"  dalla  norma
censurata  «per  il  settore  sanitario»  -   quanto   alla   manovra
incrementativa, che questa consente per far  fronte  a  debiti  delle
Regioni. 
    E nulla si argomenta anche in  riferimento  all'inciso,  presente
nel comma 723 dell'art. 1  della  legge  in  esame  -  relativo  alle
«sanzioni» per il «mancato conseguimento del saldo di  cui  al  comma
710» («saldo non negativo, in termini di competenze, tra  le  entrate
finali e le spese finali») - per cui  il  divieto  di  impegno  delle
spese correnti in misura  superiore  all'importo  dei  corrispondenti
impegni effettuati nell'anno precedente a quello  di  riferimento  e'
per le Regioni «al netto  delle  spese  per  la  sanita'»,  cosi'  da
rappresentare un profilo (quantomeno) di attenuazione  della  dedotta
incidenza pregiudizievole della norma censurata. 
    Ne' tali lacune,  in  punto  di  doverosa  motivazione  dell'atto
introduttivo  del  presente  giudizio,  risultano   superate   dalle,
comunque tardive, allegazioni in memoria della ricorrente. 
    Conclusivamente, la doglianza della Regione Veneto  non  risponde
ai requisiti di completezza e chiarezza richiesti per la proposizione
di una questione di legittimita' costituzionale,  a  maggior  ragione
nei giudizi in via principale. 
    Da cio', appunto, la sua inammissibilita'. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione sulle altre  questioni
promosse con il medesimo ricorso; 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 26, della legge 28  dicembre  2015,
n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)»,  promossa,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e
119, della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA