N. 222 ORDINANZA 27 settembre - 25 ottobre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento e  procedure  concorsuali  -  Risoluzione  del  concordato
  preventivo -  Potere  del  Tribunale  di  dichiarare  d'ufficio  il
  fallimento dell'imprenditore. 
- Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
  concordato preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
  liquidazione coatta amministrativa), artt. 137  e  186,  nei  testi
  sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 9, comma 10, e  17,  comma
  1, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169  (Disposizioni
  integrative e correttive al regio decreto 16 marzo  1942,  n.  267,
  nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia  di
  disciplina  del  fallimento,  del  concordato  preventivo  e  della
  liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi
  5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80). 
-   
(GU n.44 del 2-11-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   del   combinato
disposto degli artt. 186 e 137 del regio decreto 16  marzo  1942,  n.
267  (Disciplina   del   fallimento,   del   concordato   preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), promosso dal Tribunale ordinario di  Reggio  Emilia,
sezione  fallimentare,  nel  procedimento  vertente   tra   l'Azienda
Agricola Il Tralcio di E.  e  L.F.  e  la  Enofood  Italia  srl,  con
ordinanza del 28 ottobre  2015,  iscritta  al  n.  279  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2017 il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario  di  Reggio  Emilia,  sezione
fallimentare, con ordinanza del 28 ottobre  2015,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, 38, secondo comma,  e  41,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale del «combinato disposto» degli artt.  137  e  186  del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
liquidazione   coatta   amministrativa),   nei   testi    sostituiti,
rispettivamente, dagli artt. 9, comma 10, e 17, comma 1, del  decreto
legislativo 12 settembre 2007, n.  169  (Disposizioni  integrative  e
correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto
legislativo 9 gennaio 2006,  n.  5,  in  materia  di  disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e  6,  della
legge 14 maggio 2005, n. 80); 
    che, secondo l'ordinanza di rimessione, il Tribunale ordinario di
Reggio Emilia, con  decreto  del  3  luglio  2009,  ha  omologato  il
concordato preventivo proposto  da  una  societa'  a  responsabilita'
limitata e, successivamente, uno  dei  creditori  ne  ha  chiesto  la
risoluzione per inadempimento; 
    che, ad avviso del rimettente, il ricorso per la risoluzione  del
concordato  preventivo  e'  stato  proposto  nel  termine   stabilito
dall'art. 186, terzo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e  sussisterebbe
altresi'  la  condizione  prevista  dal  secondo   comma   di   detta
disposizione, e cioe' un inadempimento di non «scarsa importanza»; 
    che, tuttavia, prosegue l'ordinanza  di  rimessione,  «una  volta
rimosso il concordato preventivo», a seguito dell'accoglimento  della
domanda di risoluzione, poiche' non sono stati proposti  ricorsi  per
la dichiarazione di fallimento della societa'  ammessa  allo  stesso,
«la gestione dell'insolvenza» di  quest'ultima  «e  l'amministrazione
del suo patrimonio verrebbero rimesse, in mancanza di fallimento,  ad
una fase liquidatoria destrutturata e incoerente»; 
    che il Tribunale ordinario di Reggio Emilia dubita, quindi, della
legittimita' costituzionale del «combinato disposto»  dei  richiamati
artt. 137 e 186, nella parte in cui «non prevede che, a seguito della
pronuncia di risoluzione del concordato preventivo ad  iniziativa  di
uno o piu' creditori, il  tribunale  possa  dichiarare  d'ufficio  il
fallimento dell'imprenditore, qualora non vi sia domanda in tal senso
da parte  dei  creditori,  del  pubblico  ministero  o  dello  stesso
debitore»; 
    che,  secondo  il  rimettente,  detto  «combinato  disposto»   si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto la  dichiarazione
di fallimento determinerebbe «una vera e  propria  conversione  della
prima procedura  nella  seconda»  e,  conseguentemente,  non  sarebbe
ragionevole  «la  soppressione  totale  del  potere   di   dichiarare
d'ufficio il fallimento dell'imprenditore» anche nel caso  in  esame,
tenuto conto che «in altri  settori  dell'ordinamento  le  norme  che
disciplinano  le  procedure   concorsuali   che   potremmo   definire
"speciali" sono rimaste invariate»; 
    che «l'irragionevolezza dell'impianto normativo» (e  cioe'  degli
artt. 137 e 186 del  r.d.  n.  267  del  1942)  non  sarebbe  esclusa
dall'attribuzione del potere di proporre ricorso per la dichiarazione
di fallimento a coloro che sono legittimati a chiedere la risoluzione
del concordato preventivo, perche' questa Corte,  nella  sentenza  n.
240 del 2003, ha ritenuto giustificato il  potere  del  tribunale  di
dichiarare  d'ufficio  il  fallimento,  valorizzando  «le  prevalenti
finalita'   pubblicistiche   che    caratterizzano    la    procedura
fallimentare»; 
    che, in particolare, a  suo  avviso,  assumerebbero  rilievo:  la
previsione del potere del tribunale di disporre, anche d'ufficio,  la
conversione della procedura di  amministrazione  straordinaria  delle
grandi imprese in stato di insolvenza  in  fallimento  (art.  69  del
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, recante «Nuova  disciplina
dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in  stato  di
insolvenza, a norma dell'art. 1 della legge 30 luglio 1998, n.  274»;
art. 4-bis, comma 11-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347,
recante «Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi
imprese in stato di insolvenza», convertito, con modificazioni, dalla
legge 18 febbraio 2004, n. 39); l'attribuzione,  «nelle  liquidazioni
coatte    amministrative    cosiddette    speciali,     all'autorita'
amministrativa  che  sovraintende  alla  procedura»  del  potere   di
«disporre con decreto la  liquidazione  coatta  amministrativa  delle
banche, anche quando ne sia in corso l'amministrazione  straordinaria
ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie», in  presenza  dei
presupposti puntualmente stabiliti (art. 80,  comma  1,  del  decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385,  recante  «Testo  unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia», che detto potere  conferisce
al Ministro dell'economia e delle finanze, su  proposta  della  Banca
d'Italia), ovvero del potere  di  «disporre  con  decreto  la  revoca
dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita'  e  la  liquidazione
coatta amministrativa delle  SIM,  delle  societa'  di  gestione  del
risparmio, delle Sicav e delle Sicaf, anche quando ne  sia  in  corso
l'amministrazione straordinaria»  (art.  57,  comma  1,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni in materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52»,  il  quale
attribuisce tale potere al Ministero dell'economia e  delle  finanze,
su proposta della Banca d'Italia o della CONSOB); 
    che, ad avviso del giudice a quo, e' «ragionevole e coerente  con
i principi costituzionali che nelle procedure  concorsuali  destinate
ad imprese di maggiori dimensioni» (quali  sono  quelle  disciplinate
dalle norme da ultimo, sopra richiamate) «il potere di  conversione»,
anche dopo la riforma organica delle  procedure  concorsuali  oggetto
del r.d. n. 267 del 1942, sia stato attribuito o, piu' correttamente,
sia   stato   mantenuto   in   capo   all'autorita'   giudiziaria   o
amministrativa che  sovraintende  alle  stesse,  mentre  non  sarebbe
ragionevole «la soppressione totale  del  potere»  del  tribunale  di
dichiarare  d'ufficio  il  fallimento,  qualora  sia  dichiarata   la
risoluzione  per  inadempimento   del   concordato   preventivo   che
configurerebbe, «nella sostanza, una vera e propria conversione della
prima procedura nella seconda; 
    che il censurato «combinato disposto»  si  porrebbe  altresi'  in
contrasto con l'art. 35, primo comma,  Cost.,  poiche'  lederebbe  il
diritto dei lavoratori alla tutela del lavoro in tutte le sue  forme,
garantito anche dalla legge fallimentare, quando la  stessa  prevede,
ad esempio, «che il trapasso dell'azienda debba avvenire anche "avuto
riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali" (art.  104-bis
della legge fall.)», nonche' con l'art. 38, secondo comma, Cost.,  in
quanto violerebbe il diritto dei lavoratori a che siano «preveduti  e
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di (...)
disoccupazione involontaria», garantiti dalle  norme  concernenti  la
disciplina  del  rapporto  di  lavoro  nel  caso  di  apertura  delle
procedure  concorsuali   (e'   richiamata,   esemplificativamente   e
genericamente, la legge 23 luglio 1991, n.  223,  recante  «Norme  in
materia   di   cassa   integrazione,   mobilita',   trattamenti    di
disoccupazione, attuazione  di  direttive  della  Comunita'  europea,
avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato  del
lavoro»); 
    che, secondo il rimettente  il  richiamato  «combinato  disposto»
violerebbe anche l'art. 41, primo comma,  Cost.,  in  quanto  sarebbe
lesivo del diritto di  iniziativa  economica  privata  dei  creditori
concorrenti, «che comprende non solo il momento  iniziale  di  scelta
dell'attivita', ma anche i successivi momenti del suo svolgimento  e,
dunque, la liberta' di  disporre  dei  beni  destinati  alla  propria
impresa, la liberta' di investire  i  propri  capitali  in  essa,  la
liberta' di destinarli alla produzione  o  allo  scambio  di  beni  o
servizi o all'acquisizione di ricchezza, la liberta' contrattuale, il
potere di organizzare il proprio processo produttivo»; 
    che  nel  giudizio  di  costituzionalita'   e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo,   nell'atto   di
intervento ed  in  una  successiva  memoria,  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata; 
    che, secondo l'interveniente, questa Corte, con  la  sentenza  n.
184  del  2013,  ha  affermato  che  l'eliminazione  del  potere  del
tribunale di dichiarare d'ufficio il fallimento e'  coerente  con  il
nostro  ordinamento  processuale  civile  che,  sia  pure  in   linea
tendenziale e non senza qualche eccezione, e' ispirato dal  principio
ne procedat judex ex officio; 
    che  le  fattispecie  evocate   dal   rimettente   quali   tertia
comparationis sono, inoltre, caratterizzate da profili di specialita'
che impediscono l'ipotizzata  comparazione  ed  hanno  realizzato  un
bilanciamento  dei  diversi  interessi  in  gioco,   spettante   alla
discrezionalita' del legislatore,  correttamente  realizzato  con  il
censurato art. 186, tenuto conto che  alla  procedura  di  concordato
preventivo possono essere ammesse imprese di dimensioni  inferiori  a
quelle richieste  per  accedere  alla  procedura  di  amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi. 
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 137 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta  amministrativa),  nel  testo
sostituito  dall'art.  9,  comma  10,  del  decreto  legislativo   12
settembre 2007, n. 169  (Disposizioni  integrative  e  correttive  al
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5, in materia  di  disciplina  del  fallimento,  del
concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa,  ai
sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e  6,  della  legge  14  maggio
2005, n. 80), e' manifestamente inammissibile,  perche'  investe  una
disposizione inconferente; 
    che il vizio denunciato si anniderebbe,  infatti,  esclusivamente
nella modalita' del rinvio come realizzato dal censurato art. 186, il
quale  stabilisce  che  le  disposizioni  del  richiamato  art.  137,
concernente  la  risoluzione  del   concordato   fallimentare,   sono
applicabili alla risoluzione del  concordato  preventivo  «in  quanto
compatibili»; conseguentemente, il  dubbio  di  costituzionalita'  si
incentra e ha ad oggetto esclusivamente la norma di rinvio (ordinanza
n. 401 del 2001), sicche' e' esclusivamente in relazione a questa che
vanno scrutinate le censure; 
    che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 186 del
r.d. n. 267 del 1942, nel testo sostituito dall'art. 17, comma 1, del
d.lgs. n. 169 del 2007, puo' ritenersi correttamente proposta  quanto
all'identificazione della norma impugnata (non incisa dalla denuncia,
che si e'  detta  manifestamente  inammissibile,  anche  della  norma
rinviata) e, tuttavia, le censure sollevate in riferimento all'art. 3
Cost., denunciandone  l'irragionevolezza  intrinseca  e  prospettando
un'asserita disarmonia di sistema, sono manifestamente infondate; 
    che questa Corte, con la sentenza n. 240 del 2003, richiamata dal
rimettente, ha dichiarato non fondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 6 e 8 del r.d. n. 267 del 1942,  sollevata
in riferimento all'art. 111  Cost.,  affermando  che  rientra  «nella
discrezionalita' del legislatore riconoscere  al  giudice  il  potere
officioso sopra descritto ovvero disporre che il giudice riferisca in
ogni caso dell'insolvenza, perche' si attivi, al pubblico ministero»,
senza dunque ritenere il carattere costituzionalmente imposto di  una
tale previsione; 
    che la successiva sentenza n. 184 del 2013 (non  considerata  dal
giudice a quo) ha dichiarato non fondata la questione di legittimita'
costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 76  e  77  Cost.,
dell'art. 4 del decreto legislativo 9 gennaio  2006,  n.  5  (Riforma
organica  della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a   norma
dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), che  ha
sostituito l'art. 6 del r.d. n. 267  del  1942  ed  ha  eliminato  il
potere  del  tribunale  di  dichiarare   d'ufficio   il   fallimento,
sottolineando che detta norma «risponde ad un  criterio  di  coerenza
interno al  sistema»,  tenuto  conto  che  «[i]l  nostro  ordinamento
processuale civile e', sia pure in  linea  tendenziale  e  non  senza
qualche eccezione,  ispirato  dal  principio  ne  procedat  judex  ex
officio (sentenza n. 123 del 1970), cosi' da escludere  che  in  capo
all'organo giudicante siano allocati anche  significativi  poteri  di
impulso processuale»; 
    che la coerenza della norma censurata con  il  novellato  sistema
della legge concorsuale fondamentale e' stata rimarcata  anche  dalla
giurisprudenza di legittimita', secondo  cui  l'abrogazione  espressa
del potere del tribunale di dichiarare d'ufficio il  fallimento,  nel
caso di risoluzione del concordato preventivo,  realizzata  dall'art.
17, comma 1, del d.lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato il  citato
art. 186, ha avuto «valore meramente ricognitivo di  una  abrogazione
implicita che e' stata indotta» dalla riformulazione dell'art. 6  del
r.d.  n.  267  del  1942,  «in  modo  da  rendere  incompatibile   la
sopravvivenza  dell'istituto   nell'ambito   della   disciplina   del
concordato preventivo» (Corte di cassazione,  sezioni  unite  civili,
sentenza 15 maggio 2015, n. 9934); 
    che sono, altresi', manifestamente infondate le censure  con  cui
e' denunciata l'irragionevolezza della  norma,  deducendo  che  nelle
fattispecie sopra analiticamente descritte  e'  tuttora  previsto  il
potere del tribunale  di  disporre  d'ufficio  la  conversione  della
procedura di amministrazione straordinaria delle  grandi  imprese  in
stato di insolvenza in fallimento,  ovvero  il  potere  del  Ministro
dell'economia e delle finanze di disporre (su  proposta  della  Banca
d'Italia) la liquidazione coatta amministrativa delle  banche,  anche
quando ne sia in corso l'amministrazione  straordinaria,  oppure  (su
proposta  della  Banca  d'Italia  o   della   CONSOB)   di   revocare
l'autorizzazione  all'esercizio  dell'attivita'  e  la   liquidazione
coatta amministrativa delle  SIM,  delle  societa'  di  gestione  del
risparmio, delle Sicav e delle Sicaf, anche quando ne  sia  in  corso
l'amministrazione straordinaria; 
    che, infatti, e' palese, come eccepito dall'interveniente, che le
differenti discipline sono  giustificate  da  un'evidente  diversita'
delle fattispecie regolate, essendo diverse e non comparabili con  il
concordato   preventivo   sia   la   procedura   di   amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi (quanto, tra l'altro,  ai
presupposti soggettivi di ammissione, alla finalita' ed al  contenuto
delle  due  procedure),  sia  le  procedure  di  liquidazione  coatta
amministrativa   (che,   pacificamente,   rivestono   carattere    di
specialita' ed alternativita' rispetto al fallimento); quindi,  dalla
disomogeneita'  delle  situazioni  poste  a  raffronto  discende   la
manifesta infondatezza della censura di violazione del  principio  di
eguaglianza; 
    che,  per  altro  verso,  i  tertia  comparationis  evocati   dal
rimettente neanche corrispondono ad un principio  generale,  rispetto
al   quale   la   disciplina   denunciata   rivesta   un    carattere
ingiustificatamente derogatorio, come e' invece  necessario  ai  fini
del giudizio sulla violazione del principio di eguaglianza  (sentenza
n. 132 del 2015); 
    che il giudice a quo ha  invece  omesso  di  fornire  un'adeguata
motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza  delle  censure
riferite agli artt. 35, primo comma, 38, secondo comma, e  41,  primo
comma,  Cost.,  essendosi,  in  sostanza,  limitato   ad   affermarne
apoditticamente la lesione, senza esplicitare le ragioni che -  anche
all'esito  dell'esame  (del  tutto  mancato)   della   complessa   ed
articolata disciplina stabilita  a  tutela  dei  lavoratori  e  della
valutazione in ordine alla rilevanza della persistente legittimazione
dei  creditori  a  proporre  ricorso  di  fallimento   -   dovrebbero
confortarla,   traducendosi   tale   carenza   motivazionale    nella
conseguente manifesta inammissibilita' delle censure (tra  le  molte,
ordinanze n. 93 del 2016, e n. 52 del 2015). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi  avanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 137 del regio decreto 16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), nel testo sostituito  dall'art.  9,  comma  10,  del
decreto  legislativo  12  settembre  2007,   n.   169   (Disposizioni
integrative e correttive al regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267,
nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5,  in  materia  di
disciplina  del  fallimento,  del  concordato  preventivo   e   della
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo  1,  commi
5, 5-bis e 6, della legge 14  maggio  2005,  n.  80),  sollevata,  in
riferimento agli articoli 35, primo comma, 38, secondo comma,  e  41,
primo comma, della Costituzione, dal Tribunale  ordinario  di  Reggio
Emilia, sezione fallimentare, con l'ordinanza indicata in epigrafe;. 
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 186 del r.d. n. 267  del  1942,
nel testo sostituito dall'art. 17, comma 1, del  d.lgs.  n.  169  del
2007, sollevata, in riferimento  agli  artt.  35,  primo  comma,  38,
secondo comma, e 41, primo comma, Cost., dal Tribunale  ordinario  di
Reggio Emilia, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    3)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 186 del r.d. n. 267  del  1942,
nel testo sostituito dall'art. 17, comma 1, del  d.lgs.  n.  169  del
2007, sollevata, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  dal  Tribunale
ordinario di Reggio Emilia, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA