N. 272 SENTENZA 22 novembre - 18 dicembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Filiazione - Riconoscimento dei figli  naturali  -  Impugnazione  per
  difetto  di  veridicita'  -  Accoglimento   solo   se   rispondente
  all'interesse del minore. 
- Codice civile, art. 263. 
-   
(GU n.51 del 20-12-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  263  del
codice  civile,  promosso  dalla  Corte  d'appello  di   Milano   nel
procedimento civile vertente tra A.L. C. ed il curatore  speciale  di
L.F. Z., con ordinanza del 25 luglio 2016, iscritta  al  n.  273  del
registro ordinanze del 2016 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di A.L. C. e del curatore speciale
di L.F. Z., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica del  21  novembre  2017  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi gli  avvocati  Grazia  Ofelia  Cesaro,  nella  qualita'  di
curatore speciale di L.F. Z., e Francesca Maria Zanasi per A.L. C.  e
l'avvocato  dello  Stato  Chiarina  Aiello  per  il  Presidente   del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Nel  corso  di   un   procedimento   di   impugnazione   del
riconoscimento di figlio naturale  per  difetto  di  veridicita',  la
Corte d'appello di Milano  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 263 del codice civile, in  riferimento  agli
artt.  2,  3,  30,  31  e  117,  primo  comma,  della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  8  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(d'ora  in  avanti:  CEDU),  firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La disposizione e' censurata nella parte in cui non  prevede  che
l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore  per  difetto  di
veridicita'  possa  essere  accolta  solo  quando   sia   rispondente
all'interesse dello stesso. 
    2.- Il giudizio a quo ha ad oggetto l'appello avverso la sentenza
con cui il Tribunale ordinario di  Milano  -  in  accoglimento  della
domanda proposta ai  sensi  dell'art.  263  cod.  civ.  dal  curatore
speciale di un minore, nominato dal Tribunale per i  minorenni  -  ha
dichiarato che lo stesso minore non e' figlio della donna che  lo  ha
riconosciuto. 
    La vicenda sottoposta all'esame della Corte d'appello  di  Milano
trae origine dalla trascrizione del certificato  di  nascita  formato
all'estero, relativo alla nascita di un  bambino,  riconosciuto  come
figlio naturale di una  coppia  di  cittadini  italiani,  i  quali  -
nell'ambito delle indagini avviate  dalla  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale per i minorenni - avrebbero  ammesso  il  ricorso
alla surrogazione di maternita', realizzata attraverso ovodonazione. 
    Il giudice a quo riferisce che,  pertanto,  su  iniziativa  della
stessa Procura della Repubblica, e' stato avviato il procedimento per
la dichiarazione  dello  stato  di  adottabilita',  il  quale  si  e'
concluso con dichiarazione  di  non  luogo  a  provvedere,  avendo  i
genitori contratto matrimonio ed essendo risultata certa, in base  al
test eseguito sul DNA,  la  paternita'  biologica  di  colui  che  ha
effettuato il riconoscimento. 
    Riferisce il giudice rimettente che, su  richiesta  del  pubblico
ministero, il Tribunale per i minorenni di Milano ha autorizzato,  ai
sensi dell'art. 264, secondo comma,  cod.  civ.,  l'impugnazione  del
riconoscimento del figlio naturale effettuato da A.L. C., nominando a
tal fine un curatore speciale del minore.  In  accoglimento  di  tale
impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano ha dichiarato  che  il
minore  non  e'  figlio  di  A.L.  C.,  disponendo   le   conseguenti
annotazioni a cura dell'ufficiale di stato civile. 
    Il giudice a quo riferisce che la decisione di primo grado si  e'
fondata sulla disposizione di cui all'art.  269,  terzo  comma,  cod.
civ., e sulla considerazione che, nel caso in esame, il  rapporto  di
filiazione dal lato materno non potrebbe essere dedotto dal contratto
per la fecondazione eterologa con maternita' surrogata, da  ritenersi
invalido per contrarieta' della legge straniera all'ordine  pubblico,
ai sensi dell'art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del
sistema italiano di diritto internazionale privato). 
    2.1.- Cio' premesso, la Corte d'appello evidenzia che nel caso in
esame l'atto di nascita comprovante la genitorialita' del  minore  e'
gia' stato trascritto in Italia e che, pertanto, e' estranea al thema
decidendum la questione della trascrivibilita' in Italia di  atti  di
nascita formati nei paesi che consentono la maternita' surrogata. Nel
caso in esame, infatti, non  e'  richiesta  la  trascrizione  di  uno
status filiationis riconosciuto all'estero, bensi'  la  rimozione  di
uno  status  gia'  attribuito,  in  considerazione  della   sua   non
veridicita'. 
    2.1.1.-  Quanto  al  divieto  di  maternita'  surrogata  previsto
dall'art. 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita), il giudice a quo ritiene che lo
stesso potrebbe porsi in contrasto  con  i  principi  costituzionali,
laddove  riferito  ad   ipotesi   di   gestazione   "relazionali"   o
"solidaristiche",  non  lesive  della  dignita'  della   donna,   ne'
riducibili alla logica di uno scambio mercantile,  ma  caratterizzate
da intenti di pura solidarieta'.  Tuttavia,  osserva  il  rimettente,
anche tale questione risulta  estranea  alla  vicenda  in  esame,  in
quanto la surrogazione di maternita' e' avvenuta al di  fuori  di  un
contesto relazionale e non  sarebbe  ravvisabile  una  condizione  di
liberta' della donna che ha portato a termine la gravidanza. 
    2.2.- La Corte d'appello prospetta, invece, una diversa questione
di legittimita' costituzionale, che pone al  centro  l'interesse  del
bambino, nato a seguito  di  surrogazione  di  maternita'  realizzata
all'estero,  a  vedersi  riconosciuto  e  mantenuto  uno   stato   di
filiazione quanto piu' rispondente alle sue esigenze di vita. 
    Il dubbio di costituzionalita' sollevato dal rimettente  attiene,
in particolare, all'art. 263  cod.  civ.,  nella  parte  in  cui  non
prevede  che  l'impugnazione  del  riconoscimento  per   difetto   di
veridicita'  possa  essere  accolta   solo   laddove   sia   ritenuta
rispondente all'interesse del minore. 
    2.2.1.-  Rammenta  il  giudice  a  quo  che   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 263 cod.  civ.  e'  gia'  stata
ritenuta non fondata dalla sentenza n. 112 del 1997, sull'assunto che
l'impugnazione del riconoscimento  per  difetto  di  veridicita'  sia
ispirata al «principio di ordine superiore che ogni  falsa  apparenza
di stato deve cadere». In quella occasione, asserisce il  rimettente,
la Corte ha individuato nella verita' del rapporto di  filiazione  un
valore necessariamente  da  tutelare,  con  la  precisazione  che  la
finalita'   perseguita   dal   legislatore   consisterebbe    proprio
nell'attuazione del diritto del minore all'acquisizione di uno  stato
corrispondente alla realta' biologica.  Analoghi  principi  sarebbero
stati ribaditi dalle sentenze n. 170 del 1999  e  n.  216  del  1997,
nonche' dall'ordinanza n. 7 del 2012. 
    Alla stregua di tali rilievi, il giudice a quo esclude  soluzioni
ermeneutiche che consentano di considerare, nella  cornice  dell'art.
263 cod.  civ.,  la  specifica  situazione  del  minore  al  fine  di
privilegiare una soluzione che realizzi il suo concreto ed  effettivo
interesse. La mancanza di un riferimento normativo all'interesse  del
minore, nel richiamato indirizzo interpretativo da considerare  quale
"diritto vivente",  si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi  di
particolare tutela che  la  Costituzione  e  la  CEDU  assicurano  ai
minori. 
    2.3.- La questione avrebbe  incidenza  attuale  nel  giudizio  di
impugnazione promosso dal curatore speciale ai  sensi  dell'art.  263
cod. civ. 
    Infatti, nel caso in esame, le norme inderogabili che definiscono
e disciplinano la genitorialita', ed in  particolare  la  maternita',
non consentirebbero a madre e figlio  di  vedersi  riconosciuto  tale
legame giuridico,  se  non  per  il  tramite  dell'adozione  in  casi
particolari, nel presupposto che l'interesse del minore,  di  cui  lo
stesso  curatore  e'  portatore,  debba   identificarsi   nel   favor
veritatis. 
    Viceversa, ove  fosse  consentita  una  valutazione  in  concreto
dell'interesse del minore, non coincidente col favor veritatis,  esso
potrebbe  essere  misurato  anche  alla  stregua  di  altri  profili,
riguardanti le particolari modalita' della nascita,  la  possibilita'
di altro legame giuridico, certo e ugualmente tutelante, con la madre
intenzionale, e tutte le circostanze, anche relative al rapporto  con
la madre intenzionale, emerse nella fattispecie in esame. 
    2.4.- Il giudice rimettente richiama i principi  enunciati  dalla
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176; dalla Convenzione  europea  sull'esercizio  dei  diritti  dei
fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata  e  resa
esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77;  dalla  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  che  all'art.  24,
secondo comma, sancisce  il  principio  della  necessaria  preminenza
dell'interesse del minore. 
    Dovrebbero considerarsi, inoltre, le Linee guida del Comitato dei
ministri del Consiglio d'Europa per una giustizia a misura di minore,
adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei  delegati  dei
ministri. Il riferimento, ivi contenuto, al superiore  interesse  del
minore andrebbe inteso come ricerca di una soluzione  che  garantisca
l'effettiva attuazione, non di un interesse astratto  e  preconcetto,
bensi' del best interest, cioe'  dell'interesse  concreto  di  "quel"
minore  che,  nel  singolo  caso   sottoposto   a   valutazione,   e'
destinatario di un provvedimento. 
    La Corte d'appello osserva che anche la recente giurisprudenza di
merito attribuisce rilievo al concreto interesse del minore  in  tema
di  relazioni  familiari.  In  particolare,  sono  richiamate  quelle
pronunce che hanno ammesso la trascrizione nei registri  dello  stato
civile di atti stranieri attributivi della genitorialita' alla  madre
intenzionale, a seguito di accordi  di  maternita'  surrogata  (Corte
d'appello di Bari, sentenza  13  febbraio  2009)  o  di  un  atto  di
nascita, formato all'estero, del figlio di una coppia di donne,  nato
con donazione del gamete maschile e trasferimento dell'ovulo  di  una
delle due all'altra, che ha portato a termine  la  gravidanza  (Corte
d'appello di  Torino,  decreto  29  ottobre  2014).  Sono,  altresi',
richiamate quelle decisioni che hanno riconosciuto la possibilita' di
adozione del figlio del partner di  coppia  dello  stesso  sesso,  ai
sensi dell'art. 44 della legge 4 maggio 1983,  n.  184  (Diritto  del
minore ad una famiglia). Inoltre, e'  richiamata  la  sentenza  della
Corte di cassazione, sezione prima civile, 11 gennaio 2013,  n.  601,
che ha escluso che il fatto di vivere in una famiglia  incentrata  su
una  coppia  omosessuale  pregiudichi  l'equilibrato   sviluppo   del
bambino. 
    Il giudice a quo sottolinea, inoltre, che nella  sentenza  n.  31
del 2012 questa Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 569 del codice penale, nella parte in  cui  prevedeva  che,
alla condanna dei genitori per il delitto di  alterazione  di  stato,
conseguisse in via automatica la perdita della potesta'  genitoriale,
precludendo  cosi'  al  giudice  ogni  possibilita'  di   valutazione
dell'interesse del minore. 
    Alla luce dei principi desumibili dalla normativa  sovranazionale
e nazionale e degli approdi  giurisprudenziali,  europei  e  interni,
nonche' delle possibilita' offerte dalle nuove tecnologie in tema  di
procreazione assistita, il giudice  a  quo  sollecita  una  rinnovata
riflessione sul tema della coincidenza tra favor  veritatis  e  favor
minoris. 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale ha ad oggetto l'art. 263
cod. civ., nella parte in cui non consente di  valutare  il  concreto
interesse del minore a mantenere l'identita' relazionale e lo  status
di una riconosciuta filiazione materna, impedendo,  cosi',  che  tale
interesse  possa  essere  realizzato   con   l'ampiezza   di   tutele
riconosciute da plurimi principi costituzionali. 
    2.5.- In primo luogo, e' denunciata  la  violazione  dell'art.  2
Cost., per la natura inviolabile del diritto del minore a non vedersi
privato  del  nome,   dell'identita'   personale   e   della   stessa
possibilita' di avere una madre, mantenendo lo status filiationis nei
confronti di colei che abbia effettuato il riconoscimento. 
    In secondo luogo, la disposizione  in  esame  contrasterebbe  con
l'art.  30  Cost.,  che  riconosce  e  promuove,  sia  pure  in   via
sussidiaria,   accanto    alla    genitorialita'    biologica,    una
genitorialita' sociale, fondata sul consenso e indipendente dal  dato
genetico. Di essa, in alcune  situazioni  problematiche,  l'interesse
del minore potrebbe giovarsi. Il riconoscimento della  genitorialita'
sociale si accompagnerebbe, infatti, alle garanzie offerte al  figlio
dall'assunzione di responsabilita' nei suoi confronti.  La  questione
di legittimita' costituzionale  e'  sollevata  anche  in  riferimento
all'art. 31 Cost., che,  con  disposizione  riassuntiva  e  generale,
completa  il  quadro  delle  garanzie  costituzionali  dei   rapporti
familiari e dell'infanzia. 
    L'impossibilita' di valutare,  in  concreto,  un  interesse,  che
potrebbe non coincidere col favor veritatis, si porrebbe altresi'  in
contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,
soprattutto alla luce dell'art. 9 della legge n.  40  del  2004  che,
ancor prima della sentenza di questa Corte n.  162  del  2014,  aveva
comunque  assicurato  al  bambino  -  nato  attraverso   fecondazione
assistita di tipo eterologo - lo stato di figlio del  coniuge  o  del
convivente della donna che lo aveva partorito. 
    A questo riguardo, il giudice a  quo  evidenzia  che,  nel  nuovo
assetto conseguente  all'eliminazione  del  divieto  di  fecondazione
eterologa, essendo esclusa  la  possibilita'  che  il  coniuge  o  il
convivente   del   genitore   naturale   possano,    rispettivamente,
disconoscere la paternita' del bambino, ovvero impugnare il  relativo
riconoscimento, sarebbe dubbia la legittimazione in capo al figlio in
ordine alle  azioni  indicate.  Infatti,  un  eventuale  accertamento
negativo della paternita' legale non potrebbe comunque costituire  la
premessa per un successivo  accertamento  positivo  della  paternita'
biologica, stante la regola di cui all'art. 9, comma 3,  della  legge
n. 40 del 2004. 
    In  ogni  caso,  nell'impossibilita'  di  valutare  in   concreto
l'interesse del minore, lo status del bambino nato da surrogazione di
maternita' potrebbe risultare irragionevolmente diverso e sfavorevole
rispetto a quello assicurato al minore  nato  attraverso  il  ricorso
alla fecondazione eterologa. 
    La  Corte  d'appello  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 263 cod. civ., anche con riferimento  all'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 8 della CEDU,  come  interpretato
dalla  Corte   europea   dei   diritti   dell'uomo,   in   situazioni
riconducibili alla maternita' surrogata. 
    Sono richiamate, in particolare, le sentenze della Corte EDU  del
26 giugno 2014 rese nei casi  Mennesson  contro  Francia  e  Labassee
contro Francia (ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011), nelle
quali e' stata affrontata la questione del rifiuto di riconoscere, in
Francia, rapporti genitoriali stabiliti all'estero tra minori nati da
maternita' surrogata e le coppie che vi  avevano  fatto  ricorso.  In
queste pronunce, la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l'art.  8
della CEDU con riferimento al diritto dei minori  al  rispetto  della
propria vita privata, quale diritto di ciascuno su ogni profilo della
propria identita' di essere umano. 
    Ad avviso del giudice a quo, da tali sentenze  discenderebbe  per
gli Stati  contraenti  l'obbligo  positivo  di  tutelare  l'identita'
personale del minore  nato  attraverso  surrogazione  di  maternita',
anche a prescindere dal legame biologico con i genitori intenzionali.
Gli Stati membri del Consiglio d'Europa,  se  possono  scoraggiare  o
vietare  il  ricorso  alla  maternita'  surrogata,  non   potrebbero,
viceversa, rifiutare la  trascrizione  di  un  atto  di  nascita  che
assicura al minore il rispetto della sua  vita  privata,  rispondendo
tale trascrizione al suo best interest. 
    In questo senso si porrebbe anche la sentenza della Corte EDU del
27 gennaio 2015, resa nel caso Paradiso e  Campanelli  contro  Italia
(ricorso n. 25358 del 2012).  In  un  caso  di  maternita'  surrogata
caratterizzato dall'assenza di legame  biologico  del  minore  con  i
genitori  intenzionali,  la  Corte  di  Strasburgo  ha  ravvisato  la
violazione  dell'art.  8  della  CEDU  nei   provvedimenti   relativi
all'allontanamento  del  minore.  La  nozione  di  "vita  familiare",
tutelabile ai sensi dell'art. 8 della CEDU, sarebbe estensibile  alla
relazione  tra  i  genitori  d'intenzione  e  il  minore,   ancorche'
costituita illegalmente secondo l'ordinamento  nazionale.  In  questo
modo, ad avviso del giudice a quo, la  Corte  di  Strasburgo  avrebbe
svincolato    la    nozione    giuridica    di    "vita    familiare"
dall'indefettibilita' del legame genetico, ritenendola comprensiva di
relazioni di fatto, la cui tutela corrisponde al preminente interesse
del minore. 
    2.6.- Dopo avere ribadito che la questione in esame non  concerne
la liceita' della  pratica  della  surrogazione,  ma  i  diritti  del
bambino nato attraverso tale pratica, il rimettente deduce che non vi
sarebbe  contrasto,  rispetto  all'ordine  pubblico,   del   concreto
interesse del minore. In  particolare,  tale  contrasto  non  sarebbe
ricavabile dal divieto di maternita' surrogata di  cui  all'art.  12,
comma 6, della  legge  n.  40  del  2004,  dovendosi  avere  riguardo
all'ordine pubblico internazionale,  in  cui  rileva  l'esistenza  di
paesi, anche in Europa, che consentono il ricorso  alla  surrogazione
di maternita'. 
    Il concetto di ordine pubblico dovrebbe essere percio'  declinato
con  riferimento  all'interesse  del  minore,  secondo  un  principio
ricavabile anche dal regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003
(Regolamento   del   Consiglio   relativo   alla    competenza,    al
riconoscimento  e   all'esecuzione   delle   decisioni   in   materia
matrimoniale e  in  materia  di  responsabilita'  genitoriale).  Tale
regolamento, all'art. 23, prevede che, con riferimento alle decisioni
relative alla responsabilita' genitoriale, la valutazione  della  non
contrarieta' all'ordine  pubblico  debba  essere  effettuata  tenendo
conto del superiore interesse del figlio. 
    2.7.- Il giudice a quo ritiene  che  il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale non possa essere superato neppure dalla considerazione
del diritto del figlio a conoscere le proprie origini.  Tale  diritto
si  realizzerebbe,  infatti,  su   un   piano   diverso   da   quello
dell'impugnazione di cui all'art. 263 cod. civ., a meno di non  voler
attribuire all'accertamento della non veridicita' del  riconoscimento
la funzione di comunicazione della non-nascita dalla  madre,  in  una
logica  latamente  sanzionatoria  della  condotta  genitoriale.  Cio'
andrebbe  comunque  a  detrimento  dell'interesse   del   minore   al
mantenimento   di   un   rapporto   giuridico   corrispondente   alla
effettivita' della relazione con  la  persona  che  ha  formulato  il
progetto familiare e che, dalla nascita del bambino, ne e' madre. 
    3.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita A.L. C.,
parte appellante nel giudizio  principale,  chiedendo  l'accoglimento
della questione sollevata dal giudice a quo. 
    3.1.-  Dopo  avere  ripercorso  le  argomentazioni  del   giudice
rimettente, la parte richiama i principi affermati nelle sentenze  n.
158 del 1991, n. 112 del 1997 e n. 170 del 1999 ed osserva che,  alla
luce  del   mutato   quadro   giurisprudenziale   e   dell'evoluzione
scientifica  e  tecnologica,  che  ha  progressivamente  ampliato  le
possibilita'  procreative  delle  coppie,  si  imporrebbe  una  nuova
valutazione della legittimita' costituzionale dell'art. 263 cod. civ.
Si dovrebbe ritenere ormai superato  il  principio  della  necessaria
preservazione  del  legame  di  filiazione   veridico   quale   unico
presupposto di tutela dell'interesse del minore. 
    Sono richiamate, in particolare, la sentenza n. 162 del 2014,  in
materia di fecondazione eterologa, e le sentenze della Corte  europea
dei diritti dell'uomo in materia di surrogazione  di  maternita'.  In
queste pronunce la tutela del  superiore  interesse  del  minore  non
sarebbe piu' inscindibilmente connessa alla veridicita' del  rapporto
di filiazione, in  quanto  biologicamente  determinato,  bensi'  alla
conservazione  del   rapporto   di   filiazione   "sociale",   ovvero
"intenzionale",  imperniato  sull'assunzione  della   responsabilita'
genitoriale. 
    La parte evidenzia che, in tema di disconoscimento di  paternita'
del bambino nato  da  procreazione  medicalmente  assistita  di  tipo
eterologo, la Corte di cassazione, sin da epoca precedente alla legge
n. 40 del 2004, si era gia' espressa nel senso che il favor veritatis
abbia «una priorita' non assoluta, ma relativa» (Corte di cassazione,
sezione prima civile, sentenza 16 marzo 1999, n. 2315). 
    Occorrerebbe,   dunque,    una    valutazione    individualizzata
dell'interesse del minore ed il superamento, sulla scorta del  mutato
contesto sociale e giurisprudenziale, dell'impostazione  che  ritiene
salvaguardato tale  interesse  solo  in  presenza  di  un  legame  di
filiazione veridico. 
    3.2.- Riguardo alla violazione dell'art. 2 Cost., la difesa della
parte condivide i rilievi  del  giudice  rimettente,  richiamando  in
proposito la  giurisprudenza  costituzionale  e  di  legittimita'  in
materia di diritto all'identita' personale quale diritto  inviolabile
della persona umana, strettamente connesso al diritto  di  conservare
il proprio status filiationis.  La  disposizione  censurata  sarebbe,
altresi', lesiva del diritto al nome del minore, anch'esso protetto a
norma dell'art. 2 Cost. 
    3.3.- L'art. 263 cod. civ. si porrebbe, inoltre, in contrasto con
l'art. 3 Cost., per la  condizione  deteriore  in  cui  si  trova  il
bambino  nato  da  maternita'  surrogata  rispetto  a   quello   nato
attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo. Solo  in  questo
secondo caso, infatti,  in  presenza  di  donazione  dei  gameti,  e'
preclusa  al  coniuge  e  al  convivente  del  genitore  naturale  la
proposizione  dell'azione  di  disconoscimento  e,   rispettivamente,
dell'impugnazione del riconoscimento. Tuttavia, anche con riferimento
al  bambino  nato  da  maternita'  surrogata  si  porrebbe  l'analoga
esigenza  di  assicurare   protezione   al   diritto   costituzionale
all'identita' personale, nelle forme  del  diritto  al  nome  e  alla
conservazione del proprio status filiationis. 
    3.3.1.- La norma sarebbe irragionevole  anche  per  l'automatismo
decisorio che si determinerebbe in caso di  difetto  di  veridicita'.
Sia pure pronunciando su questioni di tipo diverso, la giurisprudenza
costituzionale avrebbe chiarito  come  siffatti  automatismi  possono
tradursi in un'irragionevole lesione dell'interesse  del  minore,  in
quanto preclusivi di uno scrutinio individualizzato, caso  per  caso,
da parte del giudice. 
    In particolare, in tema di adozione, tali principi hanno  portato
a ritenere irragionevoli - perche' non rispondenti all'interesse  del
minore - le norme che stabilivano limiti rigidi di eta' tra adottanti
e adottato (sono richiamate le sentenze n. 140 [recte: 44] del  1990,
n. 148 del 1992, n. 303 del 1996 e n. 283 del 1999). 
    Afferma la  parte  che,  allo  stesso  modo,  e'  stata  ritenuta
irragionevole l'applicazione automatica della pena  accessoria  della
perdita di potesta' genitoriale,  a  seguito  della  commissione  del
reato di cui all'art. 567 cod.  pen.,  prevista  dall'art.  569  cod.
pen., che precludeva ogni possibilita' di valutazione e bilanciamento
tra l'interesse del minore e l'applicazione della pena accessoria, in
ragione della natura e delle caratteristiche dell'episodio  criminoso
(sentenza n. 31 del 2012). Analogamente,  l'art.  569  cod.  pen.  e'
stato censurato nella parte  in  cui  stabiliva  che,  alla  condanna
pronunciata per il delitto di cui all'art. 566, secondo  comma,  cod.
pen., conseguisse di diritto la perdita della  potesta'  genitoriale,
cosi' precludendo ogni possibilita' di valutazione dell'interesse del
minore nel caso concreto (sentenza n. 7 del 2013). 
    E' richiamata, inoltre, la pronuncia  con  cui  questa  Corte  ha
censurato l'art. 4-bis, primo comma, della legge 26 luglio  1975,  n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'),  nella  parte  in  cui
includeva nel divieto di concessione dei benefici penitenziari  anche
la detenzione domiciliare speciale, prevista per le madri  con  prole
di eta' non superiore a dieci anni (sentenza n. 239 del 2014).  Anche
in questo caso, non era consentita  una  valutazione  caso  per  caso
della pericolosita' della madre detenuta, al fine di tenere conto del
superiore interesse del minore. 
    Da ultimo, la difesa della parte richiama le pronunce  che  hanno
censurato l'irragionevole rigidita' della disposizione che negava  al
medico una valutazione del caso  concreto  sottoposto  a  trattamento
medico, da effettuarsi sulla base delle piu' aggiornate e accreditate
conoscenze tecnico-scientifiche (sentenza n. 151 del 2009). 
    Ad avviso della parte, anche in relazione all'art. 263 cod.  civ.
sarebbe ravvisabile  un  automatismo,  consistente  nell'accoglimento
dell'impugnazione  del  riconoscimento  ogniqualvolta   sussista   un
difetto di veridicita'. Anche a questa previsione sarebbe sottesa una
presunzione assoluta, in  base  alla  quale  l'interesse  del  minore
sarebbe adeguatamente tutelato soltanto quando  venga  assicurata  la
veridicita'  del   legame   di   filiazione.   Per   eliminare   tale
irragionevolezza,  dovrebbe   essere   consentita   al   giudice   la
valutazione  degli  effetti  dell'accoglimento  dell'impugnazione  in
relazione  all'interesse  del   minore,   in   considerazione   delle
circostanze del caso concreto. 
    3.4.- Con riferimento alla violazione degli artt. 30 e 31  Cost.,
la difesa della parte privata, richiamandosi  ai  principi  affermati
nella sentenza n. 162 del 2014, sottolinea il  valore  da  attribuire
alla genitorialita' sociale, dovendo riconoscersi  tutela,  anche  di
livello  costituzionale,  a  nuclei  familiari  in  cui  difetti  una
corrispondenza biunivoca tra il dato biologico e quello sociale. 
    Lo stesso legislatore, con la legge  10  dicembre  2012,  n.  219
(Disposizioni in  materia  di  riconoscimento  dei  figli  naturali),
avrebbe gia' fatto propria una nozione di responsabilita' genitoriale
improntata  sul  consenso  liberamente  assunto  dai   genitori   nei
confronti del figlio. In quanto finalizzata  ad  assicurare  adeguata
protezione all'interesse del minore,  tale  responsabilita'  dovrebbe
prescindere dalla caratterizzazione biologica o sociale del  rapporto
di parentela. 
    Al riguardo, la parte richiama la giurisprudenza di merito  e  di
legittimita' in tema di adozione da parte del single e  della  coppia
omosessuale (Corte di cassazione, sezione prima civile,  sentenze  11
gennaio 2013, n. 601, e 22 giugno 2016, n. 12962; Corte d'appello  di
Torino, sentenza 27 maggio 2016); in materia di trascrizione di  atti
di nascita formati all'estero, dai quali risulti che  il  bambino  e'
figlio di una coppia composta da persone dello stesso sesso (Corte di
cassazione, sezione prima civile,  sentenza  30  settembre  2016,  n.
19599), ovvero e' nato  a  seguito  di  maternita'  surrogata  (Corte
d'appello di Milano, decreto 28 dicembre 2016); nonche'  in  tema  di
adozione, da parte del genitore sociale,  del  figlio  biologico  del
proprio compagno,  nato  a  seguito  di  surrogazione  di  maternita'
(Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza 23 dicembre 2015). 
    3.5.- Da ultimo, quanto  alla  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in riferimento all'art. 8 della CEDU, la  difesa  della
parte evidenzia che nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si
rinviene l'affermazione della necessita'  di  assicurare  preminenza,
nel bilanciamento tra interessi contrapposti, al superiore  interesse
del minore, attraverso uno scrutinio che poggi sulle circostanze  del
caso concreto. In tal senso, oltre alle gia' citate sentenze  del  26
giugno 2014 rese nei casi Mennesson e  Labassee  contro  Francia,  e'
richiamata la sentenza della Grande camera del 6  luglio  2010,  resa
nel caso Neulinger e Shuruk contro Svizzera  (ricorso  n.  41615  del
2007), in cui la Corte  ha  ravvisato  nell'omessa  trascrizione  del
certificato di nascita formato all'estero la  lesione  del  superiore
interesse del bambino nato da surrogazione di maternita'. 
    Ad avviso della parte, la prospettiva si dovrebbe spostare  dalla
valutazione della situazione giuridica  della  coppia  a  quella  del
minore, meritevole di autonoma considerazione indipendentemente dalle
condotte realizzate dai genitori, siano  essi  biologici,  sociali  o
intenzionali. 
    3.5.1.- A conclusioni analoghe sarebbe inizialmente pervenuta  la
Corte EDU nella sentenza resa nel caso Paradiso e  Campanelli  contro
Italia, sopra gia' citata. In tale pronuncia, la Corte di  Strasburgo
ha affermato il carattere recessivo delle esigenze di ordine pubblico
rispetto alla necessaria salvaguardia  del  superiore  interesse  del
minore, ravvisando nel caso concreto la violazione  del  suo  diritto
alla vita privata e familiare, in ragione  dell'allontanamento  dalla
famiglia di origine. 
    Peraltro,  successivamente  all'ordinanza   di   rimessione,   e'
intervenuta la sentenza del 24 gennaio 2017 della Grande  camera,  la
quale, nel riesaminare la decisione del 27 gennaio 2015,  ha  escluso
la violazione dell'art. 8 della CEDU. In questa occasione,  la  Corte
di Strasburgo ha ritenuto che  le  misure  adottate  dalle  autorita'
italiane, che avevano  disposto  l'allontanamento  del  minore  dalla
coppia ricorrente e il suo  collocamento  presso  un  diverso  nucleo
familiare, non abbiano arrecato allo  stesso  minore  un  pregiudizio
grave o irreparabile a causa della separazione, garantendo un  giusto
equilibrio tra i diversi interessi in gioco. 
    Ad avviso della parte, anche questa  pronuncia  confermerebbe  la
necessita'  di  salvaguardare  il  superiore  interesse  del   minore
attraverso una valutazione individualizzata,  avente  ad  oggetto  le
circostanze del caso concreto. In questo caso veniva  in  rilievo  la
conformita' alla CEDU dell'allontanamento  del  minore  dalla  coppia
ricorrente, con cui egli non  intratteneva  alcun  legame  biologico.
Viceversa, osserva la parte privata, la pronuncia non atterrebbe  ne'
al  rifiuto  di  trascrivere  un  certificato  di   nascita   formato
all'estero, ne' al diritto del minore a  ottenere  il  riconoscimento
del rapporto di filiazione con la coppia,  cio'  che  invece  riveste
rilievo centrale nella questione in esame. 
    Pertanto, resterebbero fermi i dubbi  di  non  conformita'  della
disposizione  censurata  rispetto  all'art.  8   della   CEDU.   Essa
precluderebbe,  infatti,  la   valutazione   individualizzata   delle
circostanze del caso e impedirebbe,  altresi',  di  dare  concretezza
all'esigenza di tutela dell'interesse del minore. 
    3.5.2.- Piu'  in  generale,  l'art.  263  cod.  civ.  sarebbe  in
contrasto con il quadro internazionale  di  tutela  dei  diritti  dei
minori e, in particolare, con gli artt. 3 e  8,  paragrafo  1,  della
Convenzione sui diritti del  fanciullo.  Nella  stessa  direzione  si
porrebbe anche l'azione del Consiglio d'Europa, con  le  Linee  guida
per una giustizia a misura di minore, cui si affianca la  Convenzione
europea sull'esercizio  dei  diritti  dei  fanciulli.  Si  evidenzia,
altresi', che  la  tutela  del  superiore  interesse  del  minore  e'
riconosciuta dall'art. 24, secondo comma,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea. 
    4.- Con atto depositato in data 10 febbraio 2017 si e' costituita
in giudizio  l'avvocato  Grazia  Ofelia  Cesaro,  nella  qualita'  di
curatore speciale del minore L.F. Z., rappresentato  e  difeso  dalla
detta professionista, e ha  chiesto  l'accoglimento  della  questione
sollevata dalla Corte d'appello di Milano. 
    4.1.- Il curatore premette che l'azione dallo stesso proposta  ai
sensi dell'art. 263 cod. civ.  e'  derivata  dall'acquisizione  della
prova, nel corso del procedimento di  adottabilita',  che  il  figlio
minore  non  e'  un  discendente  biologico  di  colei  che   lo   ha
riconosciuto. Il Tribunale per i  minorenni  ha  pertanto  provveduto
alla nomina del curatore,  conferendogli  uno  specifico  mandato  ad
impugnare il riconoscimento. 
    Il  curatore  evidenzia,  in   particolare,   che   sebbene   gli
accertamenti svolti dal Tribunale per i minorenni avessero confermato
l'interesse del figlio minore a mantenere il legame familiare con  la
madre sociale (oltre  che  con  il  padre),  tuttavia  le  norme  che
disciplinano la genitorialita' non consentirebbero a madre  e  figlio
di vedersi riconosciuto  tale  legame  giuridico,  laddove  esso  non
corrisponda alla verita' biologica. 
    L'art. 263 cod. civ., infatti, contempla quale unico  presupposto
necessario e sufficiente per  l'impugnazione  del  riconoscimento  il
difetto di veridicita', inteso come assenza di  un  legame  biologico
tra l'autore del riconoscimento e  colui  che  e'  riconosciuto  come
figlio.  Cio'  precluderebbe  al   giudice   ogni   possibilita'   di
valutazione e bilanciamento  degli  interessi  coinvolti,  in  quanto
l'inesistenza  di  tale  legame   biologico   costituirebbe   l'unica
condizione per l'accoglimento dell'azione. 
    Osserva il curatore che l'interesse del minore alla  salvaguardia
del proprio legame con la madre (ed indirettamente  con  la  famiglia
d'origine materna)  potrebbe,  in  ipotesi,  essere  preservato  solo
mediante lo strumento di cui all'art. 44 della legge n. 184 del 1983,
previa rimozione dell'attuale status filiationis per parte di  madre.
Tale possibilita' sarebbe, tuttavia, del tutto  aleatoria,  non  solo
perche' dipendente dalla libera iniziativa del genitore  sociale,  ma
anche perche' subordinata al consenso dell'altro  genitore.  Inoltre,
l'eventuale legame cosi' costituito sarebbe comunque piu'  debole  di
quello derivante dalla maternita' naturale,  attese  le  peculiarita'
proprie dell'adozione in casi particolari. 
    Rispetto all'interpretazione offerta dalla precedente sentenza n.
112 del 1997, sarebbe oggi necessario un riesame della questione, per
riscontrare se, nell'attuale momento storico-sociale  e  nell'attuale
panorama normativo e giurisprudenziale, sussista ancora la necessita'
di individuare nella verita' del rapporto  di  filiazione  un  valore
preminente, da tutelare in via prioritaria. 
    4.1.1.- In primo luogo, ad  avviso  del  curatore,  il  principio
secondo cui ogni falsa apparenza di stato deve cadere, cosi' come  il
principio  del  favor  veritatis,   non   assurgerebbero   a   valori
costituzionalmente garantiti. L'art. 30 Cost. non avrebbe attribuito,
infatti, un valore  preminente  alla  verita'  biologica  rispetto  a
quella legale. Al contrario, nel disporre, al quarto comma, che «[l]a
legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternita'»,  la
Costituzione  avrebbe  demandato  al   legislatore   il   potere   di
privilegiare  la  paternita'  legale  rispetto  a  quella   naturale,
fissando le condizioni e le modalita' per far valere quest'ultima  ed
affidandogli  la  valutazione  della  soluzione   piu'   idonea   per
realizzare la  coincidenza  tra  la  discendenza  naturale  e  quella
biologica. 
    L'interesse pubblico alla verita'  dello  status  di  filiazione,
dunque, non dovrebbe  necessariamente  ed  automaticamente  prevalere
sull'interesse  del   minore.   Anche   la   normativa   interna   ed
internazionale,  oltre  ad  avere  posto  il  minore  al  centro  dei
procedimenti promossi  a  sua  tutela,  avrebbe  altresi'  prescritto
l'obbligo di verificare l'interesse del minore, affinche'  lo  stesso
possa  essere  oggetto  di  bilanciamento  con  gli  altri  interessi
meritevoli di tutela. 
    In particolare, nella mutata coscienza sociale, tra gli interessi
giuridici del minore rileverebbero l'interesse  alla  stabilita'  dei
legami familiari e quello  a  vivere  e  crescere  all'interno  della
propria famiglia. In tal senso, sia la legge n. 219 del 2012, sia  il
decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154  (Revisione  delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma  dell'articolo
2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), avrebbero  introdotto  nuovi
termini di decadenza ed imposto limiti piu' stringenti al potere  dei
genitori di agire per il disconoscimento del figlio, cosi'  come  per
l'impugnazione del riconoscimento, per l'acquisita consapevolezza che
la tutela dell'identita' e  della  vita  personale  e  familiare  del
minore non sempre  coinciderebbe  con  la  rimozione  di  uno  status
personale non conforme alle origini biologiche. 
    Le modifiche legislative avrebbero posto al centro  del  rapporto
di   filiazione   il   concetto   di   responsabilita'   genitoriale,
ridisegnando  la  disciplina  delle  azioni  di  disconoscimento   di
paternita' e  di  impugnazione  del  riconoscimento  per  difetto  di
veridicita', nella prospettiva della  prevalenza  dell'interesse  del
figlio  alla  stabilita'  del  rapporto.  D'altra  parte,  anche   la
giurisprudenza di legittimita' avrebbe riconosciuto il rilievo  delle
relazioni consolidatesi nel tempo tra genitore e  figlio,  alla  luce
del  diritto  di  quest'ultimo  a   conservare   tale   profilo   che
caratterizza  fin  dalla  nascita  l'identita'  personale  (Corte  di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962). 
    Il   curatore   evidenzia,   inoltre,   che   la   piu'   recente
giurisprudenza di merito ha esteso la portata applicativa dell'art. 9
della legge n. 40 del 2004, dichiarando l'illegittimita'  dell'azione
di impugnazione del riconoscimento intrapresa da terzi nei  confronti
di un figlio minore nato da fecondazione eterologa, cosi'  estendendo
«a  chiunque  vi  abbia  interesse»  il  divieto  di  disconoscimento
previsto solo nei confronti  dell'autore  del  riconoscimento  (Corte
d'appello di Milano, sentenza 10 agosto 2015, n. 3397). Alla luce  di
tale evoluzione giurisprudenziale, che  attenua  il  principio  della
prevalenza della verita' biologica, andrebbe escluso pertanto che  il
favor  veritatis  costituisca  valore  di  rilevanza   costituzionale
assoluta, tale da affermarsi comunque. 
    L'intervento  correttivo  auspicato  si  porrebbe  in  linea   di
continuita' con la  giurisprudenza  costituzionale  che  ha  ritenuto
illegittimo ogni automatismo legislativo che impedisca di  bilanciare
gli interessi tutelati con il preminente  interesse  del  minore  (e'
richiamata la sentenza  n.  31  del  2012).  La  necessita'  di  tale
bilanciamento sarebbe stata riconosciuta anche  dalle  sezioni  unite
civili della Corte di cassazione, nella sentenza del 25 gennaio 2017,
n. 1946, che ha fatto seguito alla sentenza n. 278 del 2013 di questa
Corte, in cui sarebbe  stato  affermato  il  diritto  del  figlio  di
accedere alle informazioni sulla madre che  si  fosse  avvalsa  della
facolta' di non essere nominata. 
    4.1.2.- Anche  a  livello  europeo,  si  dovrebbe  constatare  la
progressiva perdita di rilievo della verita' di sangue e  l'emersione
del rapporto affettivo della filiazione, quale elemento  fondamentale
per il riconoscimento dei legami tra genitori e figli sul  piano  del
diritto; sono richiamate le sentenze della  Corte  di  Strasburgo  27
aprile 2010, Moretti e Benedetti contro  Italia  (ricorso  16318  del
2007), e 1° aprile 2010, S.H. ed altri  contro  Austria  (ricorso  n.
57813 del 2000). 
    Inoltre, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4
maggio 1983, n. 184,  sul  diritto  alla  continuita'  affettiva  dei
bambini e  delle  bambine  in  affido  familiare)  farebbe  propri  i
principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte  EDU,  agevolando
l'attribuzione di rilievo giuridico al rapporto di  fatto  instaurato
tra i minori dichiarati adottabili e la famiglia affidataria. 
    L'interesse alla costituzione e  alla  conservazione  dei  legami
familiari, non  necessariamente  coincidente  con  la  verita'  delle
origini  biologiche,   sarebbe   riconosciuto   quale   criterio   di
valutazione  centrale  e  riguarderebbe  ormai   anche   i   soggetti
maggiorenni. Al riguardo, e' richiamata l'ordinanza del Tribunale  di
Firenze 30 luglio 2015 che ha rigettato  un'istanza  di  accertamento
della non corrispondenza del  DNA  del  presunto  padre  defunto  con
quello della figlia maggiorenne, al fine di proporre l'azione di  cui
all'art. 263 cod. civ. 
    Ed invero, la tendenza a far prevalere i valori costituzionali di
solidarieta' e  di  tutela  dell'individuo  e  della  vita  familiare
sarebbe ravvisabile in ogni  settore  del  diritto  di  famiglia.  E'
richiamata, al riguardo,  la  sentenza  della  Corte  di  cassazione,
sezione prima civile, 21 aprile 2015,  n.  8097,  con  cui  e'  stata
ritenuta invalida l'annotazione di cessazione  degli  effetti  civili
del matrimonio, rispetto ad una coppia in cui uno dei  coniugi  aveva
ottenuto, con il consenso dell'altro, la rettificazione di sesso. 
    4.2.- Sulla base di  tali  considerazioni,  dunque,  il  curatore
ritiene fondati gli argomenti svolti dall'ordinanza di rimessione. 
    4.2.1.- Riguardo al contrasto con l'art.  2  Cost.,  il  curatore
sottolinea come l'esigenza di tutelare il diritto del  figlio  minore
alla propria identita' sia stata affermata sin dalla sentenza n.  112
del   1997.   In   tale   pronuncia   sarebbe   stata   esclusa   una
contrapposizione  tra  il  favor  veritatis  ed  il  favor   minoris,
intendendo cosi' far coincidere l'identita' del minore  con  la  sola
discendenza genetica  dello  stesso.  Si  tratterebbe,  tuttavia,  di
un'interpretazione oltremodo restrittiva ed impropria del concetto di
identita' personale, non piu' conforme all'attuale coscienza sociale. 
    L'identita' personale, infatti, sarebbe un concetto dinamico, non
cristallizzato al momento del concepimento. Essa si svilupperebbe nel
tempo, per effetto delle relazioni create con il mondo  esterno,  del
nome   e   del   cognome   scelto   dai   genitori   alla    nascita,
dell'appartenenza al luogo dove  si  cresce,  della  propria  storia,
cultura e tradizioni e, soprattutto, dei genitori e delle  rispettive
famiglie d'origine, che condizionano il processo di crescita. 
    Anche la Corte  di  cassazione,  di  recente,  avrebbe  condiviso
questi principi, riconoscendo la risarcibilita'  del  danno  arrecato
dal padre al figlio  a  causa  dell'esperimento  dell'azione  di  cui
all'art. 263 cod.  civ.  In  tale  occasione,  si  e'  affermato  che
l'identita', come tutti i diritti della personalita', «si rafforza  e
si consolida con il passare del tempo. Pertanto, maggiore e' il lasso
di tempo  intercorso  tra  il  riconoscimento  e  l'impugnazione  per
difetto di veridicita', maggiore sara' la lesione che ne discende  al
diritto all'identita' personale» (Corte di cassazione, sezione  prima
civile, sentenza 31 luglio 2015, n. 16222). 
    D'altra parte, la rimozione dello status  filiationis,  ai  sensi
dell'art. 263 cod. civ., non garantirebbe affatto  l'acquisizione  di
una genitorialita' corrispondente a verita'.  Il  genitore  biologico
potrebbe, infatti, rifiutare il riconoscimento, quest'ultimo potrebbe
essere contrario all'interesse del minore, oppure,  come  accade  nei
casi di maternita' surrogata, il genitore biologico  potrebbe  essere
non identificabile. In tali circostanze sarebbe leso anche il diritto
del  minore  alla   bigenitorialita',   diritto   riconosciuto   come
preminente dalla legge  8  febbraio  2006,  n.  54  (Disposizioni  in
materia di separazione  dei  genitori  e  affidamento  condiviso  dei
figli). 
    4.2.2.- In riferimento all'art. 3 Cost., il curatore  rileva  che
l'esigenza di bilanciare  l'interesse  del  minore  con  il  pubblico
interesse alla certezza degli  status  sarebbe  stata  affermata  dal
legislatore in tutte le azioni in materia di riconoscimento dei figli
(artt. 250, 251 e  269  cod.  civ.).  Se  in  tali  azioni,  tese  ad
estendere i legami  di  filiazione  del  minore,  e'  stata  ritenuta
necessaria  la  valutazione  dell'interesse  del  medesimo,  non   si
comprenderebbe perche' essa non possa compiersi anche nelle azioni il
cui accoglimento comporta la rescissione  di  tali  legami  e  quindi
l'impoverimento delle relazioni familiari del minore. 
    4.2.3.- Quanto al contrasto con gli  artt.  30  e  31  Cost.,  il
curatore deduce che, nei giudizi  di  accertamento  del  rapporto  di
filiazione, la prevalenza incondizionata del favor veritatis  sarebbe
stata messa in  dubbio  dalla  giurisprudenza.  Al  riguardo,  si  fa
rilevare che gli artt. 30 e 31 Cost. riconoscono che la ricerca della
filiazione biologica puo'  incontrare  dei  limiti,  derivanti  dalla
necessita' di bilanciamento con  altri  interessi  costituzionalmente
garantiti, primo fra tutti l'interesse del minore. La preminenza  del
favor veritatis non sarebbe  espressione  di  valori  costituzionali,
bensi' il portato di una  concezione  arretrata  e  formalistica  dei
rapporti familiari, ormai estranea al comune sentire. 
    4.2.4.- Da ultimo, quanto al  contrasto  con  l'art.  117,  primo
comma, Cost., il curatore osserva  che  l'art.  8  della  CEDU,  come
interpretato dalla Corte di Strasburgo, imporrebbe in via prioritaria
al  legislatore  nazionale  di  tutelare  il  legame  di  filiazione,
ancorche'   originato   attraverso   pratiche    ritenute    illecite
dall'ordinamento nazionale. 
    Non  potrebbe,  dunque,  ritenersi  giustificata  una  previsione
legislativa, come quella censurata, che  impone  la  rimozione  dello
status   filiationis,   precludendo   ogni   valutazione   circa   la
corrispondenza di questa decisione all'interesse del minore. In  cio'
sarebbe ravvisabile un eccesso di  discrezionalita'  legislativa.  Di
converso, laddove e' in gioco il best interest  of  the  child  e  la
tutela della sua  identita',  il  margine  di  tale  discrezionalita'
sarebbe  strettissimo,  dovendosi  ispirare  alla  promozione   della
persona del minore (oltre alle gia' citate sentenze 26  giugno  2014,
Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, e' richiamata  la
sentenza della Grande camera  10  aprile  2007,  Evans  contro  Regno
Unito, ricorso n. 2346 del 2002). 
    Viceversa, l'art. 263  cod.  civ.  tradirebbe  tale  scopo.  Esso
sacrificherebbe ogni considerazione centrata sulla persona del minore
ad un  presunto  interesse  pubblico  alla  verita'  biologica  della
procreazione, violando anche i principi desumibili dalle  convenzioni
internazionali che l'Italia  ha  sottoscritto,  prima  tra  tutte  la
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nonche'  la  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    Il curatore deduce che, nella giurisprudenza della Corte EDU,  la
sussistenza di legami familiari sarebbe legata  all'esistenza,  anche
solo nei fatti, di stretti vincoli affettivi (Grande camera, sentenza
13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, ricorso n. 6833  del  1974),  a
prescindere dalla loro qualificazione  giuridica  formale,  ed  anzi,
talvolta, anche se la legge nazionale rifiuti di riconoscerli (Grande
camera, sentenza 27 ottobre 1994, Kroon ed altri contro Paesi  Bassi,
ricorso n. 18535 del 1991, e sentenza 22 aprile 1997, X, Y e Z contro
Regno Unito, ricorso n. 21830 del 1993). 
    Nella  nozione  di  vita  familiare,  da  proteggersi  ai   sensi
dell'art. 8 della CEDU, rientrerebbe il legame tra il  figlio  ed  il
genitore, anche se tale relazione non ha  presupposti  biologici,  ma
solo affettivi (Prima sezione, sentenza  16  luglio  2015,  Nazarenko
contro Russia, ricorso n. 39438 del 2013). Il rapporto di  filiazione
sarebbe espressione della vita privata o, come nel caso che  ha  dato
origine al presente giudizio, espressione  di  vita  familiare.  Cio'
sarebbe confermato  dalla  stessa  posizione  del  Governo  italiano,
espressa di fronte alla Corte EDU nel  caso  Paradiso  e  Campanelli,
laddove e' stata ammessa la possibilita' di  una  vita  familiare  de
facto, anche in assenza di legame biologico con entrambi i genitori. 
    Ove il  legame  biologico  sussista  solo  nei  confronti  di  un
genitore (come nel caso in esame) si potra' invocare l'art.  8  della
CEDU, nell'accezione di "vita familiare".  Laddove  tale  legame  non
sussista, la protezione della filiazione  "sociale"  dovrebbe  essere
riconosciuta quale declinazione della "vita privata" del minore. 
    5.- Nel giudizio innanzi alla Corte, e' intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o comunque non fondata. 
    5.1.-  La  difesa  statale   ha   eccepito,   in   primo   luogo,
l'inammissibilita' della questione,  in  quanto  volta  ad  inserire,
attraverso  una  pronuncia   additiva,   una   condizione   esclusiva
(l'interesse del minore) ai fini dell'impugnazione del riconoscimento
di figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore  stabilire
se l'accoglimento  di  tale  impugnazione  debba  essere  subordinato
unicamente all'interesse del minore all'appartenenza familiare. 
    5.2.- Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. 
    La ratio dell'art. 263  cod.  civ.,  quale  strumento  di  tutela
dell'interesse superiore alla corrispondenza tra realta'  naturale  e
verita' apparente, sarebbe quella di far cadere il riconoscimento non
rispondente  al  vero.  Verrebbe  in  rilievo,  quindi,   l'interesse
oggettivo dell'ordinamento alla verita' dello status  di  filiazione,
attinente  a  principi  di  ordine  pubblico,  intesi  come  principi
fondamentali ed irrinunciabili. Ad avviso della  difesa  statale,  il
principio del favor veritatis esprime  un'esigenza  di  certezza  nei
rapporti di filiazione e la protezione dell'interesse del  minore  si
realizzerebbe proprio nel riconoscimento  del  diritto  alla  propria
identita' (sono richiamate la sentenza n. 112 del 1997 e  l'ordinanza
n. 7 del 2012). 
    La ratio dell'art. 263 cod.  civ.  consisterebbe  nell'attuazione
del diritto del minore all'acquisizione di uno  stato  corrispondente
alla realta' biologica, ovvero, qualora cio' non  sia  possibile,  di
uno stato corrispondente  a  quello  di  figlio  legittimo,  ma  solo
attraverso le garanzie offerte dalla disciplina dell'adozione. 
    Non sarebbe, dunque, ravvisabile alcun  contrasto  con  l'art.  2
Cost., perche' lo scioglimento dei vincoli assunti dal genitore verso
il    preteso    figlio    realizzerebbe    l'interesse     oggettivo
dell'ordinamento alla verita' dello status. 
    Non potrebbero ritenersi lesi neppure  i  principi  di  cui  agli
artt. 30 e 31 Cost. Essi non sarebbero invocabili laddove  il  legame
familiare venga meno, in quanto privato del fondamento della  verita'
della filiazione naturale. 
    Inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun  contrasto  con  l'art.  3
Cost. e quindi con il principio di ragionevolezza, perche' l'art. 263
cod. civ. sarebbe giustificato dalla superiore esigenza di far cadere
ogni falsa apparenza di status. 
    Infine, non sussisterebbe neppure la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 della CEDU,  non  essendo
in discussione la tutela della vita privata del  minore,  ma  il  suo
diritto alla identita' personale, sotto  il  profilo  del  legame  di
filiazione. 
    5.3.-  Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello   Stato,   la
questione sarebbe manifestamente infondata,  non  ravvisandosi  nella
considerazione del favor veritatis una ragione di  conflitto  con  il
favor minoris. La verita' biologica della  procreazione  costituisce,
infatti,  una  componente  essenziale  dell'interesse  del   medesimo
minore, dovendo essergli garantito il diritto alla propria  identita'
e all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico (sentenze n.
216 e  n.  112  del  1997).  L'intangibilita'  dello  status  sarebbe
recessiva  rispetto  a  tale   diritto,   laddove   venga   meno   la
corrispondenza alla verita' biologica (sentenza n. 170 del 1999). 
    6.- In prossimita' dell'udienza pubblica, il curatore speciale ha
depositato una memoria integrativa in cui, dopo  avere  ribadito  gli
argomenti gia' illustrati nelle precedenti  difese,  ha  sottolineato
che la mancata previsione della valutazione dell'interesse del minore
impedirebbe di tener conto che, nel caso in esame, tale interesse  e'
stato, in parte, gia' accertato dal Tribunale per i minorenni con  la
sentenza che ha dichiarato non luogo a provvedere sull'adottabilita'.
Il curatore speciale ritiene, peraltro, che  una  volta  ricevuto  il
mandato dal medesimo Tribunale, egli  non  avrebbe  potuto  astenersi
dallo svolgere tale incarico. 
    6.1.- In riferimento all'eccezione di inammissibilita'  sollevata
dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  relativa  all'incidenza  che
un'eventuale pronuncia di accoglimento avrebbe sulla discrezionalita'
del legislatore, si osserva che in  questo  caso  e'  richiesta  alla
Corte l'eliminazione di un automatismo  normativo  che  impedisce  un
bilanciamento tra gli  interessi  in  gioco,  cio'  che  rientrerebbe
pienamente nelle sue attribuzioni. D'altra parte, interventi additivi
della giurisprudenza costituzionale sarebbero  frequenti  proprio  in
materia di tutela d'interesse del minore (sono richiamate le sentenze
n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 50 del 2006 e n. 297 del 1996). 
    6.2.- Da ultimo, il curatore speciale contesta  che,  nel  nostro
ordinamento, vi sia una  necessaria  coincidenza  tra  interesse  del
minore e favor veritatis. Ogni rigidita' e automatismo in tal  senso,
anzi, potrebbero risultare pregiudizievoli per il minore. 
    E'  richiamata,  in  particolare,  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezione prima civile, 22 dicembre 2016, n. 26767, che  ha
ritenuto essenziale il bilanciamento tra gli interessi in  gioco,  in
considerazione del superamento della  concezione  della  famiglia  su
base essenzialmente genetica. 
    D'altra parte, un distacco tra  identita'  genetica  e  identita'
giuridica sarebbe alla base proprio della  disciplina  dell'adozione,
la quale costituisce espressione di un principio  di  responsabilita'
di chi  sceglie  di  essere  genitore,  facendo  sorgere  nel  figlio
"desiderato"  un  legittimo  affidamento  sulla   continuita'   della
relazione. 
    Il curatore evidenzia che - a conferma del  riconoscimento  della
valenza   del   genitore   sociale   -   la   stessa   giurisprudenza
costituzionale ha richiamato proprio l'istituto dell'adozione.  Nella
sentenza n. 162 del 2014 si sottolinea,  infatti,  che  esso  mira  a
garantire una famiglia ai minori, evidenziando  che  «il  dato  della
provenienza genetica non  costituisce  un  imprescindibile  requisito
della famiglia stessa». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Nel  corso  di   un   procedimento   di   impugnazione   del
riconoscimento di figlio naturale  per  difetto  di  veridicita',  la
Corte d'appello di Milano  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 263 del codice civile, in  riferimento  agli
artt.  2,  3,  30,  31  e  117,  primo  comma,  della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  8  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(d'ora  in  avanti:  CEDU),  firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La disposizione e' censurata nella parte in cui non  prevede  che
l'impugnazione del riconoscimento del figlio minore  per  difetto  di
veridicita'  possa  essere  accolta  solo  quando   sia   rispondente
all'interesse dello stesso. 
    2.- Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei  ministri,
intervenuto  nel   giudizio   incidentale,   la   questione   sarebbe
inammissibile in quanto volta ad inserire, attraverso  una  pronuncia
additiva, una condizione esclusiva (l'interesse del minore)  ai  fini
dell'impugnazione   del   riconoscimento   del    figlio    naturale.
Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l'accoglimento di
tale impugnazione debba essere subordinato all'interesse  del  minore
all'appartenenza familiare. 
    L'eccezione di inammissibilita' e' priva di fondamento. 
    Al riguardo, va rilevato che il petitum del rimettente  e'  volto
al riconoscimento della  possibilita'  di  valutare  l'interesse  del
minore, ai fini della decisione sull'impugnazione del riconoscimento.
Ove  si  neghi  tale  possibilita',  l'accoglimento   della   domanda
rimarrebbe   condizionato   soltanto   all'accertamento   della   non
veridicita'   del   riconoscimento.   In    definitiva,    attraverso
l'intervento  invocato,  e'  denunciata  l'irragionevolezza   di   un
automatismo decisorio che impedirebbe di tenere conto degli interessi
in gioco. Il sindacato di legittimita'  rimesso  a  questa  Corte  e'
limitato, pertanto, alla verifica del fondamento  costituzionale  del
denunciato  meccanismo  decisorio,  senza  alcuna  interferenza   sul
contenuto di scelte discrezionali rimesse al legislatore. 
    3.-  Sempre  in  via  preliminare,  occorre  delimitare  l'ambito
dell'indagine che il giudice intende rimettere alla Corte  in  questa
occasione. 
    Secondo questa prospettazione, il giudizio a quo ha  per  oggetto
l'accertamento dell'inesistenza del  rapporto  di  filiazione  di  un
minore nato attraverso il ricorso  alla  surrogazione  di  maternita'
realizzata all'estero. Non e' tuttavia in discussione la legittimita'
del divieto di tale pratica, previsto dall'art. 12,  comma  6,  della
legge 19 febbraio 2004, n.  40  (Norme  in  materia  di  procreazione
medicalmente  assistita),  e  nemmeno  la  sua  assolutezza.  Risulta
parimenti   estraneo   alla   odierna   questione   di   legittimita'
costituzionale il tema dei limiti alla trascrivibilita' in Italia  di
atti di nascita formati all'estero. 
    La questione sollevata dalla Corte d'appello  di  Milano  ha  per
oggetto, infatti, la disciplina dell'azione di impugnazione  prevista
dall'art. 263 cod. civ., volta a rimuovere lo stato di  figlio,  gia'
attribuito   al   minore   per   effetto   del   riconoscimento,   in
considerazione del suo difetto di veridicita'. 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 263 cod. civ. non e' fondata. 
    Nell'interpretazione  fatta  propria  dal  rimettente  la   norma
censurata si porrebbe in contrasto con i principi di cui  agli  artt.
2, 3, 30, 31 e 117, primo comma,  Cost.,  poiche',  nel  giudizio  di
impugnazione  del  riconoscimento  del  figlio  naturale,  essa   non
consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell'interesse del minore
«a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato  di  filiazione  quanto
piu' rispondente alle  sue  esigenze  di  vita».  Tuttavia,  siffatta
interpretazione non puo' essere condivisa, neppure nei casi nei quali
il legislatore imponga di non pretermettere la verita'. 
    4.1.-   Pur   dovendosi   riconoscere   un   accentuato    favore
dell'ordinamento per la conformita' dello status alla  realta'  della
procreazione, va escluso che quello dell'accertamento  della  verita'
biologica  e  genetica  dell'individuo  costituisca  un   valore   di
rilevanza costituzionale assoluta,  tale  da  sottrarsi  a  qualsiasi
bilanciamento. 
    Ed  invero,  l'attuale  quadro  normativo  e  ordinamentale,  sia
interno, sia internazionale, non  impone,  nelle  azioni  volte  alla
rimozione dello status filiationis,  l'assoluta  prevalenza  di  tale
accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti. 
    In tutti i casi di possibile divergenza tra identita' genetica  e
identita' legale, la necessita' del  bilanciamento  tra  esigenze  di
accertamento della verita' e interesse concreto del  minore  e'  resa
trasparente dall'evoluzione ordinamentale intervenuta e  si  proietta
anche sull'interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in
esame. 
    4.1.1.- A questo riguardo va  preliminarmente  osservato  che  la
disposizione  dell'art.  263  cod.  civ.  e'  stata   censurata   dal
rimettente nella versione, applicabile ratione temporis,  antecedente
alle modifiche apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n.
154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a
norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219). 
    In particolare, l'art. 28 del medesimo d.lgs., in  vigore  dal  7
febbraio 2014, nel modificare  l'art.  263  cod.  civ.,  ha  limitato
l'imprescrittibilita' dell'azione esclusivamente a quella  esercitata
dal figlio. Analoga previsione e' stata inserita  -  con  riferimento
all'azione di disconoscimento di paternita' - nell'art.  244,  quinto
comma, cod. civ., nel testo introdotto dall'art. 18, primo comma, del
d.lgs. n. 154 del 2013.  Gli  altri  legittimati,  laddove  intendano
proporre le suddette azioni di contestazione degli status,  sono  ora
tenuti a rispettare i  termini  di  decadenza  previsti  dalla  nuova
disciplina. 
    Il legislatore delegato  ha  cosi'  garantito,  senza  limiti  di
tempo, l'interesse primario ed inviolabile dei figli all'accertamento
della propria identita' e discendenza  biologica.  Per  converso,  la
previsione di termini di  decadenza  per  gli  altri  legittimati  ha
circoscritto entro rigorosi limiti  temporali  l'esperibilita'  delle
azioni demolitorie dello status filiationis, assicurando cosi' tutela
al diritto del figlio alla stabilita' dello status acquisito. 
    La necessita' del bilanciamento dell'interesse del minore con  il
pubblico  interesse  alla  certezza  degli   status   e',   altresi',
espressamente prevista dal legislatore nelle  azioni  in  materia  di
riconoscimento  dei  figli  (artt.  250  e  251  cod.  civ.),   volte
all'estensione dei legami parentali del minore. 
    4.1.2.- D'altra parte, gia' l'art. 9 della legge n. 40  del  2004
aveva escluso che il coniuge o il convivente che abbiano acconsentito
al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di  tipo
eterologo  potessero  promuovere  l'azione   di   disconoscimento   o
impugnare il riconoscimento ai sensi dell'art. 263 cod. civ. 
    Al  riguardo   questa   Corte   ha   ritenuto   «confermata   sia
l'inammissibilita' dell'azione di  disconoscimento  della  paternita'
[...] e dell'impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo  novellato
dall'art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita  da  PMA
di  tipo  eterologo  non  da'  luogo  all'istituzione  di   relazioni
giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il  nato,  essendo,
quindi, regolamentati i principali profili dello stato  giuridico  di
quest'ultimo» (sentenza n. 162 del 2014). 
    Anche  in  questo  caso,  in   un'ipotesi   di   divergenza   tra
genitorialita' genetica e genitorialita' biologica, il  bilanciamento
e' stato effettuato dal  legislatore  attribuendo  la  prevalenza  al
principio di conservazione dello status filiationis. 
    4.1.3.- Proprio al fine di garantire tutela al bambino  concepito
attraverso fecondazione eterologa,  sin  da  epoca  antecedente  alla
legge n. 40 del 2004, questa Corte - senza mettere in discussione  la
legittimita'  di  tale  pratica,   «ne'   [...]   il   principio   di
indisponibilita' degli status nel rapporto di  filiazione,  principio
sul quale sono suscettibili di  incidere  le  varie  possibilita'  di
fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione»  -  si
e' preoccupata «invece di tutelare anche la persona nata a seguito di
fecondazione assistita,  venendo  inevitabilmente  in  gioco  plurime
esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per
il nuovo nato [...], non solo in relazione ai  diritti  e  ai  doveri
previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt.  30  e  31
della Costituzione, ma  ancor  prima  -  in  base  all'art.  2  della
Costituzione  -  ai  suoi  diritti  nei  confronti  di  chi  si   sia
liberamente  impegnato  ad  accoglierlo   assumendone   le   relative
responsabilita': diritti che e' compito del legislatore  specificare»
(sentenza n. 347 del 1998). 
    4.1.4.- Come evidenziato dallo stesso rimettente  in  riferimento
alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,  anche  il  quadro
europeo ed internazionale di tutela dei diritti dei minori  evidenzia
la  centralita'   della   valutazione   dell'interesse   del   minore
nell'adozione delle scelte che lo riguardano. 
    Tale principio ha trovato la sua  solenne  affermazione  dapprima
nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176, in forza della quale «[i]n tutte  le  decisioni  relative  ai
fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di
assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita'  amministrative  o
degli organi legislativi, l'interesse superiore  del  fanciullo  deve
essere una considerazione preminente» (art. 3, paragrafo 1). 
    Nella  stessa  direzione  si  pongono  la   Convenzione   europea
sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a  Strasburgo  il  25
gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n.
77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa
per una giustizia a misura di minore, adottate il 17  novembre  2010,
nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri. 
    Infine,  l'art.  24,  secondo  comma,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  sancisce  il
principio per il quale «[i]n tutti  gli  atti  relativi  ai  bambini,
siano essi compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni  private,
l'interesse   superiore   del   bambino   deve   essere   considerato
preminente». 
    D'altra parte, pur in assenza di un'espressa  base  testuale,  la
garanzia  dei  best  interests  of  the  child  e'  stata  riportata,
nell'interpretazione della Corte europea dei diritti  dell'uomo,  sia
all'art. 8, sia all'art. 14 della CEDU. Ed  e'  proprio  in  casi  di
surrogazione di maternita', nel valutare il rifiuto  di  trascrizione
degli atti di nascita nei registri dello stato civile  francese,  che
la Corte di Strasburgo ha affermato  che  il  rispetto  del  migliore
interesse dei minori deve guidare  ogni  decisione  che  li  riguarda
(sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro  Francia
e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n.  65941  del
2011). 
    4.1.5.- Va altresi' rammentato  che,  in  linea  con  i  principi
enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la legge  19  ottobre
2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto
alla continuita' affettiva dei bambini  e  delle  bambine  in  affido
familiare) ha valorizzato l'interesse del minore  alla  conservazione
di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di  sangue,
attraverso l'attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti  di  fatto
instaurati  tra  il  minore  dichiarato  adottabile  e  la   famiglia
affidataria. 
    D'altra parte, il distacco tra  identita'  genetica  e  identita'
legale e' alla base proprio della disciplina dell'adozione  (legge  4
maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad  una  famiglia»),
quale espressione di un principio di responsabilita' di  chi  sceglie
di essere genitore, facendo sorgere il  legittimo  affidamento  sulla
continuita' della relazione. 
    4.1.6.- Anche la giurisprudenza di questa Corte ha  riconosciuto,
da tempo, l'immanenza dell'interesse  del  minore  nell'ambito  delle
azioni volte alla rimozione del suo status filiationis  (sentenze  n.
112 del 1997, n. 170 del 1999 e n. 322 del 2011; ordinanza n.  7  del
2012). 
    In tale giurisprudenza si trovano  affermazioni  sul  particolare
valore della verita' biologica. Tuttavia  -  diversamente  da  quanto
ritiene il giudice a quo - essa non ha affatto negato la possibilita'
di  valutare  l'interesse  del  minore   nell'ambito   delle   azioni
demolitorie del rapporto di filiazione. E' stato riconosciuto che  la
verita' biologica  della  procreazione  costituisce  «una  componente
essenziale» dell'identita' personale del minore, la  quale  concorre,
insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto. 
    Pertanto, nell'auspicare  una  «tendenziale  corrispondenza»  tra
certezza formale e verita' naturale, si  e'  riconosciuto  che  anche
l'accertamento della verita' biologica  fa  parte  della  complessiva
valutazione rimessa al giudice,  alla  stregua  di  tutti  gli  altri
elementi che, insieme ad esso, concorrono a definire  la  complessiva
identita' del minore e,  fra  questi,  anche  quello,  potenzialmente
confliggente, alla conservazione dello status gia' acquisito. 
    Costituisce  infatti  «compito  precipuo  del  tribunale  per   i
minorenni, [...] verificare se la modifica dello  status  del  minore
risponda al suo interesse e non sia per  lui  di  pregiudizio;  cosi'
come  contemporaneamente  occorre  anche  verificare,  sia  pure  con
sommaria delibazione, la  verosimiglianza  del  preteso  rapporto  di
filiazione, dovendosi garantire il diritto del  minore  alla  propria
identita'» (sentenza n. 216 del  1997,  sulla  previgente  disciplina
dell'azione di disconoscimento della paternita', di  cui  agli  artt.
273 e 274 cod. civ.). 
    Nell'evoluzione  normativa  e  ordinamentale  del   concetto   di
famiglia, a  conferma  del  rilievo  giuridico  della  genitorialita'
sociale, ove non  coincidente  con  quella  biologica,  vi  e'  anche
l'espresso riconoscimento, da parte di questa  Corte,  che  «il  dato
della  provenienza  genetica  non  costituisce   un   imprescindibile
requisito della famiglia stessa» (sentenza n. 162 del 2014). 
    4.1.7.- L'esigenza  di  operare  un'adeguata  comparazione  degli
interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei  soggetti
coinvolti e,  in  particolare,  del  minore,  e'  stata  recentemente
riconosciuta  anche  dalla  Corte  di  cassazione,  con   riferimento
all'azione di disconoscimento della paternita'. 
    La giurisprudenza di legittimita' ha  escluso,  infatti,  che  il
favor veritatis costituisca un  valore  di  rilevanza  costituzionale
assoluta da affermarsi comunque, atteso che l'art. 30  Cost.  non  ha
attribuito  un  valore  indefettibilmente  preminente  alla   verita'
biologica rispetto a quella legale. Nel disporre,  al  quarto  comma,
che «[l]a legge detta le norme  e  i  limiti  per  la  ricerca  della
paternita'», l'art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il
potere di privilegiare, nel rispetto  degli  altri  valori  di  rango
costituzionale, la paternita'  legale  rispetto  a  quella  naturale,
nonche' di fissare le  condizioni  e  le  modalita'  per  far  valere
quest'ultima, cosi' affidandogli anche la valutazione in via generale
della soluzione piu' idonea per la realizzazione  dell'interesse  del
figlio (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 30 maggio
2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n.  26767;  e  3  aprile  2017,  n.
8617). 
    4.2.- E' alla luce di tali principi, immanenti anche  nel  mutato
contesto normativo e ordinamentale,  che  si  pone  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 263 cod. civ. 
    L'affermazione  della  necessita'  di  considerare  il   concreto
interesse del minore in tutte  le  decisioni  che  lo  riguardano  e'
fortemente radicata nell'ordinamento sia interno, sia  internazionale
e questa Corte,  sin  da  epoca  risalente,  ha  contribuito  a  tale
radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012,  n.
283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981). 
    Non si vede conseguentemente perche', davanti all'azione  di  cui
all'art. 263 cod. civ., fatta  salva  quella  proposta  dallo  stesso
figlio, il giudice non debba valutare: se l'interesse a far valere la
verita' di chi la solleva prevalga su  quello  del  minore;  se  tale
azione sia davvero idonea a realizzarlo (come e' nel  caso  dell'art.
264 cod. civ.);  se  l'interesse  alla  verita'  abbia  anche  natura
pubblica (ad esempio perche' relativa a pratiche vietate dalla legge,
quale e' la maternita' surrogata, che offende in  modo  intollerabile
la dignita' della donna e mina nel profondo le  relazioni  umane)  ed
imponga di tutelare l'interesse del minore nei limiti  consentiti  da
tale verita'. 
    Vi sono  casi  nei  quali  la  valutazione  comparativa  tra  gli
interessi e' fatta direttamente  dalla  legge,  come  accade  con  il
divieto di disconoscimento a seguito di  fecondazione  eterologa.  In
altri il legislatore  impone,  all'opposto,  l'imprescindibile  presa
d'atto  della  verita'  con  divieti  come  quello  della  maternita'
surrogata. Ma l'interesse del minore non e' per questo cancellato. 
    La valutazione del giudice e' presente, del resto,  nello  stesso
procedimento previsto dall'art. 264 cod. civ., volto alla nomina  del
curatore  speciale   del   figlio   minore,   laddove   l'azione   di
contestazione dello status sia esercitata nel suo interesse. E' anche
in questa sede, infatti, che il legislatore - sia pure con  i  limiti
derivanti dalla natura camerale del procedimento  -  ha  affidato  al
giudice  specializzato  il   compito   di   valutare,   ancor   prima
dell'instaurazione dell'azione, l'interesse del minore all'assunzione
di tale iniziativa giudiziale. 
    4.3.-  Se  dunque  non  e'  costituzionalmente  ammissibile   che
l'esigenza di verita' della filiazione si imponga in modo  automatico
sull'interesse  del  minore,  va  parimenti  escluso  che  bilanciare
quell'esigenza con tale interesse comporti l'automatica cancellazione
dell'una in nome dell'altro. 
    Tale bilanciamento comporta, viceversa, un  giudizio  comparativo
tra gli interessi sottesi all'accertamento della verita' dello status
e le conseguenze che da  tale  accertamento  possano  derivare  sulla
posizione giuridica del minore. 
    Si e' gia' visto come la regola di giudizio  che  il  giudice  e'
tenuto ad applicare in questi casi debba tenere  conto  di  variabili
molto piu' complesse della  rigida  alternativa  vero  o  falso.  Tra
queste, oltre alla durata del  rapporto  instauratosi  col  minore  e
quindi alla  condizione  identitaria  gia'  da  esso  acquisita,  non
possono non assumere  oggi  particolare  rilevanza,  da  un  lato  le
modalita' del concepimento  e  della  gestazione  e,  dall'altro,  la
presenza di strumenti legali che consentano  la  costituzione  di  un
legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da  quello
derivante  dal  riconoscimento,   quale   e'   l'adozione   in   casi
particolari, garantisca al minore una adeguata tutela. 
    Si tratta, dunque, di una valutazione  comparativa  della  quale,
nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la  considerazione
dell'elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento  riconnette
alla surrogazione di maternita',  vietata  da  apposita  disposizione
penale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 263 del codice civile, sollevata dalla Corte  d'appello  di
Milano, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  8  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA