N. 16 SENTENZA 10 - 30 gennaio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Patrocinio a spese dello Stato - Esclusione  della  liquidazione  del
  compenso al difensore della  parte  ammessa  al  beneficio  qualora
  l'impugnazione sia dichiarata inammissibile. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,
  recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
  in materia di spese di giustizia (Testo A)», art. 106. 
-   
(GU n.6 del 7-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  106  del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo  A)»,  promosso  dalla  Corte
d'appello di Salerno, sezione civile, nel procedimento  vertente  tra
G. A. e il Ministero della giustizia,  con  ordinanza  del  16  marzo
2017, iscritta al n. 100 del registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  33,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 gennaio  2018  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 marzo 2017 (r.o. n. 100  del  2017),  la
Corte  d'appello  di  Salerno,  sezione  civile,  ha  sollevato,   in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, secondo e terzo comma, e
36  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 106 del decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio
2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese  di  giustizia  (Testo  A)»,  nella
parte in cui prevede che «il compenso al difensore di  parte  ammessa
al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non  viene  liquidato
qualora  l'impugnazione   venga   dichiarata   inammissibile,   senza
distinzione alcuna in merito alla causa d'inammissibilita'». 
    1.1.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  state
sollevate nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto il ricorso  in
opposizione  a  un  decreto  di  mancato   pagamento   dei   compensi
professionali dovuti al  difensore  per  le  attivita'  espletate  in
favore di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. 
    La  Corte  rimettente  riferisce  che  tale  ricorso  era   stato
presentato contro  il  decreto  della  Corte  d'appello  di  Salerno,
sezione penale, che aveva rigettato la richiesta di liquidazione  dei
compensi  spettanti  al  difensore  in  relazione  al   ricorso   per
cassazione proposto nell'interesse dell'assistito. Tale  ricorso  era
volto ad ottenere la restituzione nel termine per  l'impugnazione  di
una sentenza di condanna la cui notifica di avviso di deposito  e  il
cui estratto contumaciale risultavano «erronei e contra legem per non
aver messo l'imputato in condizione di identificare  compiutamente  e
di conoscere il reale contenuto e le motivazioni  della  sentenza  di
condanna.  La  motivazione   della   sentenza   risultava,   infatti,
assolutamente illogica ovvero riferibile a fatti del tutto diversi ed
inconferenti rispetto ai fatti realmente ad oggetto del  procedimento
penale». 
    Dopo la proposizione  del  ricorso  per  cassazione  e  «dopo  la
scadenza del termine per proporlo», la Corte  d'appello  di  Salerno,
sezione penale, autonomamente adottava un'ordinanza, con cui rilevava
l'erronea formazione degli atti notificati all'imputato e ordinava la
rinnovazione di ogni adempimento. 
    La Corte rimettente riferisce che, successivamente, la  Corte  di
cassazione  -  pur  rilevando  la  fondatezza  delle  deduzioni   del
ricorrente - dichiarava inammissibile  il  ricorso  proposto  per  la
restituzione nel termine, in ragione della «sopravvenuta mancanza  di
interesse, preso atto dell'ordinanza  medio  tempore  adottata  dalla
Corte di Appello di Salerno», sezione penale. 
    A  fronte  di  tale  decisione  di  inammissibilita',  la   Corte
d'appello di Salerno, sezione penale, in applicazione  dell'art.  106
del d.P.R. n. 115 del 2002, rigettava la richiesta del  difensore  di
liquidazione dei compensi per le attivita' espletate. 
    Il difensore proponeva conseguentemente ricorso  in  opposizione,
chiedendo la liquidazione del compenso ed  eccependo,  in  subordine,
l'illegittimita' costituzionale del medesimo art. 106 del  d.P.R.  n.
115 del 2002, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. 
    1.2.- La Corte d'appello rimettente ricorda che  la  disposizione
censurata non riconosce la liquidazione del compenso al difensore per
le impugnazioni  che  siano  dichiarate  inammissibili,  al  fine  di
impedire che venga condotta,  «a  spese  dello  Stato  e  dunque  dei
contribuenti,  un'attivita'  difensiva   irrilevante,   superflua   e
meramente dilatoria». 
    Il  tenore  della  disposizione  sarebbe  tale  da  impedire   di
distinguere  tra  le  diverse   cause   di   inammissibilita'   delle
impugnazioni e, di conseguenza,  non  consentirebbe  di  pervenire  a
un'interpretazione che ne tenga conto, poiche' il precetto  normativo
«non lascia spazio a casi nei quali non sia ravvisabile la ratio  che
sostiene la norma». 
    Secondo la stessa Corte rimettente, nel caso  sottoposto  al  suo
giudizio  l'interesse  a  ricorrere  sussisteva  al   momento   della
proposizione del ricorso per  cassazione,  pur  essendo  venuto  meno
successivamente  per   cause   non   riconducibili   al   ricorrente.
L'attivita' svolta dal difensore, con riferimento  alla  proposizione
del  ricorso  per  cassazione,  infatti,  sarebbe  stata  «legittima,
opportuna e necessaria». 
    1.3.-  Il  giudice  a  quo,  di  conseguenza,  ritiene   che   la
disposizione censurata violi l'art. 3, secondo comma, Cost.,  perche'
«non prevede un trattamento  differenziato  di  situazioni  diverse»,
escludendo la liquidazione del compenso tutte le volte che il ricorso
sia  dichiarato  inammissibile   senza   tener   conto   del   motivo
dell'inammissibilita'. 
    Sarebbe violato anche l'art. 24, secondo e  terzo  comma,  Cost.,
poiche' non risulterebbe garantito il diritto inviolabile di agire in
giudizio per la tutela dei  propri  diritti  e  interessi  legittimi,
laddove non venga «liquidato un compenso per un ricorso  che,  quando
proposto, risultava ammissibile, con evidente  sperequazione  tra  la
situazione dei cittadini che non si valgono del  gratuito  patrocinio
rispetto a quelli  che  si  trovano  nelle  condizioni  per  fruirne,
perche'  questi  ultimi,  diversamente  dai   primi,   risulterebbero
danneggiati dalla possibilita' del mancato compenso». 
    Risulterebbe violato, infine, l'art. 36 Cost., che riconosce  «il
diritto ad un'equa retribuzione», poiche' non verrebbe «liquidato  il
compenso a chi ha effettivamente svolto il proprio lavoro  proponendo
un'impugnazione di fatto ammissibile ma che, per motivi sopravvenuti,
non veniva accolta». 
    2.- Con atto depositato il 5 settembre 2017,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  siano   dichiarate   non
fondate, perche' la disposizione censurata «appare  perfettamente  in
linea con il dettato della Carta». 
    2.1.- Innanzitutto, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che
la «parziale riduzione della liquidazione delle spese  di  giudizio»,
laddove vi sia ammissione al patrocinio  a  spese  dello  Stato,  sia
«ragionevole alla luce della eccezionalita' della finalita' che  essa
persegue», poiche' la necessita' di garantire l'accesso al diritto di
difesa deve tenere conto dell'esigenza, «pur essa  costituzionalmente
tutelata, di contenere la spesa pubblica». 
    In questa  prospettiva,  il  legislatore  non  potrebbe  ignorare
l'esistenza di comportamenti poco virtuosi o  «addirittura  abusivi»,
posti  in  essere  dalla  parte  e  dal  difensore  che   considerano
«un'ulteriore  impugnazione,  per  quanto  in   ipotesi   palesemente
infondata, [...] in ogni caso "a costo zero"».  Secondo  l'Avvocatura
generale   dello   Stato,   l'irragionevole   coltivazione   di   una
impugnazione porrebbe a rischio le finalita'  di  contenimento  della
spesa pubblica, alla base della  disposizione  censurata,  senza  che
cio' sia realmente giustificato da una sostanziale esigenza di tutela
del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. 
    L'interveniente, inoltre, sostiene che la  scelta  di  negare  la
corresponsione del compenso, sulla base di un elemento oggettivamente
individuabile,  ossia  «una  tipica  "sanzione"  processuale»   quale
sarebbe la declaratoria di inammissibilita', rientri nella  sfera  di
discrezionalita' del legislatore. Questa scelta  non  sarebbe  dunque
censurabile,   in   quanto   non   intrinsecamente   illogica,    ne'
contraddittoria. La dichiarazione di  inammissibilita'  designerebbe,
infatti, pur con un  termine  «dal  significato  non  univoco»,  «una
situazione processuale  diversa  dalla  semplice  "infondatezza"  del
mezzo di gravame: una situazione piu' grave, in seguito alla quale il
Giudice rileva ictu oculi la non  fondatezza  della  impugnazione,  o
addirittura non passa all'esame del merito della controversia». 
    2.2.- Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, di  conseguenza,
non potrebbe ravvisarsi alcuna violazione dell'art. 3 Cost.,  poiche'
la «circostanza che vi possano essere varie ipotesi  di  declaratoria
di inammissibilita'  -  concretamente  valutate  caso  per  caso  dal
Giudice dell'impugnazione - non crea alcuna  discriminazione  tra  le
parti assistite, considerato anche che la diversita' delle  attivita'
poste in essere dai  singoli  difensori  nei  distinti  processi  non
sembra dar luogo ad una possibile ragionevole  comparazione  ai  fini
che qui interessano». 
    Allo stesso modo, sarebbe da escludere la violazione dell'art. 24
Cost., poiche' il  gravame  puo'  essere  in  ogni  caso  liberamente
proposto, la  mancata  liquidazione  interviene  successivamente  nei
confronti del  difensore  e  non  della  parte  e  il  ricorrere  dei
presupposti per l'applicabilita'  della  disposizione  censurata  ben
potrebbe  essere  previsto  dal  difensore,  con  la  sua   diligenza
professionale. A conforto delle proprie argomentazioni,  l'Avvocatura
generale dello Stato richiama specificamente l'ordinanza n.  261  del
2013 della Corte costituzionale, secondo cui, in materia di riduzione
dei compensi professionali, non sarebbe sostenibile che una  generale
riduzione delle tariffe forensi limiti l'accesso alla giustizia e  il
diritto di difesa. 
    Andrebbe esclusa, infine, anche la violazione dell'art. 36 Cost.,
poiche' il compenso al difensore  andrebbe  sempre  inteso  «come  un
corrispettivo unitario, non "frantumabile" nelle singole voci che  lo
compongono». 
    Da ultimo, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  richiama  l'art.
106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 (in tema di riduzione dei compensi
del  difensore,  del  consulente  d'ufficio  e  di  parte),  la   cui
conformita' a Costituzione sarebbe stata «di recente ritenuta»  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n.  13  del  2016,  che  avrebbe
sottolineato che l'art. 36 Cost. e'  male  evocato  in  relazione  ai
compensi per le singole prestazioni professionali che non si prestano
a rientrare in uno schema che involga un confronto fra prestazioni  e
retribuzione e quindi un giudizio su adeguatezza e sufficienza  della
stessa retribuzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Salerno, sezione civile, ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 3,  secondo  comma,  24,  secondo  e  terzo
comma,  e  36   della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  106  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo  A)»,  nella  parte  in  cui  prevede  che  non  sia
liquidato il compenso al difensore di una parte ammessa al patrocinio
a  spese  dello   Stato   qualora   l'impugnazione   sia   dichiarata
inammissibile, senza permettere alcuna  distinzione  in  merito  alla
causa d'inammissibilita'. 
    Il rimettente individua la ratio della disposizione censurata nel
«divieto di condurre» a  spese  dello  Stato  un'attivita'  difensiva
irrilevante, superflua o meramente dilatoria. Riconosce che, nel caso
oggetto del giudizio principale, l'inammissibilita' dell'impugnazione
non e' ricollegabile ad  alcuna  responsabilita'  del  ricorrente,  e
sottolinea, anzi, che l'attivita' svolta dal difensore  e'  risultata
«legittima, opportuna e necessaria». Ciononostante,  ritiene  che  il
compenso non possa essere liquidato a quest'ultimo, perche' il tenore
letterale  della  disposizione   censurata   non   consentirebbe   di
differenziare   tra    le    diverse    ragioni    d'inammissibilita'
dell'impugnazione, e  percio'  di  distinguere,  riguardo  ai  motivi
d'inammissibilita', tra  quelli  facilmente  prevedibili  ex  ante  e
quelli  invece  non  prevedibili   perche'   sopravvenuti   dopo   la
presentazione del ricorso. 
    Per questa ragione, a suo avviso, l'art. 106 del  d.P.R.  n.  115
del 2002 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, secondo  comma,  e
24,  secondo  e  terzo  comma,  Cost.  Infatti,  non  consentendo  di
distinguere le diverse cause che hanno  condotto  alla  dichiarazione
d'inammissibilita' delle impugnazioni,  tale  disposizione  finirebbe
irragionevolmente per trattare allo stesso modo situazioni del  tutto
diverse, compromettendo, in particolare, il  diritto  di  difesa  dei
soli soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato. 
    Sarebbe violato, infine, l'art. 36 Cost. e,  quindi,  il  diritto
del difensore  a  una  equa  retribuzione,  poiche'  la  disposizione
censurata impedirebbe che a costui  sia  liquidato  il  compenso  per
un'attivita' professionale effettivamente  svolta,  in  relazione  ad
un'impugnazione dichiarata inammissibile per motivi sopravvenuti alla
sua proposizione. 
    2.-  Benche'  nell'ordinanza  di  rimessione  la  censura  appaia
riferita all'intero art. 106 del d.P.R. n. 115 del  2002,  si  evince
agevolmente  dalla  motivazione  che  il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale riguarda, in realta', il solo primo comma dello stesso
articolo, nella parte in cui stabilisce che in caso  di  impugnazioni
inammissibili non si da' luogo alla  liquidazione  del  compenso  del
difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello  Stato.  A
tale comma, dunque,  deve  limitarsi  il  giudizio  di  questa  Corte
(sentenze n. 35 del 2017 e n. 268 del 2016). 
    3.- La disposizione  riprende  -  nel  contesto  del  complessivo
riordino delle norme sulle spese del procedimento  giurisdizionale  -
il precetto contenuto nell'art.  12,  comma  2-bis,  della  legge  30
luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese  dello  Stato
per i non abbienti), a sua volta introdotto dall'art.  11,  comma  2,
della legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche  alla  legge  30  luglio
1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello  Stato
per i  non  abbienti).  Proprio  con  tale  ultima  disposizione,  in
particolare, si era prevista la liquidazione del compenso per le sole
impugnazioni non dichiarate inammissibili, previsione  confluita  nel
censurato art. 106, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    3.1.- La soluzione delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate  richiede  di  verificare  se  il  tenore  letterale  della
disposizione censurata impedisca effettivamente di assegnare  rilievo
alle   diverse   circostanze   che   determinano   l'inammissibilita'
dell'impugnazione, e sia quindi necessario un  intervento  di  questa
Corte   che   elimini   l'asserito   inevitabile   collegamento   tra
inammissibilita' del ricorso e  mancata  liquidazione  del  compenso,
come nel caso deciso con  la  sentenza  n.  186  del  2000,  pur  non
sovrapponibile   a   quello   ora    in    esame,    che    dichiaro'
costituzionalmente illegittimo l'art. 616  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevedeva che la Corte di  cassazione,
in caso di inammissibilita' del ricorso,  possa  non  pronunciare  la
condanna in favore della cassa delle ammende, a  carico  della  parte
privata che abbia proposto il ricorso senza versare  in  colpa  nella
determinazione della causa di inammissibilita'. 
    Al fine da perseguire, anche per distinguere il presente caso  da
quello appena ricordato, soccorre la ratio della norma censurata,  da
individuare tenendo soprattutto conto  che  essa  e'  inserita  nella
Parte III del d.P.R. n. 115 del 2002, relativa al patrocinio a  spese
dello Stato, e in particolare nel Capo V  del  Titolo  II,  ove  sono
contenute disposizioni particolari sul processo penale. 
    In  tema  di  patrocinio  a  spese  dello  Stato,   e'   cruciale
l'individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia  del  diritto
di difesa per i non abbienti e necessita' di contenimento della spesa
pubblica in materia di giustizia. Del resto, nella giurisprudenza  di
questa Corte al riguardo (da ultimo, sentenza n.  178  del  2017)  e'
frequente il riferimento al generale obbiettivo di limitare le  spese
giudiziali, ed e' sottolineato il particolare scopo di contenere tali
spese soprattutto nei confronti delle parti private. 
    Non e' secondario che il comma 2 dello stesso art. 106 del d.P.R.
n. 115 del 2002 stabilisca che non possono essere liquidate le  spese
sostenute per le consulenze  tecniche  di  parte  che,  all'atto  del
conferimento dell'incarico, apparivano  irrilevanti  o  superflue  ai
fini della prova. 
    In  questa  stessa  prospettiva,  come  sottolinea   il   giudice
rimettente,  e  come  del  resto  emerge  dalla   giurisprudenza   di
legittimita' (in particolare, ex multis, Corte di cassazione, sezione
quarta penale, sentenza 13 agosto 2003, n. 34190), anche il  comma  1
dell'art. 106 del d.P.R. n. 115 del 2002  ha  inteso  scoraggiare  la
proposizione,  a  spese  dello  Stato,  di  impugnazioni  del   tutto
superflue, meramente dilatorie o improduttive  di  effetti  a  favore
della  parte,  il  cui  esito  di  inammissibilita'  sia   largamente
prevedibile o addirittura  previsto  prima  della  presentazione  del
ricorso. 
    Cosi', la disposizione censurata non limita irragionevolmente  il
diritto di difesa, ma sollecita una particolare attenzione in capo al
difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato. E  la
mancata liquidazione del compenso, se le impugnazioni coltivate dalla
parte siano dichiarate inammissibili, si giustifica, per  le  ipotesi
in cui la declaratoria di inammissibilita' dell'impugnazione  risulti
ex  ante  prevedibile,  proprio  perche',  altrimenti,  i  costi   di
attivita' difensive superflue sarebbero a carico della collettivita'. 
    3.2.-  Alla  luce  di  questa  ricostruzione,  le  questioni   di
legittimita'  costituzionale   sollevate   non   sono   fondate,   in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., a  causa  dell'erronea  premessa
interpretativa dalla quale muove il giudice a quo. 
    Il rimettente, come si e' detto, opera  un  corretto  riferimento
alla ratio della disposizione che censura, riconoscendo che  essa  e'
diretta a impedire che vengano posti a carico della  collettivita'  i
costi dei compensi per attivita' difensive superflue o irrilevanti. 
    Tuttavia, non trae da tale riferimento le dovute conseguenze. 
    Da un lato,  infatti,  qualifica  come  «legittima,  opportuna  e
necessaria» l'attivita' difensiva del  cui  compenso  e'  chiamato  a
giudicare, ma dall'altro ritiene  insuperabile  il  tenore  letterale
della disposizione, non interpretandola, quindi, alla luce della  sua
(pur evocata) ratio. 
    Contrariamente all'assunto  dal  quale  egli  muove,  invece,  il
tenore letterale dell'art. 106, comma 1, del d.P.R. n. 115  del  2002
non preclude affatto un'interpretazione che consenta  di  distinguere
tra le cause che  determinano  l'inammissibilita'  dell'impugnazione,
tenendo conto della ricordata ratio legis. 
    Del resto, l'interpretazione letterale e' solo il  primo  momento
dell'attivita' interpretativa, che si completa con la  ricerca  e  la
verifica delle ragioni e dello scopo per cui la disposizione e' stata
posta (art. 12, primo comma, delle disposizioni preliminari al codice
civile). E l'interpretazione basata sulla ratio  legis  conduce  alla
conclusione che l'art. 106, comma 1, del d.P.R. n. 115 del  2002  non
ricomprende i casi in cui, come accade nel giudizio a quo, la ragione
dell'inammissibilita' risiede in una carenza d'interesse a ricorrere,
sopravvenuta per ragioni del tutto  imprevedibili  al  momento  della
proposizione del ricorso. 
    In definitiva, il risultato che il  rimettente  chiede  a  questa
Corte di raggiungere attraverso una sentenza di accoglimento, e' gia'
consentito dalla disposizione censurata, se  interpretata  attraverso
il ricorso agli ordinari criteri ermeneutici, e in  particolare  alla
ratio legis, che permette di dare della disposizione una lettura  non
in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sotto i profili evocati. 
    L'art. 106, comma 1, del  d.P.R.  n.  115  del  2002  si  sottrae
pertanto alle censure di violazione degli artt. 3 e  24  Cost.,  come
prospettate dalla Corte rimettente. 
    4.-  Le  considerazioni   appena   svolte   sull'erroneita'   del
presupposto interpretativo dal quale muove il  rimettente  comportano
la non fondatezza anche dell'asserito profilo di lesione dell'art. 36
Cost. 
    E cio' a  prescindere  dal  rilievo,  ricavabile  dalla  costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,   secondo   cui   tale   parametro
costituzionale risulta  mal  evocato  con  riguardo  a  compensi  per
singole prestazioni professionali, che non si prestano a rientrare in
uno  schema  che  involga  un  necessario  e  logico  confronto   tra
prestazioni e retribuzione (da ultimo, sentenza n. 13 del 2016). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 106 del decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio
2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)»,  sollevate
dalla Corte d'appello di Salerno, sezione civile, in riferimento agli
artt. 3, secondo comma,  24,  secondo  e  terzo  comma,  e  36  della
Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA