N. 28 SENTENZA 9 gennaio - 14 febbraio 2018

Giudizio su conflitto di attribuzione tra Enti. 
 
Tutela  dell'ambiente  -  Atti  relativi   alla   discarica   abusiva
  "Razzaboni", sita nel comune di  San  Giovanni  in  Persiceto  [BO]
  adottati a  seguito  di  condanna  della  Corte  di  giustizia  per
  violazione da parte dello Stato italiano di obblighi  comunitari  e
  conseguente irrogazione di sanzione pecuniaria. 
- Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del  26  novembre
  2015; nota della Direzione generale per i rifiuti e  l'inquinamento
  presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e
  del mare del 1° febbraio 2016, prot. n. 0001528; nota del Ministero
  dell'economia e  delle  finanze  -  Dipartimento  della  Ragioneria
  generale dello Stato per i rapporti finanziari con l'Unione europea
  del 1° aprile 2016, n. R. G. 31511. 
(GU n.8 del 21-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi per  conflitto  di  attribuzione  tra  enti  sorti  a
seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del  26
novembre 2015, della nota della Direzione generale per  i  rifiuti  e
l'inquinamento presso il Ministero dell'ambiente e della  tutela  del
territorio e del mare del 1° febbraio 2016, prot. n. 0001528, e della
nota del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della
Ragioneria  generale  dello  Stato  per  i  rapporti  finanziari  con
l'Unione europea del 1° aprile 2016, n. R. G. 31511,  promossi  dalla
Regione Emilia-Romagna con ricorsi  notificati  il  28  gennaio  -  2
febbraio, il 22 -  30  marzo,  e  il  27  maggio  -  7  giugno  2016,
depositati in cancelleria il 15 febbraio, il 6 aprile e il 14  giugno
2016 e iscritti  rispettivamente  ai  nn.  1,  3  e  4  del  registro
conflitti tra enti 2016. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  gennaio  2018  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Maria Chiara Lista per la Regione Emilia-Romagna
e l'avvocato dello Stato Giuseppe Pignatone  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 28 gennaio  2016,
ricevuto il 2 febbraio 2016 e depositato il 15  febbraio  2016  (reg.
confl. enti n. 1 del 2016), la Regione  Emilia-Romagna  ha  sollevato
conflitto di attribuzione tra enti, nei  confronti  dello  Stato,  in
relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26
novembre 2015. 
    1.1.-  Il  decreto  impugnato  reca  un  atto  di  diffida,   per
inadempimento di obblighi comunitari,  alla  Regione  Emilia-Romagna,
imponendole  di  rilasciare,  entro  trenta  giorni  dal  ricevimento
dell'atto,  il  provvedimento  di  conclusione  del  procedimento  di
bonifica ai sensi dell'art. 242  del  decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),  con  l'avvertimento  che
«in caso di mancato adempimento, da parte di codesti Enti,  entro  il
termine assegnato, il Consiglio dei Ministri adotta  i  provvedimenti
necessari di cui all'art. 8 della citata legge 5 giugno 2003 n. 131». 
    Unitamente  al  decreto  la  Regione  impugna  anche  il  mancato
riscontro, quale  implicito  rigetto  da  parte  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, all'istanza del Presidente della Giunta della
Regione Emilia-Romagna del 24 dicembre 2015,  PG.  2015/0888444,  che
invita il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  a  rettificare  o
revocare la diffida. 
    2.-  La  difesa  della  Regione   Emilia-Romagna   premette   una
ricostruzione della vicenda che ha portato al conflitto. 
    2.1.- Nel settembre 2001 il  Corpo  Forestale  dello  Stato,  nel
corso di un sopralluogo presso un'area  ubicata  nel  Comune  di  San
Giovanni in Persiceto, di proprieta'  della  societa'  "L.  Razzaboni
srl", ha  rinvenuto  dei  rifiuti  speciali  pericolosi,  gestiti  in
assenza  di  specifica  autorizzazione,  provvedendo   al   sequestro
dell'area.  A  seguito  di  tale  rinvenimento,  si  sono  susseguite
numerose  azioni  da  parte  del  Comune,   affinche'   la   societa'
responsabile dei fatti e proprietaria dell'area effettuasse la  messa
in sicurezza del sito. A fronte del  permanere  dell'inadempienza  da
parte del proprietario responsabile, nel 2004 il  Comune  avviava  le
procedure per  intervenire  in  via  sostitutiva  ed  effettuare  gli
interventi di messa  in  sicurezza  d'emergenza  del  sito,  avviando
altresi', in accordo con l'Agenzia regionale di protezione ambientale
(ARPA), la Provincia e l'Azienda sanitaria locale (ASL), un programma
di monitoraggi ambientali. Nel 2005 sono state attivate le  procedure
amministrative volte all'approvazione e al finanziamento del progetto
di messa in sicurezza d'emergenza del sito, in collaborazione con  la
Regione, che avrebbe garantito un apposito finanziamento. I lavori di
messa in sicurezza d'emergenza si sarebbero poi conclusi nel novembre
2007, con relativo sopralluogo di collaudo del 20 febbraio 2008. 
    Va  precisato  che  il  sito  "Razzaboni"  era   stato   inserito
nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2003/2077, avviata  dalla
Commissione europea a carico dello Stato italiano, al  cui  esito  la
Repubblica  italiana  veniva  condannata  dalla  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, con sentenza del 26 aprile 2007, causa C-135/05,
per non  aver  provveduto  ad  adottare  i  provvedimenti  necessari,
relativi a numerose discariche site nelle Regioni ordinarie, tra  cui
quella in esame. 
    Nel corso del 2010, il Comune di San Giovanni in Persiceto ha poi
attivato - di concerto  con  le  altre  amministrazioni  territoriali
interessate - un percorso finalizzato alla riqualificazione dell'area
a parco fotovoltaico, per la sua successiva fruibilita' da parte  del
pubblico. Durante le indagini preliminari alla realizzazione di  tale
progetto sono stati rinvenuti, nel 2010 e nel 2012, in area limitrofa
e diversa da quella interessata  dal  primo  rinvenimento  del  2001,
ulteriori rifiuti, riguardo a cui la Regione  Emilia-Romagna  avrebbe
concesso  un  ulteriore  finanziamento  per  la  messa  in  sicurezza
dell'area. 
    Con la sentenza della Corte di giustizia  del  2  dicembre  2014,
causa C-196/13,  resa  ai  sensi  dell'art.  260,  paragrafo  1,  del
Trattato  sul  funzionamento   dell'Unione   europea   (TFUE),   come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre  2007,
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, la Repubblica  italiana
e' stata condannata al pagamento di  una  pena  pecuniaria,  a  causa
delle numerose discariche non ancora  bonificate,  tra  cui  il  sito
"Razzaboni". Successivamente, la Commissione europea  precisava  che,
fino a quando le autorita' italiane non avessero fornito la prova che
tutti i lavori di messa in sicurezza e decontaminazione fossero stati
terminati, il sito non avrebbe  potuto  ritenersi  regolarizzato.  In
sintesi, per ritenere il sito regolarizzato s'indicava la  necessita'
di: assicurare che non fossero piu' depositati rifiuti; catalogare  e
identificare i rifiuti pericolosi; adottare le  misure  necessarie  a
rendere i rifiuti presenti non piu' pericolosi per la salute umana  e
per l'ambiente. In particolare, cio' che  veniva  contestato  era  il
terzo profilo, riguardo a cui si erano avuti tre "stralci" di lavori.
Un primo stralcio  relativo  alla  messa  in  sicurezza  dei  rifiuti
rinvenuti nel 2001;  un  secondo  stralcio  relativo  alla  messa  in
sicurezza dei rifiuti rinvenuti nel 2010; un terzo stralcio  riferito
alle ulteriori attivita' di decontaminazione del sito interessato dai
rifiuti rinvenuti nel 2001. Proprio  per  tali  ulteriori  attivita',
secondo la Commissione europea la documentazione  non  consentiva  di
ritenere il sito regolarizzato. 
    2.2.-  Premette  la  Regione  ricorrente  che   l'analisi   degli
interventi previsti per l'adempimento della sentenza della  Corte  di
giustizia  dovrebbe  essere  circoscritta  al  sito  ove  sono  stati
rinvenuti i rifiuti nell'anno 2001, ossia  quello  interessato  dalla
procedura d'infrazione, il cui oggetto non potrebbe essere esteso  ad
obblighi  non  previsti  nel  parere  motivato  (Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, sentenza 10 settembre 2009, causa C-457/07). 
    Contrariamente  a  quanto  affermato  dalla  Commissione  europea
(nelle varie note recanti le penalita' semestrali), il  sito  sarebbe
stato regolarizzato. Non vi sarebbe  stata,  inoltre,  alcuna  lacuna
nell'invio dei documenti provanti la messa in sicurezza del  sito  e,
in ogni caso, in base alle regole del contraddittorio, in ipotesi  di
mancato recapito di un documento  fondamentale,  prima  di  procedere
alla decisione in  ordine  a  quel  determinato  fatto,  occorrerebbe
chiedere un'integrazione documentale. 
    2.3.- Gli atti impugnati, pertanto, violerebbero, in primo luogo:
l'art. 120, secondo comma, della Costituzione, come attuato dall'art.
8, comma 1, della legge 5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e l'art.  117,  quinto  comma,
Cost., come attuato dall'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234
(Norme generali sulla partecipazione dell'Italia  alla  formazione  e
all'attuazione  della  normativa  e   delle   politiche   dell'Unione
europea), per carenza dei  presupposti  per  l'esercizio  del  potere
sostitutivo;  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in
relazione all'art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all'art. 41 della
legge n. 234 del 2012, in virtu' del falso ed erroneo presupposto  di
fatto  e  di  diritto   nell'individuazione   della   Regione   quale
amministrazione  responsabile  della  bonifica  e,  di   conseguenza,
dell'inadempimento eccepito a livello comunitario. 
    La disciplina dei rifiuti e della bonifica dei  siti  contaminati
rientrerebbe sicuramente a pieno titolo  nella  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.
(sono richiamate le sentenze n. 161 e n. 62 del 2005, n. 312 e n.  96
del 2003). 
    La decisione della Corte di giustizia del 2 dicembre 2014, in tal
senso, anche  su  esplicito  riconoscimento  delle  stesse  autorita'
italiane, avrebbe evidenziato  la  presenza  di  lacune  nel  sistema
normativo; lacune di cui sarebbe lo Stato a doversi far carico, senza
pretendere di scaricarne la responsabilita' sulle Regioni. 
    Anche sotto il profilo del riparto delle funzioni amministrative,
la legislazione dello Stato sarebbe del tutto carente. Il  d.lgs.  n.
152 del 2006 affida alla Regione competenze precise  nella  procedura
di approvazione della caratterizzazione e del  progetto  di  bonifica
del sito (art. 242), obbligando  la  stessa,  quando  i  privati  non
adempiano ai loro obblighi, a provvedere in sostituzione  del  Comune
territorialmente competente, qualora questo sia  inadempiente,  fermo
restando che l'onere finanziario resterebbe  a  carico  del  soggetto
responsabile (art. 250). 
    Il procedimento di bonifica, pertanto, sarebbe in capo al  Comune
di San Giovanni in Persiceto, a cui  unicamente  la  diffida  avrebbe
dovuto essere rivolta, ammesso che ne ricorressero i presupposti.  La
Regione,  invece,  avrebbe  espletato,  in  assoluta  carenza  di  un
intervento  finanziario  dello  Stato,  un   mero   ruolo   di   ente
finanziatore, oltretutto erogando risorse proprie  e  non  attribuite
dallo Stato per gli specifici adempimenti collegati all'esercizio  di
funzioni  delegate.  Risorse  piu'  volte  richieste   al   Ministero
dell'ambiente, nell'ambito dei fondi previsti dalla legge 27 dicembre
2013, n. 147, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)», sempre
con esito infausto (anche in virtu' della classe di  priorita'  bassa
attribuita all'area "Razzaboni"). 
    2.4.- In secondo luogo, ricorrerebbe la violazione dell'art. 120,
secondo comma, Cost. e dell'art. 8, comma 1, della legge n.  131  del
2003, anche sotto il profilo della violazione del principio di  leale
collaborazione. 
    La  Regione  Emilia-Romagna,  infatti,  avrebbe  sistematicamente
informato il Ministero dell'ambiente delle fasi di avanzamento  della
messa in sicurezza del sito in questione, sollecitando piu' volte  il
contributo finanziario dello Stato.  Ne'  la  Regione  sarebbe  stata
coinvolta nella linea di difesa tenuta dalla Repubblica italiana  nei
confronti della Commissione europea e in  sede  di  giudizio  davanti
alla  Corte  di  giustizia,  pur  avendo  inviato,   secondo   quanto
concordato  durante  la   riunione   tenuta   presso   il   Ministero
dell'ambiente il 2 settembre 2015, una relazione con la ricostruzione
storica delle vicende concernenti il sito "Razzaboni". 
    La  diffida,  pertanto,  risulterebbe  del  tutto   infondata   e
inopportuna, tenuto conto che  lo  Stato,  a  seguito  della  stessa,
pretenderebbe anche di agire per rivalsa, ai sensi dell'art. 43 della
legge n. 234 del 2012. 
    3.- Con atto depositato in data 8 marzo 2016, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   il
conflitto  promosso  dalla  Regione  Emilia-Romagna  sia   dichiarato
inammissibile e, in subordine, infondato. 
    3.1.- Premessa  una  ricostruzione  della  vicenda,  l'Avvocatura
generale dello Stato ricorda che, nel febbraio  2015,  la  Repubblica
italiana ha versato  all'Unione  europea  la  penalita'  forfettaria,
oltre interessi di mora, prevista dalla sentenza del 2 dicembre 2014.
Con la nota d'ingiunzione SG-Greffe (2015)D/7992 del 13 luglio  2015,
la Commissione europea ha determinato in euro 39.800.000,00 la  prima
penalita' semestrale dovuta dalla Repubblica-italiana  anche  per  la
discarica di San Giovanni in Persiceto. La successiva nota  SG-Greffe
(2016)D/1687 del 9 febbraio 2016 ha individuato in € 33.400.000,00 la
seconda penalita' semestrale dovuta dalla Repubblica italiana. 
    Precisa la difesa statale che, in  ogni  caso,  non  risulterebbe
adottato alcun provvedimento sostitutivo  da  parte  del  Governo  in
relazione alla predetta discarica di San Giovarmi in Persiceto. 
    3.2.-  In  via  pregiudiziale,  la   difesa   statale   eccepisce
l'inammissibilita' del conflitto  per  difetto  di  giurisdizione  di
questa Corte in favore dei giudici comuni. 
    Per costante giurisprudenza costituzionale, infatti,  le  Regioni
possono proporre ricorso per conflitto di attribuzioni  solo  qualora
lamentino una  lesione  di  una  propria  competenza  costituzionale.
Quando, invece, la Regione si dolga dell'illegittimo uso di un potere
statale, non tale pero' da alterare la ripartizione delle  competenze
costituzionali, non sussiste materia per un conflitto di attribuzione
ed i rimedi andranno trovati in  sede  di  giurisdizione  comune  (ex
multis, si richiamano le sentenze n. 263 del 2014, n. 52 del 2013, n.
90 del 2011, n. 235 del 2008 e n. 380 del 2007). 
    Nella fattispecie, la  Regione  Emilia-Romagna  non  lamenterebbe
l'invasione, da parte dello Stato,  della  sua  sfera  di  competenza
costituzionale, ma si dorrebbe soltanto della presunta illegittimita'
dell'atto  di  diffida  sotto  il  profilo  dell'assenza,  nei   suoi
confronti, del presupposto per  l'esercizio  del  potere  sostitutivo
statale, la cui  sussistenza  in  capo  al  Governo,  viceversa,  non
verrebbe minimante contestata. 
    Di conseguenza, l'azione promossa  dalla  Regione  Emilia-Romagna
non presenterebbe i requisiti del  conflitto,  configurando,  semmai,
una mera domanda  di  annullamento  di  un  atto  amministrativo  per
violazione di legge ordinaria (l'art.  250  del  d.lgs.  n.  152  del
2006), che rientrerebbe, come tale, nella giurisdizione  dei  giudici
comuni,  poiche'  del   tutto   sprovvista   del   necessario   "tono
costituzionale". 
    3.3.- Sempre in via pregiudiziale,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato eccepisce l'inammissibilita' del conflitto anche per carenza di
interesse ad agire ex art. 100 del codice di  procedura  civile,  non
arrecando l'atto  impugnato  una  lesione  attuale  e  concreta  alle
attribuzioni della  Regione  ricorrente.  Siffatte  lesioni,  semmai,
sarebbero  riconducibili  agli  eventuali  e   futuri   provvedimenti
sostitutivi, nella specie non intervenuti. 
    3.4.- Nel  merito  il  ricorso  sarebbe  comunque  manifestamente
infondato. 
    L'atto di diffida impugnato  rientrerebbe  certamente  in  ambiti
materiali riservati alla competenza  esclusiva  dello  Stato  (tutela
dell'ambiente  ed  esecuzione  di  obblighi  derivanti  dal   diritto
comunitario).  Con   specifico   riferimento   all'esecuzione   delle
decisioni della Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,  ai  sensi
dell'art. 4, comma 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato
a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in  vigore  il  1°  novembre
1993, spetta esclusivamente allo  Stato  membro  adottare  le  misure
necessarie ad assicurare il corretto  e  completo  adempimento  degli
obblighi comunitari, salva l'azione di rivalsa ex art. 43 della legge
n. 234 del 2012. Tra tali misure  rientrerebbe  anche  l'attivazione,
ove necessario, dei  poteri  sostitutivi  nei  confronti  degli  enti
locali inadempienti. 
    Ne consegue che, nella fattispecie, non  sarebbe  ravvisabile  da
parte  dello  Stato  alcuna  invasione  della  sfera  di   competenza
costituzionale della Regione ricorrente. 
    3.4.1.- Venendo all'esame delle specifiche censure, innanzi tutto
non sarebbe  condivisibile  l'assunto  della  Regione  Emilia-Romagna
secondo    cui    l'amministrazione    responsabile    dell'eventuale
inadempimento degli obblighi comunitari, a cui avrebbe dovuto  essere
indirizzata la diffida, sarebbe  da  individuare  esclusivamente  nel
Comune di San Giovanni in Persiceto. 
    L'art. 250 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  infatti,  prevedrebbe
chiaramente la sussistenza di un  potere  sostitutivo  in  capo  alla
Regione, ove  il  Comune  non  provveda.  Dunque,  sussisterebbe  una
responsabilita'  delle  Regioni,  solidale  con  quella  dei   Comuni
interessati,  discendente  dal  mancato  o  inefficace  esercizio  di
competenze  amministrative  proprie,  come   chiarito   anche   dalla
giurisprudenza amministrativa (ex multis, si richiama la sentenza del
Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio  -  Roma,  sezione
prima, del 7 aprile 2014, n. 3779). 
    Nel caso di specie, si  sarebbero  gia'  da  anni  realizzate  le
condizioni di fatto e di diritto che avrebbero imposto  alla  Regione
Emilia-Romagna l'esercizio del proprio potere sostitutivo rispetto al
Comune di San Giovanni in Persiceto. La Regione, quindi,  non  poteva
limitarsi ad assumere il ruolo di mero ente finanziatore, sussistendo
un obbligo ben piu' generale di attivarsi in sostituzione del Comune.
Infatti, l'art. 250 del d.lgs. n. 152  del  2006  -  che  prevede  la
possibilita'  per  la  Regione  di  istituire   un   apposito   fondo
nell'ambito delle proprie  disponibilita'  finanziarie,  al  fine  di
anticipare le somme  occorrenti  per  i  predetti  interventi  -  non
potrebbe essere interpretato nel senso che i compiti regionali  siano
limitati all'adozione di tale misura. Ne' rileverebbe il  diniego  da
parte delle competenti amministrazioni dello  Stato  di  concedere  i
richiesti finanziamenti, atteso che la  Regione  dovrebbe  provvedere
con fondi propri, salva, naturalmente, la possibilita' di  rivalersi,
a propria volta, sul Comune inadempiente. 
    Da ultimo, neppure sarebbe condivisibile l'assunto che la diffida
avrebbe dovuto prendere in  considerazione  soltanto  gli  interventi
riguardanti il sito in cui sono stati  rinvenuti  rifiuti  nel  2001.
Come chiarito dalla Commissione  europea  nella  citata  nota  del  9
febbraio 2016, la procedura d'infrazione non riguarderebbe un  numero
chiuso di discariche, bensi' un problema generale di mancato rispetto
di norme europee. 
    3.4.2.-  Per  quanto  attiene  alla  censura   incentrata   sulla
violazione del principio di leale collaborazione, la  difesa  statale
evidenzia che il Ministero dell'ambiente avrebbe da tempo avviato  un
confronto con tutti gli enti locali interessati dalla sentenza  della
Corte di giustizia del 2 dicembre 2014. 
    In  particolare,  la   Regione   Emilia-Romagna   sarebbe   stata
costantemente coinvolta, gia' a  partire  dal  2013,  nelle  numerose
interlocuzioni  svoltesi  tra  il  Ministero   dell'ambiente   e   la
Commissione europea, alla quale sarebbero state  trasmesse  tutte  le
informazioni,  riguardanti  i  lavori  di  messa   in   sicurezza   e
decontaminazione del sito,  fornite  dalla  medesima  Regione  e  dal
Comune di San Giovanni in Persiceto.  A  tale  riguardo,  in  data  2
settembre 2015, presso il Ministero dell'ambiente, si e'  svolta  una
apposita riunione con  i  rappresentanti  della  Regione,  diretta  a
verificare  lo  stato  degli  interventi  di  ripristino   ambientale
necessari ad adeguare alla vigente normativa la discarica situata nel
Comune  di  San  Giovanni  in  Persiceto.   Inoltre,   il   Ministero
dell'ambiente avrebbe provveduto ad  inoltrare  tempestivamente  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri, ai fini del  successivo  invio
alla Commissione europea, la documentazione pervenuta  dalla  Regione
circa lo stato degli interventi di messa in sicurezza della discarica
in questione. Tale  documentazione,  analiticamente  esaminata  dalla
Commissione ai fini  della  determinazione  della  seconda  penalita'
semestrale,  sarebbe  stata  ritenuta  insufficiente   a   dimostrare
l'avvenuta integrale regolarizzazione dell'area;  ne'  sarebbe  stato
prodotto, da parte delle amministrazioni locali  interessate,  l'atto
conclusivo del procedimento di bonifica ex art. 242 del d.lgs. n. 152
del 2006, che attesti l'effettivo completamento  di  tutti  i  lavori
pianificati, nonche' l'assenza di contaminazione del sito, al fine di
escludere il pagamento della penalita' di mora. 
    4.- Con ricorso spedito per la notificazione il  22  marzo  2016,
ricevuto il 30 marzo 2016 e depositato il 6 aprile 2016 (reg.  confl.
enti n. 3 del 2016), la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto
di attribuzione tra enti, in  relazione  alla  nota  della  Direzione
generale  per  i  rifiuti  e  l'inquinamento  presso   il   Ministero
dell'ambiente e della  tutela  del  territorio  e  del  mare  del  1°
febbraio 2016, prot. n. 0001528. 
    Tale nota, trasmessa a mezzo posta elettronica  certificata  alla
Regione  Emilia-Romagna  -  Direzione  generale   ambiente   e,   per
conoscenza, alla Presidenza del Consiglio dei  ministri,  nelle  more
della notifica del ricorso di cui al conflitto  tra  enti  n.  1  del
2016, ribadisce la  responsabilita'  della  Regione  per  la  mancata
conclusione del procedimento di  bonifica,  con  l'impossibilita'  di
procedere alla rettifica o revoca della diffida gia' impugnata con il
predetto ricorso. 
    4.1.- L'atto  violerebbe,  in  via  consequenziale,  l'art.  120,
secondo comma, Cost., l'art. 8 della legge  n.  131  del  2003  e  il
principio  di  leale  collaborazione,  in  virtu'  del   difetto   di
attribuzione della Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento. 
    Alla richiesta della Regione, infatti, non ha fatto  seguito  una
replica della Presidenza del Consiglio dei ministri, ma una  risposta
negativa  per  via  meramente  amministrativa  e  burocratica,  senza
l'approvazione o la presa  d'atto  del  Governo,  che  avrebbe  cosi'
interrotto, di fatto, la procedura di leale  collaborazione,  ledendo
le  prerogative  della  Regione.  Con  specifico   riferimento   alla
procedura   di   sostituzione,   infatti,   non   sarebbe   possibile
"declassare" il rapporto con la Regione al piano delle relazioni  tra
uffici amministrativi. 
    4.2.- Inoltre,  sarebbero  violati  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), e l'art. 119 Cost. 
    La legislazione statale, infatti, avrebbe affidato alle Regioni e
alle   amministrazioni   locali   una   vasta   gamma   di   funzioni
amministrative (artt. 196, 199 e 250 del d.lgs.  n.  152  del  2006),
che,   per   le   Regioni,   avrebbero   natura   programmatoria    e
pianificatoria. Con specifico riferimento alle procedure operative ed
amministrative per la realizzazione in concreto degli  interventi  di
bonifica (artt. 242 e seguenti del d.lgs. n. 152 del  2006),  invece,
la  Regione  (unitamente   agli   enti   locali)   avrebbe   funzioni
autorizzatorie e di presidio  degli  interventi  di  bonifica,  fermo
restando che responsabile  della  bonifica  sarebbe  solo  il  Comune
territorialmente competente. 
    Alla base della nota impugnata, invece, vi sarebbe la connessione
fra  le  competenze  pianificatorie  regionali,  gli  interventi   di
bonifica dei siti contaminati e i  poteri  d'intervento  sostitutivo,
sulla  base  di  un'errata  equiparazione  tra   le   competenze   di
pianificazione e la responsabilita' dell'inquinamento e,  quindi,  in
ultima  analisi,  la  realizzazione  concreta  delle  operazioni   di
bonifica. Tale conclusione  sarebbe  erronea,  pena  l'illegittimita'
costituzionale dello stesso art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, che,
ai sensi dell'art. 119 Cost., non potrebbe delegare alla Regione  una
competenza senza  garantire  un'adeguata  copertura  finanziaria  (si
richiama la sentenza n. 10 del 2016). 
    Non avendo previsto stanziamenti di somme adeguate  all'esercizio
delle funzioni delegate  in  materia  di  bonifica,  la  legislazione
statale risulterebbe del tutto carente e, quindi,  sarebbe  lo  Stato
inadempiente  rispetto  alle  eccepite  violazioni  della   normativa
comunitaria. Considerazioni che troverebbero conferma nel  fatto  che
il legislatore statale, consapevole di tale lacuna, avrebbe in  altri
contesti, invece, previsto specifici stanziamenti, come nel caso  del
fondo previsto dall'art. 1, comma 475, della legge 28 dicembre  2015,
n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    4.3.- Da ultimo, sarebbero lesi il  principio  costituzionale  di
leale collaborazione,  in  relazione  all'accordo  raggiunto  con  la
Regione di proporre l'impugnazione della nota  di  ingiunzione  della
Commissione europea, nonche' l'art. 24 Cost. 
    Va premesso che, nella procedura di infrazione, l'unico  soggetto
legittimato ad intervenire di fronte alla Commissione o alla Corte di
giustizia  e'  lo  Stato  membro,   fermo   restando   l'obbligo   di
cooperazione  della  Regione  (e  degli  altri   soggetti   ed   enti
coinvolti), come previsto dall'accordo siglato in sede di  Conferenza
unificata  il  24  gennaio  2008,  che  disciplina  le  modalita'  di
coinvolgimento delle Regioni nelle  varie  fasi  delle  procedure  di
infrazione. 
    A tale proposito, nella riunione del 2 settembre 2015  presso  il
Ministero dell'ambiente, sarebbe stata condivisa, su  proposta  della
Regione    Emilia-Romagna,    una    strategia    difensiva     volta
all'impugnazione della nota di ingiunzione  della  sanzione  irrogata
alla Repubblica italiana, in virtu' di argomenti tecnici e  giuridici
per contrastare evidenti erronee affermazioni e fraintendimenti della
Commissione europea sullo stato della procedura di bonifica  e  sugli
interventi gia' eseguiti. 
    A questa determinazione, lo Stato non si  sarebbe  attenuto,  non
procedendo  all'impugnativa  e  privando  cosi'  la   Regione   della
possibilita' di contrastare adeguatamente le suddette  argomentazioni
della Commissione. 
    5.- Con atto depositato in data 2 maggio 2016, si  e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   il
conflitto sia dichiarato inammissibile e, in subordine, infondato. 
    5.1.-  In  via  pregiudiziale,  la   difesa   statale   eccepisce
l'inammissibilita' del conflitto  per  difetto  di  giurisdizione  di
questa Corte in favore dei  giudici  comuni,  lamentandosi  una  mera
violazione di legge. 
    5.2.- Il conflitto sarebbe  altresi'  inammissibile  per  difetto
d'interesse a ricorrere ex art. 100 cod. proc. civ. 
    L'atto  impugnato,  infatti,  escluderebbe  la  sussistenza   dei
presupposti per l'eventuale revoca dell'atto di diffida adottato  dal
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  del  26   novembre   2015,
prodromico all'eventuale esercizio del  potere  sostitutivo  statale,
non ancora intervenuto. La nota ministeriale  impugnata,  dunque,  di
per se', non arrecherebbe alla sfera giuridica  dell'ente  ricorrente
lesioni attuali e concrete, riconducibili, semmai, agli  eventuali  e
futuri provvedimenti in sostituzione che dovessero essere adottati in
esito all'atto di diffida, sostanzialmente confermato. 
    5.3.- Nel merito il ricorso sarebbe comunque  infondato,  poiche'
l'atto impugnato rientrerebbe pacificamente nell'ambito di competenze
esclusive statali. 
    5.3.1.-  Il  primo  atto   della   procedura   di   sostituzione,
consistente nella diffida del Presidente del Consiglio  dei  ministri
nei confronti dell'ente inadempiente,  deve  essere  preceduto  dalla
proposta del ministero competente, al quale  spetta  di  valutare  se
ricorrano  i  presupposti  della  messa  in   mora.   Dunque,   anche
l'eventuale ritiro dell'atto di diffida  richiedeva  inderogabilmente
un'analoga  valutazione  in  sede  tecnica,  volta  a  verificare  la
permanenza  delle  condizioni  alla  base   dell'atto   di   diffida.
Valutazione il cui esito sarebbe stato correttamente comunicato  alla
Presidenza del Consiglio dei  ministri  e  alla  Regione,  precisando
l'assenza dei presupposti per la rettifica o la revoca della diffida,
in conformita' a quanto previsto dall'art. 120, secondo comma, Cost.,
dall'art. 8 della legge n. 131 del 2003 e in armonia con il principio
di leale collaborazione. 
    5.3.2.- Altresi' insussistente sarebbe  la  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), nonche' dell'art. 119 Cost. 
    A tal proposito la difesa statale richiama  quanto  gia'  esposto
nell'atto di costituzione nel giudizio sul conflitto iscritto al n. 1
del registro conflitti tra enti 2016. 
    5.3.3.- Riguardo alla violazione del principio costituzionale  di
leale collaborazione e dell'art. 24 Cost., il Ministero dell'ambiente
avrebbe da tempo ritenuto  opportuno  avviare  un  confronto  con  le
amministrazioni interessate dalla sentenza di condanna della Corte di
giustizia. Quanto alla  ricordata  riunione  del  2  settembre  2015,
andrebbe precisato che, poiche' le decisioni riguardanti i ricorsi in
sede comunitaria spettano alla Presidenza del Consiglio dei  ministri
(art. 42 della legge  n.  234  del  2012),  il  contegno  tenuto  dai
rappresentanti del Ministero dell'ambiente nel corso  della  predetta
riunione  non  avrebbe  potuto  essere  idoneo   ad   ingenerare   un
affidamento, meritevole di  tutela,  circa  l'eventuale  proposizione
dell'impugnazione avverso l'ingiunzione di pagamento della  penalita'
semestrale. In ogni caso, tale possibilita'  sarebbe  stata  comunque
subordinata  alla   produzione   da   parte   della   Regione   della
documentazione  costituita  dal  provvedimento  di  conclusione   del
procedimento, emanato dal soggetto competente, anche considerato  che
nella medesima  riunione  erano  state  fornite  assicurazioni  circa
l'ultimazione dei lavori entro il 30 ottobre 2015. 
    La carenza della documentazione attestante la  dimostrazione  del
completamento dei lavori a garanzia di non contaminazione  del  sito,
necessaria al  fine  di  superare  le  obiezioni  della  Commissione,
dunque, renderebbe l'atto impugnato privo di vizi. 
    6.- Con ricorso spedito per la notificazione il 27  maggio  2016,
ricevuto il 7 giugno 2016 e successivamente depositato il  14  giugno
2016 (reg. confl. enti n. 4 del 2016), la Regione  Emilia-Romagna  ha
sollevato conflitto di attribuzione tra enti, in relazione alla  nota
del Ministero dell'economia e  delle  finanze  (MEF)  -  Dipartimento
della Ragioneria generale dello Stato per i rapporti  finanziari  con
l'Unione europea del 1° aprile 2016, n. R. G. 31511. 
    Con tale nota, trasmessa al Presidente della Giunta della Regione
Emilia-Romagna e al sindaco del Comune di San Giovanni in  Persiceto,
la Ragioneria generale  dello  Stato  comunica  di  dare  avvio  alla
procedura di rivalsa  a  carico  delle  amministrazioni  responsabili
delle violazioni censurate dalla Corte di  giustizia  nella  sentenza
del 2 dicembre 2014, imputando a carico della Regione  Emilia-Romagna
l'importo complessivo di euro 776.017,00, relativo  alla  non  ancora
completata  bonifica  del  sito  "Razzaboni".  Inoltre,  s'invita  la
Regione medesima, quale responsabile in solido ai sensi dell'art. 250
del d.lgs. n. 152 del 2006, a voler concordare con il Comune, ai fini
dell'intesa sulle procedure  di  recupero  degli  importi  anticipati
dallo Stato,  le  modalita'  attraverso  cui  procedere  al  suddetto
reintegro, realizzabile anche  con  compensazione  dei  trasferimenti
statali alle stesse amministrazioni, con l'avvertimento che,  decorsi
novanta giorni senza  alcuna  indicazione  in  merito  alle  predette
modalita' di reintegro, «si procedera' al recupero  delle  risorse  a
carico dei singoli soggetti  interessati  ai  sensi  della  normativa
vigente». 
    6.1.- L'atto impugnato  sarebbe  lesivo  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione all'art. 250 del d.lgs. n. 152
del  2006,  poiche'  fondato   su   un'erronea   qualificazione   dei
presupposti di fatto e di diritto riguardo alla responsabilita' della
Regione. 
    L'art. 250 del d.lgs. n. 152  del  2006,  infatti,  non  potrebbe
costituire il presupposto per attribuire la responsabilita'  in  capo
alla Regione che, anzi, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere. 
    6.2.- La nota impugnata,  nell'applicazione  dell'art.  43  della
legge n. 234 del 2012,  lederebbe  altresi'  il  principio  di  leale
collaborazione, di cui all'art. 8 della  legge  n.  131  del  2003  e
all'art. 41 della legge n. 234 del  2012,  attuativi  dell'art.  120,
secondo comma, Cost. Infatti, se dovesse essere qualificata gia' come
titolo esecutivo, tale nota sarebbe illegittima  per  violazione  del
procedimento stesso di  rivalsa,  in  quanto  assunta  da  un  organo
tecnico-burocratico e in assenza di  una  intesa,  laddove  la  legge
prevede, invece, che il titolo esecutivo sia formato con  un  decreto
ministeriale, previa intesa con  gli  enti  territoriali  interessati
(art. 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012). In  ogni  caso,  non
spetterebbe   comunque   allo   Stato,    tramite    una    struttura
tecnico-burocratica, emanare un atto prescrittivo nei confronti della
Regione Emilia-Romagna che, invece,  avrebbe  avviato  da  subito  le
procedure di leale collaborazione riguardo alla questione posta dalla
sentenza di condanna del 2 dicembre 2014. 
    Oltre che giuridica, la questione porrebbe una priorita'  logica,
nel senso che prima del quantum e del quomodo, andrebbe valutato l'an
della pretesa debitoria, che avrebbe dovuto  essere  oggetto  di  una
valutazione congiunta degli organi politici statali e regionali o, in
alternativa, di una decisione di  questa  Corte,  quale  giudice  del
conflitto. Inoltre, il quantum dovrebbe  essere  determinato  solo  a
seguito della ricognizione  del  ruolo  e  della  responsabilita'  di
ciascuna delle amministrazioni coinvolte,  sicche'  la  comunicazione
della Ragioneria degraderebbe ogni  valutazione  ad  un'attivita'  di
mero rapporto  amministrativo-contabile,  dando  per  accertato  ogni
presupposto della rivalsa, come se l'ufficio fosse collocato  in  una
posizione di supremazia diretta con la Regione. 
    6.3.- Altresi' violati sarebbero l'art. 43, comma 7, della  legge
n. 234 del 2012, nonche' il principio di  leale  collaborazione,  per
l'illegittimita'  del   procedimento   posto   in   essere   per   il
raggiungimento dell'intesa sul quantum. 
    Tale procedura, infatti, sarebbe stata messa in atto senza  prima
affrontare la questione della sussistenza della  responsabilita'  che
ha dato luogo alla sanzione comunitaria e,  quindi,  del  presupposto
stesso  dell'azione  di   rivalsa;   responsabilita'   da   ascrivere
unicamente allo Stato. La nota della Ragioneria generale dello Stato,
invece, "degraderebbe" i rapporti istituzionali sul  piano  meramente
amministrativo, con evidente lesione delle prerogative costituzionali
regionali e  con  effetti  anche  sull'autonomia  e  sulla  capacita'
finanziaria comunale. 
    L'atto della Ragioneria, inoltre, nel definire gia'  il  quantum,
avrebbe osservato un percorso procedimentale  del  tutto  diverso  da
quello delineato dalla  legge,  determinando  un  ribaltamento  della
sequenza procedimentale stabilita dal suddetto comma 7 dell'art.  43,
ove si prevedrebbe, invece, che  l'intesa  sia  acquisita  prima  del
decreto del Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  con  cui  si
stabiliscono l'importo e le modalita' del recupero. 
    6.4.- Da ultimo, in via subordinata,  sarebbero  insussistenti  i
presupposti per l'esercizio dell'azione di rivalsa ai sensi dell'art.
43, comma 4, della legge n. 234 del  2012,  poiche'  la  sentenza  di
condanna al pagamento della sanzione non sarebbe  conseguenza  di  un
asserito  iniziale  inadempimento  della   Regione   o   del   Comune
territorialmente interessato. Inoltre, pur ritenendo che sussista una
piena competenza regionale in materia di bonifica, a maggior  ragione
si dovrebbe ritenere lo Stato responsabile della violazione, per  non
avere esso  stesso  utilizzato  gli  strumenti  sostitutivi  previsti
dall'ordinamento. 
    7.- Con atto depositato in data 6 luglio 2016, si  e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   il
conflitto  promosso  dalla  Regione  Emilia-Romagna  sia   dichiarato
inammissibile o comunque infondato. 
    Premette la  difesa  statale  che,  al  fine  di  adempiere  alla
pronuncia della Corte di  giustizia  del  2  dicembre  2014,  secondo
quanto disposto dal comma 9-bis dell'art. 43 della legge n.  234  del
2012, il MEF ha provveduto  al  pagamento  della  sanzione  iniziale,
nonche' della prima  penalita'  semestrale.  La  Ragioneria  generale
dello Stato, con la nota  contestata  dalla  Regione  Emilia-Romagna,
avviava pertanto la procedura diretta a verificare la possibilita' di
raggiungere l'intesa prevista dalla legge. 
    Nella seduta del 26 maggio 2016 della  Conferenza  unificata,  il
Governo  avrebbe  accettato   le   due   richieste   provenienti   da
Associazione nazionale Comuni d'Italia  (ANCI),  Regioni  e  Province
autonome, nel senso d'istituire un tavolo finalizzato allo studio  ed
al  raggiungimento  di  una  soluzione  condivisa   per   l'esercizio
dell'azione di rivalsa dello Stato, nonche' di sospendere il  termine
di novanta giorni contenuto nella nota oggetto del presente conflitto
di attribuzione. 
    7.1.- Sotto un primo profilo, il  ricorso  sarebbe  inammissibile
per carenza d'interesse concreto della parte ricorrente. 
    La lettura della nota  ministeriale  contestata  sarebbe  errata,
trattandosi di  un  semplice  atto  di  avvio  alla  procedura,  teso
all'auspicato raggiungimento dell'intesa, per cio' stesso non  lesivo
ne' autonomamente impugnabile. 
    In ogni caso, atteso che il termine di novanta  giorni  e'  stato
sospeso a tempo indeterminato ed  e'  stato  istituito  ai  fini  del
raggiungimento dell'intesa un tavolo tecnico da definirsi in sede  di
Conferenza unificata, il ricorso sarebbe  palesemente  inammissibile,
in quanto successivo (l° giugno 2016) alla sospensione dell'efficacia
dell'atto (altrimenti si avrebbe comunque  cessazione  della  materia
del contendere). 
    7.2.- Il ricorso sarebbe altresi' inammissibile (ed in  subordine
infondato)  per  mancanza   di   una   lesione   delle   attribuzioni
costituzionali della Regione. 
    Non vi sarebbe dubbio che, al  di  la'  della  qualificazione  di
diritto che il ricorrente ha assegnato ai vari motivi,  essi  ruotino
tutti  intorno  alla  medesima  doglianza  e,  cioe',  alla   dedotta
violazione, sotto diversi profili, dell'iter procedimentale stabilito
dalla legge n. 234 del 2012, per addivenire all'azione di rivalsa  da
parte dello Stato. 
    Il pregiudizio denunciato, pertanto, non sarebbe riconducibile ad
un'autonoma attitudine lesiva  dello  stesso,  ma  soltanto  al  modo
erroneo in cui e'  stata  applicata  la  legge  (sono  richiamate  le
sentenze n. 305 del 2011, n. 95 del 2003, n. 467 del 1997, n.  473  e
n. 245 del 1992). 
    7.3.-  Nel  merito,  da  un  punto  di  vista   sostanziale,   il
diritto-dovere dello  Stato  di  attuare  nei  confronti  degli  enti
territoriali  competenti  la  procedura   di   rivalsa   disciplinata
dall'art. 43 non potrebbe essere contestato. 
    Premesso che sarebbe ovviamente inammissibile ogni  tentativo  di
rimettere   surrettiziamente   in   discussione    la    legittimita'
costituzionale  dell'art.  43  della  legge  n.  234  del  2012,  non
tempestivamente impugnata dalla Regione (si richiamano le sentenze n.
103 e n.  77  del  2016),  la  disciplina  della  bonifica  dei  siti
contaminati,  ivi  comprese  le  relative  procedure  amministrative,
andrebbe inquadrata nell'ambito della materia «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema» (sono richiamate le sentenze n. 247 del  2009  e  n.
214 del 2008). 
    Gli artt. da 239 a 253 del d.lgs. n. 152  del  2006  disciplinano
tale materia tramite  un  procedimento  volto  a  porre  in  capo  al
soggetto inquinatore l'obbligo di procedere alla bonifica,  sotto  il
controllo delle  amministrazioni  locali.  Secondo  il  principio  di
responsabilita'  ivi  declinato,  per  il  recupero  di  quanto  gia'
corrisposto all'Unione europea nel caso oggetto nel presente ricorso,
legittimamente lo Stato attiverebbe il procedimento  di  rivalsa  nei
confronti della Regione, non essendo tenuto  alla  previa  escussione
del soggetto originariamente responsabile per la bonifica ed  essendo
al contrario i due enti territoriali obbligati in solido. La  pretesa
dello Stato, pertanto, avrebbe un preciso fondamento  giuridico,  sia
nel d.lgs. n. 152 del 2006, sia nell'art. 117, primo comma, Cost., ai
sensi del quale le Regioni sono tenute ad adottare  tutte  le  misure
idonee ad assicurare  l'esecuzione  degli  obblighi  derivanti  dalla
normativa comunitaria. 
    8.- Con un'unica memoria, depositata  il  18  dicembre  2017,  la
Regione Emilia-Romagna ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi per
conflitto di attribuzione, ritenendo impregiudicate  le  ragioni  ivi
sostenute anche dai fatti successivi alla proposizione dei ricorsi. 
    8.1.-   Premette   la   parte   ricorrente   che   il   Ministero
dell'ambiente, con  la  nota  0011975/GAB  del  31  maggio  2016,  ha
trasmesso gli ulteriori documenti riguardanti  il  sito  "Razzaboni".
Pertanto, la Commissione europea, nella nota d'ingiunzione  SG-Greffe
(2016)D/13662 del 15 settembre 2016, ha chiarito che, per la messa in
sicurezza dei rifiuti rinvenuti nel 2001, risulterebbe dimostrato  il
completamento nel  2009.  Inoltre,  con  riferimento  agli  ulteriori
rifiuti rinvenuti nel 2010 e nel 2012, la Commissione ha  preso  atto
che anch'essi sono stati rimossi e  permangono  solo  alcuni  rifiuti
inerti e non pericolosi. Infine, per quanto riguarda le attivita'  di
decontaminazione cui  avrebbero  dovuto  essere  stati  sottoposti  i
rifiuti gia' oggetto della messa in sicurezza completata nel 2009, e'
emerso che la misura della messa in sicurezza gia'  posta  in  essere
era sufficiente ed idonea ad impedire che i rifiuti presenti in  sito
potessero recare pregiudizi alla salute e all'ambiente. 
    La Commissione sarebbe giunta a siffatte  conclusioni  in  virtu'
della, seppur tardiva, esaustiva rappresentazione dei  vari  passaggi
da parte delle autorita' statali italiane, le uniche  legittimate  ad
interloquire  con  la  Commissione  e,  conseguentemente,  le  uniche
responsabili di una parziale  ed  incompleta  rappresentazione  degli
elementi atti a dimostrare la realizzazione delle varie operazioni di
bonifica. 
    8.2.- Cio' premesso, lo stralcio  della  posizione  del  sito  in
questione  non  varrebbe  a  superare  la  richiesta  delle  sanzioni
pregresse, permanendo, dunque,  l'interesse  della  parte  ricorrente
alla decisione dei conflitti. 
    In primo luogo, infatti, la procedura di  rivalsa  sarebbe  stata
semplicemente sospesa e anzi, sarebbe stato sospeso solo  il  termine
di novanta giorni per il raggiungimento  dell'intesa  tra  Regione  e
Comune. 
    In secondo luogo, un mancato chiarimento  di  attribuzione  delle
responsabilita' sarebbe suscettibile di riverberarsi sul piano  delle
eventuali probabili contestazioni di danno  erariale,  essendo  state
avviate esplorazioni ed indagini informative da parte della Corte dei
conti, con riferimento anche alle attivita'  poste  in  essere  dalla
Regione Emilia-Romagna circa gli adempimenti inerenti  alla  bonifica
del sito "Razzaboni", e  alle  somme  pagate  a  titolo  di  sanzioni
comunitarie. Pertanto, sarebbe comunque interesse della  Regione  che
sia chiarito a chi spetti, fra  Stato  e  Regione,  l'attribuzione  a
sostenere economicamente gli oneri di bonifica,  laddove  il  privato
responsabile dell'inquinamento non vi provveda. 
    8.3.- Il conflitto sarebbe anche sostenuto dal necessario rilievo
costituzionale. 
    Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 250 del
d.lgs. n. 152 del 2006 dovrebbe limitare la competenza  regionale  ad
un intervento  in  via  delegata,  riguardo  a  cui  le  Regioni  non
sarebbero  pienamente  responsabili,   non   acquisendo   un   titolo
originario ed autonomo per agire e per essere rese responsabili delle
loro attivita', a prescindere da  quanto  la  legge  di  conferimento
specificamente preveda. Diversamente argomentando, non resterebbe che
sollevare   anche   la   questione   incidentale   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 250 in parte qua, per violazione degli artt.
117, secondo comma, lettera s), e 119 Cost. 
    8.4.- Nel merito, la difesa  regionale  sottolinea  che  gia'  la
giurisprudenza amministrativa ha  dichiarato  l'illegittimita'  delle
azioni di rivalsa, in virtu' del  mancato  svolgimento  di  una  fase
propedeutica tesa all'individuazione delle relative  responsabilita',
che postulano il mancato  esercizio  del  potere  di  provvedere  (e'
richiamata la sentenza del TAR Lazio - Roma, sezione seconda, del  10
marzo  2017,  n.  3400,  nonche'  successive  sentenze,  di   analogo
contenuto). 
    8.5.- Da ultimo, sarebbe evidente la concreta e attuale lesivita'
degli atti impugnati, derivante dallo stesso avvio  del  procedimento
preordinato ad esercitare la rivalsa nei confronti della Regione, che
implicherebbe un'affermazione di responsabilita' di  quest'ultima  e,
quindi,  una  specifica  competenza  fondata  su   un'interpretazione
pregiudizievole  delle  attribuzioni  regionali  (si  richiamano   le
sentenze n. 150 del 1981 e n. 181 del 1971). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La  Regione  Emilia-Romagna  ha  promosso  tre  conflitti  di
attribuzione tra enti (reg. confl. enti nn. 1, 3 e  4  del  2016),  a
seguito rispettivamente: del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri del 26 novembre 2015; della nota  della  Direzione  generale
per i rifiuti e l'inquinamento presso il  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare del 1° febbraio 2016, prot. n.
0001528; della nota del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF)
- Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato per  i  rapporti
finanziari con l'Unione europea del 1° aprile 2016, n. R. G. 31511. 
    I tre conflitti concernono diverse fasi della vicenda legata alla
bonifica della discarica "Razzaboni", sita nel Comune di San Giovanni
in Persiceto. Tale discarica rientra tra quelle per cui la  Corte  di
giustizia  dell'Unione  europea   -   a   seguito   della   procedura
d'infrazione n. 2003/2077 - ha dapprima condannato lo Stato  italiano
per la violazione degli obblighi di diritto comunitario (sentenza del
26 aprile 2007, causa  C-135/05)  e,  successivamente,  irrogato  una
sanzione pecuniaria per il mancato adempimento agli obblighi previsti
dalla precedente decisione  (sentenza  del  2  dicembre  2014,  causa
C-196/13). 
    Non si  puo'  non  notare  che  la  sanzione  pecuniaria  risulta
irrogata dopo che la bonifica del sito era intervenuta sin dal  2009,
mentre la documentazione relativa risulta trasmessa dallo Stato  alla
Commissione  europea  non  prima  del  2016.  Agli  atti  di   questo
procedimento vi sono posizioni diverse delle parti sulle  ragioni  di
tale ritardo. Certo si e' che il difetto  di  collaborazione  tra  lo
Stato, la Regione Emilia-Romagna e  il  Comune  di  San  Giovanni  in
Persiceto ha impedito alla Commissione europea di  attestare  in  una
data antecedente l'intervenuta  regolarizzazione  del  sito.  Con  la
conseguenza che la Corte di giustizia ha condannato l'Italia che «non
e' stata in grado di dimostrare che l'inadempimento constatato  nella
sentenza  Commissione/Italia   (EU:C:2007:250)   sia   effettivamente
cessato.  Si  deve  quindi  considerare  che  siffatto  inadempimento
perdura da oltre sette anni, un periodo di durata notevole» (sentenza
2 dicembre 2014). E' cosi' ineludibile e grave dover  constatare  che
lo Stato, non fornendo la pur possibile dimostrazione richiesta dalla
Corte di giustizia, ha provocato il pagamento  di  penalita'  che  si
risolvono in un danno per la collettivita'. 
    1.1.-  Con  il  primo  ricorso  sono  impugnate  la  diffida  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  indirizzata  alla  Regione
Emilia-Romagna e al Comune di San Giovanni in Persiceto ai fini della
conclusione del procedimento di messa in  sicurezza  dell'area  della
discarica, nonche' il relativo  provvedimento  implicito  di  rigetto
della richiesta del Presidente della Giunta regionale di rettifica  o
revoca della diffida. 
    Secondo la parte ricorrente gli atti sarebbero  lesivi  dell'art.
120, secondo comma, della Costituzione,  come  attuato  dall'art.  8,
comma 1,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e dell'art. 117, quinto comma,
Cost., come attuato dall'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234
(Norme generali sulla partecipazione dell'Italia  alla  formazione  e
all'attuazione  della  normativa  e   delle   politiche   dell'Unione
europea), per carenza dei  presupposti  per  l'esercizio  del  potere
sostitutivo. Sarebbe altresi' leso l'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., in relazione all'art. 250 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e all'art. 41 della  legge
n. 234 del 2012, in virtu' del falso ed erroneo presupposto di  fatto
e di diritto  consistente  nell'individuazione  della  Regione  quale
amministrazione  responsabile  della  bonifica  e,  di   conseguenza,
dell'inadempimento eccepito a livello comunitario. 
    1.2.- Con il secondo ricorso, invece, e' impugnata la nota  della
Direzione generale per  i  rifiuti  e  l'inquinamento  del  Ministero
dell'ambiente,  che  comunica  alla   Regione   l'insussistenza   dei
presupposti per  il  ritiro  o  la  modifica  della  diffida.  L'atto
violerebbe, in primo luogo, l'art. 120, secondo comma, Cost.,  l'art.
8 della legge n. 131 del 2003 e il principio di leale collaborazione,
in virtu' del difetto di attribuzione della Direzione generale per  i
rifiuti e l'inquinamento. In secondo  luogo,  sarebbero  violati  gli
artt. 117, secondo comma, lettera s),  e  119  Cost.,  per  l'erronea
individuazione della Regione quale amministrazione  responsabile.  Da
ultimo,  sarebbero  lesi  il  principio   costituzionale   di   leale
collaborazione, in relazione all'accordo raggiunto con la Regione  di
proporre l'impugnazione della nota di ingiunzione  della  Commissione
europea, nonche' l'art. 24 Cost. 
    1.3.- Con il terzo ricorso e' impugnata  la  nota  del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  della   Ragioneria
generale dello Stato per i rapporti finanziari con l'Unione  europea,
di avvio del procedimento di rivalsa nei confronti del Comune e della
Regione, per il recupero delle somme pagate in virtu' della  condanna
irrogata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, a  seguito  di
procedura d'infrazione, relativa a varie discariche abusive, tra  cui
quella in oggetto. 
    L'atto impugnato sarebbe lesivo  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in relazione all'art. 250 del d.lgs.  n.  152  del
2006, poiche', attribuendo alla Regione una responsabilita'  che  non
le compete, risulterebbe fondato  su  un'erronea  qualificazione  dei
presupposti di fatto e di diritto. La  nota,  inoltre,  lederebbe  il
principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 8 della legge n.
131 del 2003 e 41 della legge n. 234 del  2012,  attuativi  dell'art.
120, secondo comma, Cost., nell'applicazione dell'art. 43 della legge
n. 234 del 2012, per violazione del procedimento stesso  di  rivalsa,
in quanto assunta da un organo tecnico-burocratico e  in  assenza  di
una intesa. Altresi' violati sarebbero  l'art.  43,  comma  7,  della
legge n. 234 del 2012 e il principio  di  leale  collaborazione,  per
l'illegittimita'  del   procedimento   posto   in   essere   per   il
raggiungimento dell'intesa sul quantum debeatur. Da  ultimo,  in  via
subordinata, l'atto impugnato sarebbe  illegittimo  anche  in  virtu'
dell'insussistenza dei presupposti  per  l'esercizio  dell'azione  di
rivalsa, ai sensi dell'art. 43, comma 4, della legge n. 234 del 2012. 
    2.- I tre ricorsi  concernono  una  serie  di  atti  strettamente
connessi tra loro, frutto di un'unica sequenza e fondati sul medesimo
presupposto. 
    I giudizi, pertanto,  vanno  riuniti  per  essere  congiuntamente
esaminati e decisi con unica pronuncia. 
    3.-  Il  conflitto  di  attribuzione   promosso   dalla   Regione
Emilia-Romagna, nei confronti dello Stato, con il ricorso iscritto al
n. 1 del registro conflitti tra enti 2016, in  relazione  al  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 26  novembre  2015,  e'
inammissibile. 
    3.1.- La Regione Emilia-Romagna non lamenta l'invasione, da parte
dello Stato, di una sua competenza costituzionale e riconosce,  anzi,
l'esclusiva competenza statale in materia. 
    Oggetto del contendere e' l'illegittimita' dell'atto di  diffida,
per carenza del presupposto per l'esercizio  del  potere  sostitutivo
statale. Ad avviso della Regione, infatti, l'art. 250 del  d.lgs.  n.
152  del  2006  conferirebbe   alle   Regioni   soltanto   competenze
amministrative delegate, non tali percio' da attribuire  alle  stesse
il compito di  provvedere  direttamente  in  luogo  del  Comune  alla
bonifica del sito.  Inoltre,  la  pretesa  di  esercizio  del  potere
sostitutivo non avrebbe tenuto conto che il sito era gia' stato messo
in sicurezza. 
    Come chiarito dalla stessa memoria presentata  dalla  ricorrente,
l'interesse della Regione e' quello «[...] che sia stabilito un punto
fermo in ordine alla questione principale sollevata con  i  conflitti
[...] e, quindi, che significato attribuire alla disposizione di  cui
all'art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006». 
    Nel  caso  di  specie,  quindi,  la  controversia   e'   relativa
all'applicazione di una legge ordinaria,  sulla  quale  si  chiede  a
questa Corte un chiarimento interpretativo. Cio' che viene censurato,
in realta', e' l'uso di un potere statale  ad  avviso  della  Regione
contrario all'interpretazione che  essa  da'  della  disposizione  in
questione,  senza  che  si  sia   verificata   un'alterazione   della
ripartizione delle competenze indicate dalla Costituzione. 
    Le  Regioni   possono   proporre   ricorso   per   conflitto   di
attribuzione, a norma dell'art. 39, primo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), quando esse lamentino non una qualsiasi lesione,  ma
una lesione di una propria competenza costituzionale (sentenze n.  52
del 2013 e n. 90  del  2011).  «Qualora  cio'  non  si  verifichi,  e
tuttavia si prospetti l'illegittimo uso  di  un  potere  statale  che
determini conseguenze avvertite come negative dalle Regioni,  ma  non
tali da alterare la ripartizione delle competenze indicata  da  norme
della Costituzione (o, comunque, da  norme  di  rango  costituzionale
come  gli  statuti  di  autonomia  speciale),   i   rimedi   dovranno
eventualmente  essere  ricercati  dagli  interessati  presso  istanze
giurisdizionali diverse da quella costituzionale»  (sentenza  n.  380
del 2007; nello stesso senso, sentenze n. 263 del 2014,  n.  235  del
2008, n. 95 del 2003 e n. 467 del 1997). 
    Dunque, poiche' la questione prospettata si  risolve  nella  mera
denunzia di una errata interpretazione della disciplina legale  della
materia,  quest'ultima  avrebbe  dovuto  essere  fatta  valere  nelle
appropriate sedi giurisdizionali  e  non  in  sede  di  conflitto  di
attribuzione (sentenze n. 263 del 2014, n. 52 del  2013,  n.  90  del
2011, n. 235 del 2008 e n. 380 del 2007). 
    4.-  Il  conflitto  di  attribuzione   promosso   dalla   Regione
Emilia-Romagna, nei confronti dello Stato, con il ricorso iscritto al
n. 3 del registro conflitti tra enti 2016,  in  relazione  alla  nota
della Direzione generale per i rifiuti  e  l'inquinamento  presso  il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare  del
1° febbraio 2016, prot. n. 0001528, e' inammissibile. 
    4.1.-  La  Regione,  anche  in  tal  caso,   contesta   l'erronea
interpretazione data a disposizioni di legge in materia di  esclusiva
competenza statale. In tal modo, pero', non si  lamenta  una  lesione
dell'ordine costituzionale delle competenze, chiedendosi  al  piu'  a
questa Corte di precisare che allo Stato non spetta  l'esercizio  del
potere sostitutivo anche  nei  confronti  della  Regione,  alla  luce
dell'interpretazione di una norma di legge, che  altrimenti  dovrebbe
ritenersi incostituzionale. 
    Dunque, anche per tale conflitto, si prospetta l'illegittimo  uso
di un potere statale, senza che sia pero'  alterata  la  ripartizione
delle competenze indicata da norme della Costituzione, mancando cosi'
il necessario presupposto affinche'  le  doglianze  proposte  possano
assumere rilievo in sede di giurisdizione costituzionale (sentenza n.
380 del 2007). 
    5.-  Il  conflitto  di  attribuzione   promosso   dalla   Regione
Emilia-Romagna, nei confronti dello Stato, con il ricorso iscritto al
n. 4 del registro conflitti tra enti  2016,  in  relazione  nota  del
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -   Dipartimento   della
Ragioneria  generale  dello  Stato  per  i  rapporti  finanziari  con
l'Unione  europea  del  1°  aprile  2016,  n.   R.   G.   31511,   e'
inammissibile. 
    5.1.-    Preliminarmente     deve     respingersi     l'eccezione
d'inammissibilita' sollevata dalla  difesa  statale,  motivata  dalla
sostanziale sospensione dell'efficacia della  nota  della  Ragioneria
impugnata, decisa in sede di Conferenza unificata il 26 maggio 2016. 
    La sospensione, infatti, non riguarda l'atto in  se',  bensi'  il
termine di novanta giorni ivi previsto,  restando  impregiudicato  il
presupposto  dell'atto,  ossia  la  responsabilita'  della   Regione,
oggetto di specifica censura con il ricorso in esame. 
    5.2.-  L'inammissibilita'  del  conflitto,  invece,  deve  essere
riconosciuta  anche  in  questo  caso  alla  luce  delle   specifiche
doglianze mosse avverso l'atto impugnato. 
    La nota del MEF, infatti, e' censurata essenzialmente nella parte
in  cui   individua   aprioristicamente   i   soggetti   responsabili
dell'inadempimento alla base della futura rivalsa, in  assenza  pero'
d'istruttoria ai sensi della legislazione  in  materia.  Non  sarebbe
stato accertato, infatti, l'an della pretesa dello  Stato,  che  anzi
avrebbe gia' avviato  il  procedimento  idoneo  alla  formazione  del
titolo esecutivo, in violazione dell'art. 43 della legge n.  234  del
2012. 
    Dunque, cio'  che  si  lamenta  e'  l'erronea  interpretazione  e
applicazione  delle  disposizioni  legislative  in  materia   e   non
un'alterazione  dell'ordine  costituzionale  delle   competenze.   Ne
consegue che, invocandosi una mera violazione  di  legge,  la  stessa
sara' sindacabile, semmai, nelle sedi giurisdizionali competenti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  promosso
dalla Regione Emilia-Romagna,  nei  confronti  dello  Stato,  con  il
ricorso iscritto al n. 1 del registro conflitti  tra  enti  2016,  in
relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26
novembre 2015; 
    2) dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  promosso
dalla Regione Emilia-Romagna,  nei  confronti  dello  Stato,  con  il
ricorso iscritto al n. 3 del registro conflitti  tra  enti  2016,  in
relazione  alla  nota  della  Direzione  generale  per  i  rifiuti  e
l'inquinamento presso il Ministero dell'ambiente e della  tutela  del
territorio e del mare del 1° febbraio 2016, prot. n. 0001528; 
    3) dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  promosso
dalla Regione Emilia-Romagna,  nei  confronti  dello  Stato,  con  il
ricorso iscritto al n. 4 del registro conflitti  tra  enti  2016,  in
relazione alla nota del Ministero dell'economia  e  delle  finanze  -
Dipartimento della Ragioneria generale dello  Stato  per  i  rapporti
finanziari con l'Unione europea del 1° aprile 2016, n. R. G. 31511. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA