N. 18 SENTENZA 5 dicembre 2018- 14 febbraio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica ‒ Piano di riequilibrio  finanziario
  degli enti locali ‒ Possibilita' di rimodulazione o  riformulazione
  del piano da parte degli enti locali entro il 31 maggio 2017  e  al
  ricorrere di determinate condizioni. 
- Legge 28 dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
  stabilita' 2016)», art. 1, comma 714, come sostituito dall'art.  1,
  comma 434, della legge  11  dicembre  2016,  n.  232  (Bilancio  di
  previsione dello Stato  per  l'anno  finanziario  2017  e  bilancio
  pluriennale per il triennio 2017‒ 2019). 
-   
(GU n.8 del 20-2-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2016)», come sostituito dall'art. 1, comma  434,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019), promosso dalla Corte  dei  conti,  sezione  regionale  di
controllo per la  Campania,  con  ordinanza  del  28  febbraio  2018,
iscritta al n. 70 del registro  ordinanze  2018  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  19,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5 dicembre  2018  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del  28  febbraio  2018  la  Corte  dei  conti,
sezione  regionale  di  controllo  per  la  Campania,  ha   sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  714,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», come sostituito  dall'art.  1,  comma  434,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019), in riferimento agli artt. 81  e  97  della  Costituzione,
autonomamente e in combinato disposto con gli artt.  1,  2,  3  e  41
Cost., e agli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., in  relazione  agli
artt. 6 e 13  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, nonche' all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la stessa legge n.
848 del 1955. 
    L'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito
dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232  del  2016,  prevede  che,
«[f]ermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti locali
che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale
o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi  dell'articolo  243-bis
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
prima dell'approvazione del rendiconto per l'esercizio 2014, se  alla
data della presentazione o dell'approvazione del  medesimo  piano  di
riequilibrio finanziario pluriennale non avevano ancora provveduto ad
effettuare il  riaccertamento  straordinario  dei  residui  attivi  e
passivi di cui all'articolo 3, comma 7, del  decreto  legislativo  23
giugno 2011, n. 118, possono rimodulare  o  riformulare  il  predetto
piano, entro il 31 maggio 2017, scorporando  la  quota  di  disavanzo
risultante  dalla  revisione  straordinaria  dei   residui   di   cui
all'articolo 243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente  ai  residui
antecedenti al 1º gennaio 2015, e ripianando tale  quota  secondo  le
modalita' previste dal decreto del Ministero  dell'economia  e  delle
finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89  del
17 aprile 2015 [...]». 
    Il rimettente riferisce che, con deliberazione della  commissione
straordinaria del 19 febbraio 2013, n. 40, il Comune di Pagani  aveva
fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario  pluriennale
(PRFP) prevista dall'art. 243-bis del decreto legislativo  18  agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
locali), per gli enti in cosiddetto predissesto, adottando  un  piano
decennale per il recupero del disavanzo. 
    Tale piano era stato approvato dalla  Corte  dei  conti,  sezione
regionale di controllo per la Campania, con delibera 14  marzo  2016,
n. 53/2016/PRSP. 
    Successivamente, il  Comune  di  Pagani,  in  applicazione  della
disposizione censurata, con deliberazione del Consiglio comunale  del
30 maggio  2017,  n.  31,  aveva  proceduto  alla  rimodulazione  del
predetto piano, avvalendosi della facolta' di ripiano trentennale del
disavanzo residuo e di quello frattanto  accertato  dalla  Corte  dei
conti a seguito del monitoraggio previsto dall'art. 243-quater, comma
7, del d.lgs. n. 267 del 2000 - che potrebbe  condurre,  in  caso  di
accertamento  negativo,  alla  deliberazione  del  dissesto   -   per
passivita' non contabilizzate (essenzialmente  costituite  da  debiti
fuori bilancio). 
    In tal modo,  al  netto  della  quota  di  disavanzo  frutto  del
riaccertamento straordinario dei residui ai  sensi  dell'art.  3  del
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni  in  materia
di armonizzazione dei sistemi contabili e degli  schemi  di  bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), la quota annuale di
disavanzo da ripianare veniva a essere, in ragione della piu' diluita
ripartizione, inferiore alla precedente, determinando il recupero  di
un margine di spesa corrente per l'ente. 
    Tanto  rilevato  in  sede  di  monitoraggio  ai  sensi  dell'art.
243-quater,  comma  7,  del  d.lgs.  n.  267  del  2000,  dopo   aver
sollecitato il contraddittorio del Comune di  Pagani,  la  Corte  dei
conti, prima di pronunciarsi sul rispetto degli adempimenti da  parte
dell'ente in predissesto, ha  sollevato  la  descritta  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    1.1.- Anzitutto, il rimettente assume  di  essere  legittimato  a
sollevare l'incidente di costituzionalita', come gia' riconosciuto da
questa Corte, nell'ambito del controllo di legittimita'  sui  bilanci
degli enti locali. 
    Come in tali casi, infatti, non si tratterebbe  di  un  controllo
collaborativo - che si  estrinseca  in  un  referto  sconfinante  nel
merito amministrativo e funzionale alla promozione  di  comportamenti
auto-correttivi  delle  amministrazioni  controllate  -  ma   di   un
controllo di legittimità-regolarita' (al pari di quelli in  relazione
ai quali la legittimazione  a  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale  e'  stata  ammessa),   la   cui   genesi   troverebbe
spiegazione  nel  rafforzamento,  in   Costituzione,   del   precetto
dell'equilibrio di bilancio e il cui esito comporterebbe  conseguenze
giuridiche specifiche, ossia, nella  fattispecie,  il  passaggio  dal
regime del piano di riequilibrio finanziario a quello del dissesto. 
    Detto controllo sarebbe esercitato  da  un  "giudice",  tale  per
composizione, terzieta' e imparzialita'  rispetto  al  sistema  delle
autonomie, al servizio del principio di legalita' e  a  presidio  del
bilancio  quale  "bene  pubblico",  nell'ambito  di  un  procedimento
connotato da un  alto  tasso  di  contraddittorio  e  dalla  pubblica
adunanza - in applicazione  analogica  delle  norme  dettate  per  il
controllo  preventivo  -  destinato  a  confluire  in  una  decisione
suscettibile di acquisire stabilita'  giuridica  e  condizionante  in
modo  definitivo  la  possibilita'  di  rimanere  nell'ambito   della
procedura di predissesto, evitando quella di dissesto. 
    Diversamente, qualora si negasse la legittimazione del rimettente
a  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale,  la  norma
applicata, soprattutto ove  conducesse  a  un  giudizio  positivo  in
merito alla PRFP, si collocherebbe in  una  zona  d'ombra,  sottratta
allo scrutinio di costituzionalita',  risultando  difficile,  se  non
impossibile,  identificare  un  soggetto  diverso  dall'ente   locale
titolare di una situazione giuridica soggettiva di  segno  opposto  e
giustiziabile. 
    1.2.- Il rimettente evidenzia come l'art.  1,  comma  714,  della
legge n. 208 del 2015, come sostituito dall'art. 1, comma 434,  della
legge n. 232 del 2016, consenta all'ente locale,  che  alla  data  di
presentazione o approvazione del  piano  di  riequilibrio  non  abbia
ancora provveduto a effettuare il  riaccertamento  straordinario  dei
residui attivi e passivi ai sensi dell'art. 3, comma 7, del d.lgs. n.
118 del 2011, di modificare il piano sotto  il  profilo  temporale  e
quantitativo, scorporando la  quota  di  disavanzo  risultante  dalla
revisione straordinaria dei residui di cui all'art. 243-bis, comma 8,
lettera e), del d.lgs.  n.  267  del  2000  e  ripianando  la  stessa
nell'arco di trenta anni. 
    Tale regime di ripiano del  disavanzo  eccederebbe  gli  ordinari
argini temporali del ciclo di bilancio cosi' come quelli, piu'  ampi,
previsti per il suo riequilibrio in caso di crisi  strutturale  della
finanza degli  enti  locali,  senza  che  il  lasso  trentennale  sia
collegato  al  mutamento  del  paradigma  contabile  -  quale  quello
risultante  dal  d.lgs.  n.  118  del  2011,  che  determinerebbe  la
potenziale crescita esponenziale di disavanzi in  ragione  dei  nuovi
standard di prudenza e trasparenza, da fronteggiare senza pregiudizio
per altri valori costituzionalmente rilevanti  e,  segnatamente,  per
l'erogazione delle prestazioni di cui all'art.  117,  secondo  comma,
lettera  m),   Cost.   -   trattandosi   di   squilibri   determinati
dall'emersione  di  crediti  suscettibili   di   essere   considerati
inesigibili gia' in virtu'  della  precedente  disciplina  e  non  in
correlazione alla nuova. 
    Pertanto,   la   disposizione   censurata,   insuscettibile    di
interpretazione    costituzionalmente    orientata     in     ragione
dell'incontrovertibile dato testuale, violerebbe gli artt.  81  e  97
Cost., autonomamente e «in combinato disposto» con gli artt. 1, 2,  3
e  41  Cost.,  in  quanto,  in  assenza   di   una   valida   ragione
giustificatrice,   prevederebbe   una    misura    di    salvaguardia
dell'equilibrio  di  bilancio  destinata  a  dipanarsi  in  un   arco
temporale dilatato ben oltre il ciclo triennale  di  bilancio,  cosi'
ampliando la capacita' di spesa dell'ente in condizioni di conclamato
squilibrio. In tal modo, inoltre,  la  disciplina  in  questione:  a)
sottrarrebbe  gli  amministratori  locali  al   vaglio   della   loro
responsabilita'  politica  nei  confronti  dell'elettorato;  b)   non
assolverebbe  il  dovere  di   solidarieta'   nei   confronti   delle
generazioni future, su cui lo squilibrio non tempestivamente risanato
sarebbe  destinato  a  riverberarsi  in  ragione  del  principio   di
continuita' dei bilanci;  c)  non  consentirebbe  di  supportare  con
risorse effettive le politiche volte  a  rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine economico e sociale  che  limitano  di  fatto  la  liberta'  e
l'uguaglianza  dei  cittadini;  d)  pregiudicherebbe  il   tempestivo
adempimento  degli  impegni  assunti  nei  confronti  delle  imprese,
potenzialmente determinandone la crisi. 
    La norma, inoltre, contrasterebbe con gli artt. 24 e  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, nonche' all'art. 1
del Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto la prevista  facolta'
di modifica del piano di riequilibrio, inserita  in  un  contesto  di
instabilita' della disciplina legislativa del  ripiano,  estremamente
mutevole nel tempo, aggravata dall'interpretazione giurisprudenziale,
determinerebbe una situazione di incertezza giuridica e  di  mancanza
di affidamento in grado di pregiudicare sia il diritto dell'ente a un
ricorso effettivo dinanzi a un giudice  imparziale,  che  accerti  la
sussistenza o meno delle condizioni per  riequilibrare  il  bilancio,
sia la realizzazione del presupposto per la  soddisfazione  effettiva
delle ragioni dei creditori,  sacrificata  dall'indeterminatezza  dei
tempi di conclusione delle procedure di risanamento finanziario. 
    1.3.- Secondo il rimettente,  le  questioni  sollevate  sarebbero
rilevanti  in  quanto  la  modifica  del  piano,  in  ragione   della
ripartizione del disavanzo su  un  orizzonte  temporale  piu'  ampio,
inciderebbe in riduzione sul  quantum  degli  obiettivi  intermedi  e
finali del riequilibrio, che costituirebbero il  canone  concreto  (a
titolo esemplificativo, possibilita' di disporre per trenta anni  del
mancato accantonamento derivante dalla norma impugnata per  ripianare
il disavanzo, implementando in pari misura la spesa corrente  durante
detto periodo, in  cui  permane  il  disavanzo  stesso;  accertamento
dell'adempimento  delle  obbligazioni  nei  confronti  dei  debitori;
pregiudizio  per  la  conservazione  delle  risorse   per   adempiere
tempestivamente  le  obbligazioni   passive;   pregiudizio   per   la
conservazione delle risorse destinate alla restituzione della sorte e
degli interessi dei prestiti contratti) di controllo della Corte  dei
conti per tutta  la  durata  della  procedura,  su  cui  svolgere  la
valutazione di gravita' e reiterazione  dell'inadempimento  ai  sensi
dell'art.  243-quater,  comma  7,  del  d.lgs.  n.  267   del   2000,
valutazione   condizionata   dalla    questione    di    legittimita'
costituzionale sollevata. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale, rimettendosi alla valutazione  di  questa  Corte  in
ordine alla legittimazione del rimettente a promuovere l'incidente di
costituzionalita', ha concluso nel senso della non  fondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate. 
    A suo avviso, il riaccertamento straordinario dei residui di  cui
all'art. 3, comma 7, del d.lgs.  n.  118  del  2011  e  la  revisione
straordinaria degli  stessi  prevista  dall'art.  243-bis,  comma  8,
lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000 costituirebbero  attivita'  di
accertamento della  reale  situazione  finanziaria  dell'ente  locale
sostanzialmente coincidenti. 
    Dunque,  sarebbe  ragionevole  che  la  norma  censurata,   fermi
restando i tempi di  pagamento  dei  creditori,  permetta  agli  enti
locali  di  rimodulare  o  riformulare  il  piano  di   riequilibrio,
scorporando e consentendo di ripianare in trenta  anni  la  quota  di
disavanzo  risultante  dalla  revisione  straordinaria  dei   residui
antecedenti al 1° gennaio 2015, stessa data a cui e' circoscritto  il
riaccertamento straordinario, a riprova della sostanziale coincidenza
delle due operazioni. 
    In sostanza, l'art. 1, comma 714, della legge n.  208  del  2015,
come consentiva, nella precedente versione, la  riformulazione  e  la
rimodulazione del  piano  di  riequilibrio  su  base  trentennale  in
ragione  del  riaccertamento  straordinario  dei  residui,  cosi',  a
seguito della sostituzione operata dalla norma censurata, altrettanto
consentirebbe,  in   ragione   delle   risultanze   della   revisione
straordinaria dei residui, a quegli  enti  che  non  avessero  ancora
provveduto al riaccertamento straordinario, trattandosi dello  stesso
disavanzo:  in  entrambi  i  casi  sarebbe  ravvisabile  la  medesima
giustificazione sul piano  costituzionale,  onde  la  non  fondatezza
delle questioni sollevate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del  28  febbraio  2018  la  Corte  dei  conti,
sezione  regionale  di  controllo  per  la  Campania,  ha   sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  714,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», come sostituito  dall'art.  1,  comma  434,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019), in riferimento agli artt. 81  e  97  della  Costituzione,
autonomamente e in combinato disposto con gli artt.  1,  2,  3  e  41
Cost., e agli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., in  relazione  agli
artt. 6 e 13  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, nonche' all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la stessa legge n.
848 del 1955. 
    La disposizione censurata, sostituita  dall'art.  1,  comma  434,
della  legge  n.  232  del  2016,  disciplina  la  riformulazione   o
rimodulazione dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale degli
enti locali in predissesto e la restituzione delle  anticipazioni  di
liquidita' a essi erogate. 
    Secondo  il  rimettente,  la  disposizione,   insuscettibile   di
interpretazione    costituzionalmente    orientata     in     ragione
dell'incontrovertibile dato testuale, consentirebbe all'ente  locale,
che  alla  data  di  presentazione  o  approvazione  del   piano   di
riequilibrio  non   abbia   ancora   provveduto   a   effettuare   il
riaccertamento straordinario dei residui attivi e  passivi  ai  sensi
dell'art. 3, comma 7, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42),  di  modificare  il  piano  sotto   il   profilo   temporale   e
quantitativo, scorporando la  quota  di  disavanzo  risultante  dalla
revisione straordinaria dei residui di cui all'art. 243-bis, comma 8,
lettera e), del decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e ripianando la
stessa nell'arco di trenta anni. 
    La  norma,  pertanto,  violerebbe  gli  artt.  81  e  97   Cost.,
autonomamente e «in combinato disposto» con gli artt. 1, 2,  3  e  41
Cost.,  in   quanto   prevederebbe   una   misura   di   salvaguardia
dell'equilibrio  di  bilancio  destinata  a  dipanarsi  in  un   arco
temporale dilatato ben oltre il ciclo  triennale  di  bilancio  e  ad
ampliare la capacita' di spesa dell'ente in condizioni di  conclamato
squilibrio. In tal modo, inoltre, la disciplina dettata dalla  norma:
a) sottrarrebbe  gli  amministratori  locali  al  vaglio  della  loro
responsabilita'  politica  nei  confronti  dell'elettorato;  b)   non
assolverebbe  il  dovere  di   solidarieta'   nei   confronti   delle
generazioni future, facendo gravare su di esse debiti e disavanzi  in
modo  sproporzionato  poiche'  lo  squilibrio   non   tempestivamente
risanato sarebbe destinato a riverberarsi in ragione del principio di
continuita' dei bilanci;  c)  non  consentirebbe  di  supportare  con
risorse effettive le politiche volte  a  rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine economico e sociale  che  limitano  di  fatto  la  liberta'  e
l'uguaglianza  dei  cittadini;  d)  pregiudicherebbe  il   tempestivo
adempimento  degli  impegni  assunti  nei  confronti  delle  imprese,
potenzialmente determinandone la crisi. 
    La disposizione censurata allungherebbe,  in  modo  assolutamente
anomalo,  i  tempi  di  rientro,  ledendo  una  serie   di   principi
consustanziali alla sana gestione  finanziaria.  Cosi',  l'equilibrio
del bilancio sarebbe alterato per  l'intero  trentennio,  durante  il
quale sarebbero consentite spese correnti oltre la  dimensione  delle
risorse di parte  corrente;  sarebbero  violate  le  regole  inerenti
all'indebitamento  che,  per  finanziare  la  permanenza  in  deficit
trentennale,  graverebbero  in  modo  ingiusto   e   illogico   sulle
generazioni future; sarebbe leso in modo irreparabile il principio di
rappresentanza  democratica,   perche'   la   responsabilita'   degli
amministratori che hanno provocato il deficit sarebbe stemperata  per
un lunghissimo arco generazionale, in modo da determinare  una  sorta
di oblio e di immunita' a favore dei responsabili. 
    Risulterebbero altresi' violati gli artt. 24 e 117, primo  comma,
Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, nonche'  all'art.  1  del
Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto la prevista  facolta'  di
modifica del piano  di  riequilibrio,  inserita  in  un  contesto  di
instabilita' della disciplina legislativa del  ripiano,  estremamente
mutevole    nel    tempo     e     aggravata     dall'interpretazione
giurisprudenziale,  determinerebbe  una  situazione   di   incertezza
giuridica e di mancanza di affidamento in grado di  pregiudicare  sia
il diritto dell'ente a un ricorso  effettivo  dinanzi  a  un  giudice
imparziale,  che  accerti  la  sussistenza   delle   condizioni   per
riequilibrare il bilancio, sia la realizzazione del  presupposto  per
la   soddisfazione   delle   ragioni   dei   creditori,   sacrificata
dall'indeterminatezza dei tempi di  conclusione  delle  procedure  di
risanamento finanziario. 
    2.- Per quanto riguarda la legittimazione dell'organo  rimettente
e la rilevanza della questione, occorre un'attenta ricognizione delle
modalita' di svolgimento della funzione attribuita dalla  legge  alle
sezioni regionali di controllo della Corte  dei  conti  con  riguardo
all'attuazione e al rispetto del piano  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale,  che  costituisce   il   fulcro   della   procedura   di
predissesto. 
    Dopo  l'approvazione  del  piano,  alle  sezioni   regionali   di
controllo della  Corte  dei  conti  spetta  il  compito  di  vigilare
sull'esecuzione dello stesso, adottando - in sede di  controllo,  con
le modalita' dell'art. 243-bis, comma 6, lettera a),  del  d.lgs.  n.
267 del 2000  (T.U.  enti  locali)  -  apposita  pronuncia  ai  sensi
dell'art. 243-quater, commi 3, 5 e 7,  del  medesimo  decreto:  «[i]n
caso  di  approvazione  del  piano,  la  Corte   dei   Conti   vigila
sull'esecuzione  dello  stesso,  adottando  in  sede  di   controllo,
effettuato ai sensi  dell'articolo  243-bis,  comma  6,  lettera  a),
apposita pronuncia. [...L]a delibera di approvazione o di diniego del
piano puo' essere impugnata entro 30 giorni, nelle forme del giudizio
ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni  riunite  della  Corte  dei
conti in speciale composizione  che  si  pronunciano,  nell'esercizio
della  propria  giurisdizione  esclusiva  in  tema  di   contabilita'
pubblica,  ai  sensi  dell'articolo   103,   secondo   comma,   della
Costituzione, entro 30 giorni dal deposito  del  ricorso.  Fino  alla
scadenza del termine per impugnare e, nel caso di  presentazione  del
ricorso,  sino  alla  relativa  decisione,  le  procedure   esecutive
intraprese nei confronti dell'ente sono sospese.  [...L]'accertamento
da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti  di
grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi  fissati
dal  piano,  ovvero  il  mancato  raggiungimento   del   riequilibrio
finanziario dell'ente al termine del  periodo  di  durata  del  piano
stesso, comportano  l'applicazione  dell'articolo  6,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 149 del 2011, con l'assegnazione al  Consiglio
dell'ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore  a  venti
giorni per la deliberazione del dissesto». 
    L'art. 243-bis, comma  6,  lettera  a),  del  T.U.  enti  locali,
richiamato dalla menzionata disposizione, prevede  che  il  piano  di
riequilibrio finanziario pluriennale deve tener  conto  di  tutte  le
misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio  rilevate  e
deve, comunque, contenere le  eventuali  misure  correttive  adottate
dall'ente locale in considerazione dei comportamenti  difformi  dalla
sana gestione finanziaria e  del  mancato  rispetto  degli  obiettivi
posti con il patto di stabilita' interno accertati  dalla  competente
sezione regionale di controllo della Corte dei  conti.  Quest'ultima,
dunque,  vigila  sull'adozione   e   sull'esecuzione   delle   misure
necessarie a superare le condizioni di squilibrio. 
    Tale funzione di vigilanza-ingerenza della Corte dei  conti,  che
presenta una cadenza semestrale (art. 243-quater, comma 6,  del  T.U.
enti  locali),  e'  stata  gia'  inquadrata  da  questa  Corte  nella
categoria del controllo di legittimità-regolarita': «[i] controlli di
legittimita' sui bilanci degli enti locali [...] sono strumentali  al
rispetto degli "obblighi  che  lo  Stato  ha  assunto  nei  confronti
dell'Unione europea in ordine alle politiche di bilancio.  In  questa
prospettiva,  funzionale  ai   principi   di   coordinamento   e   di
armonizzazione dei conti pubblici", detti controlli "si  giustificano
in ragione dei caratteri di neutralita' e indipendenza del  controllo
di legittimita' della Corte dei conti" (sentenza  n.  39  del  2014).
[... A]ppare evidente che i controlli [...] del titolo VIII del  TUEL
[...] consistono appunto in controlli di  legittimità-regolarita'  se
non  addirittura   in   attribuzioni   di   natura   giurisdizionale.
Appartengono alla prima categoria: a)  la  determinazione  di  misure
correttive per gli  enti  in  predissesto  (art.  243-bis,  comma  6,
lettera a, del TUEL); b) l'approvazione o il  diniego  del  piano  di
riequilibrio  (art.  243-quater,  comma  3,   del   TUEL);   c)   gli
accertamenti  propedeutici  alla  dichiarazione  di  dissesto   (art.
243-quater,  comma  7,  del  TUEL).  Riguardano  funzioni  di  natura
giurisdizionale: a) la  giurisdizione  delle  Sezioni  riunite  della
Corte dei conti in speciale composizione avverso  le  delibere  della
sezione regionale di controllo (art. 243-quater, comma 5, del  TUEL);
b) l'attivita' requirente della Procura  regionale  sulle  cause  del
dissesto (art. 246, comma  2,  del  TUEL);  c)  l'accertamento  delle
responsabilita' degli amministratori e dei revisori dei conti ai fini
dell'applicazione delle ulteriori sanzioni amministrative (art.  248,
commi 5 e 5-bis, del TUEL). [...] Si tratta di funzioni - siano  esse
relative al controllo che alla giurisdizione  -  in  cui  l'attivita'
della Corte dei conti  risulta  rigorosamente  ancorata  a  parametri
legali, tanto che la stessa attivita' di controllo  e'  sottoponibile
al  sindacato  giurisdizionale  delle  Sezioni  riunite  in  speciale
composizione, in conformita' ai principi contenuti nella sentenza  n.
39 del 2014 di questa Corte» (sentenza n. 228 del 2017). 
    La funzione di controllo, nel cui  esercizio  e'  stata  adottata
l'ordinanza di rimessione, risponde  all'esigenza  di  un  intervento
rapido e tempestivo, prima che "la deviazione dal  percorso  fissato"
dal piano di risanamento diventi irreversibile e conduca al  dissesto
dell'ente. Per questo motivo, a ogni scadenza semestrale la Corte dei
conti  e'  tenuta  ad  assumere   formale   pronuncia   di   verifica
sull'andamento del  percorso  di  risanamento  seguito  dall'ente  in
predissesto. Quando lo scostamento non e' piu' recuperabile, la Corte
accerta la situazione di incapacita' finanziaria che impone  all'ente
locale la dichiarazione di dissesto. 
    In tale  segmento  della  procedura  di  predissesto  si  colloca
l'incidente di costituzionalita' in esame, originato dal dubbio della
Corte rimettente circa la legittimita' costituzionale della norma che
dovrebbe applicare. Quest'ultima allungherebbe e stravolgerebbe  fino
a precluderlo, il percorso di rientro dal deficit. 
    3.- Alla luce del contesto  normativo  da  cui  prende  le  mosse
l'ordinanza  di   rimessione,   al   problema   pregiudiziale   della
legittimazione della sezione di controllo della  Corte  dei  conti  a
sollevare questioni di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art.
1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi
di legittimita' costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza  della
Corte Costituzionale), e dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), deve darsi risposta affermativa, in coerenza  con  i
criteri individuati da questa  Corte  e  in  particolare  con  quelli
contenuti nella sentenza n.  226  del  1976,  che  ha  individuato  i
requisiti necessari e sufficienti affinche'  le  questioni  sollevate
dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimita'
sugli atti - cui il  controllo  in  considerazione  va  assimilato  -
possano considerarsi promanare  da  un  «giudice»  nel  corso  di  un
«giudizio» (art. 1 della legge cost. n. 1 del  1948).  Detti  criteri
sono stati  di  recente  ribaditi  a  proposito  degli  incidenti  di
costituzionalita' sollevati nell'ambito dei giudizi di  parificazione
dinanzi alla Corte dei conti (sentenze n. 196 del 2018 e n.  188  del
2015). 
    E' stato peraltro ricordato, anche dopo la  pronuncia  del  1976,
che «[t]ale legittimazione e' stata riconosciuta (sent.  n.  226  del
1976) alla Corte dei conti in ragione della sua particolare posizione
istituzionale e della natura delle  sue  attribuzioni  di  controllo.
Sotto il primo aspetto, viene posta in rilievo la sua composizione di
"magistrati, dotati delle piu' ampie garanzie di  indipendenza  (art.
100, comma 2, Cost.)" e la sua natura di "unico organo  di  controllo
che goda di una diretta garanzia in sede  costituzionale".  Sotto  il
secondo  aspetto,  viene  in  evidenza  il  peculiare  carattere  del
giudizio portato dalla  Corte  dei  conti  sugli  atti  sottoposti  a
controllo, che si risolve nel valutarne "la  conformita'  (...)  alle
norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento
che non sia di ordine strettamente giuridico". Una funzione cioe'  di
garanzia  dell'ordinamento,  di  "controllo  esterno,   rigorosamente
neutrale e disinteressato (...)  preordinato  a  tutela  del  diritto
oggettivo"» (sentenza n. 384 del 1991). 
    Detti   caratteri   costituiscono   indubbio   fondamento   della
legittimazione  della  Corte  dei  conti  a  sollevare  questioni  di
costituzionalita',   atteso   che   il   riconoscimento    di    tale
legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel  quadro
della finanza  pubblica,  «si  giustifica  anche  con  l'esigenza  di
ammettere  al  sindacato  costituzionale  leggi   che,   come   nella
fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad
essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). 
    E' proprio in relazione a siffatte ipotesi che  questa  Corte  ha
auspicato (sentenza n. 406 del 1989) che,  quando  l'accesso  al  suo
sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai  profili
attinenti all'osservanza di norme poste a tutela della sana  gestione
finanziaria e degli equilibri di bilancio, i  meccanismi  di  accesso
debbano essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu'  adatta
a far valere quei profili, e cio' in ragione della  peculiare  natura
dei suoi compiti,  essenzialmente  finalizzati  alla  verifica  della
gestione secundum legem delle risorse finanziarie. 
    Quanto detto vale,  a  maggior  ragione,  per  il  controllo  sui
bilanci e sugli equilibri finanziari degli enti  locali,  cosi'  come
disciplinati dal decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di   finanza   e   funzionamento   degli   enti
territoriali, nonche' ulteriori disposizioni  in  favore  delle  zone
terremotate nel maggio 2012), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 7 dicembre 2012, n. 213, e dal d.lgs. n. 267 del 2000, ai sensi
dei quali viene esercitato il sindacato da cui  prende  le  mosse  la
questione di legittimita' costituzionale all'esame. 
    Sull'ascrivibilita'  del  sindacato  sui   bilanci   degli   enti
territoriali  alla   categoria   del   controllo   di   legittimita',
l'orientamento di questa Corte e' costante (ex plurimis, sentenze  n.
40 e n. 39 del 2014 e n. 60 del 2013) fin  dalle  riforme  introdotte
dal citato d.l. n. 174 del 2012. 
    Come evidenziato nelle richiamate  pronunce,  la  sua  disciplina
risponde all'esigenza di renderlo funzionale al rispetto dei  vincoli
nazionali ed europei e  di  ricondurlo  al  vaglio  unitario  di  una
magistratura specializzata, in modo da affrancarlo da ogni  possibile
contaminazione  di  interessi  che  privilegiano,  non  di  rado,  la
sopravvivenza  di  situazioni  patologiche  rispetto  al  trasparente
ripristino  degli  equilibri  di  bilancio  e  della  sana   gestione
finanziaria,  elementi  questi  ultimi  che  la  nuova   formulazione
dell'art. 97, primo comma, Cost. collega alla garanzia di  legalita',
imparzialita' ed efficienza dell'azione amministrativa. 
    La forma della sentenza (articolata in motivazione in  diritto  e
dispositivo) con cui si configurano le delibere  di  controllo  sulla
legittimita' dei bilanci e delle gestioni finanziarie  a  rischio  di
dissesto - e la sottoposizione di tali  delibere  alla  giurisdizione
esclusiva delle sezioni riunite della Corte  dei  conti  in  speciale
composizione   -   determinano   un'integrazione    della    funzione
giurisdizionale e di quella di controllo, geneticamente riconducibile
al dettato costituzionale (artt. 100  e  103  Cost.)  in  materia  di
contabilita'    pubblica,    ove     sono     custoditi     interessi
costituzionalmente rilevanti, sia adespoti  (e  quindi  di  difficile
giustiziabilita'), sia inerenti alle specifiche situazioni soggettive
la cui tutela e' affidata, ratione  materiae,  alla  giurisdizione  a
istanza di parte della magistratura contabile  (artt.  11,  comma  6,
lettere a ed e, e 172 e seguenti del decreto  legislativo  26  agosto
2016, n. 174, recante «Codice di  giustizia  contabile,  adottato  ai
sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124»). 
    Tale assunto e' condiviso dalla Corte di cassazione, secondo  cui
l'art.  243-quater,  comma  5,  del  T.U.  enti  locali   (introdotto
dall'art. 3, comma 1, lettera r, del d.l. n. 174 del  2012)  «assegna
alle sezioni riunite della stessa Corte dei  conti  la  giurisdizione
esclusiva in tema d'impugnazione avverso la delibera di  approvazione
o di diniego del piano, nelle forme del giudizio ad istanza di parte,
espressamente richiamando a tal  proposito  l'articolo  103,  secondo
comma, della Costituzione, con  un'ulteriore  analoga  previsione  di
giurisdizione esclusiva anche sui ricorsi avverso i provvedimenti  di
ammissione al Fondo  di  rotazione  di  cui  al  precedente  articolo
243-ter; da tali disposizioni chiaramente  si  evince  l'intento  del
legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione
di controllo della Corte dei conti a quella giurisdizionale  ad  essa
attribuita dal  citato  art.  103,  terzo  comma,  Cost.»  (Corte  di
cassazione, sezioni unite, ordinanza 13 marzo 2014 n. 5805). 
    Peraltro, il controllo  di  legittimità-regolarita'  sui  bilanci
presenta - rispetto al controllo sugli atti - un ulteriore  carattere
che lo avvicina ancor piu' al sindacato giurisdizionale. 
    Infatti, mentre le pronunce di controllo  di  legittimita'  sugli
atti possono essere in qualche modo disattese dal Governo, ricorrendo
alla registrazione con riserva, e dagli stessi  giudici  delle  altre
magistrature, nei confronti sia degli  atti  che  hanno  ottenuto  la
registrazione, sia delle situazioni generate dal  diniego  di  visto,
l'accertamento  effettuato  nell'esercizio  di  questo  sindacato  di
legittimita' sui bilanci "fa stato" nei confronti  delle  parti,  una
volta decorsi i termini di  impugnazione  del  provvedimento  davanti
alla Corte dei  conti,  sezioni  riunite  in  speciale  composizione.
Quello cosi' instaurato e' - come detto - un giudizio  a  istanza  di
parte, riservato  alla  giurisdizione  esclusiva  della  magistratura
contabile, caratterizzato dalla  presenza  del  procuratore  generale
della Corte dei conti in rappresentanza degli interessi  adespoti  di
natura finanziaria, che  costituisce  l'unica  sede  in  cui  possono
essere fatti valere gli interessi dell'amministrazione sottoposta  al
controllo e degli altri soggetti che si ritengano direttamente incisi
dalla pronuncia della sezione regionale di controllo. 
    Dunque, in aggiunta ai caratteri che furono ritenuti  sufficienti
dalla sentenza  n.  226  del  1976  di  questa  Corte  per  sollevare
l'incidente di  costituzionalita'  nell'esercizio  del  controllo  di
legittimita' sugli atti di Governo, il controllo che viene  all'esame
in questa sede e' munito di una definitivita' che non e'  reversibile
se non a opera della stessa magistratura dalla quale il provvedimento
promana. 
    In sostanza, il sistema  giustiziale  inerente  al  controllo  di
legittimita' sui bilanci si connota di norme sostanziali, procedurali
e processuali che, attraverso reciproche interconnessioni, mirano, da
un lato, a supportare gli enti locali impossibilitati a riequilibrare
i  propri  bilanci  attraverso  le  procedure   ordinarie,   offrendo
un'alternativa alla  dichiarazione  di  dissesto  e,  dall'altro,  ad
assicurare la necessaria vigilanza-ingerenza,  tanto  nella  fase  di
approvazione, quanto in quella attuativa. 
    4.- Anche sotto  il  profilo  della  rilevanza  le  questioni  di
legittimita' costituzionale superano il vaglio di ammissibilita'. 
    Il giudice rimettente sottolinea che il controllo che la  sezione
regionale  della  Corte  dei  conti  deve  svolgere  per   verificare
l'attuazione del piano di riequilibrio si fonda - come prescrivono le
norme  del  Titolo  VIII  del  T.U.  enti  locali  -  sul   sindacato
concomitante  dell'andamento  dei  conti  dell'ente  in  predissesto,
attivita' che deve essere formalizzata in una pronuncia  con  cadenza
semestrale. 
    Espone il  rimettente  che,  dopo  l'approvazione  del  piano  di
riequilibrio, il Comune di Pagani ha, da  un  lato,  ridotto  in  via
unilaterale la dimensione degli accantonamenti finalizzati al rientro
del  deficit  e,  dall'altro,  e'  stato  assoggettato  a  un   nuovo
accertamento di debiti  fuori  bilancio  (delibera  della  Corte  dei
conti, sezione di controllo  per  la  Campania  n.  3/2017/PRSP,  non
impugnata dal Comune interessato). 
    L'effetto congiunto dei due fenomeni contabili sarebbe quello  di
allargare, anziche' ridurre, il disavanzo e di  rendere  praticamente
impossibile l'attuazione  del  piano  senza  una  manovra  correttiva
idonea a riportare in simmetria le risorse di  parte  corrente  e  la
correlata  spesa.  La  norma  censurata  consentirebbe  tuttavia   al
suddetto ente locale di evitare tale manovra correttiva. 
    L'ordinanza  ricorda  come  il  regime  ordinario  inerente  alla
copertura del disavanzo di gestione preveda (art. 188 del  T.U.  enti
locali) che esso sia immediatamente applicato all'esercizio in  corso
di  gestione  contestualmente  alla  delibera  di  approvazione   del
rendiconto o, comunque, nell'arco del triennio successivo e - in caso
di scadenza del mandato elettorale - entro la data di quest'ultimo. 
    Gia' la disciplina del predissesto  consentirebbe  una  rilevante
deroga temporale per completare il rientro dal  deficit,  consentendo
di fruire di anticipazioni e prolungare gli  accantonamenti  fino  al
limite  di  dieci  anni.  Quella  censurata  consentirebbe  in   modo
irragionevole e contraddittorio di mantenere inalterato il  piano  di
pagamento dei creditori e di fruire di un  allargamento  della  spesa
corrente fino al limite temporale dei trenta anni, in misura pari  al
minore accantonamento conseguente alla dilazione trentennale. 
    La verifica della legittimita' della modifica della procedura  di
riequilibrio finanziario pluriennale  -  a  prescindere  dalla  forma
della rimodulazione o della  riformulazione  (categorie  tassonomiche
peraltro connotate da tenui tratti distintivi non rilevanti  ai  fini
della risoluzione delle questioni in  esame)  -  sarebbe  logicamente
preliminare al controllo  sulla  corretta  attuazione  del  piano  in
quanto  modifica  gli  «obbiettivi  intermedi»  e  quelli   «finali»,
ridimensionandoli  e  venendo  a  eliminare  i  concreti   punti   di
riferimento  della  valutazione   finanziario-contabile.   Punti   di
riferimento che costituirebbero, per espressa dizione  normativa,  il
canone concreto di controllo della  Corte  dei  conti  per  tutta  la
durata del piano di riequilibrio e  non  soltanto  nella  contingenza
dell'esercizio in corso. 
    Ove la norma fosse applicata, la verifica dell'eventuale «grave e
reiterato inadempimento» sarebbe pregiudicata,  e  anzi  impossibile,
per la scomparsa dei criteri di riferimento contenuti  nel  piano  di
riequilibrio.    Sarebbe    cosi'    preclusa    la    funzione    di
vigilanza-ingerenza non solo per gli effetti ricadenti sull'esercizio
in corso ma anche per gli esercizi a venire. 
    Alla  luce  di  quanto  precede,  le  motivazioni   addotte   dal
rimettente - in uno con quelle afferenti all'impossibilita'  di  dare
della   disposizione   censurata   un'interpretazione   conforme    a
Costituzione,  preclusa  dall'incontrovertibile   dato   testuale   -
risultano sufficienti, congrue e coerenti nel dimostrare il  rapporto
di pregiudizialita' tra le  questioni  proposte  e  la  decisione  da
assumere al termine del semestre di riferimento. 
    5.-  Nel  merito  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come  sostituito
dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016,  e'  fondata  in
riferimento agli artt. 81 e 97, primo  comma,  Cost.,  sia  sotto  il
profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e   della   sana   gestione
finanziaria del bilancio, sia per contrasto con  gli  interdipendenti
principi di copertura pluriennale della spesa  e  di  responsabilita'
nell'esercizio del mandato elettivo. 
    E' utile sottolineare come i profili  di  censura  meritevoli  di
accoglimento in relazione agli artt. 81  e  97,  primo  comma,  Cost.
operino in modo strettamente integrato nel contesto  di  fondamentali
principi del diritto del bilancio che, pur presidiando  interessi  di
rilievo costituzionale tra loro distinti, risultano coincidenti sotto
l'aspetto  della  garanzia  della  sana   ed   equilibrata   gestione
finanziaria. 
    Il principio dell'equilibrio di bilancio non  corrisponde  ad  un
formale pareggio contabile, essendo  intrinsecamente  collegato  alla
continua ricerca di una stabilita' economica di media e lunga durata,
nell'ambito della  quale  la  responsabilita'  politica  del  mandato
elettorale  si  esercita,  non  solo  attraverso  il  rendiconto  del
realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate.
E' evidente che la norma censurata si discosta radicalmente  da  tali
parametri, consentendo di destinare, per un  trentennio,  in  ciascun
esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme
necessarie al rientro dal disavanzo. 
    Se i precetti espressi negli artt. 81 e 97,  primo  comma,  Cost.
hanno i caratteri di principi generali,  nondimeno  essi  sono  anche
inverati dalle specifiche disposizioni normative che disciplinano - a
regime - la gestione dei disavanzi degli enti territoriali: l'art. 9,
comma 2, della legge 24  dicembre  2012,  n.  243  (Disposizioni  per
l'attuazione  del  principio  del  pareggio  di  bilancio  ai   sensi
dell'articolo 81, sesto comma, della  Costituzione);  l'art.  42  del
d.lgs. n. 118 del 2011; l'art.  188  del  d.lgs.  n.  267  del  2000;
l'allegato 1, numero 8), del d.lgs. n. 118 del 2011. 
    La  prima  disposizione,  contenuta  in  una   cosiddetta   legge
rinforzata,  prevede  che  «[q]ualora,  in  sede  di  rendiconto   di
gestione, un ente [...] registri un valore  negativo  del  saldo,  il
predetto ente adotta misure di  correzione  tali  da  assicurarne  il
recupero entro il triennio successivo, in quote costanti». 
    La seconda stabilisce, ai commi 12 e  13,  che  «12.  L'eventuale
disavanzo   di   amministrazione   accertato    [...]    a    seguito
dell'approvazione del rendiconto, al netto del debito  autorizzato  e
non contratto di cui all'art. 40, comma  1,  e'  applicato  al  primo
esercizio del bilancio  di  previsione  dell'esercizio  in  corso  di
gestione.  La  mancata  variazione  di  bilancio  che,  in  corso  di
gestione, applica il disavanzo al bilancio e' equiparata a tutti  gli
effetti alla mancata approvazione  del  rendiconto  di  gestione.  Il
disavanzo  di  amministrazione  puo'  anche  essere  ripianato  negli
esercizi considerati nel bilancio di previsione,  in  ogni  caso  non
oltre  la  durata  della   legislatura   regionale,   contestualmente
all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di
rientro dal disavanzo nel quale  siano  individuati  i  provvedimenti
necessari a ripristinare il pareggio. [...] 13. La  deliberazione  di
cui al comma 12 contiene l'impegno formale di evitare  la  formazione
di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed e' allegata al bilancio di
previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante». 
    L'art.  188  del  d.lgs.  n.   267   del   2000   prescrive   che
«[l]'eventuale disavanzo di amministrazione [...]  e'  immediatamente
applicato all'esercizio in corso  di  gestione  contestualmente  alla
delibera di approvazione del rendiconto. La  mancata  adozione  della
delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione e'
equiparata  a  tutti  gli  effetti  alla  mancata  approvazione   del
rendiconto di gestione. Il disavanzo di  amministrazione  puo'  anche
essere ripianato negli esercizi successivi considerati  nel  bilancio
di previsione, in ogni caso non oltre la durata  della  consiliatura,
contestualmente all'adozione di una  delibera  consiliare  avente  ad
oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati
i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio». 
    Infine, l'allegato 1, numero 8), del d.lgs. n. 118 del  2011,  di
carattere complementare rispetto alle norme precedenti, statuisce che
«[l]a congruita' delle entrate e delle spese deve essere valutata  in
relazione agli obiettivi programmati, agli andamenti  storici  ed  al
riflesso nel periodo degli impegni pluriennali che sono coerentemente
rappresentati nel sistema di bilancio  nelle  fasi  di  previsione  e
programmazione, di gestione e rendicontazione». 
    E' evidente che l'ordinamento finanziario-contabile  prevede,  in
via gradata:  a)  l'immediata  copertura  del  deficit  entro  l'anno
successivo  al  suo  formarsi;  b)  il  rientro  entro  il   triennio
successivo (in chiaro collegamento con la  programmazione  triennale)
all'esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il  rientro  in
un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale  nel
corso del quale tale disavanzo si e' verificato. 
    In sostanza, la fattispecie legale di base stabilisce che: a)  al
deficit si deve  porre  rimedio  subito  per  evitare  che  eventuali
squilibri strutturali finiscano per  sommarsi  nel  tempo  producendo
l'inevitabile  dissesto;  b)  la  sua  rimozione  non  puo'  comunque
superare il tempo  della  programmazione  triennale  e  quello  della
scadenza del mandato elettorale, affinche' gli amministratori possano
presentarsi  in  modo  trasparente  al  giudizio  dell'elettorato  al
termine del loro mandato, senza lasciare "eredita'"  finanziariamente
onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati;  c)
l'istruttoria  relativa  alle  ipotesi  di  risanamento  deve  essere
congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico. 
    Nell'ambito di tale tessuto normativo  inerente  alla  disciplina
dei disavanzi sono state apportate le seguenti deroghe: a) l'art.  3,
comma 16, del d.lgs. n. 118  del  2011  prevede  che:  «[n]elle  more
dell'emanazione del decreto  [del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, di concerto  con  il  Ministero  dell'interno],  l'eventuale
maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato
dal riaccertamento  straordinario  dei  residui  [...]  e  dal  primo
accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilita'  e'  ripianato
in non piu' di 30  esercizi  a  quote  costanti  l'anno»;  b)  l'art.
243-bis (Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale) del  T.U.
enti locali, nel testo  precedente  alle  modifiche  apportate  dalla
legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2018-2020) stabilisce che: «1. I comuni e le  province  per  i  quali
[...] sussistano squilibri  strutturali  del  bilancio  in  grado  di
provocare  il  dissesto  finanziario  [...]  possono  ricorrere,  con
deliberazione consiliare alla procedura di  riequilibrio  finanziario
pluriennale. [...] 5. Il consiglio dell'ente locale [...] delibera un
piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di
dieci  anni,  compreso  quello  in  corso,   corredato   del   parere
dell'organo  di  revisione  economico-finanziario».  Nella   versione
attualmente in vigore, che peraltro non e' rilevante nel  giudizio  a
quo, stabilisce che il «piano di riequilibrio finanziario pluriennale
[puo' avere] durata compresa  tra  quattro  e  venti  anni,  compreso
quello in corso». 
    5.1.- La fattispecie normativa del  riaccertamento  straordinario
non e' equiparabile a quella dettata dalla norma  censurata.  Non  e'
condivisibile l'assunto del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
secondo  cui  la  revisione  straordinaria  cui   si   correlano   la
rimodulazione e la riformulazione del  piano  di  riequilibrio  e  il
riaccertamento  straordinario  dei  residui  sarebbero  "facce  della
stessa medaglia" in quanto  attivita'  di  accertamento  della  reale
situazione finanziaria dell'ente locale. 
    Seppur in un lasso temporale anomalo - solo in parte mitigato dal
fatto che lo scaglionamento del deficit costituiva il limite massimo,
ben potendosi prevedere tempi di rientro piu' brevi -,  la  dilazione
trentennale del deficit emergente  dal  riaccertamento  straordinario
dei residui veniva  giustificata  con  l'unicita'  ed  eccezionalita'
della situazione finanziaria di alcuni enti territoriali che,  da  un
lato,  transitavano  in  un  diverso  sistema  di   contabilita'   e,
dall'altro, scontavano  l'esistenza  di  deficit  sommersi  originati
dall'effetto congiunto  della  scorretta  prassi  di  sovrastima  dei
crediti e di sottovalutazione dei debiti. 
    L'eccezionale ipotesi legislativa era sorretta dal  convincimento
che in sede di riaccertamento  straordinario  sarebbero  emersi,  una
volta per tutte, i consistenti disavanzi reali, cui si sarebbe  posto
rimedio, in via definitiva, con un rientro pluriennale. 
    Al  contrario,  la  norma  censurata  consente  di  aggirare   il
principio  di  intangibilita'  della  procedura  di  prevenzione  del
dissesto, consistente nella preclusione - per plurime  ragioni  -  di
stravolgimenti del percorso di risanamento in fase di attuazione  (in
tal senso  Corte  dei  conti,  sezione  autonomie,  deliberazione  n.
5/SEZAUT/2018).  Tra  i  motivi  di  intangibilita'  e'   necessario,
innanzitutto, menzionare  la  sospensione  ex  lege  delle  procedure
esecutive   intraprese   nei   confronti   dell'ente   a   far   data
dall'esecutivita' della deliberazione di ricorso  alla  procedura  di
riequilibrio finanziario pluriennale fino alla data di approvazione o
di diniego di approvazione del piano di cui all'articolo  243-quater,
commi 1 e 3, del T.U. enti locali da parte della sezione regionale di
controllo della Corte dei conti territorialmente competente. 
    Neppure e' consentito, come ritiene la difesa erariale, sostenere
che  tra  l'ordinario  regime  dei  disavanzi,  come  precedentemente
illustrato, e norme eccentriche come quelle in esame possa correre un
semplice rapporto di specialita': secondo il costante orientamento di
questa  Corte,  nel   sindacato   di   costituzionalita',   copertura
finanziaria ed equilibrio di bilancio integrano una clausola generale
in grado di operare ogniqualvolta l'antinomia di norme  asistematiche
(come quella censurata) rispetto a tali  principi  risulti  palese  e
incontrovertibile. Infatti, «"la forza espansiva dell'art. 81, quarto
[oggi terzo]  comma,  Cost.,  presidio  degli  equilibri  di  finanza
pubblica, si sostanzia in una vera e  propria  clausola  generale  in
grado di colpire tutti  gli  enunciati  normativi  causa  di  effetti
perturbanti la sana gestione finanziaria e  contabile"  (sentenza  n.
192 del 2012)» (sentenza n. 184 del 2016). 
    5.2.- Per  quel  che  concerne  la  lesione  al  principio  della
copertura pluriennale e' da sottolineare che la lunghissima dilazione
temporale finisce per confliggere anche con  elementari  principi  di
equita' intergenerazionale,  atteso  che  sugli  amministrati  futuri
verranno a gravare sia risalenti e importanti quote di  deficit,  sia
la restituzione dei prestiti autorizzati nel corso della procedura di
rientro dalla norma  impugnata.  Cio'  senza  contare  gli  ulteriori
disavanzi che potrebbero maturare negli esercizi intermedi,  i  quali
sarebbero  difficilmente  separabili  e  imputabili  ai  sopravvenuti
responsabili. 
    Deve  essere  in  proposito  condivisa  l'opinione  del   giudice
rimettente secondo cui tale scenario mina alla radice la certezza del
diritto e la veridicita' dei conti, nonche' il principio di chiarezza
e univocita' delle risultanze di amministrazione piu' volte enunciato
da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 274 del 2017). 
    L'originario ordito normativo, sulla base  del  quale  era  stato
approvato dalla Corte dei conti e dalla commissione per la finanza  e
gli organici degli enti locali (art. 155 del  T.U.  enti  locali)  il
piano di rientro  per  prevenire  il  dissesto,  presentava  adeguati
caratteri strutturali. Il piano si basava, infatti, sulla verifica ex
art. 243-quater del T.U. enti locali ed era articolato su un arco  di
tempo  decennale,  piu'  vasto  di  quello  ordinario,  ma   comunque
inferiore  di  due  terzi  rispetto  alla  previsione   della   norma
censurata. Inoltre, era asseverato da analisi  indipendenti  dei  due
organi sopra  citati  in  termini  di  sostenibilita'  e  adeguatezza
temporale delle condizioni finalizzate a superare  le  situazioni  di
squilibrio evitando cosi' il dissesto. 
    Al contrario, il censurato art. 1, comma 714, della legge n.  208
del 2015, come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge n.  232
del 2016, traccia uno scenario incognito e imprevedibile che -  senza
le garanzie contemplate nel piano - consente  di  perpetuare  proprio
quella situazione di disavanzo che l'ordinamento nazionale  e  quello
europeo percepiscono come intollerabile. 
    Come  rileva  esattamente  il   giudice   rimettente,   rimangono
assolutamente non coordinati due  segmenti  dell'originaria  e  della
nuova procedura: da un lato, un  piano  di  pagamento  dei  creditori
supportato da accordi di dilazione infradecennale, ma non  aggiornato
alle  sopravvenienze  del  nuovo  arco  temporale   di   riferimento;
dall'altro, un trentennio caratterizzato (a differenza  del  passato)
dal libero accesso alle anticipazioni di liquidita'  e  dalla  libera
disponibilita', per le spese correnti, della quota  risultante  dalla
riduzione degli accantonamenti. 
    5.3.- Infine, il contrasto della norma censurata con gli artt. 81
e  97  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'elusione  del  principio   di
responsabilita'  nell'esercizio  della  rappresentanza   democratica,
risiede innanzitutto nel consentire agli enti locali coinvolti  nella
procedura di predissesto, e che non sono in  grado  o  non  intendono
rispettare i termini e le modalita' del piano di rientro: a)  di  non
ottemperare alle  prescrizioni  della  magistratura  vigilante  e  di
evitare comunque la dichiarazione di dissesto; b) di  scaglionare  in
un trentennio gli accantonamenti inerenti al rientro  del  disavanzo;
c) di confermare il programma antecedente di pagamento dei creditori,
lucrando cosi' la disponibilita' - in termini di spesa  corrente  per
l'intero trentennio - derivante dal minore accantonamento finanziario
delle somme necessarie per l'intero periodo di rientro e dall'impiego
contra legem delle anticipazioni di liquidita';  d)  di  aggirare  le
complesse procedure di verifica di congruita'  e  sostenibilita'  del
piano attraverso una rimodulazione autonoma in termini esclusivamente
numerici, cosi' sottraendo alla Corte dei conti quello che la sezione
rimettente denomina correttamente «canone concreto di controllo». 
    In pratica, nessuno degli amministratori eletti o eligendi  sara'
nelle condizioni di presentarsi al giudizio degli elettori  separando
i risultati direttamente raggiunti dalle conseguenze imputabili  alle
gestioni  pregresse.  Lo   stesso   principio   di   rendicontazione,
presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo, ne
risulta quindi gravemente compromesso. 
    E' stato affermato da questa Corte che «[i]l carattere funzionale
del bilancio preventivo e di  quello  successivo,  alla  cui  mancata
approvazione, non a caso, l'ordinamento collega  il  venir  meno  del
consenso della rappresentanza  democratica,  [risiede  essenzialmente
nell'assicurare] ai membri della collettivita'  la  cognizione  delle
modalita' [di impiego delle risorse e i risultati conseguiti  da  chi
e' titolare del mandato elettorale]» (sentenza n. 184 del 2016). 
    Significativamente,  le  norme  che  disciplinano  a  regime   la
gestione del disavanzo equiparano, a tutti gli  effetti,  la  mancata
applicazione di esso all'esercizio in corso alla mancata approvazione
del  rendiconto.  Un  cosi'  grave  evento  e'   esattamente   quanto
consentito dalla disposizione oggetto del presente giudizio. 
    Cio'  la  pone,  tra  l'altro,  in  contrasto  con   «un'esigenza
sistemica unitaria  dell'ordinamento,  secondo  cui  sia  la  mancata
approvazione  dei  bilanci,  sia  l'incuria   del   loro   squilibrio
strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il
legame  fiduciario  che  caratterizza  il  mandato  elettorale  e  la
rappresentanza democratica degli eletti» (sentenza n. 228 del 2017). 
    6.- L'incremento del deficit strutturale e dell'indebitamento per
la spesa corrente ha gia' indotto questa  Corte  a  formulare  chiari
ammonimenti circa l'impraticabilita' di soluzioni che trasformino  il
rientro  dal  deficit  e  dal  debito  in  una  deroga  permanente  e
progressiva  al  principio  dell'equilibrio  del  bilancio:  «[f]erma
restando  la  discrezionalita'  del  legislatore  nello  scegliere  i
criteri e le modalita' per porre riparo  a  situazioni  di  emergenza
finanziaria come quelle afferenti ai disavanzi sommersi, non puo' non
essere  sottolineata  la  problematicita'  di  soluzioni   normative,
mutevoli e variegate come quelle precedentemente descritte, le  quali
prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi
e differenziati, ben  oltre  il  ciclo  di  bilancio  ordinario,  con
possibili   ricadute   negative   anche   in   termini   di   equita'
intergenerazionale (in senso conforme, sentenza  n.  107  del  2016)»
(sentenza n. 6 del 2017). 
    La tendenza  a  perpetuare  il  deficit  strutturale  nel  tempo,
attraverso  uno  stillicidio  normativo  di   rinvii,   finisce   per
paralizzare qualsiasi ragionevole progetto  di  risanamento,  in  tal
modo  entrando  in  collisione  sia  con  il  principio  di   equita'
intragenerazionale che intergenerazionale. 
    Quanto al primo, e' stata gia' sottolineata da  questa  Corte  la
pericolosita' dell'impatto macroeconomico di misure  che  determinano
uno squilibrio nei  conti  della  finanza  pubblica  allargata  e  la
conseguente necessita' di manovre finanziarie restrittive che possono
gravare  piu'  pesantemente  sulle  fasce  deboli  della  popolazione
(sentenza n. 10 del 2015). Cio' senza contare che  il  succedersi  di
norme che diluiscono nel tempo  obbligazioni  passive  e  risanamento
sospingono  inevitabilmente  le  scelte  degli  amministratori  verso
politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle  contingenti
disponibilita' di cassa. 
    L'equita' intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di
non gravare in modo sproporzionato  sulle  opportunita'  di  crescita
delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per  un
equilibrato sviluppo. E' evidente che, nel caso della norma in esame,
l'indebitamento e il deficit strutturale  operano  simbioticamente  a
favore  di  un  pernicioso  allargamento  della  spesa  corrente.  E,
d'altronde, la regola aurea contenuta  nell'art.  119,  sesto  comma,
Cost.  dimostra  come  l'indebitamento  debba  essere  finalizzato  e
riservato unicamente agli investimenti  in  modo  da  determinare  un
tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i  benefici
recati nel tempo alle collettivita' amministrate. 
    Di fronte all'impossibilita' di risanare  strutturalmente  l'ente
in  disavanzo,  la  procedura  del  predissesto   non   puo'   essere
procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente  porre
una cesura con il passato cosi' da consentire ai nuovi amministratori
di  svolgere  il  loro  mandato  senza  gravose  "eredita'".  Diverse
soluzioni possono essere adottate per assicurare tale discontinuita',
e siffatte scelte spettano, ovviamente, al legislatore. 
    Tuttavia,   il   perpetuarsi   di    sanatorie    e    situazioni
interlocutorie,  oltre  che  entrare  in  contrasto  con  i  precetti
finanziari della Costituzione, disincentiva  il  buon  andamento  dei
servizi e non incoraggia le buone pratiche di quelle  amministrazioni
che si ispirano a un'oculata e proficua spendita delle risorse  della
collettivita'. 
    7.- In definitiva, l'art. 1, comma 714, della legge  n.  208  del
2015, come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232  del
2016, ponendosi in contrasto con gli artt.  81  e  97,  primo  comma,
Cost., deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo. 
    Restano assorbite le ulteriori censure. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  714,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», come sostituito  dall'art.  1,  comma  434,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019). 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA