N. 101 ORDINANZA 20 marzo - 19 aprile 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Declaratoria di estinzione del reato dopo la condanna. 
- Codice di procedura penale, art. 676. 
-   
(GU n.17 del 24-4-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  676  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Lecce, in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  nel  procedimento
penale a carico di  E.  B.,  con  ordinanza  del  23  novembre  2017,
iscritta al n. 41 del registro  ordinanze  2018  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  10,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 21-23 novembre 2017 (reg. ord. n.
41 del 2018), il Tribunale ordinario di Lecce, in funzione di giudice
dell'esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  676
del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui,  secondo  la
«comune e dominante interpretazione giurisprudenziale»,  prevede  che
«la declaratoria di estinzione  del  reato  ivi  prevista  e'  sempre
irrevocabile, anche nelle ipotesi fondate sul mancato  rilievo  della
commissione di reati in un dato periodo (quali quelle indicate  negli
artt. 167 c.p. e 445 co.  2  c.p.p.)  in  cui,  successivamente  alla
declaratoria   predetta,   sopravvenga   il   positivo   accertamento
dell'avvenuta   commissione   di   reati   nel   periodo   da   parte
dell'interessato»; 
    che il giudice a quo, affermata la rilevanza delle questioni,  ne
sostiene la non manifesta infondatezza con  riferimento  ai  predetti
parametri costituzionali alla luce delle seguenti considerazioni; 
    che la declinazione interpretativa costante in giurisprudenza  e'
nel senso che il provvedimento di estinzione di cui all'art. 676 cod.
proc. pen. abbia un'efficacia definitiva e  mai  revocabile  pur  nel
caso  di  «eventuale  successivo  accertamento  giudiziale   di   una
situazione di fatto [...] differente ed  inversa  rispetto  a  quella
legittimante la declaratoria  estintiva»,  di  modo  che,  una  volta
ottenuta, la pronuncia  di  estinzione  dei  reati  non  puo'  essere
revocata,  anche  qualora  emerga  attestazione  certa  dell'avvenuta
commissione di uno o piu'  reati  nel  quinquennio  successivo  dalla
condanna; 
    che tale interpretazione  contrasterebbe  con  il  disposto  e  i
principi  di   cui   agli   artt.   3   e   27   Cost.,   considerata
l'irragionevolezza dell'onere, imposto a colui che  avanza  richiesta
estintiva del reato ai sensi del combinato disposto degli  artt.  676
cod. proc. pen. e 167 del codice  penale,  di  provare  di  non  aver
commesso reati nel detto quinquennio; 
    che, in  particolare,  tale  onere  probatorio,  a  opinione  del
giudice  rimettente,  travalicherebbe   imprescindibili   canoni   di
esigibilita', trattandosi di prova negativa e non esistendo in  rerum
natura alcuna espressa attestazione di mancata commissione di  reati,
non potendosi ritenere sufficiente, a fondamento della richiesta, «la
produzione, da parte dell'istante, del proprio certificato penale del
casellario e del proprio certificato dei carichi pendenti relativi al
circondario di residenza, oltre ad eventuale  comunicazione  negativa
nei suoi confronti ex art. 335 co. 3, c. p. p., relativa al  medesimo
circondario»; 
    che dal descritto carattere sommario della cognizione connaturato
alla  manifesta  precarieta'  dell'accertamento  probatorio,   sempre
suscettibile di essere smentito dall'emersione di risultanze di segno
contrario,   conseguirebbe   la   necessaria    provvisorieta'    del
provvedimento estintivo; 
    che il consolidato diritto vivente, orientato in  senso  opposto,
poiche' sostiene l'irrevocabilita' del decisum anche nello  specifico
caso della declaratoria di estinzione del reato nelle ipotesi  basate
sul mancato rilievo di attivita' criminosa in  un  dato  periodo,  si
porrebbe, quindi, in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.; 
    che, con riguardo  al  primo  parametro,  la  norma  oggetto  del
giudizio   sarebbe   chiaramente   irragionevole   giacche'   farebbe
discendere effetti definitivi e permanenti da un accertamento che non
puo' che essere sommario e provvisorio; 
    che, con riferimento al  secondo  parametro,  la  medesima  norma
vanificherebbe  la  funzione  rieducativa  della  pena,   in   quanto
consentirebbe  di  «mantenere  ferma  [...]   una   declaratoria   di
estinzione del reato in favore di soggetto che sia poi accertato  non
meritare siffatto beneficio»; 
    che, con atto depositato il 27  marzo  2018,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato; 
    che   l'Avvocatura   generale   chiede   che    sia    dichiarata
l'inammissibilita'   perche'    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale erroneamente investirebbero una  disposizione  che  si
limita a individuare la  competenza  del  giudice  dell'esecuzione  a
decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna; 
    che, in subordine, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha
concluso per la infondatezza in quanto la  commissione  del  delitto,
ostativa alla declaratoria  di  estinzione  del  reato,  deve  essere
accertata con sentenza passata in giudicato. 
    Considerato che le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di
Lecce, in funzione di  giudice  dell'esecuzione,  aventi  ad  oggetto
l'art. 676 del codice di procedura penale in riferimento agli artt. 3
e   27   della   Costituzione   presentano   plurimi    profili    di
inammissibilita'; 
    che l'ordinanza  manca  di  un'adeguata  motivazione  sicche'  le
questioni risultano formulate in maniera ipotetica (ordinanza  n.  84
del 2016), confusa ed oscura (ex plurimis, ordinanze n. 65 del  2018,
n. 227 del 2016 e n. 269 del 2015); 
    che, in particolare, il Tribunale di Lecce ha omesso di  indicare
se l'istanza di declaratoria di estinzione del reato ex art. 167  del
codice  penale  sia  confortata  da  adeguata  certificazione  e  se,
segnatamente,  sia  stato  prodotto  il  certificato  del  casellario
giudiziale di cui all'art. 24 (certificato generale)  o  all'art.  25
(certificato penale) del d.P.R. 14  novembre  2002,  n.  313  recante
«Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di casellario giudiziale, di casellario  giudiziale  europeo,
di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato  e  dei
relativi carichi pendenti (Testo A)»; 
    che, inoltre, il giudice a quo  omette  di  confrontarsi  con  la
giurisprudenza costituzionale  (ordinanza  n.  107  del  1998)  e  di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza  30
gennaio - 7 aprile  2017,  n.  17878,  antecedente  all'ordinanza  di
rimessione), secondo cui, ai fini dell'accoglimento  dell'istanza  di
estinzione del reato ex art. 167 cod. pen., per il  quale  l'imputato
e' stato condannato a  pena  condizionalmente  sospesa,  non  possono
considerarsi ostative le  pendenze  giudiziarie  non  definitive,  in
quanto la condizione cui e' sottoposta in tali casi l'estinzione  del
reato e' unicamente la mancata commissione  di  un  nuovo  reato  nel
termine di cinque anni, commissione che  deve  essere  accertata  con
sentenza  irrevocabile,  in  ragione   della   presunzione   di   non
colpevolezza, di cui all'art. 27, secondo comma, Cost.; 
    che le  questioni  sollevate  sono  vieppiu'  oscure  nella  loro
formulazione ove si consideri che la disposizione censurata si limita
ad attribuire al giudice dell'esecuzione la competenza a decidere  in
ordine all'estinzione del  reato  dopo  la  condanna,  all'estinzione
della  pena  quando  la  stessa   non   consegue   alla   liberazione
condizionale o all'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,  in
ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione  delle
cose sequestrate, stabilendo altresi' che in questi casi  il  giudice
dell'esecuzione procede a norma dell'art. 667, comma  4,  cod.  proc.
pen., mentre  l'estinzione  del  reato  predicata  nell'ordinanza  di
rimessione discende dall'art. 167 cod.  pen.  (sentenza  n.  135  del
1972; ordinanza n. 434 del 1998); 
    che i rilievi sopra esposti  risultano  avere  valore  assorbente
rispetto alle ulteriori eccezioni di inammissibilita' delle questioni
sollevate (ordinanza n. 54 del 2018). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte Costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 676  del  codice  di  procedura
penale  sollevate,  in  riferimento  agli  artt.   3   e   27   della
Costituzione, dal  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  in  funzione  di
giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA