N. 161 SENTENZA 9 giugno - 22 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sicurezza pubblica - Norme della Regione Lombardia -  Promozione,  da
  parte  della  Regione,  di  protocolli  d'intesa  con  gli   Uffici
  territoriali  del  Governo  per  potenziare  la   presenza   e   la
  collaborazione con le forze di polizia nei pronto soccorso e  nelle
  strutture ritenute a piu' alto rischio di violenza  -  Ricorso  del
  Governo - Lamentata violazione della competenza  esclusiva  statale
  nelle  materie  dell'ordinamento  e  organizzazione  amministrativa
  dello Stato e dell'ordine pubblico e  sicurezza  -  Non  fondatezza
  della questione. 
- Legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n. 15, art. 4. 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettere g) e h). 
(GU n.30 del 28-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della
legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020,  n.  15  (Sicurezza  del
personale sanitario e sociosanitario), promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7-9 settembre  2020,
depositato in cancelleria l'8 settembre 2020, iscritto al n.  77  del
registro ricorsi 2020 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2021  il   Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    udito l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente
del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai  sensi  del
punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e
l'avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso  iscritto  al  n.  77  del  reg.  ric.  2020,  il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4  della  legge  della  Regione
Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale  sanitario  e
sociosanitario), in riferimento all'art. 117, secondo comma,  lettere
g) e h), della Costituzione. 
    La disposizione impugnata stabilisce quanto  segue:  «La  Regione
promuove protocolli d'intesa con gli Uffici territoriali del  Governo
finalizzati a potenziare la presenza e la collaborazione con le forze
di polizia nei pronto soccorso e  nelle  strutture  ritenute  a  piu'
elevato rischio di violenza e  assicurare  un  rapido  intervento  in
loco». 
    Secondo il ricorrente, il legislatore regionale  sarebbe  incorso
nella violazione della competenza legislativa esclusiva  dello  Stato
nelle materie dell'ordinamento e organizzazione amministrativa  dello
Stato e dell'ordine pubblico e sicurezza. 
    Lo  strumento  del  «protocollo  d'intesa»,  pur  avendo   natura
convenzionale, non e' compatibile - afferma il ricorrente  -  con  «i
processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia
che l'ordinamento rimette  alla  competenza  esclusiva  statale»,  ai
sensi di quanto prevede la  legge  1°  aprile  1981,  n.  121  (Nuovo
ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza). L'art. 6,
primo comma, lettera e), di tale legge affida al  dipartimento  della
pubblica  sicurezza  il  compito  di   «pianificazione   generale   e
coordinamento delle pianificazioni operative della dislocazione delle
forze di polizia e dei relativi servizi tecnici». Inoltre  l'art.  13
della stessa legge prevede (al comma quinto) che il Prefetto «dispone
della forza  pubblica»,  mentre  il  successivo  art.  14  (al  comma
secondo) attribuisce al Questore «la direzione, la responsabilita'  e
il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di  ordine
e di sicurezza  pubblica  e  dell'impiego  a  tal  fine  della  forza
pubblica». Di conseguenza, a  parere  del  ricorrente,  un  eventuale
potenziamento delle risorse e dei presidi territoriali  non  potrebbe
formare oggetto di intese da raggiungersi tra Regione  e  Prefettura.
L'eventuale incremento del personale sarebbe, infatti, rimesso  a  un
provvedimento del Questore, mentre l'istituzione dei posti di polizia
- ai sensi di quanto prevedono sia gli artt. 2 e 9  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 (Regolamento per il
riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e
periferiche dell'Amministrazione della pubblica  sicurezza,  a  norma
dell'articolo 6 della legge 31 marzo 2000, n. 78), sia i decreti  del
Ministro dell'interno in data 16  marzo  1989  e  18  aprile  1989  -
richiederebbe, comunque, un provvedimento del Capo  della  polizia  -
direttore generale della Pubblica sicurezza. 
    Osserva ancora il ricorrente che i presidi di polizia presso  gli
ospedali risulterebbero «operanti solo presso le strutture  sanitarie
situate in alcune realta'  territoriali»  e  costituirebbero  «unita'
distaccate» poste alle «dipendenze delle Questure o dei Commissariati
sezionali  di  pubblica  sicurezza».  Di  conseguenza,  tali  presidi
sarebbero chiamati a svolgere gli «ordinari compiti istituzionalmente
attribuiti alle citate articolazioni periferiche del Dipartimento  di
Pubblica sicurezza», in conformita' all'art. 2 del d.P.R. n. 208  del
2001, e non  potrebbero  pertanto  svolgere  le  funzioni  di  tutela
dell'integrita'   psico-fisica    degli    operatori    sanitari    e
socio-sanitari  presenti  nei  pronto  soccorso  e  nelle   strutture
assimilate, secondo la finalita'  perseguita  dalla  norma  regionale
impugnata. 
    Quest'ultima inoltre - pur se «con formulazione generica  e  poco
chiara» - introdurrebbe a carico delle forze di  polizia  «compiti  o
funzioni ulteriori» rispetto a  quelle  previste  dalla  legislazione
dello  Stato.  Cio',  laddove  la  norma  prevede  che,  in  base  ai
protocolli d'intesa, la presenza e la collaborazione delle  forze  di
polizia venga potenziata «nelle strutture  ritenute  a  piu'  elevato
rischio di violenza» e che venga assicurato «un rapido intervento  in
loco». 
    Il ricorrente richiama  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  in
materia di ordinamento e organizzazione amministrativa  dello  Stato,
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  g),  Cost.,  secondo  la
quale le attribuzioni degli organi dello  Stato  non  possono  essere
disciplinate  unilateralmente  e  autoritativamente  dalle   Regioni,
dovendo piuttosto trovare il proprio fondamento o il loro presupposto
in leggi statali che le prevedano o le consentano, ovvero in  accordi
tra gli enti interessati. Vengono in proposito citate le sentenze  di
questa Corte n. 322 del 2006 e n. 429 del 2004. 
    L'attribuzione  alla  Regione  del  compito   di   promuovere   e
potenziare «la presenza e la collaborazione con le forze  di  polizia
nei pronto soccorso e nelle strutture ritenute a piu' elevato rischio
di violenza e assicurare un rapido  intervento  in  loco»,  pertanto,
inciderebbe «unilateralmente sull'organizzazione e sull'impiego delle
Forze dell'ordine  e  di  pubblica  sicurezza,  senza  trovare  alcun
fondamento o presupposto in leggi statali».  Peraltro,  una  conferma
della  violazione  degli  indicati  ambiti  di   competenza   statale
esclusiva   emergerebbe   anche,   secondo   il   ricorrente,   dalla
formulazione dell'art. 1 della legge regionale in esame, il cui testo
- pur richiamando il «rispetto della normativa statale in materia  di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro», laddove viene  indicata  la
finalita' della legge regionale  di  «prevenire  e  contrastare  ogni
forma di violenza ai danni  di  operatori  dei  settori  sanitario  e
sociosanitario» - omette qualsiasi cenno al rispetto della  normativa
statale   nelle   materie    dell'«ordinamento    e    organizzazione
amministrativa dello Stato» e dell'«ordine pubblico e sicurezza». 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Lombardia,  chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. 
    In punto di fatto, la resistente riferisce che l'allarme  sociale
per le frequenti aggressioni al personale sanitario  delle  strutture
lombarde e' notevolmente aumentato negli ultimi tempi. Solo nei primi
sei mesi del 2019 «si sono verificate 4887  aggressioni  a  personale
sanitario e non» presso gli ospedali, pubblici e privati accreditati,
ubicati nel territorio regionale. Gli ambiti piu' esposti sarebbero i
pronto soccorso e i reparti di psichiatria.  La  stessa  Questura  di
Milano, al riguardo, avrebbe condotto «un importante  studio,  frutto
di un  approfondito  esame  delle  casistiche  emergenti».  La  legge
regionale impugnata e' quindi intervenuta proprio  con  l'intento  di
aumentare la sicurezza dei reparti ospedalieri, prevedendo una  serie
di misure tra le quali anche quella oggetto  della  norma  contestata
dal Governo. 
    Secondo la resistente, quest'ultima si  limiterebbe  a  porre  le
basi per la collaborazione tra le strutture sanitarie  e  gli  Uffici
territoriali  del  Governo,  senza  porre  a  carico  di   organi   e
amministrazioni dello Stato alcun compito  o  attribuzione  ulteriore
rispetto a quelli individuati dalla  legge  statale.  Il  legislatore
regionale si sarebbe, anzi,  avvalso  della  possibilita',  auspicata
dalla  giurisprudenza  costituzionale,   di   instaurare   forme   di
collaborazione tra apparati statali, regionali e degli  enti  locali,
al fine di migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e  del
territorio. 
    Il coinvolgimento delle Prefetture  e  delle  Questure  auspicato
dalla norma regionale avverrebbe, pertanto, solo in via  consensuale,
condizionatamente  alla  stipula  di  appositi  protocolli  d'intesa,
rimanendo ben fermo che solo tali organi statali  «potranno  decidere
se e quali forze di polizia impiegare per il contrasto alle forme  di
violenza a danno degli operatori sanitari, e  relative  condizioni  e
modalita'».  Tanto,  peraltro,  risulterebbe  in  coerenza   con   le
previsioni dalla legge statale, e in particolare con l'art. 11, comma
2,  del  decreto  legislativo  30  luglio  1999,  n.   300   (Riforma
dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge
15 marzo 1997, n. 59), a norma del quale la Prefettura garantisce  la
leale collaborazione degli uffici periferici dello Stato con gli enti
locali, nonche' con gli artt. 3 e 5  del  decreto-legge  20  febbraio
2017, n. 14 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  sicurezza  delle
citta'), convertito, con modificazioni, nella legge 18  aprile  2017,
n. 48, che - rispettivamente - consentono alle Regioni di  concludere
specifici accordi con lo Stato  per  la  promozione  della  sicurezza
integrata e  prevedono  i  patti  per  l'attuazione  della  sicurezza
urbana. Anche lo stesso art. 6, primo comma, lettera e), della  legge
n. 121 del 1981, invocato nel ricorso, sarebbe coerente con la  norma
regionale impugnata. 
    La Regione resistente richiama la giurisprudenza di questa  Corte
che,   pur   escludendo   che   le   Regioni   possano   disciplinare
unilateralmente forme di collaborazione e di coordinamento con organi
statali, ha comunque ammesso la  possibilita'  di  realizzare  simili
forme di raccordo nella materia dell'«ordine  pubblico  e  sicurezza»
(sono  citate  le  sentenze  n.  9  del  2016  e  n.  88  del  2020),
specialmente alla luce delle novita' introdotte con il d.l. n. 14 del
2017, come convertito (sentenza n. 177 del 2020). In tale quadro,  le
Regioni ben potrebbero svolgere, comunque nell'ambito  delle  proprie
competenze, attivita' di stimolo e di  impulso  presso  i  competenti
organi  statali,  al  fine  del  perseguimento  della  tutela   della
sicurezza (e' richiamata la sentenza  n.  167  del  2010,  in  quanto
citata dalla sentenza n. 285 del 2019). 
    La  resistente,  inoltre,  riferisce  che  lo  stesso   Ministero
dell'interno aveva «contraddittoriamente» suggerito di  integrare  la
formulazione dell'art. 5, comma 2, della legge reg. Lombardia  n.  15
del 2020, inserendovi una previsione secondo la  quale  la  relazione
annuale sugli esiti dell'applicazione della legge  regionale  dovesse
essere  inviata  anche  al  Prefetto  «ai  fini   di   un   eventuale
approfondimento in sede di Comitato provinciale  per  l'ordine  e  la
sicurezza pubblica». La circostanza starebbe «a riprova di quanto sia
importante  la  collaborazione  fra  istituzioni  nel  migliorare  le
condizioni di sicurezza dei cittadini». 
    Infine, la Regione precisa che l'art. 1 della legge regionale  de
qua, laddove non richiama l'obbligo di osservare la normativa statale
in materia di ordine pubblico e ordinamento dello Stato, non potrebbe
essere interpretato nel senso di poter disattendere quella normativa.
A  sostegno  di  quanto  sostenuto,  la  resistente  richiama  alcuni
precedenti di questa Corte (sentenze n. 43  del  2011  e  n.  45  del
2010). 
    3.- Con successiva memoria, la Regione Lombardia ha insistito per
il rigetto della questione, richiamando, ad  ulteriore  sostegno,  le
considerazioni da ultimo espresse nella sentenza n. 236 del  2020  di
questa Corte, in materia di protocolli di  legalita'  promossi  dalla
normativa regionale. 
    In proposito, la Regione  osserva  che  se  possono  considerarsi
legittime - come stabilito  dal  precedente  richiamato  -  normative
regionali  che  promuovono  protocolli  di  legalita'  ovvero  azioni
integrate di professionisti e polizia locale per  prevenire  fenomeni
di radicalizzazione, «non si comprende  perche'  sarebbe  illegittimo
promuovere  protocolli  d'intesa  con  gli  Uffici  territoriali  del
Governo  finalizzati  a  potenziare  la  sicurezza  nelle   strutture
sanitarie». Nel caso di specie,  aggiunge  la  resistente,  la  norma
regionale impugnata  «mira  a  creare  e  ribadire  le  precondizioni
affinche' si realizzi un'azione di sicurezza integrata  anche  presso
le strutture sanitarie». 
    4.- Alle difese della Regione ha  successivamente  replicato  una
memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato,  con  la  quale  sono
state ribadite - nella sostanza - le censure gia'  sollevate  con  il
ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe  (reg.  ric.  n.  77  del
2020), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 4  della  legge  della  Regione
Lombardia 8 luglio 2020, n. 15 (Sicurezza del personale  sanitario  e
sociosanitario), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere
g) e h), della Costituzione. 
    La disposizione impugnata - nello  stabilire  che  «[l]a  Regione
promuove protocolli d'intesa con gli Uffici territoriali del  Governo
finalizzati a potenziare la presenza e la collaborazione con le Forze
di polizia nei pronto soccorso e  nelle  strutture  ritenute  a  piu'
elevato rischio di violenza e  assicurare  un  rapido  intervento  in
loco» - realizzerebbe, secondo il ricorrente,  un'indebita  ingerenza
in materie riservate  alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato, quali  l'ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  dello
Stato (art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.) e l'ordine pubblico
e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.). Essa sarebbe
incompatibile con «i processi di pianificazione  e  razionalizzazione
dei presidi di polizia», oggetto  di  specifica  disciplina  a  opera
della   legge   1°   aprile   1981,   n.   121   (Nuovo   ordinamento
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), mentre  non  potrebbe
costituire  oggetto  di  intese  tra  Regione  e  Prefettura  neanche
l'eventuale potenziamento delle risorse e dei  presidi  territoriali.
La tutela dell'integrita' psico-fisica degli  operatori  del  settore
sanitario e socio-sanitario, che svolgono la  propria  attivita'  nei
pronto  soccorso  e  nelle  strutture  assimilate,  del  resto,   non
rientrerebbe tra i compiti  istituzionali  ordinariamente  attribuiti
alle strutture periferiche del Dipartimento di pubblica sicurezza, ai
sensi dell'art. 2 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
marzo 2001, n. 208  (Regolamento  per  il  riordino  della  struttura
organizzativa   delle   articolazioni    centrali    e    periferiche
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, a norma  dell'articolo
6 della L. 31 marzo 2000, n. 78). 
    In definitiva, secondo il ricorrente, l'art. 4 della  legge  reg.
Lombardia n. 15 del 2020 introdurrebbe in modo  unilaterale,  e  «con
formulazione generica e poco chiara», nuovi e  ulteriori  «compiti  o
funzioni [...] alle Forze di polizia che la Costituzione  attribuisce
esclusivamente allo Stato», con  riferimento  sia  alla  funzione  di
organizzazione e di gestione del personale, sia a  quella  di  tutela
dell'ordine pubblico e della sicurezza. 
    2.- La questione - che coinvolge inscindibilmente i due parametri
di competenza sollevati, attinenti  entrambi  alla  disciplina  delle
forze di polizia dello Stato,  dal  lato  organizzativo  e  dal  lato
funzionale (sentenza n. 170 del 2019) - non e' fondata. 
    2.1.- La  disposizione  impugnata,  pur  nella  sua  formulazione
letterale non del tutto perspicua, si riferisce alla  presenza  delle
forze di polizia dello Stato presso i luoghi considerati maggiormente
sensibili per la sicurezza degli operatori sanitari e socio-sanitari,
ed e' volta a rafforzare  la  collaborazione  tra  la  Regione  e  le
medesime Forze di polizia, al fine di salvaguardare la sicurezza  del
personale sanitario e socio-sanitario, presso le strutture  ove  tale
personale opera, in un contesto di particolare allarme sociale,  come
testimoniato da frequenti fatti di cronaca. Essa prefigura  attivita'
e  forme  di  impiego  del  personale  della  Polizia  di  Stato  sul
territorio, al  fine  di  potenziarle,  sulla  base  di  necessari  e
prodromici accordi tra la  Regione  e  gli  Uffici  territoriali  del
Governo. 
    2.2.- Forme di accordo o di intesa tra  Stato,  Regioni  ed  enti
locali nella materia della sicurezza sono ben presenti  nel  panorama
normativo nazionale. Basti pensare alla legge 7  marzo  1986,  n.  65
(Legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale), che prevede
la collaborazione tra le forze  di  polizia  locale  e  quelle  della
Polizia di Stato «previa disposizione del sindaco,  quando  ne  venga
fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti
autorita'» (art. 3); o  al  decreto-legge  13  maggio  1991,  n.  152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e di trasparenza e  buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa),
convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203,  che,
all'art. 12, ha demandato al Ministro dell'interno la  emanazione  di
direttive per la realizzazione,  a  livello  provinciale,  di  «piani
coordinati di controllo del  territorio»,  da  attuarsi  a  cura  dei
competenti uffici della Polizia di Stato e  dei  comandi  provinciali
dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, con  l'espressa
previsione che ad  essi  possano  partecipare,  previa  richiesta  al
sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale. 
    A seguito  del  trasferimento  alle  Regioni  delle  funzioni  di
polizia  amministrativa,  stabilito   dall'art.   161   del   decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), l'art. 7 del
d.P.C.m. 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli
enti  locali  per  l'esercizio   delle   funzioni   e   dei   compiti
amministrativi in materia di polizia  amministrativa)  ha  introdotto
apposite forme di collaborazione fra Stato, Regioni  ed  enti  locali
per il «perseguimento  di  condizioni  ottimali  di  sicurezza  delle
citta' e del territorio  extraurbano  e  di  tutela  dei  diritti  di
sicurezza dei cittadini», e per il  «potenziamento  tecnico-logistico
delle strutture e dei servizi di polizia amministrativa  regionale  e
locale, nonche' dei servizi integrativi  di  sicurezza  e  di  tutela
sociale», prevedendo specifici accordi per lo «svolgimento  in  forma
coordinata» delle attivita' di rispettiva competenza, ed onerando  il
Ministro dell'interno di promuovere  «protocolli  d'intesa»  volti  a
«conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni  di
sicurezza delle citta' e del territorio extraurbano». 
    Analogamente, l'art. 1, comma 439, della legge 27 dicembre  2006,
n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato  (legge  finanziaria  2007)»,  consente  al
Ministro dell'interno di «stipulare convenzioni con le regioni e  gli
enti locali che prevedano la contribuzione logistica,  strumentale  o
finanziaria delle stesse regioni e degli enti  locali»,  al  fine  di
realizzare «programmi  straordinari  di  incremento  dei  servizi  di
polizia,  di  soccorso  tecnico  urgente  e  per  la  sicurezza   dei
cittadini». Previsione, codesta, che ha  trovato  una  specificazione
normativa nell'art. 6-bis del decreto-legge 14  agosto  2013,  n.  93
(Disposizioni urgenti in materia di  sicurezza  e  per  il  contrasto
della violenza di genere, nonche' in tema di protezione civile  e  di
commissariamento delle province), convertito, con  modificazioni,  in
legge 15  ottobre  2013,  n.  119,  recante  nella  rubrica  «Accordi
territoriali di sicurezza integrata per lo  sviluppo»,  il  quale  ha
previsto il raggiungimento di detti accordi tra Ministro, Regioni  ed
enti locali con  riguardo  alle  «aree  interessate  da  insediamenti
produttivi o da  infrastrutture  logistiche  ovvero  da  progetti  di
riqualificazione e riconversione di siti  industriali  o  commerciali
dismessi o da progetti  di  valorizzazione  dei  beni  di  proprieta'
pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale» (comma 1). 
    Con il  decreto-legge  20  febbraio  2017,  n.  14  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  sicurezza  delle  citta'),  convertito,  con
modificazioni, in  legge  18  aprile  2017,  n.  48,  il  legislatore
nazionale  ha,  poi,  introdotto  una   disciplina   organica   della
cosiddetta sicurezza integrata, da intendersi come  «l'insieme  degli
interventi assicurati dallo  Stato,  dalle  Regioni,  dalle  Province
autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali», nonche'  da  altri
soggetti istituzionali, «al fine di concorrere, ciascuno  nell'ambito
delle  proprie  competenze  e  responsabilita',  alla  promozione   e
all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il
benessere delle comunita' territoriali» (art. 1, comma 2).  L'art.  2
del citato decreto-legge ha affidato ad apposite linee  generali,  da
adottare con accordo sancito in  sede  di  Conferenza  unificata  (su
proposta del Ministro dell'interno), il compito di  «coordinare,  per
lo svolgimento di attivita' di interesse  comune,  l'esercizio  delle
competenze  dei   soggetti   istituzionali   coinvolti,   anche   con
riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la  polizia
locale», nei settori di intervento ivi indicati, tenendo conto  della
«necessita' di migliorare la qualita' della vita e del  territorio  e
di   favorire   l'inclusione   sociale    e    la    riqualificazione
socio-culturale delle aree interessate». 
    Il d.l. n. 14 del 2017 ha cosi'  contribuito  a  dare  attuazione
all'art. 118, terzo comma, Cost., prevedendo che, in attuazione delle
summenzionate linee generali,  Stato,  Regioni  e  Province  autonome
possano  concludere  «specifici  accordi  per  la  promozione   della
sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare  gli  interventi  a
sostegno della  formazione  e  dell'aggiornamento  professionale  del
personale della polizia locale» (art. 3, comma 1). Le  Regioni  e  le
Province  autonome  possono  altresi'  sostenere,  nell'ambito  delle
proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare
interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio  di
riferimento,  «ivi  inclusa  l'adozione   di   misure   di   sostegno
finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da  fenomeni
di criminalita' diffusa» (art. 3, comma 2). 
    In tal senso, il menzionato  decreto-legge  ha  disciplinato,  in
modo ampio  e  trasversale,  le  «forme  di  coordinamento»  previste
dall'art. 118, terzo comma, Cost., coinvolgendo  gli  enti  regionali
non solo quali terminali delle scelte compiute dallo Stato in materia
di ordine pubblico e sicurezza, ma anche come portatori di  interessi
che,  ancorche'  non  direttamente  afferenti  alla  materia  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sono teleologicamente
connessi alla competenza esclusiva dello Stato. 
    Il quadro normativo statale  si  arricchisce  ulteriormente,  con
specifico riguardo alla materia di cui oggi si tratta, con  la  legge
14 agosto 2020, n. 113 (Disposizioni in materia di sicurezza per  gli
esercenti le professioni sanitarie e  socio-sanitarie  nell'esercizio
delle loro funzioni), che detta  disposizioni  per  la  sicurezza  di
coloro che esercitano le professioni  sanitarie  e  socio  sanitarie,
stabilendo, tra l'altro, all'art. 7, al fine di prevenire episodi  di
aggressione o di violenza, che le strutture presso le quali opera  il
personale di  cui  si  tratta  adottino,  nei  propri  piani  per  la
sicurezza, misure volte a stipulare  specifici  protocolli  operativi
con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento. 
    2.3.- E' alla luce di tale rinnovata declinazione legislativa del
concetto  di  sicurezza  che  la  giurisprudenza  costituzionale   ha
esaminato  il   tema   della   portata   dell'intervento   consentito
all'autonomia regionale nella materia de qua. 
    Questa Corte ha chiarito che «le  Regioni  non  possono  porre  a
carico di organi e  amministrazioni  dello  Stato  compiti  ulteriori
rispetto a quelli individuati dalla legge statale»  (sentenza  n.  88
del 2020; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 2 del 2013, n.
167 e n. 104 del 2010, n.  10  del  2008,  n.  322  del  2006).  Tale
preclusione opera anche con riguardo alla  previsione  di  «forme  di
collaborazione e di coordinamento», le quali, ove coinvolgano compiti
e  attribuzioni  di  organi  dello   Stato,   «non   possono   essere
disciplinate  unilateralmente  e  autoritativamente  dalle   Regioni,
nemmeno nell'esercizio  della  loro  potesta'  legislativa»,  dovendo
trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che
le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli  enti  interessati
(sentenze n. 170 del 2019, n. 183 del 2018 e n.  9  del  2016;  nello
stesso senso, sentenze n. 30 del 2006, n. 429 e n. 134 del 2004). 
    E proprio sulla base delle  indicazioni  e  del  perimetro  degli
interventi delle autonomie locali disegnato dalla illustrata  cornice
normativa statuale, la sentenza n. 285  del  2019  ha  giudicato  non
fondata la questione di legittimita' costituzionale,  promossa  dallo
Stato in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera h),  Cost.,
della normativa  di  cui  alla  legge  della  Regione  Basilicata  30
novembre 2018, n. 45 (Interventi regionali per la  prevenzione  e  il
contrasto della criminalita' e per  la  promozione  della  cultura  e
della legalita' e di un sistema integrato  di  sicurezza  nell'ambito
del territorio regionale), che attribuiva alla Regione il compito  di
promuovere iniziative formative,  informative  e  culturali,  nonche'
interventi,  realizzati  anche  in  collaborazione   con   le   forze
dell'ordine, a seguito di apposita stipula d'intesa, di assistenza di
tipo materiale e psicologico, utili a prevenire e contrastare i reati
che colpiscono la popolazione anziana, con particolare riferimento ai
delitti contro il patrimonio mediante frode. In quella occasione,  la
Corte ha affermato che la semplice previsione della  possibilita'  di
una intesa con le forze di polizia non comporta  alcuna  interferenza
con la competenza esclusiva dello Stato in materia di sicurezza,  una
volta esclusa  la  pretesa  di  un  coinvolgimento  necessario  delle
stesse. In proposito e' stato richiamato il precedente della Corte in
materia di bullismo e cyber-bullismo (sentenza n. 116 del  2019),  in
cui la non fondatezza della  questione  allora  sollevata  era  stata
motivata,  tra  l'altro,  con  riferimento  alla   natura   meramente
facoltativa   della   partecipazione   dei   rappresentanti   statali
all'apposito  tavolo  di   coordinamento,   partecipazione   comunque
subordinata alla previa intesa con gli enti di appartenenza. 
    Con la stessa sentenza n. 285 del 2019, e' stata  dichiarata  non
fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,   la   questione   di
legittimita' costituzionale  di  altra  disposizione  della  medesima
legge reg. Basilicata n. 45 del 2018, che prevede che la Regione,  al
fine di assicurare un adeguato controllo del territorio  mediante  un
piu'  efficiente  svolgimento  delle  funzioni  di  polizia   locale,
promuove,  previa  intesa  con  gli  enti  locali   interessati,   il
potenziamento delle attivita' di vigilanza nelle aree piu' soggette a
rischio di esposizione ad attivita' criminose.  Al  riguardo,  questa
Corte, dopo aver sottolineato che l'eventuale assegnazione di compiti
attinenti  alla   pubblica   sicurezza   non   puo'   essere   decisa
unilateralmente dalla  Regione,  pena  l'invasione  della  competenza
esclusiva dello Stato a norma dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
h), Cost., ha  ritenuto  facoltizzata  la  Regione  a  promuovere  il
potenziamento delle attivita' di vigilanza  purche'  nell'ambito  dei
piani predisposti dal Ministro dell'interno. 
    Nella medesima direzione la sentenza n. 177 del 2020 ha giudicato
conforme a Costituzione una norma della legge della Regione Puglia 28
marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di  legalita',  regolarita'
amministrativa e sicurezza), che dispone  che  nell'attuazione  delle
politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di  illegalita'  in
materia di tutela dell'ambiente, connessi o  derivanti  da  attivita'
criminose di tipo organizzato  o  mafioso,  la  Regione  promuove  la
conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con  le  autorita'
statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale,  le
associazioni di imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni
di  volontariato  e  le  associazioni  ambientalistiche   individuate
secondo le procedure di legge. Anche in tale occasione  questa  Corte
ha chiarito che la Regione ha inteso limitarsi all'affiancamento agli
organi  statali  nel  perseguimento  del  fine   di   combattere   la
criminalita'  nei  settori  ambientale  e   sanitario,   e   che   le
disposizioni che prevedono la promozione di accordi  tra  Regione  ed
autorita' statali hanno valore programmatico. 
    Non si discosta da tali precedenti la sentenza n. 236  del  2020,
nella quale la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  della
legge della Regione Veneto  8  agosto  2019,  n.  34  (Norme  per  il
riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di
vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale
integrata per la promozione della sicurezza e  della  legalita'),  e'
fondata piuttosto sulla sostanziale rivendicazione, operata da quella
legge,  di   una   specifica   competenza   regionale   all'attivita'
istituzionale di prevenzione  generale  dei  reati  e  controllo  del
territorio, che costituisce il  nucleo  centrale  della  funzione  di
pubblica sicurezza, riconducibile a materia di  esclusiva  competenza
statale ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  h),  Cost.;
nonche'  sulla  pretesa  della  Regione  di  disciplinare  forme   di
coordinamento fra Stato ed enti locali in materia di ordine  pubblico
e sicurezza, con il sostegno della stessa Regione, in una materia  in
cui l'intervento del legislatore regionale e'  ammissibile  solo  nel
rispetto delle procedure  e  dei  limiti  sostanziali  stabiliti  dal
legislatore statale ai sensi dell'art. 118, terzo comma, Cost. 
    2.4.- Nel caso all'attuale esame, la disposizione  impugnata  non
disciplina, in modo unilaterale, le  forme  di  collaborazione  e  di
coordinamento con le forze di polizia dello Stato - che pure  mira  a
instaurare - ma, al contrario, le inquadra entro una cornice pattizia
che  mantiene  salvi  e  integri  i   compiti   e   le   attribuzioni
dell'amministrazione di pubblica sicurezza. 
    2.5.- Come anche di recente ribadito da questa Corte, del  resto,
la  Regione  ben  puo'  «sollecitare  lo  Stato»,  «affinche'  questo
ricalibri la distribuzione della forza pubblica  sul  territorio»,  e
cio' a  maggior  ragione  «[n]ell'ambito  della  rinnovata  strategia
istituzionale volta a garantire la sicurezza integrata» (sentenza  n.
285 del 2019, punto 9.3. del Considerato in diritto), quale  definita
e disciplinata dal decreto-legge n. 14 del 2007. 
    In particolare, va ricordato che i protocolli  d'intesa  previsti
dalla  disposizione  regionale  impugnata  si  collocano  nel  quadro
generale degli specifici accordi per la  promozione  della  sicurezza
integrata - che lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento
e Bolzano possono concludere, a norma del richiamato art. 3 del  d.l.
n. 14 del 2017, in attuazione delle linee generali fissate, ai  sensi
dell'art. 2 dello stesso  decreto-legge,  su  proposta  del  Ministro
dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza  unificata  -
nella misura  in  cui  consentono,  proprio  secondo  le  indicazioni
provenienti dalla fonte statale, di individuare «specifici  obiettivi
per l'incremento dei servizi di controllo del territorio e per la sua
valorizzazione» (art. 7, comma 1, del d.l. n.  14  del  2017),  anche
mediante, eventualmente, l'impiego di «software di analisi video  per
il monitoraggio attivo con invio di  allarmi  automatici  a  centrali
delle forze di polizia» (art. 7, comma 1-bis,  del  d.l.  n.  14  del
2017), ossia di strumenti in grado  di  garantire,  come  precisa  la
norma regionale, un rapido intervento in loco delle forze di polizia. 
    Conformemente alla giurisprudenza di questa  Corte,  anche  nella
presente fattispecie puo' dunque affermarsi che i previsti protocolli
d'intesa tra la Regione e gli Uffici territoriali di Governo «trovano
fondamento nella legge statale» (sentenza n. 104 del  2010,  punto  5
del Considerato in diritto; analogamente, anche sentenza n.  454  del
2007, punto 2.2. del Considerato in diritto). 
    2.6.- Del resto, l'adesione a detti protocolli aventi ad  oggetto
la presenza e la collaborazione delle forze di polizia  si  pone  per
l'amministrazione dello Stato come mera facolta', e  non  certo  come
obbligo. Fintanto  che  quei  protocolli  non  saranno  sottoscritti,
nessun comportamento o prestazione sono  imposti  alle  Prefetture  e
alle Questure, rimanendo esse libere di addivenire  alla  conclusione
degli  accordi  con  la   Regione,   nell'esercizio   delle   proprie
prerogative di organizzazione e di dislocazione sul territorio  delle
forze di polizia, in conformita' alle previsioni della legge  n.  121
del 1981 e del regolamento di cui al d.P.R. n. 208 del 2001. 
    2.7.- Ne' alcun  argomento  in  contrario  puo'  desumersi  dalla
formulazione dell'art. 1 della legge regionale in esame, il  quale  -
come pure evidenziato dal ricorrente - assicura  il  «rispetto  della
normativa statale in materia di salute  e  sicurezza  nei  luoghi  di
lavoro»  (laddove  indica  la  finalita'  della  legge  regionale  di
«prevenire e contrastare ogni forma di violenza ai danni di operatori
dei settori sanitario e sociosanitario»),  ma  omette  di  richiamare
espressamente la  normativa  statale  in  materia  di  ordinamento  e
organizzazione amministrativa dello Stato  e  di  ordine  pubblico  e
sicurezza.  Non  e'  infatti  possibile  desumere,  da  tale  mancato
richiamo, la volonta' del legislatore regionale di non rispettare  le
prerogative  dello  Stato  in  tali  ambiti,   soprattutto   in   una
fattispecie come quella in esame, in relazione alla quale la  Regione
non dispone di alcuna competenza legislativa  (sentenza  n.  278  del
2012, punto 5 del Considerato in diritto). 
    3.- Deve pertanto concludersi  che  l'art.  4  della  legge  reg.
Lombardia n. 15 del 2020  non  invade  indebitamente  le  prerogative
dello Stato in ordine alla disciplina delle forze di polizia, ne' dal
punto di vista dell'organizzazione amministrativa  e  del  personale,
ne' sotto il profilo funzionale della tutela dell'ordine  pubblico  e
della sicurezza.  Le  forme  facoltative  di  collaborazione  con  la
Regione discendono direttamente dalle previsioni generali della legge
statale sulla sicurezza integrata, prima richiamate, e si  mantengono
nell'ambito delle «precondizioni per un piu' efficace esercizio delle
classiche funzioni di ordine pubblico,  per  migliorare  il  contesto
sociale e territoriale di riferimento» (sentenza  n.  285  del  2019,
punto 2.5. del Considerato in diritto). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4 della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2020, n.  15
(Sicurezza del personale sanitario e  sociosanitario),  promossa,  in
riferimento all'art. 117, secondo  comma,  lettere  g)  e  h),  della
Costituzione, dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  il
ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE