N. 130 SENTENZA 19 - 23 giugno 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza -  Trattamenti  di  fine  servizio,  comunque  denominati,
  spettanti nei casi di cessazione dal  servizio  per  raggiungimento
  dei limiti di eta'  -  Corresponsione  decorsi  dodici  mesi  dalla
  cessazione del rapporto di lavoro - Rateizzazione  del  trattamento
  secondo un meccanismo di  annuale,  differentemente  articolato  in
  base  all'ammontare  complessivo  della  prestazione  -  Denunciata
  violazione della garanzia costituzionale della giusta  retribuzione
  - Inammissibilita'  delle  questioni,  stante  la  discrezionalita'
  riservata al legislature -  Necessita'  di  intervento  riformatore
  prioritario  -   Intollerabilita'   di   un   eccessivo   protrarsi
  dell'inerzia legislativa. 
- Decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 28 maggio 1997, n. 140, art. 3, comma 2;  decreto-legge
  31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  nella  legge
  30 luglio 2010, n. 122, art. 12, comma 7. 
- Costituzione, art. 36. 
(GU n.26 del 28-6-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2,
del decreto-legge 28  marzo  1997,  n.  79  (Misure  urgenti  per  il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con  modificazioni,
nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e  dell'art.  12,  comma  7,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,
promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione
terza quater, nel procedimento  vertente  tra  A.  R.,  il  Ministero
dell'interno e l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS),
con ordinanza del 17 maggio 2022, iscritta al  n.  124  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di costituzione di A. R. e dell'INPS, nonche'  gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri,  di  E.
M. e della Federazione Confsal-Unsa; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2023 il Giudice relatore
Maria Rosaria San Giorgio; 
    uditi gli avvocati Massimo Zhara Buda per A. R., Piera Messina  e
Gino Madonia per l'INPS, Antonio Mirra per E. M. e per la Federazione
Confsal-Unsa,  e  l'avvocato  dello  Stato  Fabrizio  Fedeli  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 19 giugno 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 maggio 2022,  iscritta  al  n.  124  del
registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, sezione terza quater, ha sollevato, in riferimento all'art. 36
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79  (Misure
urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito,  con
modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140,  e  dell'art.  12,
comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122. 
    1.1.- Il rimettente riferisce di essere investito della decisione
sul ricorso con il quale A. R.,  dirigente  della  Polizia  di  Stato
cessato dal servizio per raggiunti limiti  di  eta',  ha  chiesto  il
pagamento del trattamento di fine servizio senza il differimento e la
rateizzazione previsti dalle disposizioni censurate. 
    In punto di rilevanza, il giudice a quo assume che l'applicazione
delle norme in scrutinio, la  cui  chiarezza  testuale  preclude  una
interpretazione adeguatrice, condurrebbe al rigetto del ricorso,  con
conseguente dilazione del termine del pagamento delle somme spettanti
al ricorrente per effetto della cessazione dal rapporto di servizio. 
    1.2.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,   il   giudice
rimettente deduce che il dubbio di  legittimita'  costituzionale  «e'
alimentato    dall'esame    della    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale, con particolare riguardo alla sentenza n. 159 del  25
giugno 2019», la quale, nel dichiarare non fondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale delle stesse  norme  qui  censurate,  sia
pure nella parte in cui si riferiscono ai lavoratori  che  non  hanno
raggiunto i limiti di eta' o di servizio previsti  dagli  ordinamenti
di  appartenenza,   ha   affermato   che   la   disciplina   che   ha
progressivamente dilatato i tempi  di  erogazione  delle  prestazioni
dovute alla cessazione  del  rapporto  di  impiego  «ha  smarrito  un
orizzonte  temporale  definito  e  la  iniziale  connessione  con  il
consolidamento dei conti pubblici che l'aveva giustificata». 
    Il TAR Lazio ricorda, altresi', che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, le indennita' di fine  servizio  costituiscono  parte
del compenso dovuto per il lavoro  prestato,  la  cui  corresponsione
viene differita al momento della cessazione dall'impiego, al fine  di
agevolare il superamento delle  difficolta'  economiche  che  possono
insorgere con il venir meno della retribuzione. 
    Il rimettente argomenta che  «una  retribuzione  corrisposta  con
ampio ritardo ha per il lavoratore una utilita'  inferiore  a  quella
corrisposta tempestivamente». 
    Il  carattere  di  retribuzione   differita   riconosciuto   alle
indennita' di fine rapporto comporterebbe  che  anche  queste  ultime
debbano essere corrisposte tempestivamente e che non  possano  essere
scaglionate nel tempo «strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo
del lavoro». Cio', specie ove si consideri  che,  di  norma,  con  il
trattamento economico in questione il lavoratore,  sia  pubblico  che
privato, specie se in eta' avanzata, si  propone  di  recuperare  una
somma gia' spesa o in via di erogazione per le principali  necessita'
di vita, ovvero di far fronte ad impegni finanziari gia' assunti. 
    Il giudice a quo ricorda, quindi, che, secondo la  giurisprudenza
di questa Corte, una normativa come quella in esame puo' superare  lo
scrutinio di legittimita' costituzionale solo se opera  in  un  tempo
definito e se e' giustificata da una crisi contingente. 
    In  ultimo,  illustrati  gli  interventi  normativi   che   hanno
modificato  le  disposizioni  censurate  in  senso   progressivamente
peggiorativo per il lavoratore pubblico, il rimettente  conclude  che
la  previsione  di  un  pagamento  rateizzato  comprime  in   maniera
irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici,  in
violazione dell'art. 36 Cost., «non essendo  sorretta  dal  carattere
contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale». 
    2.- Nel giudizio si e' costituito A. R., ricorrente nel  giudizio
principale, argomentando a sostegno della fondatezza delle  questioni
di legittimita' costituzionale sollevate. 
    La parte richiama, a sua volta, la sentenza n. 159  del  2019  di
questa  Corte  per  evidenziare  come  la   stessa   abbia   lasciato
impregiudicate le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  della
normativa  all'odierno  esame,  nella  parte  in  si   riferisce   ai
dipendenti cessati dall'impiego per raggiungimento dei limiti di eta'
e di servizio o per collocamento  a  riposo  d'ufficio  a  causa  del
raggiungimento dell'anzianita' massima di servizio. 
    Il pagamento ritardato dei trattamenti di fine servizio - i quali
costituiscono retribuzione differita  -  si  porrebbe,  pertanto,  in
contrasto con il principio di  proporzionalita'  della  retribuzione,
espresso dall'art. 36 Cost., e, al contempo,  attesa  la  sua  natura
previdenziale, con il principio  di  adeguatezza  dei  mezzi  per  la
vecchiaia dettato dall'art. 38 Cost. 
    La parte privata deduce che soltanto nei primi  anni  di  vigenza
delle  misure  oggetto  di  censura  il  legislatore  ha   conseguito
l'obiettivo di contenimento della dinamica della spesa corrente e  di
riequilibrio della finanza pubblica, mentre, una volta che le  stesse
misure sono entrate a regime, l'effetto positivo e' cessato, «perche'
l'indebitamento e' stato semplicemente reso strutturale, senza  alcun
vantaggio economico nella gestione corrente». 
    3.- Nel giudizio si  e'  costituito  anche  l'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS), parte resistente nel processo a quo,
chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' e comunque la non fondatezza
delle questioni sollevate. 
    3.1.- L'INPS  rileva,  anzitutto,  l'erroneita'  del  presupposto
interpretativo da cui muove il giudice rimettente, secondo  il  quale
la prestazione che viene nella specie  in  rilievo  costituirebbe  un
trattamento  di  fine  rapporto,  inteso  come   «mera   retribuzione
differita», anziche' un trattamento di fine servizio. 
    La prestazione in scrutinio - si osserva - coincide, per  contro,
con l'indennita' di buonuscita istituita dal decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032  (Approvazione  del  testo
unico delle  norme  sulle  prestazioni  previdenziali  a  favore  dei
dipendenti civili e militari dello Stato), la cui speciale disciplina
ne impedisce l'assimilazione al trattamento di fine rapporto  di  cui
all'art. 2120 del codice civile. Cio'  in  quanto,  a  differenza  di
quest'ultimo,  la  prestazione  in  esame  e'  erogata  da  un   ente
previdenziale terzo e, dunque, da un soggetto distinto sia dal datore
di lavoro, sia dal dipendente. 
    L'Istituto evidenzia, ancora, che il trattamento in esame e' piu'
vantaggioso  di  quello  privatistico,  perche'   viene   parametrato
all'ultima  retribuzione  spettante  al  dipendente  prima  del   suo
collocamento a riposo, che, di norma, e' la piu' elevata. 
    Tale  maggiore  vantaggiosita'  si  rivelerebbe  anche  sotto  il
profilo fiscale, posto che l'art. 24  del  decreto-legge  28  gennaio
2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   reddito   di
cittadinanza e di pensioni),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 28 marzo 2019, n. 26, ha introdotto una  parziale  detassazione
del solo trattamento di fine  servizio,  «sotto  forma  di  riduzione
dell'aliquota determinata ai sensi dell'articolo 19 comma  2-bis  del
D.P.R.  n.  917/1986  (TUIR),  da   applicarsi   all'imponibile   dei
trattamenti di fine servizio (TFS) con importo fino a 50.00,00 euro». 
    Un ulteriore elemento di  differenziazione  andrebbe  individuato
nell'essere l'indennita' di buonuscita alimentata  da  un  contributo
previdenziale  obbligatorio,  pari  al  9,60  per  cento  della  base
contributiva, gravante sull'ente datore di lavoro, il quale si rivale
sul dipendente in misura del  2,50  per  cento  della  medesima  base
contributiva. 
    Argomenta,  ancora,   l'Istituto   che,   come   chiarito   dalla
giurisprudenza di legittimita', per l'indennita' di buonuscita non e'
contemplato il diritto all'anticipazione della  prestazione,  ne'  e'
stata mai prevista la possibilita' di ottenerne una  parte  in  busta
paga, come invece disposto dalla legge di stabilita' per l'anno  2015
per i lavoratori privati. 
    A dimostrazione che il trattamento di fine servizio non  potrebbe
essere assimilato al trattamento di fine rapporto e che, quindi,  non
avrebbe  natura  di   retribuzione   differita,   l'INPS   evoca   la
giurisprudenza  di  legittimita'   che   ritiene   applicabile   alla
fattispecie  in  scrutinio  il  principio  di   automaticita'   delle
prestazioni previdenziali. 
    Dalla mancata considerazione,  da  parte  del  rimettente,  delle
illustrate peculiarita'  dell'indennita'  di  buonuscita  deriverebbe
l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale per
incompletezza   della   ricostruzione   del   quadro   normativo   di
riferimento. 
    3.2.- Le questioni sarebbero, comunque, non fondate, in quanto la
disciplina censurata sarebbe conforme al principio  di  solidarieta',
specie ove si abbia riguardo alla grave crisi in  cui  verserebbe  il
sistema previdenziale. 
    Nel caso di specie dovrebbero, pertanto, trovare  applicazione  i
principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 173 del 2016  in
tema di contributo di solidarieta' sulle  pensioni  di  importo  piu'
elevato, alla stregua dei quali la dilazione del pagamento introdotta
dalle disposizioni censurate non contrasterebbe  con  i  principi  di
ragionevolezza, di affidamento e  di  tutela  previdenziale  espressi
dagli artt. 3 e 38 Cost. 
    D'altro canto, prosegue  l'INPS,  come  confermato  dalla  citata
sentenza n. 159 del 2019, questa Corte nello  scrutinare  le  odierne
questioni, non puo' non tenere conto  delle  esigenze  della  finanza
pubblica  e  di  razionale  programmazione  nell'impiego  di  risorse
limitate. 
    L'INPS  sottolinea,  poi,  che   l'eventuale   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale delle disposizioni in tema di dilazione
e di  rateizzazione  comporterebbe  per  l'Istituto  un  onere  assai
elevato, posto che, nel caso in cui entrambi  i  meccanismi  dilatori
previsti  dalle  norme   censurate   venissero   eliminati,   l'onere
complessivo della spesa aggiuntiva sarebbe di 13,9 miliardi  di  euro
per l'anno 2023. 
    In ultimo, l'Istituto si fa carico del monito espresso da  questa
Corte nella citata sentenza n. 159 del  2019,  con  la  quale  si  e'
rilevato che, nei casi in cui sono raggiunti i limiti di  eta'  e  di
servizio, la duplice funzione,  retributiva  e  previdenziale,  delle
indennita' di  cui  si  tratta  rischia  di  essere  compromessa,  in
contrasto con i principi costituzionali che, nel garantire la  giusta
retribuzione, anche differita, tutelano la  dignita'  della  persona.
Evidenzia, tuttavia, l'Istituto che successivamente a tale pronuncia,
sono stati adottati il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 22 aprile 2020, n. 51 (Regolamento in  materia  di  anticipo
del  TFS/TFR,  in  attuazione  dell'articolo   23,   comma   7,   del
decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 28  marzo  2019,  n.  26),  contenente  le  modalita'  di
attuazione delle disposizioni di cui all'art. 23 del d.l.  n.  4  del
2019, come  convertito,  nonche'  il  decreto  del  Ministro  per  la
pubblica amministrazione 19 agosto  2020,  relativo  all'approvazione
dell'accordo quadro  per  il  finanziamento  verso  l'anticipo  della
liquidazione dell'indennita' di fine servizio  comunque  determinata,
secondo quanto previsto dall'art. 23, comma 2,  del  d.l.  n.  4  del
2019, come convertito, accordo siglato tra il Ministro del  lavoro  e
delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e  delle  finanze,
il Ministro per la pubblica amministrazione e l'Associazione bancaria
italiana. 
    Espone,  ancora,  l'INPS  che  gli  atti  citati  consentono   ai
lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art.
1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche) - che cessano o sono cessati dal  servizio
con diritto a pensione  per  raggiungimento  dei  requisiti  previsti
dall'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214, o  con  diritto  a  pensione  al  raggiungimento  della
cosiddetta "quota 100" come previsto dall'art. 14 del d.l. n.  4  del
2019, come convertito  -  di  presentare  a  banche  ed  intermediari
finanziari richiesta di finanziamento per una somma pari  all'importo
dell'indennita' di fine servizio maturata, nella  misura  massima  di
45.000  euro  ovvero  all'importo  spettante  qualora   la   predetta
indennita' sia di importo inferiore. 
    In aggiunta, si sottolinea che, con deliberazione  del  consiglio
di amministrazione dell'INPS  9  novembre  2022,  n.  219,  e'  stata
istituita una nuova prestazione a favore degli iscritti alla Gestione
unitaria delle prestazioni creditizie e sociali,  avente  ad  oggetto
l'anticipazione  ordinaria  delle  somme  spettanti   ai   dipendenti
pubblici a titolo di trattamento di fine servizio o di trattamento di
fine rapporto. 
    L'Istituto precisa che si tratta di un finanziamento  di  importo
pari all'intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato
al tasso di interesse fisso pari all'1 per  cento,  e  con  spese  di
amministrazione a carico del finanziato in misura pari allo 0,50  per
cento  dell'importo,  da  erogarsi  in  un'unica  soluzione,   dietro
cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile
del trattamento di fine servizio o di fine rapporto. 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo dichiararsi non  fondate  le  odierne  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    Richiamati i passaggi salienti della ricordata  sentenza  n.  159
del  2019,  l'interveniente  sostiene  che  il   differimento   della
corresponsione delle indennita' di buonuscita  e  di  altri  analoghi
trattamenti non pregiudica la garanzia sancita dall'art. 36 Cost., in
quanto  la  disciplina  censurata  non  ha  negato  o  decurtato   le
indennita' spettanti  ai  dipendenti  pubblici,  ma  ne  ha  soltanto
differito il versamento mediante  un  meccanismo  che  privilegia  le
ipotesi di cessazione per inabilita', derivante o meno  da  causa  di
servizio, nonche' per decesso del dipendente, nelle quali ha  fissato
un termine di tre mesi  in  luogo  di  quello  di  ventiquattro  mesi
previsto per i titolari di pensione di anzianita' anticipata. 
    Sottolinea la difesa statale che i meccanismi oggetto di  censura
sono ispirati a esigenze di solidarieta'  sociale  e  sono  intesi  a
fronteggiare la grave e perdurante situazione di crisi della  finanza
pubblica. 
    Il sacrificio imposto ai dipendenti pubblici  sarebbe,  pertanto,
improntato alla solidarieta' previdenziale, in quanto concorrerebbe a
finanziare gli oneri del sistema della  previdenza,  peraltro  in  un
contesto di crisi dello  stesso,  e  rispetterebbe  il  principio  di
proporzionalita', incidendo in  special  modo  sui  trattamenti  piu'
elevati. 
    In aggiunta, la difesa statale ricorda il monito contenuto  nella
citata sentenza n. 159 del 2019, per evidenziare che allo  stesso  il
legislatore ha dato seguito mediante l'art. 23  del  d.l.  n.  4  del
2019, come convertito, avente ad oggetto la disciplina  dell'anticipo
agevolato di una quota del trattamento di fine  servizio  o  di  fine
rapporto, comunque denominato, per i dipendenti pubblici che  abbiano
avuto accesso al  trattamento  pensionistico  nel  regime  ordinario,
nonche' di  quello  sperimentale  previsto  al  raggiungimento  della
cosiddetta "quota 100" e "quota 102". 
    In  ultimo,  l'interveniente  rimarca  che  la  declaratoria   di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate comporterebbe per
l'INPS un onere oltremodo  gravoso,  posto  che  lo  stesso  Istituto
dovrebbe  farsi  carico  sia  del  pagamento  immediato  di  tutti  i
trattamenti di fine servizio relativi a cessazioni per  pensionamento
di vecchiaia  intervenute  nell'ultimo  anno,  sia  dell'integrazione
degli  importi  relativi  alle   cessazioni   avvenute   negli   anni
precedenti,  le  cui  rate  non  sono  state  ancora  corrisposte  in
conformita' ai termini previsti dalle disposizioni censurate. 
    5.- E', altresi', intervenuto  ad  adiuvandum  E.  M.,  svolgendo
difese di segno adesivo alle deduzioni del rimettente. 
    L'interveniente, dipendente del Ministero dell'economia  e  delle
finanze collocato  in  quiescenza  per  vecchiaia,  espone  di  avere
introdotto un giudizio davanti al Tribunale ordinario di Velletri, in
funzione di giudice del lavoro,  in  cui  ha  chiesto  accertarsi  il
proprio diritto alla corresponsione del trattamento di fine  servizio
senza  dilazioni,  deducendo  l'illegittimita'  costituzionale  delle
norme che ne autorizzano il differimento e la rateizzazione, e che il
giudice adito ha disposto il rinvio della causa in attesa  dell'esito
dell'odierno  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto
vertente sulle medesime questioni. 
    E. M. assume di essere legittimato all'intervento sia in  ragione
dell'analogia della sua posizione giuridica rispetto a quella  di  A.
R., ricorrente nel giudizio principale, sia in  forza  dell'identita'
tra le censure di illegittimita'  costituzionale  svolte  a  sostegno
dell'azione esperita e quelle qui in scrutinio. 
    6.- Ha,  inoltre,  spiegato  intervento  adesivo  la  Federazione
Confsal-Unsa per chiedere l'accoglimento delle questioni sollevate. 
    La federazione deduce di  essere  legittimata  all'intervento  in
quanto   titolare   di   un   interesse,   «se   pur   collettivo   e
superindividuale»,  diretto,  attuale  e  concreto,   connesso   alla
posizione soggettiva dedotta nel giudizio principale. 
    7.- In ultimo, l'Associazione  nazionale  funzionari  di  polizia
(ANFP) ha depositato un'opinione scritta quale amicus curiae di segno
adesivo alle censure del giudice a quo. 
    A fondamento della propria legittimazione ai  sensi  dell'art.  6
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale,  l'associazione  deduce  di   essere   il   sindacato
maggiormente rappresentativo dei dirigenti della Polizia di  Stato  e
di avere tra i suoi fini statutari  prioritari  la  protezione  degli
interessi della collettivita' organizzata dei funzionari di  polizia,
sotto i profili giuridico, economico e pensionistico. 
    L'opinione e' stata ammessa  con  decreto  presidenziale  del  24
marzo 2023. 
    8.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,   hanno   depositato
memorie sia la parte privata, sia l'INPS, sia  l'Avvocatura  generale
dello Stato, insistendo nelle rispettive conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il TAR Lazio, sezione terza quater, dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2, del d.l. n. 79  del  1997,  come
convertito, e dell'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78  del  2010,  come
convertito, in riferimento all'art. 36 Cost. 
    1.1.-  Il   rimettente,   sulla   scorta   della   giurisprudenza
costituzionale che riconduce i trattamenti di fine servizio, comunque
denominati, spettanti ai  dipendenti  pubblici  nel  paradigma  della
retribuzione  differita  con  concorrente   funzione   previdenziale,
ritiene che le disposizioni censurate, nel prevedere  rispettivamente
il  differimento  e  la  rateizzazione   del   versamento   di   tali
prestazioni, si pongano in contrasto con la  garanzia  costituzionale
della giusta retribuzione. 
    La corresponsione differita e  rateale  dell'indennita'  di  fine
servizio arrecherebbe al beneficiario un'utilita' inferiore  rispetto
a quella derivante da una liquidazione tempestiva, posto che «proprio
attraverso l'integrale e immediata percezione» di tali  spettanze  il
lavoratore si propone «di recuperare una somma gia' spesa o in via di
erogazione  per  le  principali  necessita'  di   vita,   ovvero   di
fronteggiare o adempiere in modo  definitivo  ad  impegni  finanziari
gia' assunti». 
    In linea con le  enunciazioni  espresse  da  questa  Corte  nella
sentenza  n.  159  del  2019,  il  giudice  a  quo  sostiene  che  le
disposizioni  in   scrutinio   ledano   in   modo   irragionevole   e
sproporzionato i  diritti  dei  lavoratori  pubblici,  in  violazione
dell'art. 36 Cost., in quanto, pur essendo state introdotte  per  far
fronte ad una situazione di crisi contingente,  hanno  ormai  assunto
carattere strutturale. 
    2.-  In   via   preliminare,   va   ribadito   quanto   affermato
nell'ordinanza di cui e' stata data lettura in udienza,  allegata  al
presente provvedimento,  sull'inammissibilita'  degli  interventi  ad
adiuvandum. 
    2.1.- L'intervento di E. M. e' inammissibile in  quanto  rinviene
la sua ragione  fondante  nella  semplice  analogia  della  posizione
sostanziale  dell'interveniente  rispetto  a   quella   della   parte
ricorrente  nel  giudizio  principale  (sentenza  n.  106  del  2019;
ordinanza n. 191 del 2021). 
    2.2.-  Neanche  la  Federazione  Confsal-Unsa,  quale   organismo
rappresentativo di soggetti titolari di rapporti  giuridici  regolati
dalle  disposizioni  censurate,  puo'  ritenersi  portatrice  di   un
interesse  specifico  direttamente  riconducibile   all'oggetto   del
giudizio principale. Al contrario, essa persegue un «mero  indiretto,
e piu' generale, interesse connesso agli scopi statutari della tutela
degli interessi economici e professionali degli  iscritti»  (sentenze
n. 159 del 2019 e n. 77 del 2018). 
    3.- L'esame delle questioni sollevate richiede  la  ricostruzione
del quadro normativo in cui si inseriscono le disposizioni censurate. 
    3.1.- La disciplina delle modalita' di pagamento  dell'indennita'
di buonuscita  era  originariamente  contenuta  nell'art.  26,  terzo
comma, del d.P.R. n. 1032 del 1973, a mente del  quale,  in  caso  di
cessazione dal servizio per limiti di eta', l'amministrazione  doveva
predisporre gli atti tre mesi prima  del  raggiungimento  del  limite
predetto e inviarli almeno un mese prima al Fondo di  previdenza  per
il personale civile e militare dello Stato, il quale  era  tenuto  ad
emettere il  mandato  di  pagamento  in  modo  da  rendere  possibile
l'effettiva corresponsione del trattamento  «immediatamente  dopo  la
data di cessazione dal servizio e comunque non oltre quindici  giorni
dalla data medesima». 
    Il termine per la effettiva corresponsione della  prestazione  in
esame e' stato successivamente elevato a novanta giorni dall'art.  7,
terzo comma, della legge 20 marzo 1980, n. 75, recante  «Proroga  del
termine previsto dall'articolo 1 della legge 6 dicembre 1979, n. 610,
in materia di trattamento economico del personale civile  e  militare
dello Stato in servizio ed in quiescenza; norme in materia di computo
della tredicesima mensilita' e di riliquidazione  dell'indennita'  di
buonuscita e norme di interpretazione e di attuazione dell'articolo 6
della legge 29 aprile 1976, n. 177, sul trasferimento  degli  assegni
vitalizi al Fondo sociale e riapertura dei termini per la opzione». 
    In seguito, l'art. 3, comma 2, del d.l.  n.  79  del  1997,  come
convertito, qui in scrutinio, ha rimodulato i tempi di erogazione dei
«trattamenti di fine servizio,  comunque  denominati»,  spettanti  ai
dipendenti delle pubbliche amministrazioni (oggi  definite  dall'art.
1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001) o ai loro superstiti o aventi
causa che ne hanno titolo, disponendo che alla  liquidazione  «l'ente
erogatore provvede decorsi ventiquattro  mesi  dalla  cessazione  del
rapporto di lavoro  e,  nei  casi  di  cessazione  dal  servizio  per
raggiungimento dei limiti  di  eta'  o  di  servizio  previsti  dagli
ordinamenti di appartenenza, per collocamento a  riposo  d'ufficio  a
causa del raggiungimento dell'anzianita' massima di servizio prevista
dalle   norme    di    legge    o    di    regolamento    applicabili
nell'amministrazione,  decorsi  dodici  mesi  dalla  cessazione   del
rapporto di lavoro». 
    La citata disposizione prevede, altresi', che alla erogazione  si
dia corso «entro i successivi tre mesi, decorsi i quali  sono  dovuti
gli interessi». 
    3.2.- Nella versione originaria, l'art. 3, comma 2, del  d.l.  n.
79 del 1997, come convertito, stabiliva il termine di sei mesi per la
liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, e
quello dei successivi tre mesi per la relativa corresponsione. 
    Tale previsione e' stata modificata dapprima dall'art.  1,  comma
22, lettera a), del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138  (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148,
e in seguito dall'art. 1, comma  484,  lettera  b),  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
2014)». 
    La prima delle richiamate disposizioni  ha  innalzato  da  sei  a
ventiquattro mesi il termine per il  versamento  del  trattamento  di
fine servizio, decorrente dalla cessazione del  rapporto  di  lavoro,
senza  modificare  il  termine  semestrale  per   la   corresponsione
dell'emolumento   nei   casi   di   cessazione   dal   servizio   per
raggiungimento dei limiti di eta' o di servizio. 
    Tale ultimo termine e' stato elevato a dodici mesi  dall'art.  1,
comma 484, lettera b), della legge n. 147 del 2013. 
    3.3.- Al differimento, appena illustrato, delle  liquidazioni  di
cui si tratta si affianca  la  disciplina  introdotta  dall'art.  12,
comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che ha previsto un
regime  di  rateizzazione  delle  spettanze  di  fine   servizio   al
dichiarato fine di concorrere «al consolidamento dei  conti  pubblici
attraverso il contenimento della dinamica della  spesa  corrente  nel
rispetto   degli   obiettivi    di    finanza    pubblica    previsti
dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita». 
    Il testo originario della disposizione citata  prevedeva  che  la
corresponsione del trattamento avvenisse in un unico importo  annuale
per le indennita' di fine servizio di ammontare complessivo, al lordo
delle relative trattenute fiscali, pari o inferiore a 90.000 euro; in
due importi annuali per le indennita' di  ammontare  complessivo,  al
lordo delle relative trattenute fiscali, superiore a 90.000 euro,  ma
inferiore a 150.000 euro; in tre importi annuali per le indennita' di
ammontare complessivo, al lordo delle  relative  trattenute  fiscali,
uguale o superiore a 150.000 euro. 
    3.4.- A seguito delle modifiche apportate all'art. 12,  comma  7,
del d.l. n. 78 del 2010, come convertito,  dall'art.  1,  comma  484,
lettera a), della legge n. 147 del 2013, la scansione  dei  pagamenti
e' stata rimodulata. 
    L'indennita' di buonuscita, l'indennita' premio di  servizio,  il
trattamento di fine rapporto e «ogni  altra  indennita'  equipollente
corrisposta una-tantum comunque denominata  spettante  a  seguito  di
cessazione a vario titolo dall'impiego» sono oggi riconosciuti «in un
unico importo annuale se l'ammontare complessivo  della  prestazione,
al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente  pari
o inferiore a 50.000 euro» (art. 12, comma 7,  lettera  a);  «in  due
importi annuali se  l'ammontare  complessivo  della  prestazione,  al
lordo  delle  relative  trattenute   fiscali,   e'   complessivamente
superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro. In tal  caso  il
primo importo annuale e' pari a 50.000  euro  e  il  secondo  importo
annuale e' pari all'ammontare residuo» (art. 12, comma 7, lettera b);
«in tre importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione,
al lordo  delle  relative  trattenute  fiscali,  e'  complessivamente
uguale o superiore a 100.000 euro,  in  tal  caso  il  primo  importo
annuale e' pari a 50.000 euro, il secondo importo annuale e'  pari  a
50.000 euro e il terzo importo annuale e' pari all'ammontare residuo»
(art. 12, comma 7, lettera c). 
    4.- In via preliminare si  rileva  che,  come  emerge  dall'esame
della ordinanza di rimessione, essendo il ricorrente nel  giudizio  a
quo cessato dal servizio per raggiunti  limiti  di  eta',  l'art.  3,
comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, trova applicazione
nella parte in cui differisce la liquidazione del trattamento di fine
servizio di dodici mesi dalla cessazione del rapporto. 
    Lo scrutinio di legittimita'  costituzionale  relativamente  alla
predetta disposizione deve intendersi,  pertanto,  circoscritto  alla
parte di essa che si riferisce ai dipendenti cessati dal  lavoro  per
raggiunti limiti di eta' o di servizio. 
    5.- Sempre in via preliminare, deve essere  respinta  l'eccezione
di inammissibilita' per incompleta ricostruzione del quadro normativo
formulata dall'INPS. 
    5.1.-  Il  giudice  a  quo,   ripercorrendo   la   genesi   delle
disposizioni censurate e richiamando l'interpretazione che ne ha dato
questa Corte nella  sentenza  n.  159  del  2019,  ha  esaustivamente
ricomposto la cornice normativa e giurisprudenziale in cui si innesta
la disciplina in scrutinio. 
    6.- Le questioni sono inammissibili per  le  ragioni  di  seguito
illustrate. 
    6.1.- L'evoluzione  normativa,  «stimolata  dalla  giurisprudenza
costituzionale» (sentenza n. 243 del 1993, punto 4 del Considerato in
diritto), ha ricondotto le indennita' di fine  servizio  erogate  nel
settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con
concorrente funzione previdenziale, nell'ambito  di  un  percorso  di
tendenziale assimilazione alle regole  dettate  nel  settore  privato
dall'art. 2120 del codice civile (sentenze n. 258 del  2022,  n.  159
del 2019 e n. 106 del 1996). 
    Tale processo di  armonizzazione,  contraddistinto  anche  da  un
ruolo rilevante dell'autonomia collettiva (sentenza n. 213 del 2018),
rispecchia la finalita' unitaria dei trattamenti  di  fine  rapporto,
che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella  delicata  fase
dell'uscita dalla vita lavorativa attiva (sentenza n. 159 del 2019). 
    Le indennita' di fine servizio costituiscono una  componente  del
compenso  conquistato  «attraverso  la   prestazione   dell'attivita'
lavorativa e come frutto di essa»  (sentenza  n.  106  del  1996)  e,
quindi, una parte integrante  del  patrimonio  del  beneficiario,  il
quale  spetta  ai  superstiti  in  caso  di  decesso  del  lavoratore
(sentenza n. 243 del 1993). 
    6.2.- La  natura  retributiva  attira  le  prestazioni  in  esame
nell'ambito applicativo dell'art. 36 Cost., essendo  l'emolumento  di
cui  si  tratta  volto  a  sopperire  alle  peculiari  esigenze   del
lavoratore  in  una  «particolare   e   piu'   vulnerabile   stagione
dell'esistenza umana» (sentenza n. 159 del 2019). 
    La garanzia della giusta retribuzione, proprio perche' attiene  a
principi fondamentali, «si sostanzia non  soltanto  nella  congruita'
dell'ammontare   concretamente   corrisposto,    ma    anche    nella
tempestivita' dell'erogazione» (sentenza n. 159 del 2019). 
    Il trattamento viene,  infatti,  corrisposto  nel  momento  della
cessazione dall'impiego al preciso fine di  agevolare  il  dipendente
nel far fronte alle difficolta' economiche che possono insorgere  con
il venir meno della retribuzione. 
    In cio' si realizza la funzione previdenziale, che, pure, vale  a
connotare le indennita' in  scrutinio,  e  che  concorre  con  quella
retributiva. 
    6.3.- Questa Corte deve farsi carico della considerazione che  il
trattamento di fine servizio costituisce un rilevante aggregato della
spesa   di   parte   corrente   e,   per   tale    ragione,    incide
significativamente sull'equilibrio del bilancio statale (sentenza  n.
159 del 2019). 
    Non e' da escludersi, pertanto, in assoluto che, in situazioni di
grave difficolta' finanziaria, il legislatore  possa  eccezionalmente
comprimere il diritto del lavoratore alla  tempestiva  corresponsione
del trattamento di fine servizio. Tuttavia,  un  siffatto  intervento
e',   anzitutto,   vincolato   al   rispetto   del   criterio   della
ragionevolezza della misura prescelta e  della  sua  proporzionalita'
rispetto allo scopo perseguito. 
    Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure. 
    La legittimita' costituzionale  delle  norme  dalle  quali  possa
scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore e',
infatti,  condizionata  alla  rigorosa  delimitazione  temporale  dei
sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali  devono  essere
«eccezionali, transeunti, non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999). 
    6.4.-  Ebbene,  il  termine  dilatorio  di  dodici   mesi   quale
risultante dall'art. 3, comma 2,  del  d.l.  n.  79  del  1997,  come
convertito, e successive modificazioni, oggi non rispetta piu' ne' il
requisito della temporaneita', ne' i limiti  posti  dai  principi  di
ragionevolezza e di proporzionalita'. 
    A differenza del  pagamento  differito  dell'indennita'  di  fine
servizio in caso di cessazione anticipata dall'impiego -  in  cui  il
sacrificio inflitto dal meccanismo  dilatorio  trova  giustificazione
nella finalita' di disincentivare i  pensionamenti  anticipati  e  di
promuovere la prosecuzione dell'attivita' lavorativa (sentenza n. 159
del 2019) - il, sia pur piu' breve, differimento operante in caso  di
cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di eta'  o  di
servizio non realizza un equilibrato  componimento  dei  contrapposti
interessi alla tempestivita' della liquidazione del  trattamento,  da
un lato, e al pareggio di bilancio, dall'altro. 
    Cio' in quanto la  previsione  ora  richiamata  ha  «smarrito  un
orizzonte  temporale  definito»   (sentenza   n.   159   del   2019),
trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio  finanziario  in
misura a carattere strutturale, che  ha  gradualmente  perso  la  sua
originaria ragionevolezza. 
    6.5.- A cio' deve aggiungersi che la perdurante  dilatazione  dei
tempi di corresponsione delle indennita' di fine servizio rischia  di
vanificare  anche  la  funzione   previdenziale   propria   di   tali
prestazioni, in quanto  contrasta  con  la  particolare  esigenza  di
tutela avvertita dal dipendente al termine dell'attivita' lavorativa. 
    Non e', infatti, infrequente  che  l'emolumento  in  esame  venga
utilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o
dei suoi familiari, e la possibilita' che tali  necessita'  insorgano
nelle more della liquidazione del trattamento espone l'avente diritto
ad  un  pregiudizio  che  la  immediata  disponibilita'  dell'importo
eviterebbe. 
    6.6.- Occorre, ancora, considerare  che  l'odierno  scrutinio  di
legittimita' costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico in
cui il sensibile incremento della pressione  inflazionistica  acuisce
l'esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche
differita, posto  che  il  rapporto  di  proporzionalita',  garantito
dall'art. 36 Cost., tra  retribuzione  e  quantita'  e  qualita'  del
lavoro, richiede di essere riferito «ai valori reali  di  entrambi  i
suoi termini» (sentenza n. 243 del 1993). 
    Di conseguenza, la dilazione  oggetto  di  censura,  non  essendo
controbilanciata dal riconoscimento  della  rivalutazione  monetaria,
finisce  per  incidere  sulla  stessa  consistenza  economica   delle
prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma
2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, allo scadere del termine
annuale in questione e di un  ulteriore  termine  di  tre  mesi  sono
dovuti i soli interessi di mora. 
    6.7.- Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 159  del  2019,
ha dichiarato la  non  fondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2, del d.l. n. 79  del  1997,  come
convertito, nella parte in cui  prevede  che  alla  liquidazione  dei
trattamenti di fine servizio, comunque denominati,  l'ente  erogatore
provveda «decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto  di
lavoro», nelle ipotesi diverse  dalla  cessazione  dal  servizio  per
raggiungimento dei limiti  di  eta'  o  di  servizio  previsti  dagli
ordinamenti   di   appartenenza,   rilevando   che,   per    costante
giurisprudenza    costituzionale,    ben    puo'    il    legislatore
«disincentivare il conseguimento di una prestazione anticipata»  (fra
le molte, sentenza n. 416 del 1999, punto  4.1.  del  Considerato  in
diritto) e, in pari tempo, promuovere la prosecuzione  dell'attivita'
lavorativa mediante adeguati incentivi a chi rimanga  in  servizio  e
continui a mettere a frutto la professionalita' acquisita»  (sentenza
n. 159 del 2019). 
    In tale occasione, e'  stata  nondimeno  segnalata,  quanto  alla
medesima normativa, per l'effetto combinato del pagamento differito e
rateale  delle  indennita'  di  fine  rapporto   nelle   ipotesi   di
raggiungimento dei limiti di eta' e di servizio o di  collocamento  a
riposo d'ufficio a causa del raggiungimento  dell'anzianita'  massima
di servizio, «l'urgenza di ridefinire una  disciplina  non  priva  di
aspetti  problematici,  nell'ambito   di   una   organica   revisione
dell'intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente
dibattito parlamentare [...]. Con particolare riferimento ai casi  in
cui sono raggiunti i  limiti  di  eta'  e  di  servizio,  la  duplice
funzione  retributiva  e  previdenziale  delle  indennita'  di   fine
servizio,  conquistate  "attraverso  la  prestazione   dell'attivita'
lavorativa e come frutto di essa" (sentenza n. 106  del  1996,  punto
2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere  compromessa,  in
contrasto con i principi costituzionali che, nel garantire la  giusta
retribuzione, anche differita, tutelano  la  dignita'  della  persona
umana» (sentenza n.159 del 2019). 
    6.8.- A tale monito non ha, tuttavia, fatto seguito  una  riforma
specificamente  volta  a  porre  rimedio  al  vulnus   costituzionale
riscontrato. 
    Non    puo',    infatti,    ritenersi    tale    la    disciplina
dell'anticipazione della prestazione dettata dall'art. 23 del d.l. n.
4 del  2019,  come  convertito,  ai  sensi  del  quale  e'  possibile
richiedere il finanziamento di una somma, pari all'importo massimo di
45.000 euro, dell'indennita' di  fine  servizio  maturata,  garantito
dalla  cessione  pro  solvendo  del   credito   avente   ad   oggetto
l'emolumento, dietro versamento di  un  tasso  di  interesse  fissato
dall'art. 4, comma 2, del d.m. 19  agosto  2020  in  misura  pari  al
rendimento medio dei titoli pubblici  (Rendistato)  maggiorato  dello
0,40 per cento. 
    Analoghe  considerazioni,  peraltro,  possono  essere  svolte  in
merito all'anticipazione istituita con la deliberazione del Consiglio
di amministrazione  dell'INPS  9  novembre  2022,  n.  219.  Essa  e'
prevista  a  favore  degli  iscritti  alla  Gestione  unitaria  delle
prestazioni creditizie e  sociali  e  consente  di  usufruire  di  un
finanziamento pari all'intero ammontare del  trattamento  maturato  e
liquido, erogato al tasso di interesse pari all'1  per  cento  fisso,
unitamente alle spese di amministrazione in misura pari allo 0,50 per
cento dell'importo, dietro cessione pro solvendo della corrispondente
quota non ancora esigibile del trattamento di fine servizio o di fine
rapporto. 
    Le  normative  richiamate  investono   solo   indirettamente   la
disciplina dei  tempi  di  corresponsione  delle  spettanze  di  fine
servizio. 
    Esse non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si
limitano a riconoscere all'avente diritto la facolta' di  evitare  la
percezione differita dell'indennita' accedendo pero' al finanziamento
oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo. 
    Il legislatore non ha, infatti, espunto dal sistema il meccanismo
dilatorio all'origine della riscontrata violazione, ne' si  e'  fatto
carico della spesa necessaria a ripristinare l'ordine  costituzionale
violato, ma ha riversato  sullo  stesso  lavoratore  il  costo  della
fruizione tempestiva di un emolumento che,  essendo  rapportato  alla
retribuzione e alla durata del rapporto e quindi,  attraverso  questi
due parametri, alla quantita' e alla qualita' del  lavoro,  e'  parte
del compenso dovuto per il servizio prestato  (sentenza  n.  106  del
1996). 
    7.- Al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all'art.
3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come  convertito,  questa  Corte
non puo', allo stato, porre  rimedio,  posto  che  il  quomodo  delle
soluzioni  attinge  alla  discrezionalita'  del  legislatore.   Deve,
infatti, considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di
cassa che il superamento del differimento in oggetto, in  ogni  caso,
comporta; cio'  che  richiede  che  sia  rimessa  al  legislatore  la
definizione della gradualita' con cui il pur indefettibile intervento
deve essere attuato, ad esempio, optando per una  soluzione  che,  in
ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di
ragionevolezza  e  proporzionalita',   si   sviluppi   muovendo   dai
trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri. 
    7.1.-  La  discrezionalita'  di  cui  gode  il  legislatore   nel
determinare i mezzi e le  modalita'  di  attuazione  di  una  riforma
siffatta deve, tuttavia, ritenersi, temporalmente limitata. 
    La  lesione  delle  garanzie   costituzionali   determinata   dal
differimento della corresponsione delle prestazioni in  esame  esige,
infatti,  un  intervento  riformatore  prioritario,  che   contemperi
l'indifferibilita' della reductio ad legitimitatem con la  necessita'
di inscrivere la spesa da essa  comportata  in  un  organico  disegno
finanziario che tenga conto anche degli impegni  assunti  nell'ambito
della precedente programmazione economico-finanziaria. 
    7.2.- In proposito, questa Corte deve evidenziare, come in  altre
analoghe  occasioni,  «che  non   sarebbe   tollerabile   l'eccessivo
protrarsi  dell'inerzia  legislativa  in  ordine  ai  gravi  problemi
individuati dalla presente pronuncia» (da ultimo, sentenza n. 22  del
2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021). 
    8.- Accertata la necessita'  della  espunzione  della  disciplina
concernente tale differimento, va rilevato,  quanto  alla  previsione
del pagamento  rateale  del  trattamento  di  fine  servizio  di  cui
all'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78  del  2010,  come  convertito  -
l'altra disposizione censurata - che il  sistema  cui  essa  ha  dato
luogo, essendo strutturato secondo una  progressione  graduale  delle
dilazioni,  via  via  piu'  ampie   in   proporzione   all'incremento
dell'ammontare della prestazione, da un lato, calibra  il  sacrificio
economico derivante dalla percezione  frazionata  dell'indennita'  in
modo tale da renderne  esenti  i  beneficiari  dei  trattamenti  piu'
modesti; dall'altro, assicura ai titolari delle indennita'  ricadenti
negli scaglioni via  via  piu'  elevati  la  percezione  immediata  -
rectius: che diverra' immediata solo all'esito della eliminazione del
differimento previsto dall'art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del  1997,
come  convertito  -  almeno  di  una  parte  della  prestazione  loro
spettante. 
    8.1.- Tuttavia, questa Corte non puo'  esimersi  dal  considerare
che tale disciplina -  peraltro  connessa,  per  espressa  previsione
della  stessa  norma  censurata,   alle   esigenze,   necessariamente
contingenti,  di  consolidamento  dei  conti  pubblici  -  in  quanto
combinata con il descritto differimento,  finisce  per  aggravare  il
vulnus sopra evidenziato. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio  della  finanza  pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140,  e
dell'art. 12, comma 7,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento all'art.  36  della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,
sezione terza quater, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
                                                            Allegato: 
                        Ordinanza letta all'udienza del 9 maggio 2023 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 2,  del  decreto-legge  28  marzo
1997, n.  79  (Misure  urgenti  per  il  riequilibrio  della  finanza
pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997,
n. 140, e 12, comma 7,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30  luglio  2010,  n.  122,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, sezione terza quater, con  ordinanza  del  17
maggio 2022, iscritta al n. 124 del registro  ordinanze  del  2022  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  prima
serie speciale, dell'anno 2022. 
    Rilevato che, con distinti atti, sono intervenuti  ad  adiuvandum
la Federazione Confsal-Unsa ed  E.  M.  per  chiedere  l'accoglimento
delle questioni di legittimita' costituzionale; 
    che gli intervenienti non rivestono  la  qualita'  di  parti  del
giudizio principale; 
    che la Federazione  Confsal-Unsa  deduce  di  essere  legittimata
all'intervento in quanto titolare di un interesse, «se pur collettivo
e superindividuale»,  diretto,  attuale  e  concreto,  connesso  alla
posizione soggettiva dedotta nel giudizio principale; 
    che E. M., dipendente del Ministero dell'economia e delle finanze
collocato in quiescenza per vecchiaia, espone di avere introdotto  un
giudizio davanti al Tribunale ordinario di Velletri, in  funzione  di
giudice del lavoro, onde ottenere l'accertamento del proprio  diritto
alla corresponsione del trattamento di fine servizio senza dilazioni,
deducendo  l'illegittimita'  costituzionale  delle   norme   che   ne
autorizzano il differimento e la  rateizzazione,  e  che  il  giudice
adito ha disposto rinvio al fine  di  ottenere  riscontro  dell'esito
dell'odierno  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto
vertente sulle medesime questioni; 
    che  E.   M.   fonda   la   legittimazione   all'intervento   sia
sull'analogia della sua posizione giuridica rispetto a quella  di  A.
R., ricorrente nel giudizio principale,  sia  sull'identita'  tra  le
censure  di   illegittimita'   costituzionale   svolte   a   sostegno
dell'azione esperita e quelle qui in scrutinio. 
    Considerato che l'art. 4, comma 3, delle Norme integrative per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisce che, nei giudizi
in via incidentale, «[p]ossono intervenire i titolari di un interesse
qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto
in giudizio»; 
    che tale disposizione recepisce  la  costante  giurisprudenza  di
questa  Corte,  ribadita  anche  con  riguardo  alle   richieste   di
intervento di soggetti rappresentativi di interessi collettivi  o  di
categoria (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2019 e n. 237  del  2013;
ordinanze allegate alle sentenze n. 158 del 2020, n. 206 del 2019, n.
16 del 2017), secondo cui la partecipazione al  giudizio  incidentale
di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle  parti
del giudizio a  quo,  oltre  che  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente  della  Giunta
regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare ‒  senza  contraddire
il carattere incidentale del giudizio di legittimita'  costituzionale
‒ soltanto a favore di  soggetti  terzi  che  siano  titolari  di  un
interesse   qualificato,   immediatamente   inerente   al    rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura  (fra  le
molte, sentenze n. 46 del 2021, n. 159 del 2019 e n. 153 del 2018); 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente deve derivare non gia', come per  tutte  le  altre
situazioni sostanziali  disciplinate  dalla  norma  censurata,  dalla
pronuncia di questa Corte  sulla  legittimita'  costituzionale  della
legge stessa, ma dall'immediato effetto che detta  pronuncia  produce
sul rapporto sostanziale oggetto  del  giudizio  a  quo  (ex  multis,
sentenza n. 46 del 2021; ordinanze allegate alle sentenze n. 180  del
2021 e n. 194 del 2018); 
    che  tale  interesse  qualificato   sussiste,   in   particolare,
allorche' si  configuri  una  «posizione  giuridica  suscettibile  di
essere pregiudicata immediatamente e irrimediabilmente dall'esito del
giudizio incidentale» (sentenza n. 159 del 2019; ordinanze n. 191 del
2021, n. 271 del 2020); 
    che, pertanto, non e' sufficiente,  ai  fini  dell'ammissibilita'
dell'intervento, che il soggetto sia titolare di interessi  simili  a
quelli dedotti nel  giudizio  principale,  o  che  sia  parte  in  un
processo analogo, ma  diverso  dal  giudizio  a  quo,  sul  quale  la
decisione di questa Corte possa influire; 
    che l'«intervento di un simile terzo, ove ammesso, contrasterebbe
infatti con il carattere incidentale  del  giudizio  di  legittimita'
costituzionale, in quanto il suo accesso a tale  giudizio  avverrebbe
senza la previa  verifica  della  rilevanza  e  della  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale da  parte
del rispettivo giudice a quo (tra le altre, sentenza n. 106 del  2019
e ordinanza n. 202 del 2020)» (ordinanza n. 191 del 2021); 
    che, alla luce di tali  premesse,  la  Federazione  Confsal-Unsa,
quale organismo rappresentativo  di  soggetti  titolari  di  rapporti
giuridici regolati dalle disposizioni censurate, non  puo'  ritenersi
portatrice  di  un  interesse  specifico  direttamente  riconducibile
all'oggetto del giudizio principale, bensi' di un «mero indiretto,  e
piu' generale, interesse connesso agli scopi statutari  della  tutela
degli interessi economici e professionali degli  iscritti»  (sentenze
n. 159 del 2019 e n. 77 del 2018; ordinanza allegata alla sentenza n.
248 del 2018); 
    che parimenti inammissibile e' l'intervento di E.  M.,  il  quale
rinviene la  sua  ragione  fondante  nella  semplice  analogia  della
posizione sostanziale  dell'interveniente  rispetto  a  quella  della
parte ricorrente nel giudizio principale (sentenza n. 106  del  2019;
ordinanza n. 191 del 2021). 
 
                          PER QUESTI MOTIVI 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili   gli   interventi   della   Federazione
Confsal-Unsa e di E. M. 
 
                  F.to: Silvana Sciarra, Presidente