N. 135 SENTENZA 10 maggio - 4 luglio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Adozione  e  affidamento  -  Adozione  di   maggiorenni   -   Cognome
  dell'adottato - Possibilita',  con  la  sentenza  di  adozione,  di
  aggiungere, anziche' anteporre, il cognome dell'adottante, nel caso
  di consenso tra adottante e adottato - Esclusione  -  Irragionevole
  violazione dell'identita' personale - Illegittimita' costituzionale
  in parte qua. 
- Codice civile, art. 299, primo comma. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 117, primo  comma;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 8 e 14; Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,
  art. 7. 
(GU n.27 del 5-7-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 299,  primo
comma, del codice civile, promosso dalla Corte d'appello di  Salerno,
sezione civile, nel procedimento promosso  da  C.  P.  e  altra,  con
ordinanza del 12  maggio  2022,  iscritta  al  n.  130  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Udita nella camera di consiglio del 10  maggio  2023  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 maggio 2022,  iscritta  al  n.  130  del
registro ordinanze 2022,  la  Corte  d'appello  di  Salerno,  sezione
civile,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 299, primo comma, del codice civile,  nella  parte  in  cui
preclude all'adottando maggiore d'eta' la possibilita'  di  anteporre
il suo originario cognome a  quello  dell'adottante,  per  violazione
degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei  diritti
dell'uomo, nonche' all'art. 7 della Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea. 
    2.- In punto di fatto, il rimettente riferisce che C. P.  si  era
rivolta al Tribunale ordinario  di  Nocera  inferiore  chiedendo  che
venisse pronunciata l'adozione della maggiorenne P. C. 
    Il giudice adito, assunto il consenso dell'adottanda  e  rilevato
che i  genitori  della  stessa  avevano  espresso  il  loro  assenso,
accoglieva la domanda. 
    Di seguito -  come  riporta  la  Corte  d'appello  di  Salerno  -
l'adottante proponeva reclamo, ai sensi dell'art. 313, secondo comma,
cod. civ., in quanto la sentenza di adozione  non  aveva  accolto  la
richiesta - avanzata con la domanda introduttiva del  giudizio  -  di
posporre il cognome dell'adottante a quello dell'adottanda,  e  aveva
erroneamente sostenuto, nella motivazione, che l'adottante avesse dei
figli. 
    Nel giudizio di reclamo, espone ancora il giudice rimettente,  si
era  costituita  l'adottanda,  dichiarando  «di  non   opporsi   alle
richieste della reclamante». 
    3.- Cosi' compendiate le premesse in fatto, la Corte d'appello di
Salerno  rileva  come  solo  dalla  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale della norma censurata possa derivare  «il  buon  esito
del gravame». 
    4.- A tal fine ripercorre l'evoluzione  del  quadro  normativo  e
giurisprudenziale concernente l'istituto dell'adozione  del  maggiore
d'eta'. 
    4.1.- Nello specifico, il rimettente si sofferma sul  progressivo
allontanamento dell'istituto da una  finalita'  di  natura  meramente
patrimoniale,   che   avrebbe   favorito   una   valorizzazione   del
«riconoscimento di un rapporto umano di tipo familiare»,  perseguendo
un «fine lecito e tutelabile, ai sensi degli  articoli  2,  31  e  32
della Costituzione». 
    In tale nuova prospettiva,  l'aspetto  patrimoniale  non  sarebbe
piu' presupposto dell'istituto, ma mera conseguenza  degli  «obblighi
di solidarieta' che sono a carico del  genitore  adottivo  anche  del
maggiorenne». 
    Conformemente a tale mutamento della ratio ispiratrice, a  parere
del giudice a quo,  il  legislatore  avrebbe  inteso  «modificare  la
normativa di riferimento», e in particolare  l'art.  299  cod.  civ.,
mediante la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del  minore  ad  una
famiglia), che ha disposto l'anteposizione del cognome dell'adottante
a quello dell'adottato. 
    Scopo  di  tale  modifica  sarebbe  stato  quello   di   «rendere
pubblicamente palese il rapporto», sicche'  con  l'anteposizione  del
cognome  dell'adottante  a  quello  dell'adottato  sarebbe  risultato
«pubblico e certo il nuovo stato dell'adottato». 
    4.2.- La Corte d'appello di Salerno prosegue poi precisando  che,
a fronte della citata  evoluzione,  una  serie  di  nuove  previsioni
normative avrebbero, tuttavia, sottratto al  «cognome  [...]  il  suo
carattere indicativo della stirpe familiare», per valorizzare la  sua
connessione con l'identita' personale. 
    Il rimettente segnala, quindi, che con riferimento  all'art.  299
cod. civ. questa Corte, nella sentenza n. 120 del 2001,  ha  ritenuto
che «la precedenza del cognome dell'adottante non appare irrazionale,
cosi' come non puo' costituire violazione del  diritto  all'identita'
personale il fatto che il cognome adottivo  preceda  o  segua  quello
originario.  La  lesione  di  tale  identita'  e'  ravvisabile  nella
soppressione del segno distintivo, non certo nella  sua  collocazione
dopo il cognome dell'adottante». 
    Nondimeno,  la  Corte  d'appello  di  Salerno  si  sofferma   sui
successivi  sviluppi   della   giurisprudenza   costituzionale,   che
avrebbero posto  «sotto  una  luce  nuova  il  diritto  all'identita'
personale e il diritto al nome». In particolare, dopo aver  riportato
ampi stralci della sentenza n. 286 del 2016, conclude che «il diritto
al   nome   [sarebbe]   indissolubilmente   collegato   al    diritto
all'identita' personale e  che  la  protezione  di  esso  sostanzi  e
determini realizzazione di quest'ultima». 
    Aggiunge, inoltre, che la normativa vigente e  la  giurisprudenza
di questa Corte - nello specifico si riferisce alla sentenza  n.  131
del 2022 -  avrebbero  valorizzato,  «in  materia  di  cognome»,  «il
principio della liberta' di scelta e [avrebbero] cancellato il  dogma
dell'immodificabilita'  dell'ordine  prestabilito  e  dell'automatica
predeterminazione» del cognome. 
    Cio' premesso, il giudice a quo ritiene che, a «distanza di  piu'
di venti anni» dalla citata pronuncia n. 120  del  2001,  e  «tenendo
conto delle piu' recenti sentenze, si ravvisano i presupposti perche'
la questione debba essere riesaminata». 
    5.- Sulla  base  degli  sviluppi  normativi  e  giurisprudenziali
appena richiamati, la Corte d'appello  rimettente  argomenta  la  non
manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 2, 3 e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione  agli  artt.  8  e  14  CEDU,
nonche' all'art. 7 CDFUE. 
    5.1.- Innanzitutto, il rimettente sostiene che oggi  «il  diritto
al nome sia  indissolubilmente  collegato  al  diritto  all'identita'
personale» e che il  fondamento  di  tali  diritti  vada  individuato
nell'art. 2 Cost. (in tal senso e' richiamata la sentenza n.  13  del
1994). 
    Rileva inoltre come, nel caso di specie, il rigetto  dell'istanza
di «applicare un diverso regime di collocazione dei cognomi» riguardi
una persona di 39 anni che, nel corso della sua vita, ha «avuto  modo
di stratificare il senso della propria identita' nella consapevolezza
personale  e  nei  rapporti  sociali»:  ad  avviso  del   rimettente,
l'ineludibile anteposizione del cognome dell'adottante determinerebbe
una violazione del diritto all'identita' personale e si  porrebbe  in
contrasto con «il principio della liberta'  di  scelta»,  valorizzato
dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale. 
    5.2.- Il  giudice  a  quo  ritiene,  inoltre,  che  la  normativa
censurata  comporterebbe  una  «disuguaglianza  di  trattamento   tra
l'adottato maggiorenne e il figlio sottoposto al regime di scelta dei
cognomi, esercitato, in sua vece, dai  genitori».  Secondo  la  Corte
d'appello, tale disparita' di trattamento non  sarebbe  «giustificata
dalla  diversita'  degli  istituti»,  mentre  il   sopra   menzionato
«principio di  liberta'  di  scelta»  sarebbe  applicabile  tanto  al
contesto della filiazione, nel matrimonio, al  di  fuori  di  esso  e
nell'adozione piena, quanto nell'adozione del  maggiorenne,  dove,  a
maggior ragione, il principio dovrebbe  considerare  la  specificita'
della situazione «di un maggiorenne, capace e in grado di compiere le
proprie scelte e [di] esercitare pienamente i propri diritti». 
    5.3.-  Il   rimettente   sostiene,   infine,   che   le   ragioni
originariamente alla base della vigente formulazione  dell'art.  299,
primo comma, cod. civ. abbiano «perso la loro forza  in  virtu',  sia
della  modifica  della  funzione  dell'istituto   dell'adozione   del
maggiorenne [...] sia del nuovo modo di interpretare il cognome e  il
rapporto genitori figli». Pertanto, la  norma  censurata  apparirebbe
oggi «priva di razionale giustificazione,  violando  l'art.  3  della
Costituzione». 
    6.- La Corte d'appello di Salerno esclude, infine, che  la  norma
censurata   sia   suscettibile   di   interpretazione   conforme    a
Costituzione, poiche' il testo esprimerebbe, «oggettivamente, un dato
lessicale indiscutibile». 
    7.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
nel giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2022,
la Corte d'appello di Salerno, sezione civile, ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 299, primo comma, cod. civ.,
nella  parte  in  cui  preclude  all'adottando  maggiore  d'eta'   la
possibilita'  di  anteporre  il  suo  originario  cognome  a   quello
dell'adottante, per violazione degli artt. 2, 3 e 117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione agli artt.  8  e  14  CEDU,  nonche'
all'art. 7 CDFUE. 
    2.- Il rimettente ritiene che la disposizione censurata si  ponga
in contrasto con gli artt. 2  e  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
lesione  del  diritto  all'identita'  personale  e  della  intrinseca
irragionevolezza. L'«originario cognome»  dell'adottando  maggiorenne
sarebbe un «segno distintivo [...] radicato nel contesto sociale», in
cui la persona «si trova a vivere»,  sicche'  la  «anteposizione  del
cognome dell'adottante a quello proprio dell'adottato, nel  caso  del
maggiorenne [sarebbe] priva di razionale giustificazione»  e  sarebbe
«un'ingiusta  lesione»  del  «diritto  "ad   essere   se'   stessi"».
L'intrinseca  irragionevolezza  emergerebbe  specie  considerando  la
trasformazione  della  funzione   dell'istituto   dell'adozione   del
maggiorenne «da tutela della stirpe e del patrimonio  dell'adottante,
al riconoscimento giuridico di una relazione  sociale,  affettiva  ed
identitaria,  nonche'  di  una  storia  personale,  di  adottante   e
adottando». 
    Inoltre, il giudice a quo sostiene che l'art. 299,  primo  comma,
cod. civ. violi l'art. 3 Cost., sotto il profilo della  irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  disciplina  che   regola
l'attribuzione del cognome ai figli nati nel matrimonio  o  fuori  da
esso, nonche' ai figli  adottivi,  secondo  il  regime  dell'adozione
piena. 
    Da ultimo, postula che vi sia un contrasto anche con l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt.  8  e  14  CEDU,  nonche'
all'art. 7 CDFUE. 
    3.- Innanzitutto, va dichiarata d'ufficio  l'inammissibilita'  di
quest'ultima questione. 
    In disparte quello che appare un lapsus calami del giudice a quo,
che ha individuato,  nel  dispositivo  dell'ordinanza,  il  parametro
costituzionale violato, insieme agli artt. 2 e 3 Cost., nell'art.  13
Cost., anziche' nell'art. 117, primo comma, Cost., la questione cosi'
identificata va comunque dichiarata inammissibile. 
    Essa   risulta,   infatti,   priva   di   qualsivoglia   autonoma
argomentazione. 
    Il giudice a quo, nell'enunciare - nel corpo della motivazione  -
le questioni su  cui  si  appuntano  i  suoi  dubbi  di  legittimita'
costituzionale, e prima di  illustrare,  in  riferimento  all'art.  2
Cost.,  gli  argomenti  attinenti   alla   violazione   del   diritto
all'identita' personale, si limita ad asserire in maniera  apodittica
il contrasto anche con l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione
agli  artt.  8  e  14  CEDU,  nonche'   all'art.   7   CDFUE,   senza
circostanziare  e  motivare  in  alcun  modo  le  ragioni   di   tale
violazione. 
    Per  giurisprudenza  costante  di  questa  Corte  deve  ritenersi
«inammissibile la  questione  di  legittimita'  costituzionale  posta
senza un'adeguata ed autonoma illustrazione,  da  parte  del  giudice
rimettente,  delle  ragioni  per  le  quali  la  normativa  censurata
integrerebbe una violazione del parametro evocato» (sentenza  n.  252
del 2021 e, da ultimo, sentenze n. 2 del 2023, n. 263, n. 256, n. 253
e n. 128 del 2022). 
    4.- Nel merito, questa Corte  esamina,  in  via  prioritaria,  le
censure sollevate in riferimento all'art. 2 Cost., per violazione del
diritto all'identita' personale, e all'art. 3 Cost.,  per  intrinseca
irragionevolezza. 
    L'unitaria questione,  concernente  l'irragionevole  compressione
del diritto inviolabile all'identita' personale, e' fondata. 
    5.- In via preliminare,  occorre  brevemente  rievocare,  tramite
l'evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, alcuni tratti  del
diritto al nome, quale segno distintivo dell'identita' personale. 
    5.1.- Il «cognome, insieme con  il  prenome,  rappresenta»  -  si
legge nella sentenza n. 131 del  2022  -  «il  nucleo  dell'identita'
giuridica e sociale della persona: le  conferisce  identificabilita',
nei rapporti di diritto pubblico, come di diritto privato, e  incarna
la rappresentazione sintetica della personalita' individuale, che nel
tempo si arricchisce progressivamente di significati». 
    Tale affermazione affonda le proprie radici in una giurisprudenza
costituzionale risalente e costante, secondo  la  quale  il  nome  e'
«"autonomo  segno  distintivo  della   [...]   identita'   personale"
(sentenza n. 297 del 1996), nonche' "tratto  essenziale  della  [...]
personalita'" (sentenza n. 268 del 2002; nello stesso senso, sentenza
n. 120 del 2001)» (sentenza n. 286 del 2016), «riconosciuto  come  un
"bene oggetto di autonomo diritto  dall'art.  2  Cost."  [e,  dunque,
come] "diritto fondamentale della persona umana" (sentenze n. 13  del
1994, n. 297 del 1996 e,  da  ultimo,  sentenza  n.  120  del  2001)»
(sentenza n. 268 del 2002). 
    5.2.- La correlazione  fra  il  diritto  al  nome  (composto  dal
prenome e dal  cognome)  e  la  tutela  dell'identita'  personale  si
sviluppa secondo una duplice direttrice. 
    Da un lato  -  come  questa  Corte  ha  evidenziato  (da  ultimo,
sentenze n. 131 del 2022 e n. 286 del 2016, nonche' ordinanza  n.  18
del 2021) - il cognome riflette il tratto identitario costituito  dal
doppio vincolo genitoriale e, pertanto, nel rispetto degli artt. 2  e
3 Cost., tale profilo deve proiettarsi sul cognome del figlio  in  un
modo  conforme  al  principio  di  eguaglianza  fra  i  genitori.  In
particolare, la' dove  non  vi  sia  l'accordo  fra  i  genitori  per
l'attribuzione  del  cognome  di  uno  di  loro  e  operi  la  regola
suppletiva che compone l'unitario cognome del figlio con  quello  del
padre e con quello della madre, questa  Corte  (ancora  nella  citata
sentenza n. 131 del 2022) - non diversamente dalla Corte europea  dei
diritti dell'uomo (in particolare, sentenza  26  ottobre  2021,  Leon
Madrid contro Spagna) - ha affermato che anche l'ordine dei  cognomi,
profilo  non  certo  marginale,  deve  rispettare  il  principio   di
eguaglianza tra i genitori. 
    Da un altro lato, a partire dal momento in cui la persona  assume
il proprio cognome, unitamente al prenome, inizia progressivamente  a
stratificarsi e a consolidarsi intorno a quel segno distintivo la sua
identita' personale, sicche' proprio  nel  diritto  all'identita'  si
radicano le ragioni della tutela del cognome. E tali ragioni emergono
anche  a  fronte  di  vicende  che  determinano  la  possibile  o  la
necessaria acquisizione di un ulteriore cognome. 
    Piu' precisamente, la possibilita' per il figlio di acquisire  un
secondo cognome  si  configura  allorche'  subentrino  l'accertamento
giudiziale o il riconoscimento in  via  successiva  del  rapporto  di
filiazione,  nei  confronti  di   chi   precedentemente   non   aveva
riconosciuto il figlio. In tale ipotesi l'art. 262, commi  secondo  e
terzo, cod. civ. rimette al figlio maggiore d'eta'  la  scelta  circa
l'assunzione del nuovo cognome e,  ove  lo  assuma,  quella  relativa
all'aggiunta, all'anteposizione o alla  sostituzione  del  precedente
cognome. Nel caso, poi, del figlio minore  di  eta',  il  legislatore
affida la decisione al giudice, «previo ascolto  del  figlio  minore,
che abbia compiuto gli anni dodici o  anche  di  eta'  inferiore  ove
capace di discernimento» (art. 262, quarto comma, cod. civ.). 
    Quanto, invece, alla necessita' di assumere un  secondo  cognome,
questa ipotesi si prospetta nel contesto dell'adozione della  persona
maggiore d'eta', la cui disciplina assegna  all'adottato  il  cognome
dell'adottante, unitamente al suo cognome originario (art. 299, primo
comma, cod. civ.). Pure  in  tale  ambito  chiaramente  si  manifesta
l'esigenza di una tutela del diritto all'identita' personale. 
    Questa Corte, pronunciandosi  su  entrambe  le  discipline  sopra
richiamate (sull'art. 262 cod. civ., con la sentenza n. 297 del  1996
e sull'art. 299, secondo comma, cod. civ, con la sentenza n. 120  del
2001), ha potuto, in particolare, affermare che il diritto  al  nome,
nel divenire  autonomo  segno  distintivo  dell'identita'  personale,
attrae  una  tutela  che  finisce   per   poter   prescindere   dalla
correlazione  con  lo  status  filiationis.  Il  cognome  originario,
intorno al quale si sia venuta a costruire l'identita' della persona,
va protetto anche ove sia stato  assegnato  dall'ufficiale  di  stato
civile, in  difetto  del  riconoscimento  del  figlio  da  parte  dei
genitori. 
    Se quel cognome si e' oramai «radicato nel  contesto  sociale  in
cui [l'interessato] si trova a  vivere»,  e  magari  e'  stato  anche
«trasme[sso] ai [...] figli», precludere «di mantenerlo si risolve in
un'ingiusta  privazione  di  un  elemento  della  sua   personalita',
tradizionalmente definito come il diritto  "ad  essere  se  stessi"»,
come rileva questa Corte nella sentenza n. 120  del  2001.  Con  tale
pronuncia   e'    stata,    dunque,    dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 299, secondo comma, cod. civ.,  nella  parte
in cui imponeva all'adottato maggiorenne, non riconosciuto  dai  suoi
genitori, di assumere il solo  cognome  dell'adottante,  senza  poter
mantenere il cognome che gli era stato  assegnato  dall'ufficiale  di
stato civile. 
    6.-   Alla   luce   di   tali   sviluppi   della   giurisprudenza
costituzionale, che fanno emergere la funzione pregnante del  cognome
quale segno intorno al quale si stratifica l'identita' della persona,
sino a rappresentarla in tutti i suoi rapporti giuridici  e  sociali,
occorre ora  verificare  se  l'art.  299,  primo  comma,  cod.  civ.,
collocato  nello  specifico  contesto  dell'adozione  della   persona
maggiore d'eta', determini una irragionevole compressione del diritto
all'identita' personale dell'adottando, nella parte in cui  impedisce
che  il  cognome  dell'adottante  possa  essere  aggiunto,   anziche'
anteposto, a quello dell'adottato. 
    6.1.- Nella sua formulazione testuale l'art.  299,  primo  comma,
cod.  civ.   stabilisce   che   «[l]'adottato   assume   il   cognome
dell'adottante e lo antepone al proprio». 
    L'attribuzione   all'adottato    del    cognome    dell'adottante
costituisce uno degli effetti tipici  dell'adozione:  si  tratta  del
solo effetto di natura personale  previsto  dalla  legge,  insieme  a
quelli patrimoniali, concernenti sia l'obbligo  alimentare  reciproco
fra adottante e adottato, sia l'acquisizione da  parte  dell'adottato
dei diritti successori quale figlio nei confronti dell'adottante. 
    La ragione giustificatrice di quello che e' un doppio cognome  in
senso tecnico (e non un cognome  unico  derivante  dalla  unione  dei
cognomi del padre e della madre) risiede,  dunque,  nell'esigenza  di
dare visibilita' al legame giuridico che si viene  a  instaurare  con
l'adottante,  preservando,  al  contempo,   il   cognome   originario
dell'adottato, che reca oramai un tratto non obliterabile  della  sua
identita' personale. 
    6.2.- Venendo allora alle censure che solleva il rimettente, esse
si appuntano sulla previsione relativa alla automatica  anteposizione
del cognome dell'adottante a quello dell'adottato. 
    6.2.1.-  Tale  norma  deriva  dalla  riforma   della   disciplina
dell'adozione introdotta con la legge n. 184 del 1983, il cui art. 61
ha modificato l'art. 299,  primo  comma,  cod.  civ.,  stabilendo  la
"anteposizione" del cognome dell'adottante a quello dell'adottato, in
luogo della sua "aggiunta",  soluzione  originariamente  accolta  dal
codice civile del 1942, in linea con l'antecedente codice civile  del
1865 (art. 210). 
    La modifica introdotta con la riforma del 1983  e'  avvenuta  nel
contesto  di  una  disciplina  ispirata,  in  generale,  alla   netta
separazione e distinzione fra la regolamentazione inerente l'adozione
della persona maggiore d'eta' e  quella  concernente  l'adozione  del
minorenne. Tuttavia, occorre segnalare che la stessa legge n. 184 del
1983 ha reso applicabili alcune  disposizioni  codicistiche  relative
all'adozione del maggiore d'eta' anche nei riguardi dell'adozione  in
casi particolari del minore d'eta' (art. 55 della legge  n.  184  del
1983), e fra queste vi e'  l'art.  299  cod.  civ.,  che  viene,  per
l'appunto, riformato. 
    6.2.2.- Ebbene, proprio la norma relativa alla anteposizione  del
cognome dell'adottante rispetto a quello dell'adottato -  su  cui  si
incentra il presente giudizio - e' stata, in passato, gia' oggetto di
scrutinio da parte di questa Corte. 
    La  stessa  sentenza,  sopra  richiamata  (punto  5.2.),  che  ha
dichiarato la illegittimita' costituzionale  dell'art.  299,  secondo
comma, cod. civ. (sentenza n. 120 del 2001), ha reputato non  fondata
la questione posta con riguardo al primo comma, in  riferimento  agli
artt. 2 e 3 Cost. 
    E, tuttavia, in quell'occasione, veniva chiesto a questa Corte di
sostituire    all'automatismo    dell'anteposizione    del    cognome
dell'adottante  un  eguale  e  inverso   automatismo,   che   avrebbe
riprodotto la regola codificata nel 1942 (e prima ancora  nel  codice
civile del 1865), vale a dire l'aggiunta del cognome dell'adottante a
quello dell'adottato. 
    Questa  Corte,  in  quel  caso,  ha  ridimensionato   l'incidenza
dell'ordine dei cognomi rispetto al diritto all'identita'  personale,
e ha rigettato la questione, affermando che la precedenza del cognome
dell'adottante  «non  appare  irrazionale»  e   non   determina   una
«violazione del diritto all'identita' personale» (sentenza n. 120 del
2001). 
    7.- A  distanza  di  oltre  vent'anni  da  quella  pronuncia,  la
questione del contrasto dell'art. 299, primo  comma,  Cost.  con  gli
artt. 2 e 3 Cost. torna a  porsi  dinanzi  a  questa  Corte  con  una
prospettazione differente. 
    L'odierno rimettente non mette in discussione la scelta di  fondo
operata con la legge n. 184  del  1983,  orientata  a  dare  maggiore
visibilita' alla riconoscibilita' sociale dell'adozione del  maggiore
d'eta'.   Non   viene   cioe'   contestata   in   se'    la    regola
dell'anteposizione    del    cognome    dell'adottante    a    quello
dell'adottando. 
    Tuttavia, ove si  tratti  dell'adozione  della  persona  maggiore
d'eta', viene ravvisata una irragionevolezza  nella  automaticita'  e
rigidita' del meccanismo, che sacrifica aprioristicamente il  diritto
all'identita' personale dell'adottando. 
    Premesso  che  l'ordine  dei  cognomi  riveste  senza  dubbio  un
significato tutt'altro che marginale, tant'e' che il  legislatore  e'
intervenuto con  la  legge  n.  184  del  1983  proprio  al  fine  di
rovesciare  il  precedente  ordine,  la  questione  posta  oggi  allo
scrutinio di questa Corte e'  la  seguente.  Viene,  in  particolare,
chiesto se superi il vaglio della non irragionevolezza la scelta  del
legislatore che, nel fissare l'ordine  di  attribuzione  del  cognome
dell'adottante a quello  all'adottato  maggiore  d'eta',  preclude  a
quest'ultimo di poter  aggiungere,  anziche'  anteporre,  il  cognome
dell'adottante al proprio, a tutela della sua identita' personale. 
    7.1.- A fronte di tale questione occorre rilevare che  l'adozione
del maggiore d'eta' viene disposta con sentenza (art. 313 cod. civ.),
dopo che il tribunale ha verificato «1) se tutte le condizioni  della
legge sono state adempiute; 2) se l'adozione conviene  all'adottando»
(art. 312 cod. civ.). 
    Tra le condizioni che  il  tribunale  deve  accertare  vi  e'  il
consenso dell'adottante e dell'adottando (art. 296 cod. civ.). 
    Ambo i  consensi  all'adozione  sono  presupposti  necessari  del
provvedimento   giudiziale   e   devono   essere    espressi    nella
consapevolezza degli effetti che l'adozione andra' a produrre. A  tal
fine,  il   legislatore   richiede   che   essi   siano   manifestati
personalmente al presidente del tribunale  (art.  311  cod.  civ.)  e
prevede che i consensi siano revocabili sino al momento in cui  viene
emesso il provvedimento giudiziale, a partire  dal  quale  l'adozione
produce gli effetti stabiliti dalla legge (art. 298,  commi  primo  e
secondo, in coordinamento con l'art. 313, primo comma, cod. civ.). 
    Dunque, gli effetti dell'adozione  si  producono  in  conseguenza
della  sentenza  e  sono  quelli  disposti  dal  legislatore,  ma  il
provvedimento  giudiziale  non  puo'  essere  emesso  se   manca   il
presupposto costituito dal consenso all'adozione  sia  dell'adottante
sia dell'adottando. 
    Venendo  ora  all'effetto  rappresentato  dall'attribuzione   del
cognome dell'adottante all'adottato, che  e'  il  segno  del  vincolo
giuridico che sorge fra i due, occorre verificare se,  con  esclusivo
riferimento all'ordine con cui il cognome dell'adottante si unisce  a
quello  dell'adottato  maggiore   d'eta',   si   giustifichi   -   in
considerazione degli interessi coinvolti - che il  legislatore  abbia
previsto un rigido automatismo. 
    Ebbene, da un lato, l'ordine con cui il cognome dell'adottante si
unisce a quello dell'adottato  maggiore  d'eta'  incide  sul  diritto
all'identita' personale di quest'ultimo,  che  e'  associato  al  suo
originario cognome; da un altro lato, il medesimo  ordine  condiziona
il rilievo attribuito al frammento di identita' dell'adottante  -  il
suo cognome - che viene assunto dall'adottato, onde rappresentare  il
nuovo vincolo giuridico. 
    Se, dunque, l'adottato  maggiore  d'eta'  ha  esigenza  di  veder
tutelato  il   suo   diritto   all'identita'   personale   attraverso
l'aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome  dell'adottante
al proprio e se anche l'adottante e' favorevole a  tale  ordine,  che
non incide  sul  suo  consenso  all'adozione,  e'  irragionevole  non
consentire che la sentenza  di  adozione  possa  disporre  il  citato
effetto. 
    7.2.- Del resto, che un meccanismo  rigido  nella  determinazione
dell'ordine di attribuzione del cognome  dell'adottante  all'adottato
maggiore d'eta' sia lesivo degli artt. 2 e 3 Cost.  e'  ulteriormente
avvalorato dalla considerazione che  l'istituto  dell'adozione  della
persona maggiore  d'eta'  e'  in  grado  attualmente  di  abbracciare
ipotesi varie e differenziate. 
    Vero e' che l'adozione produce, sulla base del dettato normativo,
effetti giuridici che - come si e' gia' precisato (punto 6.1.) - sono
limitati  alla  trasmissione  del  cognome  e  del  patrimonio,   con
conseguenze che si apprezzano sul  piano  della  disciplina  relativa
agli alimenti  e  alle  successioni;  effetti,  dunque,  ben  diversi
rispetto  a  quelli  dell'adozione  piena  e  dell'adozione  in  casi
particolari, incentrati sulla cura del minore e sulla tutela del  suo
preminente interesse (sentenza n. 79 del 2022). 
    Nondimeno, i pur limitati effetti giuridici propri  dell'istituto
hanno  dato  spazio,  nell'evoluzione   dei   costumi   sociali,   al
soddisfacimento  di  molteplici  esigenze  che   si   sono   riflesse
nell'evoluzione giurisprudenziale, lasciando trasparire una  varieta'
di possibili funzioni,  anche  solidaristiche,  cui  l'istituto  puo'
assolvere. 
    Proprio questa Corte ha inteso assecondare tali  nuove  funzioni,
ammettendo, con le sentenze n. 245  del  2004  e  n.  557  del  1988,
l'adozione di persone maggiori d'eta' anche da  parte  di  chi  abbia
figli nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, purche' maggiorenni
e consenzienti, e riconoscendo l'applicabilita' al loro assenso della
disciplina prevista dall'art. 297, secondo comma, cod. civ. (sentenza
n. 345 del 1992). 
    Al contempo, la giurisprudenza di legittimita' e' stata  chiamata
di frequente a confrontarsi con  il  ricorso  all'istituto  in  esame
quale strumento che consente di dare una forma giuridica al  rapporto
tra il figlio maggiore d'eta' e il  coniuge  (o  il  convivente)  del
genitore. 
    Emerge, in  sostanza,  un  chiaro  dato  sociale,  che  rileva  a
prescindere dai problemi connessi con le spinte  verso  un  ulteriore
ampliamento dell'accesso all'istituto (Corte di  cassazione,  sezione
prima civile, ordinanza  3  febbraio  2022,  n.  3462,  con  riguardo
all'adozione della persona interdetta; sentenza 3 febbraio  2006,  n.
2426, relativa all'adozione da parte di chi  abbia  figli  minorenni;
sentenze 3 aprile 2020, n. 7667 e 14 gennaio 1999,  n.  354,  che  si
sono espresse sul divario di eta' tra adottante e adottando). 
    L'adozione della persona maggiore d'eta'  non  solo  sottende  un
imprescindibile movente  personalistico  implicito  nella  scelta  di
trasmettere  sia  il  proprio  cognome  sia  il  proprio   patrimonio
all'adottato, ma e' in grado altresi' di assecondare istanze di  tipo
solidaristico, variamente declinate. 
    Dentro il suo ampio perimetro,  l'adozione  del  maggiore  d'eta'
puo' accogliere: il caso dell'adottando maggiorenne, che gia'  viveva
nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di  un  affidamento
non temporaneo deciso nel momento in  cui  era  minorenne,  o  ancora
quello  del  figlio  maggiorenne  del  coniuge  (o  del   convivente)
dell'adottante che vive in quel  nucleo  familiare.  Parimenti,  puo'
ricomprendere situazioni in cui persone, spesso anziane, confidano in
un rafforzamento - grazie all'adozione -  del  vincolo  solidaristico
che si e' di  fatto  gia'  instaurato  con  l'adottando,  oppure  che
vogliono semplicemente dare  continuita'  al  proprio  cognome  e  al
proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l'adottando,  con
cui, di norma, hanno consolidato un rapporto affettivo. 
    Risulta allora evidente come proprio la latitudine  dell'istituto
-esemplificativamente   evocata   -   renda   ulteriormente    palese
l'irragionevolezza  di  una   regola   priva   di   un   margine   di
flessibilita'. 
    La rigidita' di  una  previsione  insensibile  alle  esigenze  di
tutela del diritto alla identita' personale dell'adottando rischia di
frapporre  irragionevoli  ostacoli  a  talune  delle   funzioni   che
l'istituto svolge a livello sociale, oltre chiaramente  a  ledere  la
stessa identita' personale. 
    L'adottando maggiore d'eta' puo' essere una persona per la  quale
e' importante l'anteposizione del proprio cognome, rispetto a  quello
dell'adottante, nei casi in  cui  la  sua  identita'  sia  fortemente
correlata al cognome  originario.  Quest'ultimo  potrebbe  avere  una
particolare  incidenza  sulla   sua   identificabilita'   nel   mondo
professionale, oltre che nei rapporti sociali; cosi' come il  cognome
potrebbe essere stato trasmesso ai propri figli. 
    E non si deve trascurare che, anche nel caso del maggiorenne, che
era stato affidato da minorenne all'adottante o che  sia  figlio  del
coniuge  (o  del  convivente)  dell'adottante,  potrebbero   emergere
ragioni tali da giustificare l'anteposizione del cognome che, sino  a
quel momento, ha connotato l'identita' del maggiore d'eta'. 
    8.- In  definitiva,  e'  irragionevole  e  lesivo  dell'identita'
personale, e, dunque, contrasta con  gli  artt.  2  e  3  Cost.,  non
consentire al giudice - con la sentenza che fa luogo  all'adozione  -
di aggiungere, anziche' di anteporre,  il  cognome  dell'adottante  a
quello dell'adottato maggiore d'eta', se entrambi nel manifestare  il
consenso all'adozione si sono espressi a favore di tale effetto. 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 299, primo  comma,  cod.  civ.,  nella  parte  in  cui  non
consente, con la sentenza di adozione,  di  aggiungere,  anziche'  di
anteporre, il cognome dell'adottante a quello dell'adottato  maggiore
d'eta', se entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si  sono
espressi a favore di tale effetto. 
    E' assorbita la censura sollevata dal rimettente  in  riferimento
all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparita'  di
trattamento. 
    Nel perimetro della questione  prospettata  a  questa  Corte  non
rientra l'adozione in casi particolari del minore d'eta'. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299,  primo
comma, del codice civile, nella parte in cui  non  consente,  con  la
sentenza di  adozione,  di  aggiungere,  anziche'  di  anteporre,  il
cognome dell'adottante a quello  dell'adottato  maggiore  d'eta',  se
entrambi nel manifestare il consenso all'adozione si sono espressi  a
favore di tale effetto; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 299, primo comma, cod.  civ.  sollevata,  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione agli artt. 8 e 14 della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo, nonche' all'art. 7 della Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  dalla  Corte  d'appello  di  Salerno,  sezione
civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA