N. 35 SENTENZA 6 - 7 febbraio 1985

                                  N. 35
                        SENTENZA 6 FEBBRAIO 1985
                Deposito in cancelleria: 7 febbraio 1985.
      Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 38 bis del 13 febbraio 1985.
                        Pres. ELIA - Rel. PALADIN
     Referendum  abrogativo  - Oggetto della richiesta - Esigenza di far
 coincidere  forma  e  sostanza  del  quesito  -  Individuazione   della
 effettiva  ed  inequivoca  volonta'  dei  promotori  del  referendum  -
 Eventuale  rettifica  rimessa  alla  decisione  dell'Ufficio   centrale
 (distinzione dalla scissione della richiesta).
     Referendum   abrogativo   -   Procedimento   -  Compiti  attribuiti
 all'Ufficio centrale dalla legge n.   352 del  1970  -  Comprendono  il
 coordinamento  e la valutazione comparativa di norme (ordinarie) che si
 succedono nel tempo - Potere decisorio dell'Ufficio centrale (sent. nn.
 30 e 31/1980) - Insindacabilita' da parte della Corte costituzionale  -
 Distinte competenze attribuite all'Ufficio centrale e alla Corte.
     Referendum  abrogativo  - Oggetto della richiesta - Legge 12 giugno
 1984, n. 219, art. unico (che converte il D.L. 17 aprile 1984,  n.  70,
 art.  3) - Indennita' di contingenza ed indennita' integrativa speciale
 - "Taglio" dei punti di variazione - Dubbi in ordine alla  legittimita'
 di un referendum di tipo retroattivo - Fissazione dell'ambito temporale
 di  efficacia  di  una  disciplina  legislativa  ordinaria - Competenza
 dell'Ufficio centrale - Idoneita' della disposizione a produrre effetti
 anche per l'avvenire - Ipotesi di avvenuta abrogazione  referendaria  -
 Rimangono fermi gli effetti prodottisi anteriormente alla pubblicazione
 del decreto presidenziale ex art.  37 della legge n. 352.
     Referendum  abrogativo  - Oggetto della richiesta - Legge 12 giugno
 1984, n. 219, art. unico, che converte il D.L. 17 aprile 1984,  n.  70,
 art. 3 - Indennita' di contingenza ed indennita' integrativa speciale -
 "Taglio"  dei  punti  di  variazione  -  Assunta  assimilabilita' della
 disposizione, al pari delle "leggi finanziarie", alle leggi di bilancio
 escluse dall'art.  75, secondo comma, della Costituzione - Esclusione -
 Giustificazione - Proposta abrogativa  compatibile  con  la  permanenza
 delle   altre   misure   contenute   nello   stesso   decreto-legge   -
 Ammissibilita' della richiesta.
     Referendum abrogativo - Leggi di bilancio  -  Materia  sottratta  a
 referendum   dall'art.   75   della   Costituzione   -  Leggi  comunque
 interessanti il bilancio dello Stato - Limiti interpretativi gia' posti
 dalla Corte - Esorbitanza (sent. nn. 16/1978 e 26/1982).
(GU n.38 del 13-2-1985 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori:  Prof.  LEOPOLDO  ELIA,  Presidente  -  Prof.
 GUGLIELMO  ROEHRSSEN  -  Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
 DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof.   ANTONIO
 LA  PERGOLA  - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott.
 FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO
 CORASANITI - Prof.  GIUSEPPE  BORZELLINO  -  Dott.    FRANCESCO  GRECO,
 Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  sull'ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  2, comma
 primo, legge costituzionale 11 marzo 1953, n.  1,  della  richiesta  di
 referendum  popolare  per  l'abrogazione  parziale  dell'articolo unico
 della legge 12 giugno 1984, n. 219, recante "Conversione in legge,  con
 modificazioni,  del  decreto-legge  17  aprile 1984, n. 70, concernente
 misure urgenti in materia di  tariffe,  di  prezzi  amministrati  e  di
 indennita' di contingenza", iscritto al n. 28 del registro referendum.
     Vista  l'ordinanza  7 dicembre 1984 con la quale l'Ufficio centrale
 per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima
 la suddetta richiesta;
     udito nella camera di consiglio del  16  gennaio  1985  il  Giudice
 relatore Livio Paladin;
     uditi  gli avvocati Adolfo Di Majo e Giorgio Ghezzi per il Comitato
 promotore e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato  per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Ai  sensi  della  legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive
 modificazioni, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito  presso
 la  Corte  di  cassazione,  ha  esaminato  la  richiesta  di referendum
 popolare, presentata il 25 luglio  1984  da  Vitale  Romano,  Valentini
 Daniela, Leoni Carlo, Montanari Adonella, Fredda Angelo, Funghi Franco,
 Puro   Vincenzo,   Marincione  Alfredo,  Evangelisti  Carlo,  Brugnetti
 Viviana, Piermarini Marco,  Maffioletti  Roberto,  Montessoro  Antonio,
 Ventura  Luciano, Spagnoli Ugo e Smuraglia Carlo, sul seguente quesito:
 "Volete voi l'abrogazione dell'articolo unico  della  legge  12  giugno
 1984,  n.    219 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 163 del 14 giugno
 1984), che ha convertito in legge il decreto-legge 17 aprile  1984,  n.
 70  (pubblicato  in  Gazzetta  Ufficiale  n.  107  del 17 aprile 1984),
 concernente  misure  urgenti  in  materia   di   tariffe,   di   prezzi
 amministrati  e  di  indennita'  di contingenza, limitatamente al primo
 comma, nella parte che  ha  convertito  in  legge  senza  modificazioni
 l'art.  3  del  decreto-legge  suddetto,  articolo che reca il seguente
 testo:
     "Per il semestre febbraio-luglio 1984, i punti di variazione  della
 misura  della indennita' di contingenza e di indennita' analoghe, per i
 lavoratori privati, e della  indennita'  integrativa  speciale  di  cui
 all'art.  3  del  decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con
 modificazioni, nella legge 25 marzo  1983,  n.  79,  per  i  dipendenti
 pubblici,  restano  determinati  in  due dal 1   febbraio e non possono
 essere determinati in piu' di due dal  1    maggio  1984";  nonche'  al
 penultimo  comma,  che reca il seguente testo: "Restano validi gli atti
 ed i provvedimenti adottati e sono salvi  gli  effetti  prodotti  ed  i
 rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15 febbraio 1984,
 n. 10" (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 47 del 16 febbraio 1984)?".
     Con  ordinanza  del  7  dicembre  1984,  depositata il 12 dicembre,
 l'Ufficio centrale ha preliminarmente dato atto  che  la  richiesta  in
 questione  era stata preceduta dall'attivita' di promozione conforme ai
 requisiti di legge, che essa era stata presentata da  soggetti  a  cio'
 legittimati,  che  il  deposito  dei  fogli  contenenti  le firme e dei
 relativi certificati elettorali era avvenuto nel termine  di  tre  mesi
 dalla  timbratura  dei  fogli  medesimi,  che la richiesta predetta era
 stata regolarmente formulata  (salva  un'irregolarita'  sanabile  e  in
 effetti  sanata  da parte dell'Ufficio) e trascritta sulla facciata dei
 fogli contenenti le firme, che il numero delle firme delle quali si era
 definitivamente accertata  la  validita'  superava  quello  di  500.000
 previsto dalla legge (e voluto dalla Costituzione).
     Cio'  posto,  l'Ufficio  centrale  si  e'  ritenuto  competente  "a
 conoscere della  prima  eccezione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,   secondo   la  quale  la  richiesta  di  referendum  sarebbe
 illegittima in quanto avrebbe  per  oggetto  norme  caratterizzate  dal
 riferimento  della  loro  disciplina  a  una  serie  definita  di fatti
 verificatisi  prima  della  richiesta  stessa,  cioe'   a   norme   che
 presenterebbero   un   ambito   di   efficacia   temporale   delimitato
 esclusivamente nel passato". Per altro, l'Ufficio ha ritenuto che, "nel
 caso concreto, l'art. 3  del  decreto-legge  17  aprile  1984,  n.  70,
 derogando   in   via  temporanea  per  i  trimestri  febbraio-aprile  e
 maggio-luglio 1984 al previdente sistema, stabilito  da  contrattazioni
 collettive  per  il  settore  privato  e  da  norma di legge per quello
 pubblico,  ha  avuto  bensi'  come  effetto  diretto  e  immediato   di
 "raffreddare"  nel  numero complessivo di quattro i punti di variazione
 dell'indennita'   di   contingenza,   delle   indennita'   analoghe   e
 dell'indennita'  integrativa  speciale  rispetto al numero piu' elevato
 risultante dalle rilevazioni dell'Istituto Centrale di  Statistica,  ma
 ha  anche  avuto  come  effetto mediato e conseguenziale un correlativo
 minore  aumento  delle   retribuzioni   dei   lavoratori,   in   misura
 corrispondente  ai  punti  non conteggiati" (come reso palese sia dalla
 corrente interpretazione ed applicazione di tale disciplina, sia  dalla
 ratio  del  d.l.  n.  70, sia dalla lettera del decreto stesso); ed ha,
 pertanto, dichiarato in tal senso legittima "la richiesta di referendum
 per l'abrogazione dell'art.  unico della legge 12 giugno 1984, n.  219,
 nella parte in cui ha convertito in legge l'art. 3 del decreto-legge 17
 aprile 1984, n. 70"
     Quanto invece al penultimo comma dell'articolo unico della legge n.
 219,  l'Ufficio  ha ritenuto "l'esistenza di un'implicita dichiarazione
 di volonta' dei richiedenti di limitare la richiesta alla parte di tale
 penultimo comma riguardante l'art.  3  del  decaduto  decreto-legge  15
 febbraio 1984, n. 10, corrispondente all'art. 3 decreto-legge 17 aprile
 1984, n. 70, e di non estenderla invece anche alla parte riguardante le
 altre  disposizioni  del  decreto-legge  15  febbraio  1984, n. 10": in
 quanto "dalla congiunta proposizione del  secondo  quesito  in  stretto
 collegamento  col  primo"  si  dedurrebbe che "si e' inteso quello come
 meramente complementare rispetto a questo, e che alla base di  entrambi
 sta  l'unico  e  comune  scopo  di  evitare  ogni  possibile  ulteriore
 operativita' delle norme sul raffreddamento dei punti,  senza  incidere
 su  altre  norme  dei due decreti-legge non sfavorevoli ai lavoratori".
 Tuttavia,  secondo  l'ordinanza   dell'Ufficio   stesso,   la   mancata
 espressione  di  tale  volonta'  costituirebbe  "una mera irregolarita'
 formale, sanabile ai sensi dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970,  n.
 352". Ed e' appunto in tal senso che nell'ordinanza si e' provveduto ad
 aggiungere  al  secondo quesito, successivamente al testo del penultimo
 comma,  le  parole  "limitatamente  a  quelli  di  cui  all'art.  3  di
 quest'ultimo   decreto-legge":   dopo  di  che  l'Ufficio  centrale  ha
 dichiarato senz'altro legittima anche questa parte della  richiesta  in
 esame,  affermando  invece la propria incompetenza a pronunciarsi sulle
 altre eccezioni proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri,  in
 vista dell'art. 75 della Costituzione.
     2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
 Corte  ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 16 gennaio
 1985, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta
 ed al Presidente del Consiglio dei ministri,  ai  sensi  dell'art.  33,
 secondo  comma,  della  legge  n.352  del  1970.  E  in  vista  di tale
 deliberazione tanto il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  quanto  il   comitato   promotore   del
 referendum  si  sono  avvalsi  della facolta' di depositare memorie, in
 base al terzo comma del citato art. 33.
     a)  L'Avvocatura  dello  Stato  ha  sostenuto  anzitutto   che   si
 tratterebbe   "di  accertare  in  questa  sede  l'inammissibilita'  del
 referendum  abrogativo  volto  a  far   cessare   effetti   mediati   e
 conseguenziali  di norme che abbiano esaurito la loro efficacia diretta
 ed immediata". In  realta',  il  ricalcolo  dei  punti  "tagliati"  per
 effetto  della  disciplina  in  esame  non  potrebbe essere "introdotto
 nell'ordinamento ad opera del Corpo elettorale",  "ne  ex  tunc  ne'  a
 partire  da  una  qualsivoglia  data  successiva",  dal  momento che il
 referendum  abrogativo  non  avrebbe  mai  "effetto   propositivo   ne'
 retroattivo",  disponendo  invece  d'un  mero "valore unidirezionale di
 normazione negativa". L'art. 3 del d.l.  n.  70  del  1984  si  sarebbe
 infatti  limitato  "a  decurtare  una  volta  per  tutte due addendi di
 variazione (i punti, cioe', relativi ai due trimestri del  1984)  delle
 indennita'  in  questione,  col  risultato di ridurre l'incidenza delle
 variazioni relative a quel periodo e di determinare con cio' stesso  un
 irreversibile  contenimento  della  crescita  di quello che gergalmente
 viene definito lo zoccolo di tale indennita'". Nessun ulteriore effetto
 sarebbe stato prodotto dalla disciplina  in  esame,  che  avrebbe  solo
 compresso i punti suddetti, mentre a partire dal 1  agosto 1984 avrebbe
 ripreso  integralmente ad operare "il meccanismo normativo anteriore al
 decreto legge"; sicche' l'unica  possibilita'  di  far  conseguire  "un
 risultato  utile"  al referendum in questione consisterebbe appunto nel
 conferirgli "efficacia  retroattiva",  determinando  in  tal  modo  "lo
 sconfinamento  del  potere  attribuito al Corpo elettorale dall'art. 75
 Cost.".
     Cio'  posto,  l'Avvocatura  ha  dedotto  un  ulteriore  motivo   di
 inammissibilita',   determinato   dalla  "disomogeneita'  delle  norme,
 rispettivamente   oggetto   delle   due   articolazioni   del   quesito
 referendario",  e dalla conseguente "ambiguita' di fondo del medesimo".
 Mentre, infatti, nell'ordinanza dell'Ufficio centrale  si  afferma  "la
 decorrenza   ex   nunc"   della   prevista   abrogazione  dell'art.  3,
 "l'abrogazione  del  penultimo  comma  dell'articolo  unico  della   l.
 219/1984,  per  lo  specifico  contenuto  di  questo,  non potrebbe che
 produrre, univocamente e incontestabilmente, l'effetto  retroattivo  di
 scoprire  di ogni legittimazione gli atti e i rapporti sorti sulla base
 del decreto legge 10/ 1984 decaduto per mancata conversione". Ed allora
 - si chiede  l'Avvocatura  -  come  sarebbe  ammissibile  "che  l'unico
 quesito  consenta  diverse  soluzioni,  una  delle  quali assolutamente
 incompatibile con il limite negativo del potere  di  cui  all'art.  75,
 esplicitato dagli artt. 37 e 39 l.  352/1970"?.
     Osserva ancora l'Avvocatura dello Stato che, "come codesta Corte si
 e'  ritenuta carente di poteri di scissione o ridefinizione dei quesiti
 referendaria..., cosi'    analoga  impossibilita'  di  interferenza  va
 ritenuta sussistere per l'Ufficio Centrale del Referendum". Per contro,
 l'Ufficio  non  si  sarebbe  limitato  ad  una  "modifica  di carattere
 meramente formale", ma avrebbe alterato - con la ricordata aggiunta  di
 alcune  parole  finali  - il "contenuto sostanziale" della richiesta in
 esame; e cio', senza averne la  competenza  e  senza  potersi  ritenere
 "subdelegato  o  interprete  della volonta' sostanziale dei promotori".
 Dal che discenderebbe - secondo l'Avvocatura -  "un  altro  autonomo  e
 sufficiente motivo di inammissibilita' del referendum", considerato nel
 suo intero complesso.
     Si  afferma  ancora, per un altro verso, che non sarebbe "legittimo
 isolare singole disposizioni e  contrapporre  quelle  che,  in  termini
 nominalistici,  impongono  un  sacrificio  ai  lavoratori a quelle che,
 anche in via compensativa, realizzano  invece  immediati  vantaggi  per
 essi (aumento degli assegni familiari, calmiere alle tariffe pubbliche,
 ecc.)    obliterandone  l'inscindibile collegamento".   Disconoscere la
 reciproca integrazione di tali misure,  "nell'equilibrato  dosaggio  di
 sacrifici  e  benefici  previsti  dallo  strumento  legislativo nel cui
 tessuto unitario le norme oggetto della richiesta  di  referendum  sono
 inseparabilmente  collegate",  significherebbe,  infatti, "invalidare e
 distorcere tutto lo strumento legislativo sbilanciandone gli effetti  e
 deviandoli dagli obiettivi unitariamente concepiti". E ne deriverrebbe,
 dunque, una quarta ragione d'inammissibilita' della richiesta.
     Da  ultimo,  l'Avvocatura dello Stato sostiene l'"insuscettibilita'
 delle norme del d.l. 70/1984 e legge  219/1984  a  formare  oggetto  di
 referendum  abrogativo in relazione alla loro natura e portata".  Da un
 lato, infatti, la legge finanziaria  dovrebbe  ritenersi  "direttamente
 compresa" tra quelle costituzionalmente sottratte a referendum; d'altro
 lato,  il  d.l.    n.  70 rientrerebbe "nella sostanziale portata della
 legge finanziaria in quanto  strumento  preordinato  al  raggiungimento
 dell'obiettivo  del  contenimento  della inflazione nei limiti medi del
 tasso programmato per l'anno 1984 individuato  come  esigenza  primaria
 per   la   riuscita  della  politica  economica  del  Governo".  E,  di
 conseguenza,   la   richiesta   in   esame   "verrebbe   ad    incidere
 sull'equilibrio  finanziario  costituito  dalla  richiamata  normativa,
 sussumibile, in una valutazione unitaria, sotto il concetto di legge di
 bilancio o comunque nell'area delle disposizioni produttive di  effetti
 strettamente  collegati  all'ambito  di  operativita'  delle  leggi  di
 bilancio".
     b) La difesa del comitato promotore si  e'  soffermata  unicamente,
 invece,  sull'ultimo fra i punti messi in rilievo dall'Avvocatura dello
 Stato.
     Nella memoria si riconosce che le norme costituenti  oggetto  della
 richiesta  "riguardano  in parte, certamente, anche la pubblica spesa".
 Senonche' la legge finanziaria -  sostiene  la  memoria  stessa  -  "si
 affianca  alla  legge  di  bilancio,  ma  da  questa  giuridicamente si
 differenzia e in nulla ne assume la natura"; anche perche'  la  portata
 degli atti cosi'  denominati "e' divenuta tanto ampia da riferirsi, con
 le sue implicazioni ed i suoi rimandi, a buona parte della legislazione
 che regge il nostro paese". D'altronde - si osserva - il d.l. n. 70 del
 1984 "non rinvia alla legge finanziaria, ne da questa e' rinviato": con
 la  conseguenza  che  il  ragionamento svolto dall'Avvocatura si rivela
 viziato da due "salti logici"; e si pone comunque in contrasto  con  la
 giurisprudenza  della Corte, formata dalle sentenze n. 16 del 1978 e n.
 26 del 1982.
     Conclusivamente,  per  altro,  la  difesa  del  comitato  nega  che
 "possano  sussistere  dubbi  sulla  univocita',  semplicita', obiettiva
 omogeneita' e coerenza dei quesiti", dal momento che le norme investite
 dalla richiesta referendaria sarebbero  "istitutive  di  un  meccanismo
 giuridico  unitario,  riduttivo  del  costo  del lavoro dipendente". Ne
 sussisterebbe  "contraddittorieta'   alcuna   fra   la   richiesta   di
 abrogazione  dell'art.  3 del d.l. convertito e quella che si riferisce
 al penultimo comma della legge di conversione": anche  in  quest'ultimo
 senso,   difatti,  non  si  chiederebbe  "la  restituzione  del  valore
 monetario non pagato allora ai lavoratori, ma..., di reintegrare per il
 futuro   la   piena   operativita'   dell'indice   e   del  sistema  di
 indicizzazione", senza eccettuare "la decurtazione dei  due  punti  del
 febbraio 1984".
     3.  -  Ad  integrazione  del contraddittorio espressamente previsto
 dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, nella camera di
 consiglio del 16 gennaio 1985 sono stati uditi l'avvocato  dello  Stato
 Giorgio  D'Amato,  per  il Presidente del Consiglio dei ministri, e gli
 avvocati Adolfo di Majo e Giorgio Ghezzi, per il comitato promotore del
 referendum.
     Il primo ha riproposto tre ordini di eccezioni  d'inammissibilita':
 l'uno relativo ai limiti logici del referendum, per sua natura ablativo
 ed   irretroattivo,  e  dunque  insuscettibile  di  far  recuperare  ai
 lavoratori dipendenti punti che giuridicamente non sarebbero mai venuti
 in essere; il secondo concernente il penultimo  comma  della  legge  di
 conversione,  che  avrebbe  disposto una sanatoria per il solo passato,
 sicche' la consultazione referendaria non potrebbe  in  tal  senso  non
 esser   destinata   a   retroagire;  il  terzo  riguardante  l'asserita
 inscindibilita'   della   manovra    antiinflattiva    del    1984    e
 l'inseparabilita'   delle   leggi  finanziarie,  considerate  nei  loro
 contenuti tipici, dalle leggi di  bilancio  di  cui  al  secondo  comma
 dell'art. 75 Cost..
     La  difesa  dei  promotori ha invece replicato, in particolar modo,
 che  non  si  potrebbe  disconoscere  quanto  e'  stato  ormai   deciso
 dall'Ufficio  centrale;  che  la  richiesta  in  esame  si proporrebbe,
 comunque, la sola restaurazione de futuro del meccanismo di valutazione
 del differenziale inflazionistico, alterato dal Governo con i  d.l.  n.
 10  e  n.  70  del 1984; che lo stesso quesito concernente il penultimo
 comma dell'articolo unico della legge n. 219 sarebbe  complementare  al
 quesito  riguardante  l'art.  3  del  d.l.  n.  70, mirando soltanto ad
 escludere che gli effetti in esame si stabilizzino per l'avvenire.
     Entrambe  le  parti  hanno  quindi  depositato,  a  sostegno  delle
 rispettive  tesi,  copia  delle  deduzioni  svolte  dinanzi all'Ufficio
 centrale per il referendum.
                         Considerato in diritto:
     1. - Secondo un ordine logico,  va  preso  anzitutto  in  esame  il
 problema   dell'integrazione   del   quesito   referendario   da  parte
 dell'Ufficio centrale per il  referendum,  disposta  nei  termini  gia'
 ricordati  in  narrativa:  integrazione  che  l'Avvocatura  dello Stato
 contesta, negando la competenza dell'Ufficio  ad  effettuare  qualunque
 operazione correttiva del genere.
     Impropriamente,  pero', l'Avvocatura si appella alla sentenza n. 16
 del 1978, con cui questa Corte ha escluso che la vigente disciplina del
 referendum   abrogativo   consenta   la   scissione   delle   richieste
 referendarie,  pur  dove  esse  risultino  cosi' disomogenee da esigere
 distinte consultazioni del corpo  elettorale.  Altro,  infatti,  e'  la
 scissione  delle  richieste, altro la rettifica delle richieste stesse,
 mirante  a  far  coincidere  forma  e  sostanza  del  quesito,  secondo
 l'effettiva  ed  inequivoca volonta' dei promotori del referendum. Ora,
 nella specie, la Corte considera pacifico che i promotori  non  abbiano
 inteso  coinvolgere nel quesito in esame - come risulta dalla struttura
 di esso - tutte le disposizioni  del  decreto-legge  n.  10  del  1984,
 comprese  quelle attinenti alle tariffe, ai prezzi amministrati ed agli
 assegni familiari; ma abbiano avuto riguardo  -  nei  medesimi  termini
 della  richiesta  concernente  l'art.  3  del  decreto-legge  n.    70,
 convertito nella legge n. 219 del 1984 - al solo "taglio" dei punti  di
 variazione dell'indennita' di contingenza e dell'indennita' integrativa
 speciale,  sia  pure  nella  parte  concernente il trimestre febbraio -
 aprile. Pertanto,  la  Corte  deve  muovere  dalla  decisione  con  cui
 l'Ufficio  centrale ha ritenuto necessario aggiungere alla richiesta in
 esame  le  parole  "limitatamente  a  quelli  di  cui  all'art.  3   di
 quest'ultimo decreto-legge".
     2.  -  In  base  alle  diffuse argomentazioni dell'Avvocatura dello
 Stato,  la  Corte  dovrebbe  riconsiderare  le  conclusioni   raggiunte
 dall'Ufficio  centrale,  anche  e  soprattutto per cio' che riguarda le
 premesse interpretative  che  hanno  condotto  l'Ufficio  a  dichiarare
 legittima  la  richiesta  in  questione:  sia quanto alla ricostruzione
 delle  norme  formanti  l'oggetto  del  quesito  referendario,  sia   -
 principalmente   -  quanto  all'individuazione  degli  effetti  che  il
 referendum sarebbe suscettibile di determinare.  Nella  gia'  descritta
 prospettiva  dell'Avvocatura,  i punti di variazione dell'indennita' di
 contingenza  e  dell'indennita'  integrativa  speciale,  "tagliati"  in
 virtu'  dei  decreti-legge  n.  10  e n. 70 del 1984, non sarebbero mai
 venuti in essere nell'ordinamento giuridico e non  potrebbero,  quindi,
 venire  nuovamente  calcolati e riattribuiti ai lavoratori interessati,
 se  non  provvedendo  a  ridisciplinare  per  legge  la   materia.   Di
 conseguenza,  il referendum del quale si tratta non sarebbe in grado di
 realizzare il suo scopo, se  non  a  condizione  di  riconoscergli  una
 qualche  efficacia  retroattiva,  implicante la piena restaurazione del
 meccanismo della scala mobile sin dal trimestre  febbraio-aprile  1984:
 il  che,  per altro, significherebbe snaturare l'istituto di democrazia
 diretta configurato dall'art. 75 Cost., cui la Carta costituzionale non
 avrebbe collegato altro che un normale effetto abrogativo ed  ablativo,
 destinato  ad  operare  per  il solo avvenire. E come, per tali motivi,
 l'Ufficio centrale avrebbe dovuto  pronunciare  l'illegittimita'  della
 richiesta  referendaria,  cosi'    la stessa Corte sarebbe ora tenuta a
 dichiarare l'inammissibilita' del referendum.
     Al fine di apprezzare la consistenza di queste  eccezioni,  occorre
 pero'  ricordare  quali  siano  i  compiti  rispettivamente  attribuiti
 all'Ufficio  centrale  ed  alla  Corte,   nell'ambito   del   complesso
 procedimento  previsto  dalla  legge  n. 352 del 1970.  La legge stessa
 precisa - nel secondo comma dell'art. 32 - che  "l'Ufficio  centrale...
 esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse
 siano   conformi   alle   norme   di   legge,   esclusa  la  cognizione
 dell'ammissibilita', ai sensi del  secondo  comma  dell'art.  75  della
 Costituzione,  la  cui  decisione  e'  demandata dall'articolo 33 della
 presente legge alla Corte costituzionale"; ed e' all'Ufficio che spetta
 rilevare "le eventuali irregolarita' delle singole richieste" (in  base
 al citato terzo comma dell'art. 32), proporre la "concentrazione" delle
 richieste  che  rivelino  "uniformita'  o analogia di materia" (cfr. il
 quarto  comma  del  medesimo  articolo),  nonche'  dichiarare  che   le
 operazioni  referendarie  "non  hanno piu' corso", "se prima della data
 dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto  avente  forza  di
 legge,  o  le  singole  disposizioni  di  essi  cui  il  referendum  si
 riferisce, siano stati abrogati" (secondo l'espresso disposto dell'art.
 39). Ora, e' ben vero che la Corte - a partire dalla sentenza n. 16 del
 1978 - ha costantemente ritenuto, al di la' delle ipotesi  testualmente
 indicate  dal  secondo  comma  dell'art.    75 Cost., la sussistenza di
 "altre  ragioni",  individuabili  "in  via  sistematica",  che  possono
 comunque "precludere il ricorso al corpo elettorale". Ma il conseguente
 ampliamento delle cause d'inammissibilita' del referendum  non  ha  mai
 comportato  il  venir  meno  della linea distintiva fra le attribuzioni
 della Corte e le attribuzioni dell'Ufficio centrale.
     Fin dalla sentenza n. 251 del 1975 (cui la sentenza n. 16 del  1978
 fa  esplicito  riferimento),  si e' invece ribadito quanto gia' risulta
 dalla legge n.  352, ossia che "al controllo di legittimita'  demandato
 all'apposito  Ufficio  soltanto  la  cognizione dell'ammissibilita' del
 referendum"; ed a quella pronuncia si sono  poi  aggiunte,  in  termini
 estremamente  significativi,  la  sentenza n. 68 del 1978 e le sentenze
 nn. 30 e 31 del 1980. Con la  prima  di  tali  decisioni  s'e'  infatti
 stabilito  che spetta all'Ufficio centrale (e non alla Corte) "valutare
 se  la  nuova  disciplina  legislativa,  sopraggiunta  nel  corso   del
 procedimento,  abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere
 la   consultazione   popolare,   gia'   promossa    sulla    disciplina
 preesistente";  e  nelle  due  altre  pronunce si e' poi precisato che,
 "entro la sfera  delle  proprie  attribuzioni,  l'Ufficio  centrale  e'
 investito  di  un  potere  decisorio, le cui modalita' di esercizio non
 spetta alla Corte  sindacare".  In  breve,  percio',  la  Corte  si  e'
 riservata  - come ancora si legge nelle sentt. n. 30 e n. 31 del 1980 -
 il solo "controllo di costituzionalita'"  del  referendum;  mentre  "le
 indagini   affidate   all'Ufficio   centrale...   involgono...  sia  il
 coordinamento sia la valutazione comparativa di norme, che si succedono
 nel tempo, sempre  sul  piano  della  legge  ordinaria  e  delle  fonti
 normative   a  questa  equiparate",  anziche'  sul  piano  delle  norme
 costituzionali. Ed entro la sfera spettante  all'Ufficio  non  si  puo'
 pretendere  che  la  Corte  operi  -  in  sostanza - come un giudice di
 secondo grado, appellandosi ad essa contro le  pronunce  gia'  adottate
 dall'Ufficio stesso.
     Ma,  nella  specie,  e'  precisamente  sul piano della legislazione
 ordinaria che sono rimaste collocate  le  scelte  interpretative  e  le
 decisioni  dell'Ufficio centrale. Tale collegio non ha affatto ritenuto
 che la richiesta in esame potesse tradursi - come  assumeva  ed  assume
 l'Avvocatura  dello  Stato  - in un referendum di tipo retroattivo: nel
 qual  caso  la  Corte  avrebbe  dovuto  accertare,  a  sua  volta,   se
 consultazioni   del   genere   rientrino   (ed  eventualmente  a  quali
 condizioni) nella tipologia dei referendum  abrogativi,  configurati  e
 consentiti  dalla  Costituzione. Al contrario, l'Ufficio si e' posto il
 problema se la richiesta in esame avesse ed  abbia  di  mira  "un  voto
 popolare...  in  partenza  privato  di  entrambi i suoi effetti tipici,
 abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti dagli artt. 37 e  38
 della  legge...  n.  352,  esattamente  come  nell'ipotesi di una legge
 abrogata" (secondo la terminologia della sentenza n. 68 del  1978);  il
 che  non  avrebbe  avuto  senso, ove si fosse trattato di un referendum
 retroattivo,   che   per   definizione   non   potrebbe    considerarsi
 giuridicamente  inutile  e  dunque  illegittimo.  Ma  la  soluzione del
 quesito e' stata negativa, poiche' l'Ufficio stesso ha sostenuto che il
 "taglio" dei punti  di  variazione  dell'indennita'  di  contingenza  e
 dell'indennita' integrativa speciale continua "a produrre... effetti...
 mediati  e  conseguenziali, destinati a verificarsi una o piu' volte in
 tempi successivi, in ulteriore deroga al  sistema  previgente";  ed  ha
 percio'  rilevato  che  il  richiesto  referendum sarebbe per l'appunto
 idoneo - secondo la costante prospettazione dei promotori - ad impedire
 "l'ulteriore verificarsi" di tali conseguenze, "fermo restando soltanto
 ogni e qualsiasi effetto prodottosi prima del giorno previsto dal terzo
 comma  dell'art.  37  della  legge 1970 n. 352" (vale a dire, prima del
 giorno  successivo   a   quello   della   pubblicazione   del   decreto
 presidenziale  dichiarante  l'avvenuta  abrogazione  delle disposizioni
 sottoposte a referendum).
     Stando cosi'  le cose, non giova discutere se gli effetti giuridici
 del  "taglio"   si   siano   esauriti   allo   scadere   del   semestre
 febbraio-luglio 1984, lasciando perdurare i soli effetti economici (per
 altro   imputabili  agli  stessi  criteri  che  presiedono  al  normale
 conteggio dei punti di  variazione  dell'indennita'  di  contingenza  e
 dell'indennita'  integrativa  speciale);  o  se,  viceversa, la ridotta
 operativita'   del   meccanismo   della   scala   mobile   continui   a
 ripercuotersi,  in termini giuridicamente rilevanti, sulle retribuzioni
 periodicamente dovute  ai  lavoratori  subordinati.  Qualunque  sia  la
 risposta,  e'  infatti  palese che non puo' essere la Corte a fornirla,
 poiche' in entrambi i casi  si  tratta  soltanto  di  fissare  l'ambito
 temporale  di  efficacia  d'una  disciplina  legislativa ordinaria (non
 altrimenti che nell'ipotesi - prevista dall'art. 39 della legge n.  352
 -  di  una  successiva  abrogazione  delle  disposizioni  sottoposte  a
 referendum ).
     Ne' la conclusione muta quanto al penultimo (rectius: ultimo) comma
 dell'articolo unico della citata legge di conversione, per cui "restano
 validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono  salvi  gli  effetti
 prodotti  ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15
 febbraio 1984, n. 10".  L'Ufficio centrale ha infatti precisato - ed il
 comitato promotore  ha  ribadito  -  che  tale  disposizione  e'  stata
 coinvolta  nel  quesito  con  "l'unico  e  comune scopo di evitare ogni
 possibile ulteriore operativita' delle  norme  sul  raffreddamento  dei
 punti"  di contingenza. Sicche' rimane fermo, anche da questo lato, che
 la richiesta referendaria  e'  atta  ad  incidere  -  nel  caso  di  un
 risultato  favorevole  all'abrogazione  -  sulle  sole  retribuzioni da
 corrispondere   successivamente   alla   pubblicazione   del    decreto
 presidenziale previsto dall'art. 37 della legge n. 352.
     3.   -   Con   queste  premesse  e  nei  limiti  temporali  segnati
 dall'ordinanza dell'Ufficio centrale,  la  Corte  puo'  dunque  passare
 senz'altro all'esame delle altre eccezioni d'inammissibilita', proposte
 dall'Avvocatura  dello  Stato: la quale ha sostenuto, da una parte, che
 le disposizioni formanti l'oggetto della  richiesta  -  al  pari  delle
 "leggi  finanziarie" - sarebbero assimilabili alle leggi "di bilancio",
 espressamente sottratte al referendum abrogativo  in  base  al  secondo
 comma  dell'art. 75 Cost.; ed ha argomentato, d'altra parte, che non si
 potrebbe   "spezzare   l'omogeneita',   la   coerenza,    la    stretta
 concatenazione" delle misure previste dal decreto-legge n. 70 del 1984,
 per  assoggettare  al  referendum le sole disposizioni che impongono un
 sacrificio  ai  lavoratori,  isolandole  da  quelle  compensative   del
 sacrificio stesso.
     Tuttavia, ne l'uno ne l'altro assunto si dimostrano fondati.
     a) Per stabilire se la disciplina in questione debba essere esclusa
 dall'area  del  referendum  abrogativo,  in  vista  del  secondo  comma
 dell'art. 75  Cost.,  non  occorre  che  la  Corte  analizzi  il  nesso
 riscontrabile  fra  le  cosiddette  leggi  finanziarie  e  le  leggi di
 bilancio. Effettivamente, ai sensi dell'art. 11 della  legge  5  agosto
 1978,  n. 468, la legge finanziaria puo' annualmente operare "modifiche
 ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio
 dello  Stato,  su  quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti
 che si ricollegano alla finanza statale", provvedendo  "a  tradurre  in
 atto  la  manovra  di bilancio per le entrate e le spese che si intende
 perseguire"; ed e' ben noto che la legge  stessa  e  la  corrispondente
 legge  di bilancio derivano da un comune processo decisionale, anche se
 mantengono una diversa natura e subiscono limiti  diversi  per  effetto
 dell'art. 81 della Costituzione. Senonche' nella soluzione dell'attuale
 problema,  risulta  comunque  decisiva la considerazione che i disposti
 compresi nella richiesta referendaria sono esorbitanti, sia formalmente
 che   sostanzialmente,   dall'ambito   proprio   delle   stesse   leggi
 finanziarie.
     Da  un  punto  di  vista formale, e' incontroverso che le misure di
 politica  economica  prefigurate  dal  decreto-legge  n.  10  e  quindi
 realizzate  dal  decreto  -  legge  n.  70  non sono state puntualmente
 preannunciate dalla legge  finanziaria  1984  (promulgata  sin  dal  27
 dicembre  1983),  ne' recepite dalla legge finanziaria 1985; tanto piu'
 che in  tali  atti  assume  un  qualche  rilievo  il  solo  trattamento
 economico  dei dipendenti pubblici, ad esclusione di quelli privati. Da
 un punto di vista sostanziale, poi,  le  disposizioni  investite  dalla
 richiesta  in  esame  non  riguardano  in modo specifico "la manovra di
 bilancio" ne' il fabbisogno della finanza pubblica, sia pure allargata;
 bensi'    hanno  di  mira  -  come  si  precisa  nelle   premesse   dei
 decreti-legge n. 10 e n. 70 del 1984 - "il contenimento dell'inflazione
 nei  limiti  medi  del  tasso  programmato  per l'anno 1984, al fine di
 favorire la  ripresa  economica  generale  e  mantenere  il  potere  di
 acquisto delle retribuzioni".  Cio' mostra come tali disposizioni siano
 completamente  estranee  alla  figura  della legge di bilancio in senso
 tecnico, quale e' desumibile dalle combinate previsioni degli artt.  75
 ed  81 Cost.. Ne' si puo' forzare il testo costituzionale fino al punto
 di affiancare alle leggi di bilancio  le  innumerevoli  leggi  comunque
 interessanti  il  bilancio medesimo:  poiche' una siffatta integrazione
 dell'art. 75 sarebbe "ovviamente  inammissibile  per  la  sua  evidente
 esorbitanza  dai  limiti  interpretativi  posti  da questa Corte con la
 citata sentenza n. 16/78" (come ha precisato  la  sentenza  n.  26  del
 1982, nel caso - per certi aspetti analogo - del referendum concernente
 l'esclusione   della   contingenza  dal  computo  delle  indennita'  di
 anzianita').
     b) Del pari, non ha pregio sul piano giuridico la tesi per  cui  la
 richiesta  in esame sarebbe incongruamente formulata, e dunque dovrebbe
 venir  dichiarata  inammissibile,  per  non  aver  coinvolto   l'intero
 complesso dei provvedimenti adottati con il decreto-legge n. 70. Queste
 misure   si  differenziano  profondamente,  infatti,  sia  per  i  loro
 contenuti sia per i soggetti che vi sono interessati;  sicche'  non  si
 riscontra,  nel presente caso, quella "contraddittorieta' ed incoerenza
 tra la proposta abrogativa di alcune norme e la prevista permanenza  di
 altre  nello  stesso  contesto normativo", in nome della quale la Corte
 dichiaro' inammissibili - mediante le sentenze nn. 27 e 29 del  1981  -
 le  richieste  referendarie  concernenti  la  disciplina della caccia e
 l'ordinamento della Guardia di finanza.
     In altre parole,  la  presenza  di  misure  atte  a  compensare  il
 sacrificio   economico  imposto  ai  lavoratori  dipendenti,  in  forza
 dell'art. 3 del decreto - legge n. 70, concorre  a  dimostrare  che  il
 legislatore  non  ha  violato  i criteri di ragionevolezza ed ha inteso
 perseguire   i  "fini  sociali",  di  cui  agli  artt.  3  e  41  della
 Costituzione (come si e' gia' ritenuto nel giudizio sulla  legittimita'
 costituzionale  del  "taglio"  della scala mobile); ma non rileva in un
 giudizio concernente l'ammissibilita' d'una richiesta referendaria, che
 obbedisce in maniera coerente ed  inequivoca  alla  scelta  liberamente
 adottata  dai  promotori  e  dai  sottoscrittori.  Ed  e' solo al corpo
 elettorale,  non  a  questa   Corte,   che   spetta   di   pronunciarsi
 sull'intrinseca bonta' della scelta stessa.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara  ammissibile  la  richiesta  di  referendum  popolare  per
 l'abrogazione parziale dell'articolo unico della legge 12 giugno  1984,
 n.  219  (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17
 aprile 1984, n. 70, concernente misure urgenti in materia  di  tariffe,
 di  prezzi amministrati e di indennita' di contingenza), iscritta al n.
 28 del reg. ref.,  nei  termini  indicati  in  epigrafe,  e  dichiarata
 legittima con ordinanza 7-12 dicembre 1984 dell'Ufficio centrale per il
 referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
     Cosi'    deciso  in  Roma, in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1985.
                                   F.to:  LEOPOLDO  ELIA   -   GUGLIELMO
                                   ROEHRSSEN  -  ORONZO REALE - BRUNETTO
                                   BUCCIARELLI    DUCCI    -     ALBERTO
                                   MALAGUGINI  - LIVIO PALADIN - ANTONIO
                                   LA  PERGOLA  -  VIRGILIO  ANDRIOLI  -
                                   GIUSEPPE  FERRARI  - FRANCESCO SAJA -
                                   GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO -  ALDO
                                   CORASANITI  -  GIUSEPPE  BORZELLINO -
                                   FRANCESCO GRECO.
                                   GIOVANNI VITALE - Cancelliere