CIRCOLARE 23 luglio 1993, n. 16
Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503. Modifiche degli ordinamenti delle soppresse Casse pensioni degli istituti di previdenza, a decorrere dal 1 gennaio 1993.(GU n.183 del 6-8-1993 - Suppl. Ordinario n. 69)
Vigente al: 6-8-1993
A tutti gli Enti con personale iscritto alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza Alla Direzione generale dei servizi periferici del Tesoro Alle prefetture della Repubblica Alla regione Valle d'Aosta Ai commissari di Governo delle regioni e delle provincie autonome di Trento e Bolzano Ai provveditorati agli studi Alle Corti di appello Alle direzioni provinciali del Tesoro Alle ragionierie provinciali dello Stato e, per conoscenza: Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica Al Ministero della sanita' Al Ministero del lavoro e della previdenza sociale Alla Corte dei conti - Segretariato generale Alle delegazioni regionale della Corte dei conti Ai comitati regionali di controllo Alla Ragioneria generale dello Stato Alla Ragionieria centrale presso gli istituti di previdenza All'Ufficio di riscontro della Corte dei conti presso gli Istituti di previdenza All'Istituto nazionale della previdenza sociale PARTE INTRODUTTIVA. Con l'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 il Governo e' stato delegato ad emanare uno o piu' decreti legislativi, per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti privati e pubblici, con lo scopo di stabilizzare al livello attuale il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo e di garantire trattamenti di quiescenza obbligatori omogenei (e non identici) nonche' di favorire la costituzione di forme di previdenza integrativa. Peraltro, la stessa legge-delega ha ribadito il principio del pluralismo previdenziale, nel senso che, pur prevedendo criteri tendenzialmente uniformi, con particolare riferimento al conseguimento del diritto anticipato alla pensione ed alle modalita' di calcolo della rendita vitalizia stessa, ha ritenuto che debbano continuare ad esistere distinti ed autonomi ordinamenti pensionistici che tengono conto delle peculiarita' che caratterizzano i dipendenti pubblici rispetto ai lavoratori privati. Il termine previsto per l'attuazione dei relativi principi e criteri direttivi e' stato fissato in novanta giorni, dalla data di entrata in vigore della legge n. 421/92, ad eccezione di quelli concernenti: l'anticipazione dei limiti di eta' pensionabile per i lavoratori occupati in attivita' particolarmente usuranti; l'omogeneizzazione (nei limiti compatibili con le specifiche peculiarita' e le particolari caratteristiche del rapporto di lavoro) dei distinti ordinamenti pensionistici per i lavoratori di nuova assunzione, privi di anzianita' assicurativa alla data del 31 dicembre 1992; la previsione di piu' elevati livelli di copertura previdenziali e la costituzione di forme di previdenza, su base volontaria, per la erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico; la razionalizzazione dei sistemi di accertamento del lavoro in agricolatura e di semplificazione delle agevolazioni contributive nonche' della riscossione dei contributi rafforzando le misure contro le evasioni e le elusioni contributive. Il termine per l'emanazione dei decreti legislativi di attuazione di quest'ultimi principi e criteri direttivi e' stato stabilito in 270 giorni. Tuttavia, per meglio calibrare una riforma cosi' sistematicamente unitaria e globale, con il comma 3 dell'art. 3 della legge delega in questione e' stata attribuita al Governo la facolta' di emanare, con uno o piu' decreti legislativi, fino al 31 dicembre 1993, sempre nel rispetto dei prestabiliti principi e criteri direttivi, eventuali disposizioni correttive di quelle contenute nei decreti legislativi gia' in vigore. Il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, pubblicato nel supplemento ordinario n. 137 alla Gazzetta Ufficiale n. 305 - serie generale - del 30 dicembre 1992 concerne, pertanto, la sola revisione della disciplina pensionistica dei lavoratori con anzianita' assicurativa gia' insorta alla data del 31 dicembre 1992; esso, salvo quanto diversamente previsto dalle singole norme, e' entrato in vigore a decorrere dal 1 gennaio 1993 ed e' articolato in tre titoli: il primo si rivolge essenzialmente agli iscritti dell'assicurazione generale obbligatoria; il titolo secondo regola i profili previdenziali delle forme sostitutive ed esclusive del regime generale obbligatorio e, pertanto, incide profondamente anche sulle normative riguardanti gli iscritti alle casse pensioni amministrate dalla Direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro; con il titolo terzo, che reca disposizioni di carattere generale e, quindi, anch'esse riferite alle Casse pensioni degli istituti di previdenza, si interviene in particolare sulla disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro, sulla perequazione automatica delle pensioni, sulle aliquote di rendimento e sul calcolo delle pensioni spettanti ai lavoratori che abbiano una posizione contributiva alla data del 31 dicembre 1992. In via preliminare, anche per il provvedimento legislativo in esame si deve rilevare (come gia' sottolineato, in relazione al decreto-legge n. 384/92 convertito con modificazioni nella legge n. 438/92, nella circolare 23 dicembre 1992, n. 13/I.P. pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 1 del 2 gennaio 1993) che la terminologia e la concettualita' giuridica di cui e' stato fatto uso riflettono prevalentemente la disciplina del regime generale obbligatorio dell'I.N.P.S., pur essendo state tenute presenti la peculiarita' delle altre gestioni previdenziali. E' necessario, quindi, ricercare negli ordinamenti delle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, gli omologhi concetti e le analoghe fattispecie regolati dalle nuove disposizioni. Pertanto, si avverte che nel decreto legislativo n. 503/92 e nel prosieguo della presente circolare: per "pensione di vecchiaia" deve intendersi il trattamento di quiescenza spettante a seguito di collocamento a riposo d'ufficio per il raggiungimento dei tassativi limiti massimi di eta' e/o di servizio previsti per la cessazione del rapporto di lavoro in base alla fonte normativa dei singoli enti datori di lavoro; la "pensione di anzianita'" indica, invece, il trattamento di quiescenza eventualmente spettante in tutti i casi di collocamento a riposo anticipato rispetto ai tassativi limiti di cui sopra, qualunque sia la causa di cessazione dal servizio (sia che essa avvenga, ad es., per dimissioni, per decadenza, per destituzione a seguito di procedimento disciplinare o per condanna penale, per soppressione di posto, per riduzione di organico, per termine del contratto di lavoro a tempo determinato, etc. ..), con le sole esclusioni, ovviamente, delle cessazioni per morte e per inabilita' "assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro" nonche' delle ipotesi eccezionalmente consentite di dispensa dal servizio per inabilita' alle mansioni; la "pensione di invalidita'" si intende riferita al trattamento di quiescenza eventualmente spettante nella suddetta ipotesi di dispensa dal servizio per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro", accertata con verbale di visita medico-collegiale, previamente effettuata presso le unita' sanitarie locali dalla competente commissione sanitaria. Al riguardo, giova rammentare il disposto dell'art. 13, comma uno, della legge 8 agosto 1991, n. 274, laddove e' prescritto che le domande di pensioni per le quali sia richiesto il requisito della inabilita', non derivante da causa di servizio, debbono essere corredate dal menzionato verbale di visita medico-collegiale, che esplicitamente attesti la sussistenza, o meno, della condizione di "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro". In relazione ai trattamenti per inabilita' ed alla citata disposizione si fa', altresi', rinvio alle istruzioni fornite da questa amministrazione con la circolare 15 novembre 1991, n. 9/I.P. (par. 4), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 273 del 21 novembre 1991. Per quanto concerne l'"anzianita' contributiva", si precisa, come gia' illustrato nella citata circolare n. 13/I.P. (par. 2), che in essa debbono essere ricompresi tutti i servizi e/o periodi utili a pensione. Nel calcolo dell'anzianita' contributiva, quindi, rientrano: a) i servizi effettivamente prestati con obbligo di iscrizione alle Casse pensioni degli istituti di previdenza; b) i servizi e/o periodi riscattabili o ricongiungibili; c) i periodi di servizio militare di leva, computabili, con onere a carico delle predette Casse pensioni, ai sensi dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 274, ove sussistano tutti i requisiti esposti al paragrafo due delle gia' richiamata circolare n. 9/I.P.; d) tutti quei servizi e/o periodi tutti a pensione, indicati al paragrafo G) della circolare n. 3295, emanata dal Servizio ispettivo degli istituti di previdenza in data 16 novembre 1992, concernente la procedura per la denuncia delle retribuzioni contributive e per la revisione dei contributi previdenziali mensili, relativi all'anno 1992; la locuzione "retribuzione pensionabile" (che nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria indica l'intero trattamento economico quiescibile, ivi compresa l'indennita' di contingenza o integrativa speciale), corrisponde, negli ordinamenti delle casse pensioni degli istituti di previdenza, all'omologo concetto di "retribuzione annua contributiva" che, com'e' noto, e' costituita dalla somma degli emolumenti quiescibili, tra i quali rientra pure l'indennita' integrativa speciale o di contingenza. Poste queste necessarie premesse, vengono adesso illustrate le profonde innovazioni introdotte nella materia pensionistica dal decreto legislativo n.503/92, fornendo al riguardo, le opportune istruzioni. La presente circolare e articolata in tre parti. Nella prima sara' trattata la nuova disciplina concernente i requisiti di eta' e/o di servizio prescritti per il conseguimento del diritto a pensione. Nella seconda parte verranno esaminate le modifiche relative alle modalita' di calcolo della misura del trattamento di quiescenza. Con la terza parte saranno prese in considerazione le altre disposizioni recate dal decreto legislativo in questione, con particolare riferimento alla novella disciplina sul cumulo tra pensioni e redditi da lavoro ed a quella sulla prosecuzione del servizio oltre i limiti di eta' previsti per il collocamento a riposo. 1. REQUISITI DI ETA' E/O DI SERVIZIO PER IL CONSEGUIMENTO DEL DIRITTO A PENSIONE. Gia' con la menzionata circolare n. 13/I.P. (paragrafo 1), questa amministrazione ha richiamato l'attenzione degli enti datori di lavoro e delle competenti direzioni provinciali del Tesoro sulle modifiche innovative che sarebbero state apportate agli ordinamenti delle casse pensioni degli istituti di previdenza dai decreti delegati, invitando, altresi', i predetti enti ed Uffici provinciali ad adottare le necessarie cautele del caso, con particolare riguardo all'anno 1993, al fine di evitare l'indebita corresponsione di trattamenti pensionistici eventualmente non spettanti, o spettanti in misura ridotta, in base alla novella disciplina. Peraltro, e' stato pure sottolineato il carattere estremamente restrittivo dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 384/92, convertito, con modificazioni, nella legge n. 438/92, in quanto tale disposizione non solo impedisce l'erogazione del trattamento di quiescenza ma, piu' radicalmente, stabilisce che e' sospeso, nel periodo indicato, il conseguimento dello stesso diritto a pensione. Nella citata circolare n. 13/I.P., inoltre, si e' messo in evidenza che lo stesso "diritto a pensione ed il connesso status di pensionato verrebbero, eventualmente, conseguiti solo successivamente, allorquando sara' consentito l'accesso a pensione e, pertanto, con riferimento a quest'ultima data ed in base alla disciplina che risultera' vigente alla data medesima, dovranno essere accertati i requisiti per il raggiungimento del diritto a pensione ed applicate le modalita' di calcolo per la determinazione della misura della pensione stessa". Al riguardo, e' opportuno rammentare che il diritto a pensione e', per sua natura, un diritto condizionato che si trasforma in diritto soggettivo perfetto solo quando il dipendente lo abbia effettivamente conseguito dopo il suo collocamento a riposo, anche perche il legislatore ben puo', come in effetti si e verificato, introdurre innovazioni normative che possono addirittura incidere sulla aspettativa del diritto stesso al trattamento di quiescenza non ancora acquisito. Occorre, tuttavia, osservare che il decreto legislativo n. 503/92, con apposite disposizioni che verranno esaminate, fa salve le norme del previgente ordinamento, concernenti i requisiti minimi di anzianita contributiva per il conseguimento del diritto a pensione, in favore di coloro che li abbiano gia maturati alla data del 31 dicembre 1992. Si deve inoltre sottolineare che, non rinvenendosi alcuna norma contraria nel decreto legislativo in esame, restano tuttora validi i requisiti minimi di anzianita' contributiva (anni 14, mesi 6 e giorni 1), gia' richiesti dalla previgente normativa per acquisire il diritto alla pensione indiretta ed al trattamento di quiescenza nei casi di dispensa dal servizio per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro". 1.1. Requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia. La fattispecie che viene ora presa in considerazione concerne l'ipotesi del collocamento a riposo d'ufficio per il raggiungimento dei tassativi limiti massimi di eta' e/o di servizio stabiliti per la cessazione del rapporto di lavoro dalla fonte normativa dei singoli Enti di appartenenza del personale interessato. Si illustrano, qui di seguito, i nuovi requisiti di eta' e di servizio congiuntamente richiesti, nei predetti casi, ai fini del conseguimento del diritto al trattamento di quiescenza. Per quanto riguarda l'eta', l'art. 5 del decreto legislativo n. 503/92, testualmente dispone ai commi 1 e 4: "1. Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria trova applicazione quanto disposto dall'art. 1, fermi restando, se piu' elevati, i limiti di eta' per il pensionamento di vecchiaia vigenti alla data del 31 dicembre 1992 e quelli per il collocamento a riposo d'ufficio per raggiunti limiti di eta' previsto dai singoli ordinamenti nel pubblico impiego". ................................ "4. In fase di prima applicazione, per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale che prevedono, in base alle rispettive normative vigenti alla data dei 31 dicembre 1992, requisiti di eta' inferiori a quelli di cui al comma 1, l'elevazione dell'eta medesima ha luogo in ragione di un anno per ogni due anni a decorrere dal 1 gennaio 1994 ....". Il richiamato art. 1 del decreto legislativo in questione, al comma 1 stabilisce: "1. Il diritto alla pensione di vecchiaia .. .. e' subordinato al compimento dell'eta indicata, per ciascun periodo, nella tabella A allegata" Con la suddetta tabella A, i preesistenti limiti di eta' per il diritto alla pensione di vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, stabiliti dalla previgente normativa in anni 60 per gli uomini e 55 per le donne, vengono elevati, a decorrere dal 1 gennaio 1994, rispettivamente ad anni 61 e 56 ed aumentati poi gradualmente in ragione di un anno per ogni due, fino a raggiungere, dal 1 gennaio 2002, i nuovi limiti fissati a regime, pari ad anni 65 per gli uomini e 60 per le donne. Come e' noto, pero', gli ordinamenti delle casse pensioni degl istituti di previdenza, a differenza di quanto previsto dalla disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria, non contengono una disposizione che stabilisca una determinata eta' per la pensione di vecchiaia rinviando, a tal fine, ai limiti massimi di eta' prescritti per il collocamento a riposo d'ufficio, dalla fonte normativa dei singoli enti datori di lavoro. Si deve, peraltro, osservare che nell'ambito del pubblico impiego, di regola, i vari ordinamenti non operano (come, invece, avviene nel regime generale obbligatorio) alcuna distinzione fra uomini e donne nel prevedere il limite di eta' per il diritto alla pensione di vecchiaia; detto limite, per lo piu', e' stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno per i pubblici dipendenti. Per questi ultimi, semmai, la differenza fra uomini e donne assumeva rilievo, prima delle attuali innovazioni legislative, in relazione al beneficio che era concesso alle donne coniugate o con prole a carico, di conseguire il diritto alla pensione anticipata di anzianita' con un servizio utile inferiore di cinque anni rispetto a quello prescritto per gli uomini. Tuttavia, poiche' le casse pensioni amministrate costituiscono una forma di previdenza esclusiva dell'assicurazione generale obbligatoria, la normativa sopra riportata, nei particolari casi di seguito illustrati, si impone anche nei confronti degli iscritti alle casse pensioni medesime. In base a tale normativa, quindi, per determinare quali siano i requisiti di eta richiesti per il diritto alla pensione di vecchiaia per ciascun anno, a decorrere dal 1 gennaio 1994, occorre, innanzitutto, operare la distinzione fra uomini e donne, in quanto potra' verificarsi che non vi sia un unico limite di eta' che valga per entrambi. Inoltre, e' necessario tenere presenti i tassativi limiti massimi di eta' prescritti per il collocamento a riposo d'ufficio dagli ordinamenti dei singoli Enti datori di lavoro, vigenti alla data del 31 dicembre 1992, e metterli a raffronto con l'eta' prevista dalla menzionata tabella A, rispettivamente per gli uomini e le donne, in corrispondenza di ciascuno degli anni ivi indicati. Nel caso che i predetti limiti di eta', in vigore al 31 dicembre 1992, distintamente considerati per gli uomini e le donne, risultino superiori od anche uguali a quelli indicati nella tabella A in corrispondenza dell'anno di riferimento, tali limiti, stabiliti dalla fonte normativa propria degli enti di appartenenza, continuano ad essere validi pure ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia. Qualora, invece, gli anzidetti limiti di eta' vigenti al 31 dicembre 1992 siano inferiori a quelli previsti per il 1994 dalla tabella A (anni 61 per gli uomini e 56 per le donne), trova applicazione il disposto del citato art. 5, comma 4, per cui i medesimi piu' bassi limiti (che potranno, eventualmente, riguardare sia gli uomini che le donne od anche solo gli uni o le altre) devono essere elevati di un anno ogni due anni, a decorrere dal 1 gennaio 1994, fino a raggiungere i nuovi requisiti di eta' fissati a regime in anni 65 per gli uomimi e 60 per le donne. Nel caso, infine, che i limiti massimi di eta' in vigore al 31 dicembre 1992 risultino solo inizialmente superiori a quelli indicati nella tabella A, diventando, nel corso del tempo, inferiori a questi ultimi a causa del graduale aumento previsto, i limiti di cui sopra, a decorrere dall'anno in cui cio' si verifichi, dovranno essere allineati ai livelli piu' alti stabiliti nella predetta tabella A, per essere poi elevati con la medesima dinamica della tabella stessa. Peraltro, la novella disciplina sui requisiti di eta' per il diritto alla pensione di vecchiaia, sopra trattati, prevede talune ipotesi di deroga sancite dall'art. 1 del decreto legislativo in esame che, al riguardo, dispone ai commi 6 ed 8: "6. Sono confermati i requisiti per la pensione di vecchiaia in vigore alla data del 31 dicembre 1992 per i lavoratori non vedenti". ................................ "8. L'elevazione dei limiti di eta' di cui al comma 1, non si applica agli invalidi in misura non inferiore all'80 per cento". Per quanto concerne i lavoratori non vedenti iscritti alle casse pensionistiche degli istituti di previdenza, si deve mettere in evidenza che, in base alla disposizione di cui al citato comma 6, rimangono, quindi, tuttora validi in ogni caso i tassativi limiti massimi di eta', in vigore al 31 dicembre 1992, stabiliti per il collocamento a riposo d'ufficio dalla fonte normativa dei singoli Enti datori di lavoro, conseguentemente, nell'ipotesi che tali limiti siano inferiori a quelli indicati nella piu' volte menzionata tabella A, rispettivamente per gli uomini e le donne, i medesimi piu' bassi di eta' vigenti al 31 dicembre 1992 restano confermati con riguardo ai soli dipendenti non vedenti, mentre dovranno essere elevati per tutto il restante personale dell'ente di appartenenza, secondo quanto prima esposto. In relazione poi al disposto del comma 8 soprariportato, si deve preliminarmente rilevare che gli "invalidi in misura non inferiore all'80 per cento" (ai quali non si applicano i nuovi requisiti di eta' per la pensione di vecchiaia) corrispondono, nell'ambito degli ordinamenti delle casse pensioni degli Istituti di previdenza, a coloro che sono dispensati dal servizio per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro". Nelle predette fattispecie (che sono state gia' trattate nella presente circolare al precedente par. 1), gli ordinamenti delle casse pensioni degli istituti di previdenza non richiedono alcun requisito d'eta' per il conseguimento del diritto a pensione, essendo a tal fine sufficiente, si ribadisce, un'anzianita' contributiva minima di 14 anni, 6 mesi e 1 giorno; e' di tutta evidenza, quindi, che la deroga in questione vale soltanto nell'ambito del regime della assicurazione generale obbligatoria, non trovando di norma alcuna applicazione nei confronti degli iscritti alle casse pensioni medesime dispensati dal servizio per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro". In conclusione, per quanto concerne i requisiti di eta', congiuntamente richiesti con quelli di servizio per il diritto alla pensione di vecchiaia, si ritiene opportuno sottolineare che i tassativi limiti massimi di eta' vigenti al 31 diucembre 1992, stabiliti dalla fonte normativa degli enti datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio, continueranno ad essere validi qualora distintamente considerati per gli uomini e le donne, risultino superiori o uguali od anche, limitatamente ai non vedenti, inferiori a quelli indicati nella piu' volte richiamata tabella A rispettivamente per gli uomini e le donne; invece, per tutto il restante personale ad esclusione dei non vedenti, gli anzidetti limiti d'eta' in vigore al 31 dicembre 1992, se inferiori dovranno essere ope legis gradualmente elevati in ragione di 1 anno per ogni due anni, fino a raggiungere i nuovi limiti di eta' fissati a regime in anni 65 per gli uomini e 60 per le donne. Vengono, adesso, presi in considerazione i nuovi requisiti di servizio utile, pure necessari per il diritto alla pensione di vecchiaia. Al riguardo, l'art. 6, comma 1, del decreto legislativo in esame, stabilisce: "1. Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale obbligatorio, si applicano i criteri di cui all'art. 2 del presente decreto, fermi restando i requisiti assicurativi e contributivi previsti dai rispettivi ordinamenti, se piu' elevati". L'art. 2, richiamato nella citata norma, testualmente recita: "1. .... il diritto alla pensione di vecchiaia e' riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione ...". "2. In fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata". "3. In deroga ai commi 1 e 2: a) continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei soggetti che li abbiano maturati alla data del 31 dicembre 1992 .. .. ................................ c) nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianita' assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all'eta' per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa". Dalle citate disposizioni e' agevole rilevare che i requisiti di anzianita' contributiva prescritti per il diritto alla pensione di vecchiaia, sono stati anch'essi resi congrui con gli scopi della legge delega. Ed invero, per acquisire tale diritto, la norma contenuta nel richiamato comma 1 dell'art. 2, stabilisce che siano congiuntamente sussistenti due condizioni, concernenti l'una il periodo intercorso dall'inizio dell'assicurazione (che deve essere di almeno venti anni) e l'altra il requisito minimo contributivo (pure di anni venti). Si deve, pero', osservare che per le forme di previdenza esclusive del regime generale obbligatorio, come le casse pensioni degli Istituti di previdenza, l'art. 6, comma uno, sopra citato, sancisce che si applicano i "criteri" di cui all'art. 2; pertanto, poiche' il rinvio operato non si riferisce alle testuali disposizioni del medesimo art. 2, le stesse non vanno applicate in modo pedissequo, proprio in relazione alle peculiarieta' dei regimi pensionistici diversi dall'assicurazione generale obbligatoria. Per quanto concerne gli iscritti alle predette casse pensioni, va messo in evidenza che nell'"anzianita' contributiva" gia' rientrano, come precisato nella parte introduttiva della presente circolare, tutti i servizi e/o periodi utili a pensione specificati ivi compresi, in particolare, quelli riscattabili, ricongiungibili o, comunque, computabili, conseguentemente, la distinzione che la disposizione in esame pone, tra requisiti assicurativi e contributivi, stante la loro sostanziale coincidenza secondo la normativa delle casse pensioni degli istituti di previdenza, e' da ritenere ininfluente e si dovra', quindi, aver riguardo soltanto all'anzianita' contributiva come prima definita. Premesso cio', e' opportuno rammentare che gli ordinamenti delle casse pensioni amministrate prevedono che il diritto alla pensione di vecchiaia venga maturato, all'eta' stabilita per il collocamento a riposo d'ufficio, dopo 15 anni di servizio utile, rectius 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno. Orbene, essendo i predetti 15 anni di servizio inferiori a quelli ora sanciti dalla novella disciplina per la pensione di vecchiaia, e' di tutta evidenza che nei confronti degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza non trova applicazione la norma (contenuta nell'ultima parte del comma 1 del richiamato art. 6) che fa salvi i piu' elevati requisiti assicurativi e contributivi previsti dalle forme di previdenza sostitutive ed esclusive del re- gime generale obbligatorio. Cio' posto, si deve tenere presente che, in base alla tabella B dell'art. 2 sopra citato, i nuovi requisiti di anzianita' contributiva, richiesti per il diritto alla pensione di vecchiaia, a decorrere dal 1 gennaio 1993, sono pari ad almeno 16 anni e vengono gradualmente aumentati in ragione di un anno per ogni due anni, fino a raggiungere, dal 1 gennaio 2001, gli anni prescritti a regime che debbono essere non inferiori a 20. Peraltro, si deve sottolineare che i piu' elevati requisiti di anzianita' contributiva di cui sopra non trovano applicazione in alcune ipotesi di deroga, poste a tutela di particolari fattispecie che sono state ritenute meritevoli di favorevole considerazione, mantenendo per esse i requisiti di servizio stabiliti dalla previgente normativa. Al riguardo, per quanto concerne gli iscritti alle pensioni degli istituti di previdenza, si dovra' continuare ad applicare il requisito minimo di 15 anni di servizio utile, prescritto dagli ordinamenti delle casse medesime, nei seguenti due casi. Il primo interessa quei dipendenti che alla data del 31 dicembre 1992 possono vantare un'anzianita' contributiva che sia pari almeno ai suddetti 15 anni; in questa fattispecie, con la citata disposizione di cui all'art. 2, comma 3, lett. a), si e' voluta far salva l'aspettativa al diritto alla pensione di vecchiaia, gia' insorta negli interessati in base alle disposizioni in vigore precedentemente alla novella disciplina, all'atto del collocamento a riposo d'ufficio per raggiunti limiti massimi d'eta'. Il secondo caso riguarda, invece, gli iscritti in possesso, al 31 dicembre 1992, di un'anzianita' contributiva tale che, incrementata dell'ulteriore intero periodo intercorrente tra la predetta data del 31 dicembre 1992 e quella successiva di raggiungimento del limite massimo d'eta', non sia superiore (e neppure inferiore) a 15 anni. Nell'ipotesi sopra esposta, la norma di garanzia contenuta nella lettera c) del menzionato art. 2, comma 3, permette di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia purche', alla data del collocamento a riposo d'ufficio, venga appunto maturato il previgente requisito di servizio di anni 15. Una terza fattispecie di deroga concerne gli iscritti che, al 31 dicembre 1992, abbiano un'anzianita' contributiva tale che, aumentata dell'ulteriore intero periodo intercorrente tra il 31 dicembre 1992 e la successiva data di raggiungimento del limite massimo d'eta', risulti superiore a 15 anni ma inferiore ai nuovi requisiti di servizio stabiliti, per ciascun anno, dalla Tabella B. In quest'ultimo caso, secondo la medesima norma di garanzia di cui alla lettera c) del citato art. 2, comma 3, i limiti di servizio per il diritto alla pensione di vecchiaia debbono essere "corrispondentemente ridotti" e saranno pari, quindi, agli anni di servizio che ciascun interessato potra' al massimo raggiungere sommando l'anzianita' contributiva posseduta al 31 dicembre 1992 e l'ulteriore intero periodo, considerato continuativamente, sino alla data del collocamento a riposo d'ufficio. E' necessario sottolineare che, nell'ipotesi in esame, il diritto alla pensione di vecchiaia non verrebbe acquisito qualora si verificassero interruzioni del servizio prestato dopo il 31 dicembre 1992 e non sussistessero altri periodi e/o servizi comunque utili a pensione, cosi' da non maturare il suddetto requisito minimo di servizio. Per ultimo, e' opportuno richiamare l'attenzione sul disposto dell'art. 1, comma 7, del decreto legislativo n. 503/92, secondo il quale il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia e' subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro. In merito; si puo' osservare che detta norma e' stata dettata con riferimento al regime dell'assicurazione generale obbligatoria la cui disciplina prevedeva l'erogazione del trattamento pensionistico di vecchiaia, all'eta' stabilita, anche se gli interessati continuavano a prestare attivita' lavorativa, disponendo, in tal caso, le conseguenti limitazioni economiche. Per quanto riguarda gli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, si deve mettere in evidenza che negli ordinamenti delle predette Casse, la cessazione dal servizio e gia' prescritta quale condizione generale necessaria per acquisire il diritto a pensione, congiuntamente, e' ovvio, con gli altri requisiti di servizio e di eta' richiesti; per le categorie che qui interessano, pertanto, la norma di cui si discute non ha alcuna portata innovativa. In conclusione, si ritiene utile fornire un prospetto riepilogativo dei requisiti di eta' e di servizio congiuntamente richiesti, ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, in base alle piu' volte menzionate tabelle A e B. Con riferimento ai requisiti d'eta', e' necessario pero' tenere ben presente, innanzitutto, che, come gia' illustrato, i tassativi limiti massimi di eta' vigenti al 31 dicembre 1992, stabiliti dalla fonte normativa degli enti datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio, restano ancora validi nel caso che, distintamente considerati per gli uomini e le donne, siano superiori o uguali od anche, limitatamente ai non vedenti, inferiori a quelli indicati nella tabella A, rispettivamente per gli uomini e le donne; si rammenta, altresi' che per tutto il restante personale ad esclusione dei non vedenti, i suddetti limiti d'eta' in vigore al 31 dicembre 1992, se inferiori dovranno essere gradualmente elevati con le modalita' descritte. Per quanto concerne, poi, i requisiti di anzianita' contributiva si ribadisce che nelle prime due ipotesi di deroga descritte (la prima relativa ai lavoratori che, alla data del 31 dicembre 1992, possono vantare un servizio utile che sia pari almeno a 15 anni; l'altra in favore degli iscritti che maturerebbero appena tale anzianita' alla successiva data di raggiungimento del limite massimo d'eta' per il collocamento a riposo d'ufficio) resta fermo il requisito minimo di servizio utile di anni 15, stabilito dalla previgente normativa; invece, nella terza ipotesi di deroga trattata (iscritti che maturerebbero un'anzianita' contributiva superiore a 15 anni ma inferiore ai nuovi requisiti di servizio per il diritto alla pensione di vecchiaia) i nuovi limiti di servizio si otterranno, come illustrato, sommando l'anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992 e l'ulteriore intero periodo sino alla data del collocamento a riposo d'ufficio. In tutti gli altri casi che non rientrino nelle predette fattispecie, valgono i requisiti d'eta' e di servizio indicati nel seguente prospetto: _____________________________________________________________________ Anno | | Requisiti di | E T A' | di anzianita' riferimento |__________________________________| contributiva | Uomini | Donne | ________________|_________________|________________|_________________ | | | | Limiti | Limiti | 1993 | vigenti al | vigenti al | 16 | 31-12-1992 | 31-12-1992 | 1994 | 61 | 56 | 16 1995 | 61 | 56 | 17 1996 | 62 | 57 | 17 1997 | 62 | 57 | 18 1998 | 63 | 58 | 18 1999 | 63 | 58 | 19 2000 | 64 | 59 | 19 2001 | 64 | 59 | 20 dal 2002 in poi | 65 | 60 | 20 | | | 1.2. Requisiti per il diritto alla pensione di anzianita'. Vengono adesso presi in considerazione i casi di collocamento a riposo anticipato rispetto ai tassativi limiti massimi di eta' e/o di servizio previsti, per la cessazione del rapporto di lavoro, dalla fonte normativa dei singoli enti di appartenenza; si ribadisce che, qualunque sia la causa di cessazione dal servizio che abbia determinato il pensionamento anticipato (dimissioni, decadenza, destituzione a seguito di procedimento disciplinare o per condanna penale, licenziamento per soppressione di posto o riduzione d'organico, termine del contratto di lavoro a tempo determinato, ecc ..) si trattera' sempre di "pensione di anzianita'", con le sole esclusioni, ovviamente, delle cessazioni per morte, per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro" e, nei casi previsti dalla normativa in vigore, per inabilita' alle mansioni. Com'e' noto, secondo gli ordinamenti delle casse pensioni degli istituti di previdenza - cfr. art. 7 lettera c), della legge 11 aprile 1955 n. 379 ed art. 18 della legge 26 luglio 1965, n. 965 - il diritto alla pensione d'anzianita' viene conseguito a qualunque eta' con 25 anni di servizio utile (rectius, 24 anni 6 mesi ed 1 giorno) ovvero, nel caso della dipendente coniugata o con prole a carico, con 20 anni di servizio utile (rectius, 19 anni 6 mesi ed 1 giorno). Si rammenta che la cessazione dal servizio e' sempre condizione indispensabile per acquisire il diritto alla pensione, anche quando a tal fine si prescinde dal requisito dell'eta' maturata alla data del collocamento a riposo (come nelle fattispecie sopra prospettate). Il requisito d'eta' e, invece, necessario, unitamente al servizio utile, nell'altra ipotesi di cui alla lettera a) del citato art. 7 secondo cui cessando dal servizio in eta' non inferiore a 60 anni si consegue il diritto alla pensione anticipata con un'anzianita' contributiva di 15 anni (rectius 14 anni 6 mesi ed 1 giorno). E' bene sottolineare che, in quest'ultima fattispecie, il limite di eta' in questione deve essere stato gia' raggiunto alla data di cessazione dal servizio congiuntamente alla prescritta anzianita' contributiva. Conseguentemente, e' utile precisare che, qualora, invece, i 60 anni d'eta' non siano maturati al momento del collocamento a riposo, il diritto alla pensione d'anzianita, in base alla normativa delle casse pensioni amministrate ed a differenza di quanto stabilito dall'ordinamento del regime generale obbligatorio, non verrebbe acquisito neppure al compimento successivo di tale eta'. Peraltro, si deve mettere in evidenza che gli iscritti alle predette Casse pensioni cessati dal servizio con i necessari requisiti per il diritto alla pensione, conseguono immediatamente il godimento della pensione stessa sin dalla data del collocamento a riposo, fatta salva la disciplina sulla sospensione ed il contingentamento dei pensionamenti anticipati di cui al decreto-legge n. 384/92 convertito con modificazioni nella legge n. 438/92, nonche' quella sul divieto di cumulo novellata dall'art. 10 del decreto legislativo n. 503 del 1992. Sempre per quanto concerne il requisito d'eta' di 60 anni, richiesto unitamente all'anzianita contributiva di 15 anni, occorre rilevare che se detto limite d'eta e' tassativamente prescritto dagli ordinamenti degli Enti datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio, evidentemente, alla cessazione dal servizio per il raggiungimento del sessantesimo anno, non potra' che aversi una "pensione di vecchiaia"; al riguardo, si rinvia alle indicazioni fornite nel precedente paragrafo della presente circolare in merito a detti trattamenti pensionistici. Precisato quanto sopra, si deve osservare che il disposto del richiamato art. 7, lettera a), viene qui preso in considerazione con riguardo soltanto alle "pensioni di anzianita'", limitatamente, cioe', ai casi in cui il requisito di 60 anni sia inferiore ai tassativi limiti massimi di eta' fissati dalla fonte normativa dei singoli enti datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio e la cessazione dal servizio avvenga, con 60 anni di eta', anticipatamente rispetto ai suddetti limiti massimi tassativi. In relazione alle "pensioni d'anzianita'" che sono ora trattate, nel quadro normativo sopra cennato si innesta la novella disciplina recata dall'art 8 del decreto legislativo n. 503 del 1992, che testualmente recita: "1. Per i soggetti che alla data del 31 dicembre 1992 hanno maturato i requisiti contributivi o di servizio prescritti per la pensione anticipata di anzianita' rispetto all'eta' per il pensionamento di vecchiaia, ovvero per il collocamento a riposo d'ufficio a carico delle forme di previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale, restano ferme le norme previste dai rispettivi ordinamenti". "2. Il pensionamento di cui al comma 1 non puo' comunque essere richiesto prima del raggiungimento del 35 anno di anzianita' contributiva per coloro che alla data del 1 gennaio 1993 abbiano maturato un'anzianita' contributiva e di servizio non superiore ad otto anni". "3. Negli altri casi, il periodo mancante per acquisire i requisiti per il pensionamento di cui al comma 1, e' determinato applicando al numero degli anni mancanti secondo la disciplina dei singoli ordinamenti i coefficienti di moltiplicazione di cui alla tabella C allegata". Con la citata disposizione il legislatore ha dettato una normativa equilibrata per regolare il transito dalla precedente disciplina concernente il conseguimento del diritto alla pensione di anzianita' al nuovo regime di dette pensioni omogeneo a quello vigente nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria. Infatti, per le posizioni giuridiche pregresse e' stato adottato un criterio ben calibrato in relazione all'anzianita' contributiva posseduta dagli interessati al 31 dicembre 1992, privilegiando quelle situazioni in cui alla predetta data sia stato gia' raggiunto il servizio utile minimo prima richiesto per acquisire il diritto alla pensione di anzianita', diritto che in tale fattispecie si e' voluto fare salvo. Invece, non si e' ritenuto di dover tutelare in particolar modo coloro che al 1 gennaio 1993 abbiano maturato un'anzianita' contributiva non superiore ad otto anni, disponendo che, in questo caso, debba senz'altro trovare applicazione, per conseguire il diritto alla pensione di anzianita', il requisito minimo di 35 anni di servizio utile, pari a quello necessario nel regime generale obbligatorio. Nei confronti, poi, degli assicurati con un'anzianita' contributiva al 31 dicembre l992 superiore ad otto anni, ma inferiore a quella che consentiva loro di maturare il diritto alla pensione anticipata, il conseguimento di tale diritto e' stato reso piu' gravoso elevando proporzionalmente, tramite appositi coefficienti di moltiplicazione, il periodo mancante a tale fine, secondo la previgente disciplina, alla data del 31 dicembre 1992. In merito a quanto sopra esposto, si deve peraltro sottolineare che il citato comma 1 dell'art. 8, allorquando dispone che, per i casi ivi contemplati, "restano ferme le norme previste dai rispettivi ordinamenti", si riferisce esclusivamente alla preesistente normativa relativa ai requisiti contributivi o di servizio prescritti per il conseguimento del diritto alla pensione di anzianita', in quanto solo tali requisiti sono menzionati nella prima parte dello stesso comma 1 e, d'altronde, i criteri di calcolo per la liquidazione dei trattamenti di quiescenza sono stati ora modificati dalla apposita disposizione innovativa di carattere generale, contenuta nell'art. 13 del decreto legislativo n. 503; questa ultima norma, pertanto, dovra' trovare applicazione anche per la determinazione delle pensioni di anzianita di coloro che possono avvalersi, per quanto riguarda il conseguimento del diritto a pensione, del favorevole disposto del richiamato art. 8, comma 1, secondo cui i diritti acquisiti al 31 dicembre 1992 vengono salvaguardati. Pertanto, coloro che al 31 dicembre 1992 abbiano gia' compiuto 60 anni di eta' e 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno di servizio utile, ovvero, a prescindere dalla eta' abbiano gia' raggiunto alla stessa data un'anzianita' contributiva di 24 anni, 6 mesi ed 1 giorno, manterranno sempre il diritto a pensione d'anzianita'. Va considerata a parte l'ipotesi della dipendente coniugata o con prole a carico al 31 dicembre 1992 che, a tale data, abbia 19 anni, 6 mesi ed 1 giorno di servizio utile e che, percio', secondo la previgente normativa, avrebbe gia maturato i requisiti per il diritto a pensione. Al riguardo, occorre tuttavia precisare che in tale fattispecie l'iscritta, per potersi avvalere della favorevole previsione di cui al comma 1 dell'art. 8, dovra' mantenere lo status di coniugata od avere prole a carico non solo alla medesima data del 31 dicembre 1992 ma anche a quella successiva di cessazione dal servizio. Ed invero, si rammenta che l'art. 18 della legge n. 965 del 1965 prevedeva che il diritto alla pensione anticipata con 20 anni di servizio utile (rectius: 19 anni, 6 mesi ed 1 giorno) venisse conseguito dalla dipendente coniugata o con prole a carico che fosse tale alla data del collocamento a riposo; orbene, dal combinato disposto del menzionato art. 18 legge n. 965/65 e del citato art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 503, risulta di tutta evidenza che la predetta condizione, nel caso in esame, deve sussistere sia al 31 dicembre 1992 sia alla data di effettiva cessazione dal servizio. In opposta ipotesi, qualora a quest'ultima data l'iscritta non fosse piu' coniugata (ad es., perche' nel frattempo divorziata senza essersi risposata, o per decesso del marito) ovvero, non rivestendo lo status di coniugata, non avesse piu prole a carico (ad es., per il raggiungimento del ventunesimo anno da parte dei figli), non sarebbe piu' applicabile la disposizione del piu volte citato comma 1 dell'art. 8, bensi' quella contenuta nel comma 3 dello stesso art. 8, utilizzando il coefficiente di moltiplicazione di cui alla tabella C, ivi menzionata, corrispondente alla previgente anzianita' contributiva di 25 anni, che era prescritta in linea generale per il diritto alla pensione anticipata a prescindere da qualsiasi altro requisito. Il legislatore in tal modo da un lato ha salvaguardato i diritti acquisiti al 31 dicembre 1992, dall'altro ha invece ritenuto del tutto irrilevante, ai fini del passaggio alla nuova disciplina per il conseguimento del diritto alla pensione anticipata, un'anzianita' contributiva non superiore ad otto anni e, quindi, al comma 2 dell'art. 8, ha stabilito che in nessun caso potranno acquisire il diritto alla pensione anticipata prima di aver raggiunto 35 anni di servizio utile, coloro che al 1 gennaio 1993 abbiano maturato soltanto otto anni, o meno, di anzianita' contributiva; ovviamente, nella, probabile ipotesi che vengano prima raggiunti i tassativi limiti massimi di eta' e/o di servizio prescritti per il collocamento a riposo d'ufficio dagli ordinamenti dei singoli enti datori di lavoro, e' fatto salvo il diritto alla pensione di vecchiaia, ove ne sussistano i necessari requisiti. La norma in questione appare chiaramente intelligibile e non da' luogo a dubbi di sorta; e' pero' importante precisare gli effetti della disposizione stessa che e' posta in modo imperativo (laddove, in particolare, recita: " .. non puo' comunque essere richiesto ..") e non ammette eccezione alcuna. Va messo in evidenza, pertanto, che il tassativo disposto del citato comma due travolge anche l'eventuale condizione soggettiva dell'iscritto che al 31 dicembre 1992 abbia compiuto i 60 anni di eta' o della dipendente che a tale data risulti coniugata o con prole a carico, qualora gli stessi alla data del 1 gennaio 1993 non avessero gia' raggiunto un servizio utile superiore ad otto anni. In tal caso, gli interessati non potrebbero "comunque" sottrarsi alla disposizione in esame - che considera l'oggettiva, mancanza della suindicata anzianita' contributiva assolutamente prevalente su qualsiasi altra condizione personale - e verrebbero senz'altro assoggettati alla nuova disciplina, identica a quella vigente per l'assicurazione generale obbligatoria, che prevede il requisito minimo di 35 anni di servizio utile per acquisire il diritto alla pensione anticipata. Le fattispecie sopra trattate, riguardate dai commi 1 e 2 dell'art. 8 del decreto legislativo n. 503, concernono le due estreme ipotesi: da una parte, coloro che mantengono il diritto alla pensione d'anzianita' in base ai previgenti requisiti per averli gia' maturati al 31 dicembre 1992 (con le precisazioni sopra fornite in relazione al caso della donna coniugata o con prole a carico), dall'altra, coloro che al 1 gennaio 1993 erano in possesso di un servizio utile ritenuto talmente irrilevante da essere subito assoggettati alla disciplina prevista nel regime generale obbligatorio per il conseguimento del diritto alla pensione anticipata. L'ipotesi intermedia e' regolata dal comma 3 dello stesso art. 8 che detta i criteri per determinare quale sia il periodo di anzianita' contributiva mancante - per acquisire il predetto diritto - a coloro che alla data del 31 dicembre 1992 abbiano raggiunto un servizio utile superiore ad otto anni ma inferiore a quello prescritto dalla preesistente normativa per maturare il diritto alla pensione anticipata, nelle diverse fattispecie. Ai fini anzidetti il citato comma 3 fa riferimento ai coefficienti di moltiplicazione di cui alla tabella C allegata al provvedimento legislativo, dei quali vanno ovviamente utilizzati soltanto quelli corrispondenti alle anzianita' contributiva di 15, 20 o 25 anni, in relazione ai vari casi di pensione anticipata. Infatti, per coloro che al 31 dicembre 1992 abbiano compiuto 60 anni di eta' e maturato un servizio utile superiore ad otto anni ma inferiore a 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno, si dovra applicare il coefficiente 3,8571, corrispondente all'anzianita' contributiva di 15 anni prima richiesta per la pensione anticipata con 60 anni d'eta'. Nel caso della donna coniugata o con prole a carico al 31 dicembre 1992 che a tale data abbia raggiunto un serizio utile superiore ad otto anni ma inferiore a 19 anni, 6 mesi ed 1 giorno e che mantenga lo status di coniugata o abbia prole a carico anche alla data di cessazione dal servizio, trovera' applicazione il coefficiente 2,2500 relativo all'anzianita' contributiva di 20 anni che era prescritta per tale fattispecie. In tutte le altre ipotesi di pensionamento anticipato - per coloro, cioe', che al 31 dicembre 1992 non abbiano compiuto 60 anni d'eta' ovvero per la dipendente che alla predetta data non sia coniugata o con prole a carico, anche se tali requisiti soggettivi vengano acquisiti successivamente - qualora gli interessati, abbiano maturato alla medesima data del 31 dicembre 1992 un servizio utile superiore ad otto anni ma inferiore a 24 anni, 6 mesi ed 1 giorno, si dovra' utilizzare il coefficiente 1,5882 corrispondente all'anzianita' di 25 anni prescritta dalla previgente normativa per la pensione anticipata. In base al comma tre dell'art. 8 in esame, per stabilire quale sia, nelle suddette fattispecie, il periodo mancante per conseguire il diritto alla pensione di anzianita' secondo la novella disciplina, si dovra' operare nel modo seguente: 1) innanzitutto, posto che la norma di cui trattasi stabilisce esplicitamente che i menzionati coefficienti di cui alla tabella C vanno applicati" .. al numero degli anni mancanti .." sara' necessario prendere in considerazione l'anzianita' contributiva maturata dagli iscritti alla data del 31 dicembre 1992 ed arrotondare ad anni interi tale anzianita' secondo i previgenti criteri stabiliti dagli ordinamenti delle Casse pensioni degli Istituti di previdenza; 2) in base alla predetta anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992, come sopra arrotondata, si determinera' il numero degli anni (sempre interi) mancanti per raggiungere 15, 20 o 25 anni di servizio utile, rispettivamente richiesti dalla preesistente normativa nelle diverse ipotesi di "pensione di anzianita'" prima esaminate; 3) per ottenere il "periodo mancante" bastera' semplicemente moltiplicare il numero degli anni interi, cosi' determinato, per il coefficiente di cui alla menzionata tabella C corrispondente alla fattispecie concreta di pensionamento anticipato. Con tale operazione, detto "periodo mancante" potra' risultare espresso in anni interi ed in frazione di anno e sara', quindi, necessario trasformare il periodo stesso in anni, mesi e giorni da aggiungere all'anzianita' contributiva posseduta dagli iscritti al 31 dicembre 1992 per stabilire, in ciascun caso, quale sia il complessivo servizio utile minimo prescritto dalla novella disciplina per il conseguimento del diritto alla "pensione di anzianita". Al fine della indispensabile certezza dei rapporti giuridici, e' necessario preliminarmente convenire quali siano le esatte modalita' di trasformazione del periodo in questione. Al riguardo, si fa presente che nel sistema previdenziale viene correntemente usato il criterio commerciale. A tale criterio, pertanto, si fara' riferimento anche per procedere all'anzidetta trasformazione, considerando l'anno ed il mese composti, rispettivamente, di 360 e 30 giorni. Per meglio chiarire quanto sopra esposto e le concrete modalita' operative, si ritiene utile proporre alcuni esempi d'applicazione della norma di cui all'art. 8, comma 3, tenendo conto delle diverse fattispecie prese in esame: 1 caso: iscritto che 31 dicembre 1992 abbia compiuto 60 anni d'eta' con un'anzianita' contributiva, a tale data, compresa fra 13 anni, 6 mesi ed 1 giorno e 14 anni e 6 mesi: anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992, arrotondata ad anni interi, = 14 anni; numero di anni (interi) mancanti per il diritto a pensione rispetto al previgente requisito (15 anni) = 1 anno; moltiplicando 1 anno per il relativo coefficiente 3,8571 si ottiene il periodo mancante che sara' pari appunto ad anni 3,8571; per ottenere i mesi ed i giorni corrispondenti alla parte decimale 0,8571, bastera' moltiplicare tale frazione di anno per 360 e dividere per 30 (0,8571 x 360 = 309 gg. : 30 = 10 mesi con il resto di 9 giorni). Il complessivo "periodo mancante" sara', percio', di 3 anni, 10 mesi e 9 giorni che costituiscono il servizio utile che l'iscritto dovra' maturare in aggiunta all'anzianita' contributiva posseduta al 31 dicembre 1992, per acquisire il diritto alla pensione anticipata, nel caso ipotizzato. Tale diritto, pertanto, verrebbe conseguito non prima del 9 novembre 1996 (ultimo giorno di servizio), sempre che non vi siano periodi di interruzione non utili a pensione e salvo il diritto alla pensione di vecchiaia che l'iscritto potrebbe, eventualmente, raggiungere in data anteriore nonche' la disciplina sul contingentamento dei pensionamenti anticipati, di cui si dira' appresso. Queste ultime avvertenze valgono in ogni caso e dovranno essere tenute presenti pure negli esempi successivi, anche se non saranno ripetute. 2 caso: dipendente coniugata o con prole a carico al 31 dicembre 1992 che a tale data abbia un servizio utile compreso fra 17 anni, 6 mesi ed 1 giorno e 18 anni e 6 mesi (e che alla data di cessazione mantenga lo status di coniugata o abbia prole a carico): anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992 arrotondata ad anni interi = 18 anni; numero di anni (interi) mancanti per il diritto a pensione rispetto al previgente requisito (20 anni) = 2 anni; moltiplicando 2 anni per il coefficiente 2,2500 (2 x 2,2500 = 4,5) si ottiene il periodo mancante, pari ad anni 4,5; per ottenere i mesi ed i giorni corrispondenti alla parte decimale 0,5 bostera' moltiplicare tale frazione di anno per 360 e dividere per 30 (0,5 x 360 = 180 gg. : 30 = 6 mesi e giorni 0); Il complessivo "periodo mancante" sara' quindi, di 4 anni e 6 mesi che costituiscono l'ulteriore servizio utile che l'iscritta dovra' maturare, in aggiunta alla anzianita contributiva posseduta al 31 dicembre 1992, per acquisire, nella fattispecie, il diritto alla pensione anticipata. Tale diritto, pertanto, verrebbe conseguito non prima del 30 giugno 1997 (ultimo giorno di servizio). 3 caso: iscritto che al 31 dicembre 1992 non abbia compiuto 60 anni d'eta' ovvero, trattandosi di donna, non risulti coniugata o con prole a carico (anche se tali requisiti soggettivi vengano acquisiti successivamente) e che alla medesima data abbia maturato un'anzianita' contributiva compresa fra 21 anni, 6 mesi ed 1 giorno e 22 anni e 6 mesi: anzianita' contributiva 31 dicembre 1992, arrotondata ad anni interi = 22 anni; numero di anni (interi) mancanti per il diritto a pensione rispetto al previgente requisito (25 anni) = 3 anni; moltiplicando 3 per il coefficiente 1,5882 (3 x 1,5882 = 4,7646) si ottiene il periodo mancante che sara' pari ad anni 4,7646; per ottenere i mesi ed i giorni corrispondenti alla parte decimale 0,7646 bastera' moltiplicare tale frazione di anno per 360 e dividere per 30 (0,7646 x 360 = 276 gg. : 30 = 9 mesi con il resto di 6 giorni). Pertanto, nel caso prospettato, per poter acquisire il diritto alla pensione anticipata l'interessato dovra' maturare un ulteriore servizio utile pari ad anni 4, mesi 9 e giorni 6. Tale diritto non potrebbe, quindi, essere conseguito prima del 6 ottobre 1997 (ultimo giorno di servizio). Tuttavia, come prima cennato, anche nelle fattispecie sopra ipotizzate, dovranno essere tenute ben presenti le recenti disposizioni sul contingentamento dei pensionamenti anticipati, contenute nel decreto-legge n. 384/92 convertito, con modificazioni, nella legge n. 438/92 ed i relativi chiarimenti ed istruzioni forniti da questa Direzione generale al paragrafo 3 della gia' menzionata circolare n. 13/I.P. Giova rammentare, al riguardo, che l'art. 1, comma 2- ter, del predetto decreto-legge fissa al 1 settembre di ciascun anno la decorrenza dei pensionamenti anticipati. Pertanto, nei primi due esempi illustrati, nei quali, come si e' visto, il diritto alla pensione anticipata verrebbe maturato rispettivamente il 9 novembre 1996 ed il 30 giugno 1997, la decorrenza del trattamento pensionistico sarebbe dal 1 settembre 1997 e, conseguentemente, qualora gli interessati fossero collocati anticipatamente a riposo dopo il 9 novembre 1996 (nel primo caso) o dopo il 30 giugno 1997 (nel secondo caso), ma prima del 31 agosto 1997, rimarrebbero nel frattempo privi sia dello stipendio in attivita' di servizio che del trattamento di quiescenza. Analogamente, nel terzo esempio in cui il diritto alla pensione anticipata verrebbe maturato il 6 ottobre 1997, l'accesso alla pensione sarebbe consentito soltanto dal 1 settembre 1998. Per completezza di trattazione, non e' superfluo sottolineare che dal 1995 la normativa sul contingentamento dei pensionamenti anticipati concerne pure i dipendenti che al 31 dicembre 1992 erano gia' in possesso dei previgenti requisiti richiesti per il diritto alla pensione; in merito, si rinvia alle precisazioni contenute nel gia' richiamato paragrafo 3 della circolare n. 13/I.P. In conclusione, si richiama l'attenzione di tutti gli interessati (Enti datori di lavoro, Direzioni provinciali del Tesoro ed iscritti) sulla necessita' di distinguere e qualificare esattamente i trattamenti pensionistici, secondo che trattasi di "pensioni di vecchiaia" o di "pensioni anticipate di anzianita'". Tale distinzione non e' meramente formale ma ha rilevantissime conseguenze giuridiche sul piano sostanziale, posto che il legislatore ha stabilito per le due categorie di pensioni diversi regimi in relazione: ai differenti requisiti richiesti per il conseguimento del diritto a pensione (che sono stati finora analiticamente illustrati); alla disciplina sul divieto di cumulo (che verra' esaminata nel prosieguo della presente circolare); e, per ultimo, al blocco ed al contingentamento dei pensionamenti anticipati che non riguardano le "pensioni di vecchiaia". In relazione, infine, all'"anzianita' contributiva" (o "servizio utile") alla data del 31 dicembre 1992, si richiama innanzitutto quanto gia' illustrato nella parte introduttiva della presente circolare, laddove sono stati elencati i servizi e/o periodi che rientrano in detta anzianita' contributiva. In particolare, sono stati menzionati quelli riscattabili o ricongiungibili nonche' il servizio militare di leva computabile a domanda con onere a carico delle casse pensioni. Al riguardo, e' bene precisare, (anche per le eventuali responsabilita' in cui potrebbero incorrere gli Enti datori di lavoro quali ordinatori primari di spesa per l'erogazione dei trattamenti provvisori di pensione) che i predetti servizi e/o periodi vanno considerati in relazione al periodo temporale al quale gli stessi si riferiscono e potranno essere ricompresi nell'anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992 soltanto qualora sia stata effettivamente presentata la relativa domanda, indipendentemente dalla data di presentazione della stessa, anche se il provvedimento amministrativo di riconoscimento non sia stato gia' emanato ovvero, benche' emanato, non siano ancora spirati i termini perentori prescritti per l'accettazione. Ed invero, si deve tenere presente che, nell'ambito degli ordinamenti delle casse pensioni, in materia di riscatto, di ricongiunzione e di computo del servizio militare di leva vige il principio della domanda, in base al quale il procedimento amministrativo per la valutazione ai fini pensionistici dei servizi e/o periodi in questione deve essere attivato ad iniziativa di parte. E' di tutta evidenza, quindi, che se la domanda de qua non fosse stata presentata, sarebbe del tutto carente l'indispensabile presupposto giuridico per il riconoscimento stesso. Bisogna rammentare, inoltre, che e' sempre affidata alla libera scelta degli interessati, in base alle loro personali valutazioni, se rendere utili, o meno, detti servizi e/o periodi nell'ordinamento delle fosse pensioni amministrate, producendo l'apposita domanda. Ma vi e' di piu': anche dopo la presentazione della suddetta istanza e l'adozione del relativo provvedimento, i richiedenti potrebbero non accettarlo in quanto non piu' conveniente. Pertanto, va sottolineato che qualora il provvedimento di riconoscimento dei summenzionati servizi e/o periodi non sia stato ancora emanato ovvero, se adottato non sia ancora intervenuta la relativa accettazione (purche' non siano trascorsi i termini perentori per l'accettazione medesima), il diritto alla valutazione di detti servizi e/o periodi nell'anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992 e' sempre sottoposto alla condizione risolutiva concernente sia la sussistenza dei requisiti di legge sia l'accettazione del relativo provvedimento amministrativo. Il verificarsi della condizione risolutiva di cui sopra per una delle predette cause fa venir meno, con efficacia ex tunc, tale diritto con tutte le conseguenze negative del caso. A tale proposito, non si deve inoltre dimenticare che la effettiva durata dei servizi e/o periodi che possono essere ammessi a riscatto, a ricongiunzione o a computo ex art. 1 della legge n. 274/91 va determinata con riferimento a ciascuna concreta fattispecie. Pertanto, la conformita' o meno dell'oggetto della domanda alla normativa vigente determina l' an ed il quantum del relativo provvedimento amministrativo, indispensabile per la certezza dei rapporti giuridici, salvo i casi eccezionali di revoca previsti dalla legge. Esaurita cosi' la parte fondamentale concernente l'acquisizione del diritto a pensione, vengono ora esaminate le modifiche apportate alle modalita' di calcolo per la liquidazione del trattamento di quiescenza. 2. MODALITA' DI CALCOLO DELLA PENSIONE. Come e' noto, secondo la previgente normativa concernente gli ordinamenti delle casse pensioni degli Istituti di previdenza, la misura della pensione veniva calcolata, di norma, sulla base della retribuzione annua contributiva spettante alla data di cessazione dal servizio, diminuita dell'intero importo dell'indennita' integrativa speciale a tale data, con l'applicazione delle aliquote di cui all'allegato A della legge 26 luglio 1965, n. 965, corrispondenti agli anni e mesi di "servizio utile". Il decreto legislativo n. 503 reca ora talune disposizioni (in particolare agli articoli 7, 12 e 13) che, in linea con l'obiettivo di un generale contenimento della spesa previdenziale, introducono gradatamente meno favorevoli criteri di liquidazione del trattamento di quiescenza, prendendo in considerazione, per la quota di pensione afferente l'anzianita' contributiva acquisita dagli iscritti a decorrere dal 1 gennaio 1993, la media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni, opportunamente rivalutate, e introducendo nel contempo l'abbattimento delle aliquote di rendimento per le retribuzioni medio-alte. Tuttavia, anche in relazione alla misura del trattamento di quiescenza, cosi' come per il diritto alla pensione secondo quanto illustrato nel precedente paragrafo, il legislatore ha voluto far salve le aspettative gia' maturate dagli interessati alla data del 31 dicembre 1992, confermando in via transitoria la preesistente normativa per il calcolo della quota di pensione corrispondente ai servizi utili anteriori al 1 gennaio 1993. Va sottolineato peraltro che, salvo le eccezioni di cui si dira' in seguito, per ia liquidazione di entrambe le quote di pensione continueranno ad essere utilizzate le aliquote contenute nell'allegato A della menzionata legge n. 965/65. L'art. 13 del decreto legislativo n. 503, recante "Norma transitoria per il calcolo della pensione", recita: "1. Per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, l'importo della pensione e' determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all'importo relativo alle anzianita' contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianita' contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto". Come e' agevole rilevare, tali disposizioni, pur avendo natura transitoria (secondo quanto esplicitamente indicato nel titolo dello stesso art. 13) ed anche se ad esaurimento, continueranno a trovare applicazione ancora per lungo tempo, fino a quando cioe' tutti i dipendenti, iscritti anteriormente al 1 gennaio 1993 alle Casse pensioni, non siano stati collocati a riposo. Il calcolo della prima quota di pensione non presenta alcun problema interpretativo avendo il legislatore garantito, secondo il sistema normativo previgente, l'applicazione delle aliquote, corrispondenti alle anzianita' contributive maturate sino a tutto il 31 dicembre 1992, all'ultima retribuzione pensionabile effettivamente spettante all'atto della futura cessazione (e non a quella percepita alla predetta data). E' sufficiente soltanto evidenziare che non viene indicato nella norma un livello minimo di anzianita' contributiva acquisita anteriormente al 1 gennaio 1993 e, pertanto, qualunque essa sia non sara' mai irrilevante ai fini del calcolo della pensione; anzi si puo' affermare sono proprio i livelli minimi ad essere piu' favoriti, considerato che la citata tab. A della legge n. 965 non prevede un'aliquota pari a zero nel caso di iscritto privo di qualsiasi anzianita' contributiva, ma addirittura, in tal caso, la percentuale e' pari al 23,865 per cento. Nell'ipotesi, ad esempio, di un iscritto alle Casse pensioni che, alla data del 31 dicembre 1992, possa contare soltanto su un servizio effettivo di 16 giorni, il dipendente in questione, allorquando sara' collocato a riposo, (e questo potrebbe avvenire anche tra 40 anni) si sara' comunque assicurato una quota di pensione pari a circa il 24% della retribuzione in ragione annua che gli spettera' alla data dell'ultimo giorno di servizio. Meno agevole e' invece il calcolo della seconda quota di pensione relativa alle anzianita' acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993. Detta quota, infatti, viene determinata moltiplicando la retribuzione media pensionabile di cui all'art. 7 (che sara' approfonditamente esaminato nel successivo paragrafo) per la differenza tra l'aliquota, del prefato allegato A, corrispondente ai complessivi servizi e periodi comunque utili alla data di cessazione e quella riferita all'anzianita' contributiva maturata al 31 dicembre 1992. Al riguardo, si ritiene utile illustrare concretamente, con un esempio, le modalita' di applicazione del citato art. 13 per il calcolo del trattamento di quiescenza. Si consideri la seguente ipotesi: collocamento a riposo per raggiunti limiti massimi di eta' a decorrere dal 1 gennaio 1998 con un servizio utile complessivo di anni 30 (aliquota - allegato A = 0,67500); anzianita' contributiva maturata alla data del 31 dicembre 1992 pari ad anni 25 (aliquota = 0,55000); retribuzione pensionabile, in ragione annua ed al netto dell'I.I.S., alla data di cessazione uguale a lire 100.000.000; retribuzione media pensionabile di cui all'art. 7, senza l'I.I.S., pari ad annue L. 80.000.000. Per calcolare la quota di pensione, di cui alla lettera a) dell'art. 13, bastera' semplicemente operare nel modo seguente: 100.000.000 x 0,55.000 = 55.000.000 La seconda quota di pensione di cui alla lettera b) sara' il risultato delle seguenti operazioni: 80.000.000 x (0,67500 - 0,55.000) = = 80.000.000 x 0,12500 = 10.000.000 Il trattamento di quiescenza spettante sara' costituito dalla somma dellle due quote di pensione sopra calcolate e risultera', pertanto, pari ad annue L. 65.000.000 (55.000.000 + 10.000.000). 2.1. Retribuzione media pensionabile - art. 7 del decreto legislativo n. 503/92. Come si e' riferito in precedenza, la quota di pensione, spettante per le anzianita' contributive maturate dopo il 31 dicembre 1992, non potra' piu' essere calcolata sull'ultima retribuzione, ma dovra' essere determinata sulla base della media di tutte le retribuzioni percepite nell'arco temporale indicato nell'art. 7 del decreto legislativo in esame che, ai primi 3 commi, cosi' dispone: "1. Per i lavoratori iscritti a forme di previdenza ... esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, che alla data del 31 dicembre 1992 possano far valere un'anzianita' contributiva inferiore a 15 anni, i periodi di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, stabiliti dalla normativa vigente alla predetta data, sono incrementati dai periodi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione. 2. Per i lavoratori di cui al comma 1 con anzianita' contributiva pari o superiore a 15 anni il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione e' riferito agli ultimi dieci anni di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione. 3. In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, per le pensioni delle forme ... esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria da liquidare a decorrere dal 1 gennaio 1993, il periodo di riferimento e' incrementato del 50 per cento dei mesi intercorrenti tra la predetta data e quella di decorrenza della pensione, fino al raggiungimento di un periodo massimo di dieci anni". Anche in questo caso il legislatore ha ritenuto di prendere in considerazione i servizi e periodi comunque utili a pensione alla data del 31 dicembre 1992, assumendo come spartiacque, per gli effetti piu' o meno penalizzanti del calcolo della media, rispettivamente un'anzianita' contributiva alla predetta data inferiore o pari ad almeno 15 anni. Pertanto, per gli iscritti che alla data del 31 dicembre 1992 abbiano maturato un'anzianita' contributiva inferiore a 15 anni, la retribuzione media pensionabile deve essere calcolata con riferimento a tutte le retribuzioni percepite a decorrere dal 1 gennaio 1993 fino alla data di cessazione; mentre per coloro che possano far valere alla predetta data un'anzianita' pari o superiore a 15 anni, il periodo di riferimento per la media in parola e' dimezzato e non puo', comunque, superare gli ultimi dieci anni di contribuzione. Alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente che nell'esempio del precedente paragrafo (cessazione al 31 dicembre 1997 con 30 anni utili e anzianita' contributiva al 31 dicembre 1992 pari a 25 anni), la retribuzione media pensionabile indicata in L. 80.000.000 e' stata ipoteticamente determinata sulla base di tutte le retribuzioni annue pensionabili (depurate dell'I.I.S.) corrisposte negli ultimi 30 mesi antecedenti la cessazione e cioe' nel periodo 1 luglio 1995/31 dicembre 1997. E' necessario pero' aggiungere che il legislatore, a parziale ristoro dell'effetto penalizzante causato dalla media, ha ritenuto opportuno che le retribuzioni pensionabili, storicamente percepite, siano adeguatamente rivalutate, prima di procedere al calcolo della media stessa; infatti, il successivo comma 4 dell'art. 7 in esame, testualmente, prescrive: "4. Ai fini del calcolo dei trattamenti pensionistici di cui al presente articolo le retribuzioni pensionabili previste dai singoli ordinamenti sono rivalutate in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuo dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, calcolato daIl'ISTAT, tra l'anno solare cui le retribuzioni si riferiscono e quello precedente la decorrenza del trattamento pensionistico, con aumento di un punto percentuale per ogni anno solare preso in considerazione ai fini del computo delle retribuzioni pensionabili". Al riguardo si fa presente che il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, al fine di consentire l'uniforme applicazione di tale disposizione, ha diramato la circolare n. 46 del 28 aprile 1993 con la quale ha evidenziato, "in via preliminare, che nulla e' innovato rispetto alla individuazione delle voci che concorrono a formare la retribuzione pensionabile in base ai singoli ordinamenti". Per quanto riguarda l'applicazione del gia' citato aumento di 1 punto percentuale, il predetto Dicastero ha altresi' precisato "che tale aumento e' pari a tanti punti percentuali quanti sono gli anni intercorrenti tra l'anno solare, cui la retribuzione od il reddito si riferiscono, e quello antecedente la data di decorrenza della pensione". Per la determinazione del coefficiente totale di rivalutazione delle retribuzioni pensionabili lo stesso Ministero del lavoro, per una maggiore chiarificazione, ha ritenuto opportuno rinviare alla seguente formula: C = R + (R x P ) = R x (1 + P ) dove t t t t t t con C viene indicato il coefficiente finale di rivalutazione da t applicare alla retribuzione pensionabile per ognuno degli anni solari presi in considerazione; con R la variazione dell'indice annuo ISTAT dei prezzi al consumo t per famiglie di operai e impiegati, calcolato tra l'anno solare di riferimento e quello precedente la decorrenza della pensione; con P = n x 0,01 si vuole significare l'aumento dell'un percento t annuo spettante per il numero (n) degli anni intercorrenti tra l'anno precedente quello di decorrenza della pensione e l'anno solare preso in considerazione. In conclusione, si puo' ragionevolmente affermare che, a parte la macchinosita' del calcolo che richiede soltanto un reiterato esercizio pratico ovvero l'impostazione di un congruo programma informatico, la determinazione della retribuzione media pensionabile (per la quale va moltiplicato il differenziale di aliquota ai fini della liquidazione della quota di pensione maturata a decorrere dal 1 gennaio 1993) non presenta alcuna difficolta' giuridica concettualmente rilevante. La retribuzione media pensionabile si ottiene, infatti, seguendo la seguente procedura: 1) si sommano le retribuzioni pensionabili, al netto dell'indennita' integrativa speciale e comprensive dei ratei delle eventuali mensilita' aggiuntive, effettivamente spettanti durante l'anno solare preso in considerazione; 2) per ottenere l'equivalente in ragione annua (soprattutto nei casi di coloro che non siano stati retribuiti per l'intero anno solare di riferimento, si pensi ad es. a tutte le cessazioni in corso d'anno ovvero all'ipotesi dell'aspettativa per motivi di famiglia che non e' utile a pensione) bastera' dividere l'importo di cui al n. 1) per il numero dei giorni effettivamente retribuiti e moltiplicare il risultato per 360 (si rammenta al riguardo il criterio commerciale secondo cui l'anno ed il mese si considerano composti rispettivamente di 360 giorni e di 30 giorni); 3) la retribuzione annua pensionabile relativa all'anno solare di riferimento va poi rivalutata, ai sensi del comma 4 dell'art. 7, moltiplicando l'importo della stessa per il coefficiente finale di rivalutazione (CfB012t), calcolato secondo la formula sopra riportata; 4) per ogni anno solare del periodo di riferimento, le retribuzioni annue pensionabili rivalutate devono essere moltiplicate per il numero dei mesi di effettivo godimento; 5) bisogna sommare gli importi ottenuti al n. 4) e poi dividere il risultato per il numero dei mesi complessivi che costituiscono il periodo di riferimento (cioe' il numero dei mesi intercorrenti dal 1 gennaio 1993 alla cessazione per anzianita' contributive inferiori ai 15 anni alla data del 31 dicembre 1992 ovvero, per anzianita' pari o superiori a 15 anni, la meta' dei mesi predetti - con il limite massimo di 120 mesi - immediatamente antecedenti alla cessazione). Appare utile riprendere l'esempio riportato in precedenza, per una migliore comprensione della problematica illustrata nel presente paragrafo. A tal fine ipotizziamo i seguenti ulteriori elementi, oltre quelli gia' indicati: retribuzione annua pensionabile a decorrere dal 1 luglio 1995 = L. 50.000.000; retribuzione annua pensionabile a decorrere dal 1 gennaio 1996 = L. 63.636.363; retribuzione annua pensionabile a decorrere dal 1 gennaio 1997 = L. 100.000.000; coefficienti di rivalutazione (R ) delle retribuzioni pensionabili t validi per l'anno 1998: 1995 = 1,1765 - 1996 = 1,0892 - l997= 1,0000 - 1998 = 1,0000. E' utile rammentare altresi' che la pensione decorre dal 1 gennaio 1998 con un'anzianita' contributiva complessiva di 30 anni e che il servizio utile alla data del 31 dicembre 1992 pari ad anni 25. Sulla base dei dati sopra riportati occorre preliminarmente deter- minare, per ciascun anno solare il coefficiente finale di rivaluta- zione (C ) che, secondo la formula indicata dal Ministero del lavoro, t e' uguale a R x (1 + P ) dove P = n x 0,01. Pertanto per ciascun t t t anno solare si avra': C = 1,1765 x (1 + 0,02) = 1,1765 x 1,02 = 1,2000; 95 C = 1,0892 x (1 + 0,01) = 1,0892 x 1,01 = 1,1000; 96 C = 1,0000 x (1 + 0) = 1,0000 x 1 = 1,0000. 97 Per calcolare le retribuzioni pensionabili rivalutate relative al periodo 1 luglio 1995/31 dicembre 1997 bastera' semplicemente moltiplicare per ciascun anno solare la retribuzione annua pensionabile per il corrispondente coefficiente finale di rivalutazione: per l'anno 1995 = 50.000.000 x 1,2000 = 60.000.000; per l'anno 1996 = 63.636.363 x 1,1000 = 70.000.000; per l'anno 1997 = 100.000.000 x 1,0000 = 100.000.000. Ottenute cosi' le retribuzioni annue pensionabili, debitamente rivalutate, si puo' poi procedere al calcolo della retribuzione media pensionabile (RMP), nel seguente modo: 60.000.000 x 6 + 70.000.000 x 12 + 100.000.000 x 12 RMP = ____________________________________________________ = 30 360.000.000 + 840.000.000 + 1.200.000.000 = _____________________________________________ = 30 2.400.000.000 = _________________ = 80.000.000. 30 In conclusione, nella fattispecie ipotizzata, il trattamento di quiescenza, spettante a decorrere dal 1 gennaio 1998, sara' pari a: 100.000.000 x 0,55000 + 80.000.000 x (0,67500 - 0,55000) = = 55.000.000 + 80.000.000 x 0,12500 = 55.000.000 + + 10.000.000 = 65.000.000 Per quanto sopra esposto, e salvo i casi in cui la normativa precedente prescriva l'applicazione della media ponderata delle differenti retribuzioni pensionabili percepite nell'ultimo quinquennio (art. 29 del decreto legislativo n. 38/81 convertito nella legge n. l53/81 o art. 8 del decreto legislativo n. 267/72), si puo' senza dubbio affermare che solo coloro che avessero maturato 40 anni utili a pensione alla data del 31 dicembre 1992, avendo ormai raggiunto l'aliquota massima possibile, avrebbero la garanzia che il loro trattamento di quiescenza sarebbe pari al cento per cento della ultima retribuzione pensionabile spettante alla data di cessazione. E' da osservare inoltre, che anche nei casi in cui non si riscontrino, nel periodo dal 1 gennaio 1993 alla cessazione, variazioni retributive ne' rivalutazioni ISTAT da operare, la pensione potrebbe essere liquidata applicando l'aliquota, corrispondente al complessivo servizio utile, direttamente all'ultima retribuzione. In tal caso, infatti, la retribuzione media pensionabile (RMP) risulterebbe coincidente con quella percepita alla data di cessazione, rendendo cosi' inutile il calcolo delle due quote di pensione di cui all'art. 13, in quanto la loro somma sarebbe comunque uguale al trattamento di quiescenza calcolato nel modo sopra indicato. Si raccomanda, invece, particolare cautela agli enti datori di lavoro nell'ordinare nel 1993, alle competenti direzioni provinciali del Tesoro, l'erogazione di trattamenti provvisori di pensione, liquidati sulla base di retribuzioni pensionabili superiori ad annue L. 101.602.500, al netto dell'indennita' integrativa speciale; al riguardo si rinvia alle apposite spiegazioni ed alle necessarie istruzioni che qui di seguito verranno dettagliatamente fornite. 2.2. Percentuale di riduzione delle aliquote di rendimento - art. 12. Il comma 1 dell'art. 12 del provvedimento legislativo in esame ha prescritto, per le pensioni dell'A.G.O., aventi decorrenza dal 1 gennaio 1993, l'abbattimento progressivo delle aliquote di rendimento delle fasce di retribuzione eccedenti il "tetto pensionabile" (per il 1993 tale limite e' pari ad annue L. 53.475.000): per la quota di retribuzione pensionabile eccedente il predetto limite (53.475.000) e fino al 33 per cento del limite stesso (71.121.750), l'aliquota di rendimento dell'A.G.O. (pari al 2 per cento per ogni anno di servizio utile) viene ridotta all'1,60 per cento; per le quote dal 33 per cento (71.121.751) al 66 per cento (88.768.500) l'aliquota si riduce a 1,35; per le quote dal 66 per cento (88.768.501) al 90 per cento (101.602.500) ogni anno di servizio rende in pensione l'1,10 per cento; le fasce di retribuzione pensionabile eccedenti il 90 per cento (per il 1993, pertanto, quelle oltre le annue L. 101.602.500) consentono di liquidare al pensionato una quota di pensione pari soltanto allo 0,90 per cento di tale retribuzione per ogni anno di anzianita' contributiva. Pertanto, come opportunamente ha posto in evidenza il Ministro del lavoro, mediante l'allegato n. 3 alla menzionata circolare n. 46/93, a ciascuno degli scaglioni di retribuzione sopra descritti corrispondono, rispettivamente, le seguenti percentuali di riduzione delle aliquote di rendimento: 20 per cento (sino al 33%), 32,5 per cento (dal 33% al 66%), 45 per cento (dal 66% al 90%) e 55 per cento (oltre il 90% = L. 101.602.500). Il comma 3 ha esteso progressivamente, a decorrere dal 1 gennaio 1993, alle forme di previdenza esclusive dell'A.G.O. che non prevedano limiti massimi di retribuzione pensionabile (tali sono con- siderate le Casse pensioni amministrate) il criterio della riduzione percentuale delle aliquote di rendimento a partire dalla fascia di retribuzione piu' elevata tra quelle previste alla tabella del comma 1, "con cadenza quinquennale ... e con scaglionamento riferito alla meta' delle percentuali di riduzione predette". Pertanto, per il primo quinquennio (1993-1997), risultando la percentuale di riduzione dell'aliquota di rendimento della quota di retribuzione eccedente del 90 per cento il "tetto pensionabile" pari al 55 per cento, bastera' operare una riduzione del 27,5 per cento delle aliquote della tabella A da applicare per il calcolo della seconda quota di pensione relativa all'anzianita' contributiva maturata dal 1 gennaio 1993 in poi; cio' equivale ad affermare che le predette aliquote devono essere ridotte al 72,5 per cento del loro valore ovvero moltiplicare le stesse aliquote per il coefficiente 0,725. L'altra meta' della riduzione percentuale in questione verra' applicata dal 1 gennaio 1998. Giova ripetere, peraltro, che il "tetto pensionabile" dell'A.G.O. e' pari a L. 53.475.000 e che, pertanto, la quota di retribuzione eccedente del 90 per cento il predetto limite ammonta a L. 101.602.500 per il 1993. Resta inteso, infine, che i predetti limiti devono essere considerati senza includervi l'indennita' integrativa speciale. Appare ora indispensabile illustrare concretamente tale problematica con un esempio pratico di applicazione. Ipotiziamo, pertanto, il caso di un iscritto collocato a riposo d'ufficio a decorrere dal 1 gennaio 1994 con una retribuzione annua pensionabile (senza l'I.I.S.), dal 1 ottobre 1993 al 31 dicembre 1993, pari a L. 120.000.000; la retribuzione pensionabile, dal 1 gennaio 1993 al 30 settembre 1993, ammontava a L. 100.000.000; il servizio utile al 31 dicembre 1992 era di anni 30 e mesi 7, mentre al 31 dicembre 1993 l'anzianita' contributiva totale risulta pari ad anni 31 e mesi 7; le corrispondenti aliquote sono uguali rispettivamente a 0,69121 e a 0,71980. Per calcolare la retribuzione media pensionabile (RMP) bisogna prendere a riferimento il periodo 1 luglio 1993/31 dicembre 1993 in quanto il lavoratore in questione puo' far valere un'anzianita' contributiva superiore a 15 anni e, non essendoci rivalutazioni ISTAT da operare, tale media sara': 100.000.000 x 3 + 120.000.000 x 3 RMP = ____________________________________ = 110.000.000; 6 la quota a) di pensione (P ) e': a P = 0,69121 x 120.000.000 = 82.945.200; a la quota b), relativa alle anzianita' contributive maturate dopo il 1 gennaio 1993, deve essere calcolata limitatamente alla fascia della retribuzione media pensionabile (RMP) non eccedente le L. 101.602.500: P = (0,71980 - 0,69121) x 101.602.500 = b = 0,02859 x 101.602.500 = 2.904.815; l'altra fascia della RMP fino a L. 110.000.000 formera' oggetto di una terza quota di pensione (Pc), calcolata con l'abbattimento delle aliquote di rendimento, applicando alle stesse il coefficiente di riduzione 0,725: P = 0,725 x (0,71980 - 0,69121) x (110.000.000 - 101.602.500) = c = 0,725 x 0,02859 x 8.397.500 = 174.061. Pertanto la pensione totale diretta (Pd) sara' costituita dalla somma delle predette 3 quote: P = P + P + P = 82.945.200 + 2.904.815 + 174.061 = d a b c = 86.024.076 = arr. 86.024.100. 2.3 Trattenimento in servizio oltre i limiti di eta'. Il decreto legislativo in esame reca alcune disposizioni che consentono agli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza di permanere in servizio oltre i tassativi limiti di eta', previsti dai singoli ordinamenti degli enti datori di lavoro, per il collocamento a riposo d'ufficio. Corre l'obbligo di esaminare e chiarire preliminarmente la portata dell'art. 16, intitolato "prosecuzione del rapporto di lavoro", che testualmente recita: "1. E' in facolta' dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti". La citata legge delega n. 421/92 e' entrata in vigore dal 15 novembre 1992 e, pertanto, a decorrere da tale data e' consentito agli interessati di esercitare la predetta facolta' per il mantenimento in servizio oltre i limiti di eta'. E' bene chiarire che la norma in questione, non prevedendo alcun onere o condizione per il suo esercizio, conferisce in tal modo un diritto meramente potestativo cui l'ente datore di lavoro nulla puo' opporre; anzi l'ente medesimo e' tenuto ad adottare l'apposito atto deliberativo dal quale deve risultare l'esatta data di decorrenza del trattenimento in servizio. Notevoli perplessita' sono sorte in merito all'individuazione delle amministrazioni pubbliche il cui personale e' beneficiario della predetta facolta' di permanere in servizio. Al riguardo si fa presente che la Ragioneria Generale dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno definitivamente chiarito che destinatari della menzionata norma sono i dipendenti di tutti gli enti pubblici non economici, considerata la chiara "formulazione letterale della disposizione, che non pone distinzione alcuna nell'ambito della categoria di tali enti nonche' alle indubitabili disparita' di trattamento che deriverebbero da interpretazioni limitative dell'ambito soggettivo di efficacia della disposizione medesima". In definitiva le amministrazioni pubbliche interessate sono quelle individuate ed elencate nell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sul pubblico impiego: amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, regioni, provincie, comuni, comunita' montane, e i loro consorzi ed associazioni, istituzioni universitarie, istituti autonomi case popolari, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Altra disposizione del decreto legislativo n. 503/92 che consente il trattenimento in servizio e' quella del comma 2 dell'art. 1 del decreto stesso con la quale il limite di eta' di 62 anni, gia' previsto dall'art. 6 della legge n. 407/90, e' stato elevato fino al compimento del 65 anno. In tal caso, pero', per poter continuare a prestare la loro opera oltre gli eventuali piu' bassi limiti di eta' e fino al compimento del 65 anno, gli interessati non debbono aver ottenuto o richiesto la liquidazione di una pensione di vecchiaia a carico dell'I.N.P.S. o di altre gestioni sostitutive, esonerative o esclusive dell'A.G.O. Per quanto concerne, infine, il comma 3 del citato art. 1 che prescrive particolari incrementi delle aliquote di commisurazione della pensione per incentivare la facolta' di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 903/77 e dell'art. 6 del decreto-legge n. 791/81, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 54/82, si deve rilevare che il comma 4 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 503 stabillsce che detta facolta', ove esercitabile, non influisce sulla retribuzione pensionabile e sul limite massimo del coefficiente di rendimento complessivo stabiliti dalle vigenti normative. Conseguentemente rimangono inalterate le aliquote di pensionabilita' in vigore alla data del 31 dicembre 1992. E' da considerare peraltro che le aliquote di rendimento dell'A.G.O. sono sempre uguali per ogni anno di servizio (2 per cento annuo), mentre le aliquote della tabella A allegata alla legge n. 965/65, essendo piu' che proporzionali rispetto all'aumento della anzianita' di servizio, contengono gia' in se stesse la naturale incentivazione, per gli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, a permanere in servizio il piu' a lungo possibile. Anche il richiamo esplicito alla legge n. 153 del 1969, contenuto nel citato comma 3 dell'art. 1, induce a ritenere che tale precetto sia rivolto essenzialmente a coloro che sono riguardati dal regime dell'assicurazione generale obbligatoria. Decisivo appare infine l'evidente profilo di incostituzionalita' laddove l'interprete ritenesse applicabile anche agli iscritti alle Casse pensioni amministrate gli incrementi delle aliquote pensionabili. A differenza, infatti, del-l'INPS non esiste per gli iscritti alle predette casse un'unica eta' pensionabile; ogni amministrazione comunale per esempio e' dotata di un proprio regolamento organico che prevede l'eta' massima per il collocamento a riposo d'ufficio. Ed allora e' facile ipotizzare che due dipendenti, di due diversi comuni che prevedano differenti limiti di eta' per il collocamento a riposo, pur trovandosi in una identica posizione giuridica, economica e previdenziale, dall'inizio del rapporto di lavoro alla fine della carriera lavorativa, si vedrebbero liquidati due diversi trattamenti di quiescenza soltanto perche' il regolamento di un'amministrazione consentiva di esercitare la facolta' di opzione per il trattenimento in servizio, mentre l'altro regolamento, preved- endo piu' elevati limiti massimi di eta' (per es. 65 anni), non permetteva l'esercizio della predetta facolta'. Per tutte le ragioni sopra esposte, non si ritiene che siano applicabili, agli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, le disposizioni di cui al piu' volte menzionato comma 3 dell'art. 1, recanti incrementi percentuali alle aliquote di pensionabilita', per incentivare la permanenza in servizio. 3. DISCIPLINA DEL CUMULO TRA PENSIONI E REDDITI DA LAVORO - ART. 10. L'art. 10 introduce dal 1 gennaio 1994 una nuova normativa sul cumulo tra pensione e redditi da lavoro dipendente od autonomo. I nuovi criteri di cumulo, come precisato nel comma 8, non si applicano ai lavoratori che alla data del 31 dicembre 1993 risultino gia' pensionati ovvero a quelli che conseguono il trattamento di quiescenza nel corso del 1994, purche', ne abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 1993. Con l'occasione, e' bene collegare tali norme con quelle di cui all'art. 1 del decreto-legge l9 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438. In particolare, la disposizione recata dal comma 2-quinquies del citato art. 1, limitatamente all'anno 1994, consente ai dipendenti, gia' in possesso al 31 dicembre 1992 dei requisiti richiesti per il conseguimento del diritto a pensione anticipata di anzianita, l'accesso aIla pensione stessa a decorrere dal 1 gennaio 1994, sottraendosi cosi' al contingentamento fissato al 1 settembre di ogni anno. In relazione ai numerosi quesiti pervenuti al riguardo, si precisa che in base a tale norma gli interessati possono conseguire il trattamento di pensione nel corso dell'intero anno 1994. Ritornando alle nuove norme sul cumulo e' utile ribadire che esse, pur avendo effetto dal 1 gennaio 1994, non si applicano ai pensionati con decorrenza nel corso del 1994 ma che abbiano maturato il diritto nell'anno 1993. I nuovi criteri si pongono in maniera diversa rispetto alle diverse qualificazioni della pensione. Per quanto concerne le pensioni dirette di vecchiaia e di invalidita', dal 1 gennaio 1994 e' ammesso il cumulo della pensione (considerata comprensiva dell'indennita' integrativa speciale) con i redditi da lavoro dipendente o autonomo nella misura del trattamento minimo INPS piu' il 50 per cento dell'importo residuo della pensione. I trattamenti pensionistici di vecchiaia sono pero' totalmente cumulabili con i redditi derivanti da iniziative, promosse da istituzioni pubbliche o private, per il reinserimento degli anziani in attivita' socialmente utili. Le pensioni anticipate di anzianita', invece, sono totalmente incumulabili con redditi di lavoro dipendente, mentre con i redditi di lavoro autonomo dette pensioni di anzianita' sono cumulabili nella stessa misura delle pensioni di vecchiaia (trattamento minimo INPS piu' il 50 per cento dell'importo residuo della pensione). E' da sottolineare, peraltro, che allorquando il titolare della pensione anticipata di anzianita' compie l'eta' per il pensionamento di vecchiaia si applicano nei suoi confronti gli stessi criteri di cumulabilita' parziale previsti per quest'ultima pensione. Per le altre norme di dettaglio si rinvia, infine, alla pedissequa lettura dell'intero art. 10 che non presenta particolari difficolta'. 4. PEREQUAZIONE AUTOMATICA DELLE PENSIONI - ART. 11. In linea con le finalita' del legislatore di contenere il disavanzo del settore pubblico allargato, con particolare riguardo alla spesa previdenziale, l'art. 2 del menzionato decreto-legge n. 384/92, convertito, con modificazioni, nella legge n. 438/92 ha sospeso fino al 31 dicembre 1993 l'applicazione di ogni disposizione di legge o di regolamento che preveda aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni, determinando altresi' la misura degli aumenti da corrispondere nell'anno 1993. Infatti, in base al comma 1 del richiamato art. 2, sulle pensioni in pagamento non e' stato corrisposto l'aumento, dal 1 novembre 1992, per la perequazione automatica prevista dall'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, con riferimento agli indici della scala mobile dei lavoratori dell'industria; inoltre non e' stato neppure applicato l'altro aumento perequativo dal 1 gennaio 1993, derivante dall'aggancio delle pensioni alla dinamica salariale, ai sensi della legge n. 177 del 1976. Il rigore della predetta disposizione e' stato, pero', in parte contemperato dal successivo comma 1- bis che, per l'anno 1993, ha mantenuto soltanto gli incrementi collegati al costo della vlta di cui al menzionato art. 21 della legge n. 730 del 1983. Tuttavia, detti aumenti infrannuali sono stati fatti slittare di un mese, essendone stata fissata la decorrenza dal 1 giugno e dal 1 dicembre del 1993, e sono stati peraltro predeterminati sulla base del tasso d'inflazione programmata e non su quello reale che, effettivamente, risultera' alla fine del 1993. Le predette percentuali di variazione per il calcolo degli aumenti di perequazione delle pensioni per l'anno 1993 sono determinate in misura pari a + 1,8 dal 1 giugno e + 1,7 dal 1 dicembre (cfr. decreto del Ministro del tesoro di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 30 dicembre 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 1993). Con l'art. 11 della riforma pensionistica in esame si e' provveduto a decorrere dal 1994 ad abolire definitivamente l'indicizzazione automatica ai salari, rimanendo le pensioni agganciate al solo costo della vita; resta l'indicizzazione ai prezzi, ma non piu' all'aumento delle retribuzioni. Il commma 1 del prefato art. 11 dispone peraltro che il "solo adeguamento al costo della vita" avra' "cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni anno". Al riguardo, e' da notare che alcuni economisti hanno affermato che l'effetto risparmio di tale misura potrebbe rilevarsi piu' forte dello stesso aumento dell'eta' pensionabile. Tuttavia, il legislatore, con il successivo secondo comma, ha anche previsto la possibilita' di concedere, con legge finanziaria, ulteriori aumenti laddove l'andamento dell'economia lo consenta. 5. ISCRIZIONE DEI DIPENDENTI GIORNALISTI - ART. 17, COMMA 3. Nel fare riserva di fornire in seguito le altre apposite istruzioni che si rendessero necessarie per chiarire le eventuali ulteriori problematiche che potranno emergere, considerato l'interesse manifestato da alcuni enti, si ritiene opportuno, per ultimo, illustrare brevemente la disposizione recata dal comma 3 dell'art. 17 del decreto legislativo n. 503/92. A tal fine e' necessario premettere che l'art. 4, comma 2, della legge n. 274/91 ha esteso, a decorrere dal 1 ottobre 1991, l'obbligo di iscrizione alle pensioni alle casse pensioni a tutti i dipendenti degli enti iscritti alle casse medesime, a qualunque titolo assunti, anche se adibiti a servizi di carattere eccezionale e straordinario o per attivita' non istituzionali, ancorche' l'assunzione sia a tempo determinato o a titolo di supplenza o con contratto di diritto privato. Con la circolare 3 settembre 1991, n. 8/I.P. e' stato ribadito che, in base al chiaro tenore letterale della norma in esame, "qualunque sia la natura del rapporto di lavoro, anche se non di pubblico impiego e prestato con contratto di diritto privato a tempo determinato, purche' sia reso con vincolo di subordinazione alle dipendenze dell'ente iscritto alle casse pensioni, sussiste senza ulteriore possibilita' di dubbio, l'obbligo di iscrizione alle casse stesse; rimangono pur sempre esclusi i rapporti di lavoro autonomo, gli incarichi professionali o di consulenza (locatio operis), non riconducibili a lavoro dipendente (locatio operarum), per i quali, peraltro, non v'e' obbligo di iscrizione, a carico dell'ente, presso alcun fondo pensioni". E' appena il caso di precisare che l'obbligo d'iscrizione alle casse pensioni, disposto dal citato art. 4, comma 2, va affermato anche in presenza di eventuali contrarie disposizioni che in precedenza abbiano sancito, per particolari categorie di personale, l'iscrizione a diversi regimi previdenziali. Infatti, le possibili antinomie tra norme vanno risolte alla stregua dei criteri positivamente stabiliti, ed esattamente: criterio cronologico (lex posterior derogat priori): l'art. 15 disp. prel. cod. civ. recita testualmente: "Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti o perche' la nuova legge regola l'intera materia gia' regolata dalla legge anteriore"; criterio della specialita': la legge 274/91 presenta anch'essa carattere di specialita' e, quindi, puo' legittimamente regolare situazioni giuridiche gia' assoggettate all'efficacia di precedenti leggi pure speciali. Insomma, in forza dei due predetti criteri, l'art. 4, comma 2, della richiamata legge n. 274, prevale su qualsiasi norma con esso confliggente. Pertanto, anche per i giornalisti dipendenti da enti iscritti alla Cassa pensioni dipendenti enti locali, sussiste l'obbligo di iscrizione alla C.P.D.E.L. stessa, rientrando essi nella previsione normativa del menzionato art. 4, nonostante il contrario disposto della legge n. 1564/51 che sanciva per il personale de quo l'obbligo di iscrizione alla I.N.P.G.I. Tutto cio' premesso, molti enti hanno chiesto di conoscere se l'iscrizione alla C.P.D.E.L. di cui sopra possa essere mantenuta anche dopo l'emanazione del decreto legislativo n. 503/92 che all'art. 17, comma 3, cosi' dispone: "I dipendenti giornalisti professionisti iscritti nell'apposito albo di categoria e i dipendenti praticanti giornalisti iscritti nell'apposito registro di categoria, i cui rapporti di lavoro siano regolati dal contratto nazionale giornalistico, sono obbligatoriamenteiscritti presso l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani 'Giovanni Amendola'". Tale l'esplicito dettato legislativo, va sottolineato, innanzitutto, che, ai fini dell'applicabilita' della surriportata disposizione, devono congiuntamente sussistere le seguenti condizioni: 1) possesso della qualifica di giornalista professionista o praticante giornalista (e non anche di giornalista pubblista, stante la mancata previsione in tal senso della norma in esame); 2) iscrizione nell'apposito albo o registro di categoria, rispettivamente,per i giornalisti professionisti e per i praticanti giornalisti; 3) regolamentazione del trattamento giuridico ed economico del rapporto di lavoro con contratto nazionale giornalistico. Pertanto, si ritiene opportuno ribadire, che soltanto l'eventuale contemporanea presenza di tutti i requisiti suillustrati, comporterebbe l'iscrizione all'I.N.P.G.I.; viceversa, la carenza di anche uno solo dei predetti requisiti avrebbe come logica conseguenza il mantenimento, nei confronti degli interessati, del regime previdenziale C.P.D.E.L. gia' in godimento ovvero il sorgere dell'obbligo di iscrizione alla cassa medesima, a decorrere dalla data di assunzione, in caso di instaurazione di nuovi rapporti di lavoro. Le amministrazioni con personale iscritto alle casse pensioni degli istituti di previdenza sono pregate di portare a conoscenza dei loro dipendenti la presente circolare. Il direttore generale ex Direzione generale degli II.PP. FERRARIS Il direttore generale dell'I.N.P.D.A.P. CERILLI