N. 785 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 novembre 1993

                                N. 785
 Ordinanza emessa il 4 novembre 1993 dalla pretura di Vicenza, sezione
 distaccata  di  Schio,  nel  procedimento penale a carico di Dorigato
 Giacomino
 Edilizia ed urbanistica - Esecuzione di opere abusive in zone
    sottoposte a vincolo paesistico -  Intervenuta  autorizzazione  in
    sanatoria - Persistenza dell'obbligo (anziche' della facolta') per
    il  giudice  di  ordinare  il  ripristino dello stato dei luoghi -
    Conseguente irragionevole  previsione  per  situazioni  giuridiche
    differenti  (presenza  o  assenza  dell'autorizzazione  sanatoria)
    dello  stesso  trattamento  consistente  nella  demolizione  delle
    opere.
 (Legge 8 agosto 1985, n. 431, art. 1-sexies, cpv).
 (Cost., art. 3).
(GU n.4 del 19-1-1994 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del procedimento penale nei confronti di Dorigato
 Giacomino, imputato dei reati di cui all'art. 734 del  c.p.,  nonche'
 agli  artt.  1-sexies  della  legge  n. 431/1985 e 20, lett. c) della
 legge n. 47/1985.
                             O S S E R V A
    Dorigato Giacomino veniva tratto a giudizio per  rispondere  degli
 epigrafati   reati,   per  aver  seguito  le  opere  dettagliatamente
 individuate nei capi di  imputazione  senza  essere  in  possesso  di
 concessione  edilizia  (e della autorizzazione ambientale di cui agli
 artt. 7 della legge n.  1497/1939  e  1  della  legge  n.  431/1985),
 alterando  altresi',  a mezzo delle eseguite opere, una zona di bosco
 ceduo di castagno sottoposto a vincolo paesaggistico e idrogeologico.
    Nel  corso  del  dipartimento  -   che   veniva   peraltro   anche
 momentaneamente   sospeso  in  attesa  della  pronuncia  della  Corte
 costituzionale,   chiamata    a    decidere    sulla    censura    di
 incostituzionalita'  dell'art.  1-sexies della legge n. 431/1985 - la
 difesa dell'imputato dimetteva, tra l'altro, copia della  concessione
 in  sanatoria ottenuta dall'imputato per le opere in oggetto, nonche'
 copia del provvedimento n. 532/92/BA emesso in data 29  ottobre  1992
 dall'amministrazione   provinciale   di   Vicenza,  dipartimento  del
 territorio.
    Con  tale  ultimo  provvedimento, l'amministrazione provinciale di
 Vicenza - competente (per "delega" regionale) agli effetti  dell'art.
 1,  secondo  comma,  della  legge  n.  431/1985  -  si determinava ad
 irrogare al Dorigato mera indennita' pecuniaria, ai sensi dello  art.
 15 della legge n. 1497/1939, senza ordinare la rimessione in pristino
 a  mezzo  demolizione  delle  opere  eseguite  in  carenza  di previa
 autorizzazione.
    All'odierna udienza la difesa dimetteva copia del successivo  atto
 dell'amministrazione provinciale, di determinazione in concreto della
 pena  pecuniaria,  con  allegato - a prova dello avvenuto pagamento -
 bollettino di versamento su conto corrente postale.
    All'esito della discussione finale, le parti concludevano come  da
 verbale.
    Orbene, reputa questo pretore che sussista piu' di una ragione per
 debitare   della   legittimita'  costituzionale  dell'art.  1-sexies,
 secondo comma, della legge n. 431/1985, che fa obbligo al Giudice, in
 caso  di  sentenza  di  condanna  per  riscontrata  violazione   alla
 cosiddetta legge Galasso, di ordinare la rimessione in pristino dello
 stato originario dei luoghi a spese del condannato.
    Invero,   l'automatismo  normativo,  articolato  indubbiamente  in
 termini di assoluta  inderogabilita'  dell'ordine  demolitorio  e  di
 ripristino,  esclude  qualsiasi valutazione delle determinazioni che,
 in ordine alla medesima vicenda,  hanno  legittimamente  adottato  le
 autorita' amministrative territoriali - nel caso di specie, comunali,
 provinciali  e regionali - che, a vario titolo competenti, sono anche
 quelle alle quali la legge commette un complesso articolato di poteri
 - sia di programmazione/pianificazione, sia di  concreta  gestione  -
 del territorio e del contesto ambientale.
    Nel  caso  a giudizio, la regione ha concesso nulla-osta - sia pur
 in sanatoria - per gli interventi sul terreno  sottoposto  a  vincolo
 idrogeologico; l'amministrazione provinciale - evidentemente valutato
 positivamente l'impatto ambientale delle opere eseguite - ha ritenuto
 che  l'aspetto paesaggistico non fosse stato in modo sostanziale leso
 (che' altrimenti - partendo da una presunzione di legittimita'  e  di
 ragionevolezza dell'operato amministrativo - avrebbe ben diversamente
 dovuto  ordinare  l'ablazione demolitoria delle opere realizzate); il
 comune ha rilasciato concessione in sanatoria.
    Che  non  vi  sia  lesione  sostanziale  dell'ambiente,  e  quindi
 alterazione  sostanziale  di  zona  sottoposta dalla legge a speciali
 vincoli  e  protezione,  si  evince  chiaramente  dal  complesso  dei
 provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione, ragion per cui
 va ritenuta anche l'insussistenza del reato di "danneggiamento" - per
 carenza  di  reale  alterazione  -  per  il  quale lo stesso pubblico
 ministero ha richiesto pronunzia assolutoria.
    Laddove  questo  giudice,  peraltro,  pronunciasse   sentenza   di
 condanna  ai  sensi  dell'art.  1-sexies  della legge n. 431/1985 (in
 concorso formale con la violazione edilizia, questa  invece  sanata),
 come   detto,   sarebbe   tenuto   inderogabilmente  ad  ordinare  al
 contravvettore la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
    Ma cio' farebbe non a seguito di un ponderato esercizio di  quella
 (limitata)  discrezionalita'  normalmente sottesa all'esercizio della
 giurisdizionie penale, ma solo per  ossequio  ad  un  automatismo  di
 legge  che,  cosi'  come  consegnato,  si  sospetta  sia contrario ai
 principi costituzionali.
    Invero   -   all'imputato   che,   amministrativamente,  e'  stato
 consentito dalle competenti autorita' di mantenere in loco  le  opere
 eseguite,   per  l'avvenuto  rilascio  in  sanatoria  di  concessione
 edilizia e di nulla osta idrogeologico, e per  il  mancato  esercizio
 della  potesta'  provinciale  di  ordinare la demolizione delle opere
 (avendo, appunto, l'amministrazione competente  optato  per  la  mera
 irrogazione  della  indennita' pecuniaria) - dovrebbe ora, in ipotesi
 di condanna per il reato  di  cui  alla  legge  n.  431/1985,  essere
 irrimediabilmente ordinato la distruzione di quanto eseguito.
    E'  interessante osservare, altresi', che - per conservare (recte,
 acquisire) il diritto a  mantenere  quanto  costruito  nella  formale
 carenza  dei  necessari  provvedimenti  autorizzatori  e concessori -
 l'imputato e'  stato  assoggettato  alle  sanzioni  previste  per  il
 rilascio  della  concessione  in  sanatoria,  nonche'  all'indennita'
 pecuniaria contemplata dalla normativa "ambientale".
    Rimettere al giudice l'obbligo della pronuncia del  ripristino,  -
 indipendentemente  da  qualsiasi  possibilita'  di vagliare l'assetto
 conferito,  ai  pubblici   interessi   coinvolti,   dalle   pubbliche
 amministrazioni  detentrici  di potesta' di sostanziale cura e tutela
 degli interessi all'ambiente ed all'ordinato sviluppo  urbanistico  -
 significa, ad avviso di chi scrive, introdurre nel concreto esercizio
 della  giurisdizione penale elementi che sviliscono e mortificano una
 ragionata ed equa  possibilita'  di  esercitare  la  stessa,  nonche'
 sottoporre ad un ingiustificato regime punitivo l'imputato che, prima
 viene  (beninteso per proprie precedenti "colpe") costretto a versare
 contributi e pagare sanzioni  pecuniarie  per  l'ottenimento  di  una
 sanatoria,  e  poi  vede tutto frustrato per l'intervento ordinatorio
 del giudice penale.
    Pertanto, si reputa necessario sollevare questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  1-sexies,  secondo  comma  della  legge  n.
 431/1985,  nella  parte in cui prevede l'obbligo anziche' la facolta'
 di ordinare il ripristino dello stato orginario dei luoghi.
    Non  ignora,  per  altro  verso,  questo  giudice  che  la   Corte
 costituzionale   -   con  sentenza  n.  376  del  6-14  ottobre  1993
 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 20  ottobre  1993,  prima  serie
 speciale,  n.  43)  -  ha  dichiarato  infondata  altra  questione di
 incostituzionalita' della medesima norma, sollevata con  ordinanza  8
 ottobre 1992 del pretore di Verona, sezione distacccata di Soave.
    Va pero' detto che l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte
 afferiva al parametro costituzionale di cui
 all'art. 97 della Costituzione.
    Scrive  la  Corte:  "Peraltro,  tanto  detto  principio  (del buon
 andamento  della  pubblica   amministrazione,   n.d.r.)   quanto   il
 correlativo  sindacato di legittimita' costituzionale attengono, come
 ben  risulta  dalle  richiamate  decisioni,  alle  leggi  concernenti
 l'organizzazione  della  giustizia;  quindi  a quelle che definiscono
 l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro  funzionamento  sotto
 l'aspetto amministrativo.
    Ambito  del  tutto  diverso,  ed  estraneo  per  definizione  alla
 tematica  del  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  e'
 l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale, nel suo complesso e in
 relazione ai diversi provvedimenti che nel contesto di tale esercizio
 possono o devono essere adottati.
    La  questione  sollevata dal pretore di Verona, sezione distaccata
 di Soave, attenendo per l'appunto a provvedimenti  da  adottarsi  dal
 giudice  nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  va quindi
 dichiarata  infondata,  in  riferimento   allo   invocato   parametro
 dell'art. 97 della Costituzione".
    Orbene,  questo  giudice  invoca, a sostegno del proprio dubbio di
 incostituzionialita' della  norma,  altri  referenti  costituzionali,
 ossia  il generale principio di necessaria ragionevolezza delle norme
 ed il principio di uguaglianza,  sotto  il  profilo  del  divieto  di
 assegnare  medesimo  trattamento  (nella  specie,  demolizione  delle
 opere) a situazioni disomogenee e tra loro profondamente differenti.
    Principi che attengono a "provvedimenti, da adottarsi dal  giudice
 nell'esercizio  della funzione giurisdizionale", e che appaiono lesi,
 laddove si  ponga  mente  al  fatto  che  la  condanna  accessoria  e
 necessaria  di  rimessione  in  pristino  dello  stato originario dei
 luoghi dovrebbe, a mente del rigido dettato legislativo,  intervenire
 anche  laddove nessuna lesione sostanziale degli interessi ambientali
 e' dato in concreto  individuare,  ed  anzi  le  pubbliche  autorita'
 amministrative  -  rappresentative  ed  esponenziali  degli interessi
 pubblici, collettivi e diffusi - hanno espresso  un  giudizio  (nella
 loro  veste  di enti di pianificazione, vigilanza e concreta gestione
 del tessuto urbanistico ed  ambientale)  di  sostanziale  positivita'
 delle  opere  e  di  inidoneita'  delle  stesse  a ledere esigenze ed
 interessi di carattere primario, come  la  cura  ed  il  mantenimento
 dell'equilibrio ambientale.
    Inoltre,  non  pare  a  questo  pretore  che  a sottrarre la norma
 denunziata al sospetto  di  incostituzionalita'  sia  sufficiente  un
 riferimento   alla   congruita'  e  ragionevolezza  della  disciplina
 complessiva della cosidetta legge Galasso (in  relazione  alla  norma
 sanzionatoria  di  cui all'art. 1-sexies) per il suo palese carattere
 interinale  -  come  dalla  Corte  costituzioniale  sottolineato   in
 precedenti  pronunzie  -, atteso che invece la stessa normativa - sia
 pur introdotta nel sistema con  decretazione  d'urgenza  -  e'  ormai
 consolidata,    nella    originaria   e   immodificata   formulazione
 sanzionatoria, nel sistema normativo e, comunque, nel caso di specie,
 l'ordine demolitorio verrebbe subito a  colpire  l'odierno  imputato,
 che  nessun  giovamento  potrebbe trarre da un tardivo intervento del
 legislatore, teso ad armonizzare la normativa,  e  in  particolare  i
 suoi aspetti - principali ed accessori - punitivi, con il complessivo
 sistema  normativo  e  le  differenziate possibilita' provvedimentali
 rimesse alla pubblica amministrazione.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1-sexies capoverso della legge
 8 agosto 1985, n. 431, in relazione all'art.  3  della  Costituzione,
 nella parte in cui prevede l'obbligo anziche' la facolta' di ordinare
 il   ripristino  dello  stato  originario  dei  luoghi  a  spese  del
 condannato;
    Dispone conseguentemente l'immediata trasmissione degli atti  alla
 Corte costituzionale e sospende il procedimento;
    Dispone  la  notifica  della  presente ordinanza al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle due
 Camere del Parlamento.
      Schio, addi' 4 novembre 1993
                          Il pretore: PICARDI
                              Il collaboratore di cancelleria: MONDINI
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