N. 358 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 1994
N. 358 Ordinanza emessa il 16 aprile 1994 dal pretore di Perugia nel procedimento civile vertente tra Dominici Sergio ed altri e E.N.P.A.V. Previdenza e assistenza sociale - Ente nazionale previdenza e assistenza veterinari (E.N.P.A.V.) - Previsione, con norma autoqualificata interpretativa, dell'obbligatorieta' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. anche per i medici veterinari gia' avvalentisi di altre forme di previdenza obbligatoria - Violazione del principio di uguaglianza per disparita' di trattamento tra veterinari dipendenti (sui quali viene a gravare un doppio obbligo previdenziale) e veterinari liberi professionisti (tenuti a pagare solo i contributi all'E.N.P.A.V.) ed, inoltre, tra veterinari iscritti prima dell'entrata in vigore della legge n. 136/1991 (gravati da doppia imposizione) e quelli iscritti dopo tale data (sottratti alla doppia imposizione) - Incidenza sulla garanzia previdenziale quale diritto del lavoratore la cui certezza giuridica viene messa in discussione dalla retroattivita' della norma impugnata - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 155/1990 e 39 del 1993. (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, ventiseiesimo comma). (Cost., artt. 3, 38, 101, 102 e 104).(GU n.26 del 22-6-1994 )
IL PRETORE A scioglimento della riserva formulata nel procedimento n. 4607/94 tra Dominici Sergio + 10 e l'Ente nazionale previdenza ed assistenza dei veterinari, pronuncia la seguente ordinanza. Con l'azione proposta i ricorrenti mirano ad un accertamento della inesistenza di qualsiasi obbligo contributivo nei confronti dell'E.N.P.A.V. (Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari) per gli anni 1991, 1992 e 1993, in ipotesi previa dichiarazione di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, ventiseiesimo comma, della legge finanziaria 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione ai vari parametri costituzionali indicati, con conseguente sospensione del processo e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. I ricorrenti sono medici veterinari che si trovano nella condizione prevista dall'art. 24, secondo comma, della legge 12 aprile 1991, n. 136. In base alla legge 18 agosto 1962, n. 1357 (art. 2, secondo comma), l'iscrizione all'E.N.P.A.V. era obbligatoria per tutti i veterinari (di eta' inferiore agli anni 65) iscritti negli albi professionali (anche dunque se svolgenti esclusivamente attivita' di lavoro dipendente); cio' comportava comunque la corresponsione di un modesto contributo (previsto dall'art. 16). Con la legge n. 136/1991 (di riforma dell'E.N.P.A.V.) e' stato invece posto il contrario principio per cui l'iscritto all'albo professionale, ma che svolgesse esclusivamente attivita' di lavoro dipendente od autonomo con altra forma di previdenza obbligatoria, aveva la facolta' di iscriversi o meno all'E.N.P.A.V. (cfr. in particolare l'art. 24, secondo e terzo comma, nonche' l'art. 32, abrogativo del gia' citato art. 2 della legge n. 1357/1962); in compenso e' stato previsto in generale un contributo minimo soggettivo certamente piu' elevato (art. 11), mentre gli iscritti all'albo e non all'E.N.P.A.V. erano tenuti a versare soltanto un modesto contributo di solidarieta' (art. 11, quarto comma). I ricorrenti hanno dunque esercitato la facolta' di rinunciare all'iscrizione all'E.N.P.A.V. A distanza di tre anni dall'entrata in vigore della legge di riforma, con l'art. 11 (punto 26) della legge finanziaria (per l'anno 1994)) n. 537/1/993 e' stata introdotta una norma che, nell'intento di ristabilire il presupposto dell'imposizione contributiva nei confronti dei veterinari "receduti", sotto le sembianze di norma interpretativa dell'art. 32, primo comma, della legge n. 136/91, ha ripristinato a carico di questi ultimi l'obbligo di iscrizione all'E.N.P.A.V., disponendo altresi' la nullita' di diritto dei relativi provvedimenti di cancellazione, ed il pagamento dei contributi frattanto maturati. Per l'adempimento di tale obbligo all'E.N.P.A.V. ha provveduto sollecitamente ad inviare una lettera di invito, con allegato bollettino di versamento in conto corrente postale, chiedendo appunto ai ricorrenti il pagamento dei contributi arretrati (maturati fino al 31 dicembre 1993). Sembra davvero impossibile a questo pretore dare all'art. 11, ventiseesimo comma, un'interpretazione diversa da quella seguita in sede amministrativa all'E.N.P.A.V., perche', sebbene la norma non brilli per cartesiana chiarezza e per la tecnica ermeneutica utilizzata, e' pur tuttavia dotata di un'innegabile coerenza interna, che ne impedisce un diverso apprezzamento. Non si puo' infatti ritenere che essa disponga solo per il futuro, ovvero che operi limitatamente ai veterinari che si trovino in condizioni comunque diverse da quella di chi, svolgendo attivita' di lavoro dipendente, ha provveduto a cancellarsi all'E.N.P.A.V. Cio' premesso, bisogna allora osservare che, se pure si neghi "in astratto" una natura veramente interpretativa alla norma de qua, per affermare al contrario quella "innovativa" (sulla scorta dell'insegnamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui "va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle due norme ..., le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente": cosi' Corte costituzionale sentenza 4 aprile 1990, n. 155, nonche' Corte costituzionale sentenza 10 febbraio 1993, n. 39), l'ottica interpretativa non potrebbe mutare significativamente. Infatti, anche se appare abbastanza palese da un punto di vista sostanziale il carattere falsamente interpretativo dell'art. 11, ventiseesimo comma (ad onta della autoqualificazione formale), finalizzato verosimilmente a produrre l'effetto retroattivo, devesi segnalare come la medesima effettualita' giuridica invisa ai ricorrenti consegue alla seconda parte della norma in esame, laddove si prevede la "nullita' di diritto" dei provvedimenti di cancellazione adottati all'E.N.P.A.V. nei confronti dei veterinari, gia' obbligatoriamente iscritti all'ente stesso in forza della precedente normativa. Ed in realta' l'affermazione della nullita', quale stato viziato invalidante i provvedimenti di cancellazione, vale comunque sicuramente a richiamare l'attenzione dell'interprete sull'inefficacia dei medesimi (quod nullum est, nullum producit effectum): ed e' ben noto come di regola la nullita' operi ex tunc. Di conseguenza, anche a ritenere, svilendo (in modo che comunque e' interdetto al giudice a quo) il dato letterale, che la prima parte dell'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537/1993, introducendo una nuova disciplina, produce effetti solo per il futuro, non sembra che possa ritenersi fondata sic et simpliciter la domanda dei ricorrenti a sentire dichiarata l'insussistenza di ogni obbligo di carattere contributivo a loro carico per il passato, e cioe' per gli anni 1991-1993. Il punto centrale della questione e' dunque proprio quello di verificare la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale in relazione all'efficacia retroattiva della norma introdotta (atteso che da quanto detto risulta gia' evidenziata la sussistenza della rilevanza). Invero, "l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema, a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini" (cosi' ancora Corte costituzionale sentenza n. 155/1990). A tale riguardo, innumerevoli appaiono i profili di non manifesta infondatezza; inoltre la norma in esame sembra presentarsi in vari altri punti in contrasto con la Costituzione. Occorre anzitutto riflettere sulla autoqualificazione dell'art. 11, ventiseesimo comma, come norma interpretativa dell'art. 32, primo comma, della legge n. 136/1991: sembra evidente da quanto gia' detto che essa e' dal punto di vista contenutistico, una norma innovativa, con la quale si vuole pero' produrre in modo peculiare un effetto retroattivo. Invero l'art. 32, primo comma, della legge n. 136 e' norma di pronta intellegibilita' e, come e' noto, in claris not fit interpretatio; inoltre e' evidente come l'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537 ha un contenuto abrogativo - innovativo (ed addirittura sostitutivo) rispetto alla norma che espressamente dichiara di voler soltanto interpretare. Prova ne e' il fatto che viene a mutare totalmente il "regime previdenziale" dei medici veterinari che svolgono un lavoro (dipendente od autonomo) in forza del quale gia' fruiscono di una forma di previdenza obbligatoria: per loro infatti non e' piu' possibile la facoltativita' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. (ed inoltre la norma attribuisce carattere retroattivo all'iscrizione obbligatoria). E' noto, al contrario, come il discrimine tra disposizioni interpretative e disposizioni innovative si ricollega proprio al fenomeno abrogativo, che e' fisiologicamente estraneo all'interpretazione autentica, la quale, come tale, fa rimanere in vita le norme che vuole interpretare (a fini di certezza del diritto). Dall'esame comparativo delle disposizioni in oggetto, quella interpretata e quella interpretatrice, nel nuovo testo, si riscontrano delle aggiunte, rilevanti ed addirittura radicali, che fanno senza dubbio ritenere che l'art. 11, ventiseesimo comma, sia una norma innovativa. Pertanto essa appare caratterizzata da un difetto di razionalita', e contrasta quindi con l'art. 3 della Costituzione, nel senso che il legislatore, utilizzando lo strumento tecnico dell'interpretazione autentica al di la' della sua funzione propria, ha oltrepassato i limiti della ragionevolezza. Si puo' quindi sostenere, con l'ausilio della sentenza n. 155/1990 della Corte costituzionale, che "nella specie il legislatore .. ha arbitrariamente distorto la tipica funzione dell'interpretazione autentica (alla quale si deve far ricorso con attenta e responsabile moderazione) con il connaturato effetto retroattivo". Inoltre, tale intervento legislativo, sovrapponendo la norma in esame alla precedente, che ne risulta sostituita (pur dovendosi ritenere formalmente non espunta dal sistema delle fonti del diritto oggettivo), con eccesso dai limiti della ragionevolezza, ha operato una sottrazione al giudice del compito istituzionale di interpretare ed applicare la norma di legge in modo autonomo ed indipendente da ogni altro potere; in tal modo l'art. 11, ventiseesimo comma, viola il combinato disposto degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione evidenziando il vizio dello sviamento della funzione legislativa. Non si vuole qui certo porre in dubbio la piena legittimita' del potere del legislatore di utilizzare l'interpretazione autentica, in considerazione anche del diverso livello di operativita' del legislatore e del giudice, ma il vizio da ultimo indicato trova la sua ratio essendi, ed e' quindi una naturale conseguenza del difetto di razionalita', o, per meglio dire, dell'arbitrarieta' del ricorso all'uso della norma interpretativa precedentemente evidenziato. In ralazione al contenuto della norma, non si possono in tale sede obliterare ulteriori profili di illegittimita' costituzionale. Infatti, anche nel caso in cui la Corte costituzionale ritenesse la norma autenticamente interpretativa, o comunque non legittimi effetti retroattivi, sussisterebbe pur sempre la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale in ordine alla rinnovata obbligatorieta' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. per coloro che, iscritti in epoca antecedente alla legge n. 136/1991, si trovano pur tuttavia nella condizione lavorativa prevista dall'art. 24, secondo comma, della stessa legge. In particolare, l'obbligatorieta' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. anche per i medici veterinari gia' avvalentisi di altre forme di previdenza obbligatoria determina un'evidente violazione del principio di eguagliana (art. 3 della Costituzione), nel termine della disparita' di trattamento di trattamento, e cio' in duplice senso: a) nei confronti dei veterinari "libero-professionisti" (tenuti a pagare solo i contributi per l'E.N.P.A.V.), che sarebbero trattati irragionevolmente meglio dei veterinari "assicurati", sui quali viene a gravare una doppia previdenza; b) nei confronti dei veterinari, che trovandosi nelle medesime (rispetto agli odierni ricorrenti) condizioni previste dall'art. 24, secondo comma, della legge n. 136/1991, essendosi pero' iscritti per la prima volta agli albi professionali dopo la data di entrata in vigore della legge da ultimo indicata, sono sottratti in forza dell'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537/1993, all'obbligatorieta' dell'iscrizione all'E.N.P.A.V. Pure sotto questo profilo, deve dunque ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537/1993, anche per gli effetti del combinato disposto di questa norma con gli artt. 32, primo comma, della legge n. 136/1991 e 2, secondo comma, della legge n. 1357/1962. Inoltre, l'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537 sembra violare anche l'art. 38 della Costituzione, che prevede come "diritto" (e non gia' come dovere) dei lavoratori quello a che siano loro assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita', vecchiaia, disoccupazione involontaria. A fortiori, dall'art. 38 della Costituzione non e' dato desumere l'obbligatorieta' di una "doppia previdenza", e di conseguenza la legge non puo' innestare un sistema in cui il cittadino sia tenuto a corrispondere contributi previdenziali ad un determinato istituto contro la sua volonta', ed anzi nullificando retroattivamente un'opzione gia' manifestata in senso contraria. Si deve d'altronde osservare come, anche nel nostro ordinamento giuridico, la facoltativita' dell'iscrizione e' espressione di un trend legislativo che sembra inequivocabilmente indirizzato nel senso della unicita' della posizione assicurativa pubblica nell'ambito del pluralismo previdenziale. Sotto tale profilo la norma in esame appare altresi' in interna contraddizione, tanto da far dubitare, anche in questa prospettiva, della sua razionalita', con l'art. 1, trentatreesimo comma, lettera C) della stessa legge n. 537/1993, che, in relazione alla delega al Governo all'emanazione di decreti legislativi diretti a riordinare o sopprimere enti pubblici di previdenza ed assistenza, pone tra i criteri direttivi proprio quello dell'eliminazione delle duplicazioni dei trattamenti pensionistici. La norma in esame, inoltre, incidendo con l'effetto retroattivo sulle situazioni sostanziali poste in essere nel vigore del precedente regime, frustra l'affidamento di una determinata categoria di cittadini nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale di uno stato di diritto: anche in tal senso dunque viola l'art. 38 della Costituzione. Invero, secondo un'autorevole dottrina, la c.d. buona fede legislativa impone di tenere in considerazione la situazione di affidamento determinata in precedenza dal legislatore e di non violarla a posteriore, se non per motivi che, sulla base di un giudizio comparativo, appaiono eccezionalmente prevalenti. Ed esigenze di tipo economico-finanziario non sembrano potersi ritenere ragione sufficiente a giustificare la violazione del suddetto principio (in tal senso, con riferimento a fattispecie diversa, ma di natura previdenziale, cfr. Corte costituzionale 10 febbraio 1993, n. 39). Si e' dunque finora argomentato in ordine alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 punto 26 (prima parte) della legge n. 537, in relazione ai vari vizi rilevati. Occorre pero' analizzare anche la seconda parte della norma in esame (peraltro ovvio corollario della prima parte) che, di fatto, dispone direttamente l'efficacia retroattiva, sancendo la "nullita' di diritto" dei provvedimenti di cancellazione adottati dall'E.N.P.A.V. nei confronti dei veterinari. Con cio', non si vuole sostenere artificiosamente la tesi della sussistenza di una cesura tra le due parti dell'art. 11, ventiseesimo comma, che non e' neppure astrattamente configurabile, ma il metodo analitico, che porta a scindere le componenti precettive della norma, ha come esclusivo obiettivo quello della completezza dell'esegesi. In proposito, pare che il difetto di razionalita' sussista anche rispetto a questa seconda prte della norma, con cui e' stata direttamente prevista (senza il tramite di una norma interpretativa, utilizzata ad hoc) l'efficacia retroattiva della disposizione. Poiche', se e' vero che la Costituzione, al di la' della materia penale, non vieta legge retroattive, esse sono comunque soggette al generale sindacato di ragionevolezza anche per quanto riguarda l'effetto (retroattivo) suindicato. E nel caso di specie, essendo validamente estensibili tutte le argomentazioni precedentemente sviluppate, avendo la norma, dal punto di vista funzionale ed effettuale, carattere inequivocabilmente unitario (in particolare, disponendo in ordine a profili distinti, ma collegati), si puo' ritenere che non sussiste alcun elemento che possa fornire un fondamento razionale alla retroattivita'. Anche in tale prospettiva, dunque, la norma sembra violare l'art. 3 della Costituzione, in particolare in relazione all'art. 38 della Costituzione. Con riferimento pertanto alla fattispecie concreta portata alla cognizione di questo pretore, ai fini di stabilire se in capo ai ricorrenti sussista o meno un obbligo contributivo nei confronti dell'E.N.P.A.V. per gli anni 1991-1993, questione che puo' presentare difforme soluzione a seconda che si ritenga applicabile l'art. 24, secondo comma, della legge n. 136/1991, nella sua originaria formulazione, ovvero se si debba applicare la norma di cui all'art. 11, ventiseesimo comma, della legge n. 537/1993, e rilevandosi in base a quanto sopra argomentato il sospetto di illegittimita' costituzionale di quest'ultima norma, gli atti debbono essere trasmessi alla Corte costituzionale perche' sia risolta la questione di legittimita' costituzionale della norma stessa in relazione ai richiamati parametri della Carta fondamentale. Rimanendo assorbito ogni altro rilievo ed ogni altro profilo attinente al fatto, il presente giudizio deve dunque essere sospeso ed occorre provvedere agli adempimenti prescritti dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, ai fini del decidere, la questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata in ordine all'art. 11, ventiseesimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione agli artt. 3, 38, 101, 102, 104 della Costituzione, nei termini precisati in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti ricorrenti, all'E.N.P.A.V. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata altresi' ai Presidente delle due Camere del Parlamento. Perugia, addi' 16 aprile 1994 Il pretore: (firma illeggibile) 94C0671