N. 367 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1994

                                N. 367
 Ordinanza emessa il 15 marzo 1994 dal tribunale  militare  di  Padova
 nel procedimento penale a carico di Vinci Gianbruno
 Reati militari - Criterio di riconoscimento della militarita' del
    reato  -  Possibilita'  di  considerare  "reato  militare" solo le
    violazioni della legge penale militare - Esclusivo riferimento  al
    dato  formale ai fini della qualificazione di un fatto come "reato
    militare"  -  Conseguente   possibilita'   di   qualificare   come
    "militari" fatti privi di lesivita' militare - Lamentato contrasto
    con   il  principio  di  uguaglianza  e  della  giurisdizione  dei
    tribunali militari in tempo di pace.
 Reati militari - Ingiuria tra parigrado commessa per motivi privati -
    Prevista   applicabilita'   della   disciplina   penale   militare
    nonostante  la  (ritenuta) insussistenza, nel caso, di esigenze di
    tutela di interessi militari - Irragionevolezza.
 (C.P.M.P., artt. 37, primo comma, e 226).
 (Cost., artt. 3 e 103).
(GU n.26 del 22-6-1994 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nella  causa  contro  Vinci
 Gianbruno,  nato  il  23  giugno  1963 a Siracusa, atto di nascita n.
 1065/I/A, residente a Doberdo' del  Lago  (Gorizia)  in  via  Martiri
 della  Liberta',  coniugato,  incensurato,  Appuntato dei carabinieri
 nella stazione carabinieri di Trieste, libero,  imputato  di  duplice
 ingiuria  aggravata,  in  concorso  formale  (artt. 226 e 47 n. 2 del
 C.p.m.p.; 81 C.p.) perche', appuntato presso la stazione  carabinieri
 di  Doberdo'  del  Lago (Gorizia) il giorno 5 agosto 1993, nei pressi
 della medesima Stazione carabinieri offendeva l'onore  ed  il  decoro
 dell'appuntato   carabinieri  Rivano  Sergio  e  del  Brigadiere  dei
 Carabinieri Perna Luigi  dicendo  loro  "Siete  tutti  stronzi",  con
 l'aggravante  di essere un militare rivestito di un grado (art. 47 n.
 2 C.p.m.p.).
                             O S S E R V A
    1.  -  Al  dibattimento  odierno  a  carico  di  Vinci  Gianbruno,
 appuntato   dei   carabinieri,  e'  emerso  che  il  5  agosto  1993,
 transitando libero da impegni di servizio alla  guida  della  propria
 vettura  dinanzi  alla  stazione  carabinieri  di  Doberdo'  del Lago
 (Gorizia),  il  predetto  imputato,  avendo  aperto  il   finestrino,
 profferiva  all'indirizzo dell'appuntato dei carabinieri Rivano e del
 brigadiere Perna, che trovavansi in abiti civili,  non  in  servizio,
 dinanzi  alla  caserma  sede del predetto reparto, in compagnia delle
 rispettive consorti, la  frase:  "siete  tutti  stronzi³".  E'  anche
 risultato che vi erano stati precedenti attriti tra i vari militari -
 coinvolgenti   anche   le   rispettive   famiglie   -  per  questioni
 condominiali nell'immobile adibito ad alloggio di servizio.
    Nelle conclusioni, la difesa, tra l'altro, ha sollevato  questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  226  del  c.p.m.p.,  con
 riferimento all'art. 199 del c.p.m.p., in relazione all'art. 3  della
 Costituzione,  per la mancata previsione di specifiche condizioni che
 limitino l'applicabilita' dell'art. 226 del c.p.m.p.  "a  ragioni  di
 servizio  o  di  disciplina", come per i reati di insubordinazione ed
 abuso di autorita' (art.  199  del  c.p.m.p.).  Il  p.m.  non  si  e'
 opposto,  chiedendo  anzi  che  la  questione sia sollevata anche con
 riferimento all'art. 37 del c.p.m.p., in relazione all'art.  3  della
 Costituzione.
    2.  -  Ritiene  il tribunale che non sia infondata, nei termini di
 cui appresso si dira', la questione prospettata dalla difesa.
    L'art. 226 del c.p.m.p. (ingiuria) -  come  d'altronde  gli  altri
 reati  contro  la persona contenuti nel libro secondo, titolo quarto,
 capo terzo (percosse, lesione personale, diffamazione e  minaccia)  -
 si  applicano  per  il  sol  fatto  che  il soggetto attivo e passivo
 rivestano la qualita' di militare.
    In  riferimento  a  tali  fattispecie  non  vi e' alcuna specifica
 disposizione normativa che ponga limitazioni ai  relativi  ambiti  di
 applicabilita'.
    Cosi',  circoscrivendo  il  campo  all'ipotesi  di ingiuria di cui
 all'art. 226 (ma le medesime considerazioni potrebbero formularsi per
 gli artt. 222, 223 e 229 del c.p.m.p.),  all'interno  di  essa  vanno
 ricondotti:
      1)  fatti  criminosi  tra parigrado, che presentino requisiti di
 "intraneita'" al servizio o alla  disciplina  militare,  commessi  in
 qualsiasi luogo (militare o civile);
      2)  fatti  tra  parigrado,  commessi per motivi privati in luogo
 civile o militare;
      3) fatti a danno di soggetti aventi grado inferiore o  superiore
 ma avvenuti per "cause estranee al servizio ed alla disciplina" (art.
 199 c.p.m.p.).
    L'art.  226  del  c.p.m.p. - comprendente le eterogenee menzionate
 categorie di fatti - e', comunque, sempre, "reato militare" ai  sensi
 dell'art.  37,  primo  comma,  del  c.p.m.p.,  secondo cui "qualunque
 violazione della legge penale militare e' reato militare".
    La dottrina e la  giurisprudenza  prevalente  hanno  costantemente
 ritenuto  che  tale  enunciazione  costituisca  la  nozione  di reato
 militare e, violando le regole della sillogistica, hanno tradotto  la
 frase  nella  proposizione  inversa,  secondo  cui  "qualunque  reato
 militare e' violazione della legge penale militare".
    Ne e' seguito un sistema estremamente formalistico, in cui il mero
 dato dell'inclusione in una legge penale militare - definita tale dal
 legislatore - vincola l'interprete e comporta, quindi, senz'altro, la
 qualificazione del  fatto  come  "reato  militare",  con  conseguente
 negazione  di  ogni spazio interpretativo, funzionale rispetto ad una
 nozione che tenga conto, in  modo  sostanziale  ed  appagante,  della
 "militarita'" del bene giuridico leso.
    Al  riguardo,  pero', si osserva che l'art. 103 ultimo comma della
 Costituzione, secondo cui i tribunali  militari  "in  tempo  di  pace
 hanno  giurisdizione  soltanto  per  i  reati  militari  commessi  da
 appartenenti alle Forze armate, con riferimento specifico  al  limite
 oggettivo,  non  puo'  non  comportare  che  si accerti il "carattere
 obiettivamente  militare  dei  reati  previsti  dalla  legge   penale
 militare"  (Corte  costituzionale 8 aprile 1958, n. 29), in quanto la
 detta norma costituzionale "non puo' introdurre un effettivo  limite,
 se  non  sottendendo  una  nozione  di  reato  militare  di carattere
 contenutistico, desumibile dalla stessa Corta costituzionale"  (Corte
 costituzionale,   5   giugno   1980,   n.  81).  Il  che  puo',  poi,
 inequivocabilmente desumersi, dall'avverbio rafforzativo: "soltanto".
    Ne consegue che l'art. 37 del c.p.m.p., facendo dipendere dal solo
 dato formale la qualifica di un fatto come reato "militare",  fa  si'
 che  tale  definizione giuridica si attagli, oltre che a fatti lesivi
 di interessi militari, anche ad episodi non aventi tali connotati.
    Nella specie, cio' e' evidente, trattasi di  fattispecie  che  non
 esplica  alcuna  -  neppure  astratta - lesivita' su beni o interessi
 militari.
    Per  quanto detto, la nozione di reato militare di cui all'art. 37
 del c.p.m.p. pecca per difetto e per eccesso: per difetto, in  quanto
 non  ricomprende  nel  suo  ambito  ogni  fatto  lesivo  di interessi
 militari  (ne  esulano   la   corruzione,   l'abuso   d'ufficio,   la
 concussione,  il  peculato d'uso, l'omicidio tra parigrado ecc.); per
 eccesso in quanto vi  rientrano  fatti  estranei  alla  tutela  degli
 stessi.
    Sotto  tale  profilo,  e' ravvisabile una violazione dell'art. 103
 della Costituzione: infatti, quest'ultimo, seppur  non  definisca  il
 concetto di "reato militare" e ne rinvii la formulazione ad altra non
 specifica  fonte, impone - come soluzione, quindi, costituzionalmente
 obbligata - che esso sia "definito come violazione  di  legge  penale
 posta   a   tutela   di   valori  afferenti  l'istituzione  militare,
 esplicitamente o implicitamente garantiti dalla Carta costituzionale"
 (Corte costituzionale 5 giugno 1980, n. 81).
    Il dubbio di costituzionalita' investe, percio'  l'art.  37  primo
 comma  del  c.p.m.p.,  in relazione all'art. 103, ultimo comma, della
 Costituzione.
    La questione non puo' poi non estendersi anche  all'art.  226  del
 c.p.m.p.  che,  in  base  al  citato art. 37, e' reato militare anche
 quando ha ad oggetto  fatti  -  come  quello  in  esame  -  privi  di
 lesivita' di interessi militari.
    3.   -   Deve   inoltre   rilevarsi   un   profilo   ulteriore  di
 incostituzionalita'  dell'art.  37  del  c.p.m.p.,   in   riferimento
 all'art. 3 della Costituzione.
    L'inquadramento  di  un  fatto  nell'ambito di una figura di reato
 contenuta nel codice penale militare ne comporta la definizione, come
 detto, di "reato militare" e  quindi  l'applicazione  della  speciale
 disciplina  che  si  discosta  da  quella  ordinaria  per  molteplici
 aspetti: pene principali ed accessorie (e relativa esecuzione), cause
 di giustificazioni, circostanze  attenuanti  ed  aggravanti  speciali
 (artt. 47, 48 del c.p.m.p.).
    Inoltre  - sebbene sia pienamente applicabile il nuovo rito comune
 anche al processo militare -  e'  tuttora  vigente  la  richiesta  di
 procedimento  del  comandante  di  corpo (art. 260 del c.p.m.p.), dal
 momento che nei reati militari contro la persona (artt. 222 - 229 del
 c.p.m.p.), sarebbe sempre insita "un'offesa  alla  disciplina  ed  al
 servizio, una lesione di un interesse eminentemente pubblico, che non
 tollera  subordinazione  all'interesse  privato  caratteristico della
 querela" (sentenza n. 42/1975 e 449/1991).
    Bisogna pero' tener conto, a parere del  tribunale,  che  vi  sono
 fatti  che  non presentano elemento alcuno di interferenza con beni o
 interessi pur lato sensu militari e che pur vengono  sottoposti  alla
 speciale  disciplina.  Tra questi emergono i fatti di ingiuria - come
 quello in esame - commessi per motivi ed in situazioni  assolutamente
 estranee al servizio ed alla disicplina.
    Gli  effetti  discriminatori  che  ne  derivano sono chiari: fatti
 lesivi di interessi solamente "comuni" vengono  sottratti  alla  loro
 naturale  disciplina, quella comune, per essere assoggettati a quella
 militare; per altro verso, medesimo trattamento  sanzionatorio  viene
 comminato, in base alla normativa penale militare a fatti eterogenei,
 quanto all'interesse leso, tra loro, come sopra specificato.
    Di  qui  il  profilo  di  incostituzionalita'  dell'art.  37,  del
 c.p.m.p. in relazione all'art. 3 della Costituzione.
    4. - Ma anche a voler considerare la questione con piu'  specifico
 riferimento   all'art.   226  del  c.p.m.p.,  ricorrono  elementi  di
 incostituzionalita' di questo ultimo, in relazione all'art.  3  della
 Costituzione.
    Come  accennato,  nella  disciplina  dei  reati  contro la persona
 (artt. 222-229 c.p.m.p.) sono riconducibili tutti i fatti commessi da
 militare  in  danno  di  militare,   senza   ulteriori   connotazioni
 limitative.
    Non  si  ignora  certo  che nell'ambito militare - che costituisce
 forma obbligata di convivenza sociale - devono prevalere "esigenze di
 ordine e disciplina rinforzati" (Corte  costituzionale  12-18  luglio
 1984 n. 213) che giustificano il ricorso alla speciale e piu' intensa
 tutela  penale  militare;  vero e' pero' che la norma qui impugnata -
 art. 226 del c.p.m.p. - ricomprende, come gia' accennato, anche fatti
 che non sono caratterizzati da  alcuna  afferenza  con  esigenze  del
 servizio  e  della  disciplina  militare, ai quali, pur in assenza di
 qualsiasi collegamento con  l'ordinamento  militare,  si  applica  la
 normativa speciale del c.p.m.p.
    Gli  effetti  disciminatori sul piano pratico sono molteplici: per
 un fatto sostanzialmente "comune"  di  ingiuria  sara',  ad  esempio,
 concedibile  l'attenuante  della  "ottima condotta militare" (art. 48
 ultimo comma del c.p.m.p.)  o  addebitabile  l'aggravante  del  grado
 rivestito  (art.  47  n.  2  del c.p.m.p.). La decisione poi circa la
 perseguibilita' sara'  sottratta  alla  parte  lesa  ed  affidata  al
 Comandante  di  corpo,  che  dovra'  valutare inesistenti riflessi di
 natura pubblicistica (Corte costituzionale nn.  397/1987,  42/1975  e
 449/1991)  in  ordine  ad  un  fatto che e' ontologicamente meramente
 privato. Senza contare che esso, essendo considerato reato  militare,
 e'  sottoposto  (art.  263 del c.p.m.p.) alla giurisdizione militare;
 che, non essendo  perseguibile  a  querela,  non  e'  ammissibile  il
 tentativo   di   conciliazione   (art.   564   del   c.p.p.)  ne'  la
 rimettibilita'  della  condizione  di  procedibilita'.  Vicende  che,
 invece, comporterebbero, se qualificato il reato come comune, effetti
 favorevoli al reo.
    Se  ne  deduce l'irrazionalita' della norma penale di cui all'art.
 226  del  c.p.m.p.  -  e  quindi  la  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione   -   nella  parte  in  cui  non  sono  previsti  limiti
 all'applicabilita' della stessa.
   Al  riguardo,  la   difesa,   nel   sollevare   la   questione   di
 costituzionalita',  ha  suggerito  come tertium comparationis, per la
 determinazione dei limiti della fattispecie di cui all'art.  226,  la
 disposizione  di  cui  all'art.  199  del c.p.m.p., che stabilisce le
 condizioni di applicabilita' della normativa sull'insubordinazione ed
 abuso  di  autorita'  e  che  potrebbe  anche  costituire  un  valido
 riferimento  ad  acta finium regundorum tra ingiuria comune (art. 594
 c.p.) e ingiuria militare (art. 226 del c.p.m.p.).
    Tale tesi - pur obbedendo alla pregevole finalita' di ricavare dal
 sistema elementi  normativi  che  integrino  la  fattispecie  di  cui
 all'art.  226  del  c.p.m.p.,  cosi'  da  fissare  il  petitum  della
 questione con riferimento a precisi  parametri  -  non  appare  pero'
 tener  conto  che  la  normativa  dell'insubordinazione  ed  abuso di
 autorita', essendo a sua volta  speciale  nell'ambito  della  materia
 penale  militare, risponde all'esigenza di "tutelare l'irrinunciabile
 bene  della disciplina militare, che comporta che durante il servizio
 siano rigorosamente garantiti il  rispetto  del  rapporto  gerarchico
 intercorrente  tra superiore ed inferiore e l'osservanza da parte del
 primo dei doveri di comportamento inerenti alla sua  funzione".  Essa
 deve percio' essere applicata in tutti i casi in cui "la connotazione
 obiettivamente   militare  faccia  venire  in  gioco  il  bene  della
 disciplina e, quindi, la rilevanza del  rapporto  gerarchico"  (Corte
 costituzionale,  17-24  gennaio  1991 n. 22). Diversamente, nei fatti
 del tipo di quello in esame, non si  verifica  lesione  del  rapporto
 gerarchico,  ma  della  disciplina  militare  intesa nella differente
 accezione di ordinata convivenza nell'ambito del consorzio  militare.
 Ad   essi,   come  sostenuto  dalla  Corte  costituzionale,  "restano
 applicabili, oltre le sanzioni disciplinari,  quelle  previste  dagli
 artt.  da  222  a  229  del  c.p.m.p." (Corte costituzionale sentenza
 citata n. 22/1991).
    E'  necessario  percio'  rinvenire  nell'ordinamento  vigente   un
 principio  -  diverso  da  quello di cui all'art. 199 del c.p.m.p. ad
 esclusiva salvaguardia del  rapporto  gerarchico  -  a  cui  ancorare
 l'applicazione  della  norma  dell'art.  226  del  c.p.m.p.  e  delle
 rimanenti ipotesi contro la  persona,  tal  che  si  tuteli  in  modo
 esauriente  la  disciplina  militare  in  senso  ampio,  intesa  come
 ordinato e pacifico svolgimento della vita associata nella  compagine
 militare.
    E'   superfluo   notare  che  l'accezione,  da  ultimo  usata,  di
 "disciplina militare" e' piu' ampia  e  ricomprende  quella  relativa
 all'aspetto   del  rapporto  gerarchico;  cio'  comporta  che  dovra'
 riconoscersi una maggior ampiezza nel margine di  applicazione  delle
 norme  di  cui  agli  artt.  222/229  del  c.p.m.p. rispetto a quelle
 dell'insubordinazione ed abuso di autorita'.
    Ritiene il  collegio  che  un  valido  riferimento  normativo  sia
 offerto  dall'art. 5, terzo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382
 (norme di  principio  sulla  disciplina  militare),  secondo  cui  il
 regolamento  di  disciplina  militare  si  applica  ai  casi in cui i
 militari "si trovino in una delle seguenti condizioni:
       a) svolgono attivita' di servizio;
       b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
       c) indossano l'uniforme;
       d) si qualificano, in relazione  a  compiti  di  servizio  come
 militari  o  si  rivolgono  ad  altri  militari  in  divisa  o che si
 qualificano come tali".
    Infatti, tale  norma,  definendo  i  limiti  di  applicazione  del
 regolamento  di  disciplina  militare,  enuclea  i  casi  in  cui  un
 comportamento, in  riferimento  a  specifiche  modalita'  soggettive,
 temporali  o  locali,  possa esprimere lesione, oltre che al rapporto
 gerarchico, anche piu' genericamente  all'ordinata  convivenza  nella
 compagine  militare e quindi alla disciplina militare in senso ampio.
 E nulla osta che questa delimitazione possa valere anche  nell'ambito
 dell'ordinamento  penale,  come  del resto lascia intendere la stessa
 Corte costituzionale (sentenza n. 22/1991).
    Alla stregua delle  considerazioni  che  precedono,  deve  percio'
 anche  sollevarsi  questione  di  costituzionalita' dell'art. 226 del
 c.p.m.p., in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte  in
 cui  detta  norma  si  applica  anche  al  di  fuori delle condizioni
 stabilite dall'art. 5, terzo comma, della legge n. 382/1978.
                               P. Q. M.
    Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  non manifestamente infondata e rilevante la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 37  primo  comma  e  226  del
 c.p.m.p.,  in  relazione  agli  artt.  3  e  103, ultimo comma, della
 Costituzione;
    Dispone la sospensione del procedimento e  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento.
      Padova, addi' 15 marzo 1994
                         Il presidente: BOSIN
                                           Il giudice estensore: BLOCK
 94C0692