N. 242 SENTENZA 9 - 16 giugno 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Finanza locale - Enti  locali  -  Comuni  che  versano  in  stato  di
 dissesto  - Previsione di una forma di procedura esecutiva collettiva
 di tipo concorsuale -  Questione  gia'  dichiarata  non  fondata  (v.
 sentenza  n.  155/1994)  -  Debiti  insoluti  - Mancata produzione di
 interessi  e  rivalutazione  monetaria  -  Aspetto  specifico   delle
 procedure concorsuali finalizzato alla  par condicio e al pericolo di
 aggravamento   patrimoniale  del  debitore  -  Efficacia  dei  titoli
 esecutivi di formazione successiva - Questione posta in via puramente
 ipotetica  ed  eventuale  - Manifesta infondatezza - Non fondatezza -
 Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 18 gennaio 1993, n. 8, art.  21,  convertito  nella  legge  19
 marzo 1993, n. 68).
 
 (Cost., artt. 2, 3, secondo comma, 23, 24, 41 e 113)
 
(GU n.26 del 22-6-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Gabriele PESCATORE;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo
    CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del decreto
 legge 18 gennaio 1993, n.  8  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
 finanza  derivata e di contabilita' pubblica), convertito in legge 19
 marzo 1993, n. 68, promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 9 ottobre 1993 dal Pretore  di  Napoli  -
 Sezione  distaccata  di Pozzuoli nel procedimento civile vertente tra
 il Comune di Procida e Romeo Mario, iscritta al n. 721  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993;
      2)   ordinanza   emessa   il   19   maggio  1993  dal  Tribunale
 amministrativo per la Puglia - Sezione di Lecce sul ricorso  proposto
 da  Russo  Rocco  contro il Comune di Gallipoli, iscritta al n. 2 del
 registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio dell'11  maggio  1994  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  di  opposizione  a  decreto
 ingiuntivo emesso in favore di Romeo Mario ed in danno del Comune  di
 Procida  il  Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli - dopo
 aver verificato che  il  Comune  suddetto,  dichiarato  in  stato  di
 dissesto, non aveva posto in essere alcuna transazione in ordine alla
 pretesa  del  Romeo  e, pur avendo incluso con apposita deliberazione
 consiliare tale debito tra quelli fuori bilancio, non lo aveva ancora
 inserito nella massa passiva della speciale procedura di liquidazione
 di cui all'art. 21 d.-l. 18 gennaio 1993 n. 8, convertito nella legge
 19 marzo 1993 n. 68 - ha sollevato (con ordinanza del 9 ottobre 1993)
 questione   incidentale   di   legittimita'  costituzionale  di  tale
 disposizione in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28, 41 e 113 Cost.
    Il Pretore rimettente  -  dopo  aver  premesso  che  la  singolare
 procedura  disciplinata dall'art. 21 cit. non e' assimilabile affatto
 ad una procedura concorsuale, perche' difetta  delle  caratteristiche
 principali  di questa e, per come e' strutturata, non costituisce una
 adeguata forma di tutela dei creditori  -  svolge  varie  censure  di
 illegittimita' costituzionale sotto plurimi profili.
    1.2. - Ritiene innanzi tutto violati gli artt. 2, 3, comma 2, e 41
 Cost.  perche'  l'ente  locale  - pur quando si trovi in uno stato di
 definitiva  impotenza  patrimoniale  ad  adempiere  integralmente  ed
 immediatamente   le  proprie  obbligazioni  -  non  puo'  mai  essere
 assoggettato a procedure di tipo concorsuale  in  ragione  della  sua
 posizione  istituzionale  che  non  gli  consente  di  sottrarsi alle
 conseguenze  del  suo  inadempimento,  frustrando   l'interesse   dei
 creditori  insoddisfatti. Invece la norma censurata, nel prevedere la
 procedura conseguente alla deliberazione dello stato di dissesto,  di
 fatto  assimila (ingiustificatamente e, per di piu', con una serie di
 privilegi) la posizione dell'ente a quella di un imprenditore privato
 debitore.
    1.3. - Il pretore rimettente sospetta poi che l'art. 21 cit. violi
 gli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. nella parte in cui non  prevede  alcun
 automatismo   di   ammissione   al  passivo  ne'  l'obbligo,  per  il
 Commissario o la Commissione,  di  inserire  il  debito  nella  massa
 passiva,  laddove  tale  debito  sia riconosciuto ex artt. 24 e 25 l.
 144/89 ovvero nei casi in cui il debito sia consacrato in  un  titolo
 giudiziale  ex  art.  12-  bis  l.  80/91.  Sarebbe  infatti privo di
 ragionevolezza  il  deferimento  al  Commissario  della   valutazione
 sull'ammissibilita' di tali debiti alla massa passiva.
    1.4.  -  Osserva  poi il Pretore che la norma censurata esclude la
 capitalizzazione degli interessi e della rivalutazione, per il  tempo
 successivo  alla  deliberazione  del  dissesto,  non  diversamente da
 quanto si ha nelle procedure concorsuali (art. 55 l.  fall.).  Mentre
 in  queste, pero', la cristallizzazione della situazione debitoria si
 giustifica poiche' mira a congelare il debito,  nell'interesse  degli
 stessi  creditori,  ai  quali  e'  cosi'  assicurato  un  trattamento
 paritario, invece nella  procedura  di  liquidazione  in  esame  tale
 cristallizzazione e' ingiustificata atteso che la norma censurata non
 garantisce  affatto  un  sicuro e pieno soddisfacimento dei crediti e
 neppure la parita' di trattamento tra i creditori. Inoltre la mancata
 finalizzazione della procedura liquidatoria al soddisfacimento  delle
 ragioni  dei  creditori e la mancata previsione dell'indisponibilita'
 del patrimonio (dell'ente dissestato) rende totalmente illegittima la
 previsione dell'interruzione del  decorso  degli  interessi  (sia  di
 quelli convenzionali, che di quelli compensativi e moratori).
    Il  pretore  pertanto  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 21 cit. nella parte in cui prevede che in  deroga  ad  ogni
 altra  disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti
 insoluti non producono piu'  interessi,  rivalutazione  monetaria  od
 altro, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost.
    1.5.  -  Il  pretore  ritiene poi illegittimo l'art. 21 cit. anche
 nella parte in cui non prevede la perdita della capacita' a stare  in
 giudizio   dell'ente   dissestato,  l'interruzione  dei  procedimenti
 cognitivi e l'indisponibilita' del patrimonio, o  misure  alternative
 di  queste,  per  contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 Cost.. Infatti la
 norma censurata, pur avendo configurato una procedura di liquidazione
 con  alcune  di  quelle  caratteristiche  tipiche   delle   procedure
 concorsuali,  non  prevede, irrazionalmente e con evidente disparita'
 di trattamento, la  perdita  della  capacita'  processuale  dell'ente
 locale  in  dissesto  e  la  necessita'  di interrompere il processo;
 effetti  questi  finalizzati   a   realizzare   un'unica   esecuzione
 collettiva e ad assicurare la par condicio, rendendo indisponibile il
 patrimonio del fallito stesso.
    1.6.  -  Infine  osserva  il  pretore rimettente che non essendovi
 alcun obbligo, per i Commissari, di transigere le  vertenze  in  atto
 ne' di inserire il debito nella massa passiva del piano di estinzione
 entro  precisi  termini,  e'  possibile che si chiuda la procedura di
 liquidazione e parallelamente si  formi  nell'ordinario  giudizio  di
 cognizione  il  titolo  giudiziale,  i  cui  effetti  sarebbero ormai
 totalmente vanificati per essere gia' stato  approvato  il  piano  di
 estinzione.  L'art. 21 cit. sarebbe quindi illegittimo (per contrasto
 con  gli  artt.  2,  3  e  24  Cost.)  la'   dove,   pur   prevedendo
 l'inammissibilita'  alla  massa  passiva  di  crediti  anteriori alla
 decisione del CO.RE.CO di approvazione del piano di estinzione, nulla
 prevede  riguardo  ai  procedimenti  di  cognizione   in   corso   ed
 all'efficacia  dei titoli di formazione successiva (sicche' prospetta
 il difetto  di  interesse  e  la  vanificazione  del  futuro  comando
 dell'Autorita' giudiziaria).
    2.  E'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che questa Corte dichiari  la  manifesta  infondatezza  di  tutte  le
 censure mosse dal pretore rimettente.
    L'Avvocatura  contesta  la  fondatezza delle singole censure cosi'
 come articolate nell'ordinanza di rimessione.
    In particolare rileva che la norma censurata  ha  la  funzione  di
 conciliare la natura di ente necessario del Comune con la esigenza di
 massima  tutela delle ragioni del creditore privato. Non vi e' quindi
 alcun  impedimento  alla  previsione  di  una   procedura   di   tipo
 concorsuale per i debiti dell'ente locale.
    L'Avvocatura  osserva poi che il regolamento di esecuzione (d.P.R.
 24 agosto 1993 n. 378)  disciplina  specificamente  le  modalita',  i
 termini  e  le  procedure  per  la  formazione  della  massa passiva;
 dall'altra parte  rimangono  a  tutela  del  creditore  gli  ordinari
 strumenti  di  impugnativa amministrativa e giurisdizionale avverso i
 provvedimenti assunti dal commissario.
    Rileva ancora l'Avvocatura che il congelamento dei debiti insoluti
 e' pienamente giustificato dalla esigenza di tutelare la par condicio
 (come  nelle  procedure  concorsuali  di  diritto  comune)  e   dalla
 necessita'  di  non  deteriorare la condizione patrimoniale dell'ente
 gia' in dissesto.
    Inoltre, per quanto attiene alla gestione della  massa  attiva  (e
 cioe'   del  complesso  di  beni  destinati  al  soddisfacimento  dei
 creditori) il Comune - diversamente  da  quanto  ritiene  il  pretore
 rimettente  - e' privo di ogni capacita' d'agire, che invece conserva
 in ordine all'espletamento delle sue funzioni di ente necessario.
    Ritiene  infine  l'Avvocatura  che  anche  l'ultimo  profilo delle
 censure  mosse  dal  pretore  rimettente  sia  infondato  perche'  il
 creditore, che vanti un titolo esecutivo formatosi successivamente al
 piano  di  estinzione e che quindi non sia stato inserito nella massa
 passiva, puo' sempre farlo valere nei confronti del Comune tornato in
 bonis.
    3. - Una analoga censura di costituzionalita' e'  stata  sollevata
 dal  Tribunale  amministrativo  regionale per la Puglia con ordinanza
 del 19 maggio 1993 nel corso  di  un  giudizio  di  ottemperanza  per
 l'esecuzione  di  una sentenza del tribunale di Lecce di condanna del
 comune di Gallipoli al pagamento, in favore  di  Russo  Rocco,  della
 complessiva somma di L. 82.514.051, da rivalutarsi secondo gli indici
 Istat dalla domanda al soddisfo, oltre agli interessi legali.
    Il  T.A.R.  rimettente  -  dopo  aver  premesso che il giudizio di
 ottemperanza  rientra  in  un  piu'  ampio  concetto  di   esecuzione
 processuale - censura l'art. 21 cit. con riferimento alla limitazione
 temporale  prevista per il computo degli accessori del credito (ossia
 la sua c.d. cristallizzazione).
    Richiamando la disciplina generale degli interessi (quale prevista
 dagli artt. 1282 e 1224 c.c. e 429, comma 3, c.p.c. per i crediti  di
 lavoro),  il  T.A.R.  rimettente  ritiene  che la normativa censurata
 concreta, rispetto ai creditori di altri  soggetti  sia  privati  che
 pubblici,  un  trattamento  deteriore  che  alla  luce  dei  principi
 costituzionali non pare giustificato.
    Ne' la natura pubblica del  soggetto  passivo,  ne'  lo  stato  di
 dissesto possono di per se' giustificare la derogatoria e restrittiva
 disciplina  imposta  agli  accessori  del credito dall'art. 21; norma
 questa che, bloccando interessi e  rivalutazione,  consente  al  mero
 decorso  del tempo di incidere negativamente sulla prestazione dovuta
 ai creditori dell'ente dissestato,  sottoponendoli  a  un  sacrificio
 patrimoniale che vede esenti sia i creditori degli enti locali non in
 dissesto  sia  i  creditori in genere degli altri soggetti pubblici e
 privati. Ne' sarebbe possibile imporre questo sacrificio patrimoniale
 ai creditori dell'ente locale senza violare il canone  costituzionale
 che,  alla luce dei principi di solidarieta' (art. 2 della Cost.), di
 capacita' contributiva (art. 53) e di uguaglianza sostanziale (art. 3
 Cost.), vuole  che  le  prestazioni  patrimoniali  siano  imposte  ai
 singoli  con  criteri  che  consentano  un  equo  concorso alla spesa
 pubblica.
    4. Anche  in  tale  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
 manifestamente infondata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  due  ordinanze  dei giudici remittenti investono, sotto
 plurimi profili, la medesima norma (art. 21 d.-l. 18 gennaio 1993  n.
 8,   Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza  derivata  e  di
 contabilita' pubblica, convertito nella legge 19 marzo  1993  n.  68)
 sicche'   e'  possibile  la  riunione  dei  giudizi  per  connessione
 oggettiva.
    2. - Va innanzi tutto presa in  esame  la  prima,  piu'  radicale,
 censura  (espressa  dal  solo  pretore  di Napoli, sez. distaccata di
 Pozzuoli) che - in riferimento agli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. -
 investe l'art. 21 cit. nella  parte  in  cui  prevede  una  forma  di
 procedura  esecutiva  collettiva  (di  tipo  concorsuale)  di un ente
 locale  (e segnatamente di un Comune) che versi in stato di dissesto,
 procedura che in radice non  e'  neppure  ipotizzabile  per  un  ente
 pubblico.
    La  questione  e'  manifestamente  infondata per essere gia' stata
 ritenuta non fondata da questa Corte con la sentenza n. 155 del  1994
 resa  a  seguito  di  ordinanze  dello  stesso  pretore rimettente di
 analogo contenuto in parte qua,  rispetto  alle  quali  non  e'  dato
 ravvisare alcun argomento o prospettazione nuovi o diversi.
    3.  -  Puo'  poi  esaminarsi  la  censura  che  e' comune alle due
 ordinanze di rimessione, censura che - in riferimento agli  artt.  2,
 3, 23, 24, 53 e 113 Cost. - investe l'art. 21 cit. nella parte in cui
 -  nel  contemplare  la  suddetta procedura di liquidazione - prevede
 che,  in  deroga  ad  ogni  altra   disposizione,   dalla   data   di
 deliberazione  di  dissesto  i  debiti  insoluti  non  producono piu'
 interessi, rivalutazioni monetarie od  altro;  norma  questa  che  in
 particolare   il  T.A.R.  rimettente  ritiene,  con  motivazione  non
 implausibile di dover applicare in ragione della natura di  procedura
 esecutiva del giudizio di ottemperanza.
    La questione non e' fondata.
    Il   blocco  di  rivalutazione  ed  interessi  in  pendenza  della
 procedura concorsuale trova  giustificazione  nello  specifico  delle
 procedure  concorsuali (art. 55 l. fall.), in quanto finalizzato alla
 realizzazione della par condicio ed all'impedimento di  un  ulteriore
 deterioramento  della  condizione  patrimoniale del debitore. E trova
 inoltre fondamento nella considerazione che nel tempo successivo alla
 apertura   della   procedura   concorsuale   non   e'   configurabile
 inadempimento  ne'  a  carico  del  debitore, ne' tanto meno a carico
 degli organi della procedura, questa ponendosi proprio come strumento
 sostitutivo  dell'adempimento;  principio  questo  ben  fermo   nella
 giurisprudenza  della  Corte di cassazione e non messo in discussione
 dal riconoscimento ad opera di questa Corte della  rivalutazione  pur
 dopo  l'apertura della procedura concorsuale in favore dei crediti di
 lavoro, attesa la specialita'  della  ratio  di  tale  riconoscimento
 dovuto  alla  particolare  tutela  accordata  dalla  Costituzione  ai
 crediti di siffatta natura (sent. n. 300 del 1988, n. 204  del  1989,
 n. 408 del 1989, n. 567 del 1989).
    Quanto  poi  al profilo relativo alla ritenuta definitivita' della
 c.d. cristallizzazione del  credito  -  la  quale  concreterebbe  una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto  alla procedura
 fallimentare per essere in quest'ultima la  cristallizzazione  stessa
 soltanto   temporanea   posto   che  alla  chiusura  della  procedura
 concorsuale i creditori riacquistano il libero esercizio  della  loro
 azione  verso  il  debitore ( ex art. 120 l. fall.) - deve escludersi
 che sussista tale denunziata violazione del principio di eguaglianza.
    La  corretta  lettura  della  norma  censurata,  compiuta  tenendo
 presente  il  quadro  normativo  complessivo  risultante  anche dalle
 disposizioni regolamentari  dettate  dal  d.P.R.  n.  378  del  1993,
 conduce  infatti  a ritenere errata l'opinione del giudice rimettente
 circa la pretesa definitivita' della lamentata cristallizzazione  dei
 crediti. Infatti l'art. 6, comma 5, lett. g), del citato regolamento,
 nel  darsi  carico  di precisare che sono esclusi dalla massa passiva
 "interessi  moratori  o  corrispettivi  e   rivalutazioni   monetarie
 maturate  dopo  la  data  della deliberazione del dissesto, interessi
 moratori  o  corrispettivi  calcolati  su  altri  interessi"   lascia
 chiaramente  intendere  che  il  legislatore  postula il maturare sia
 della rivalutazione che degli interessi  anche  successivamente  alla
 apertura  della procedura, limitandosi ad escluderne la opponibilita'
 alla procedura stessa  e  l'ammissibilita'  alla  massa  passiva,  ma
 lasciando  integra  la  facolta'  per  il  creditore di azionare tali
 diritti nei confronti dell'ente pubblico una volta tornato in bonis.
    4. - Possono infine esaminarsi le ulteriori censure mosse dal solo
 pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli.
    4.1.  -  Il   giudice   rimettente   dubita   della   legittimita'
 costituzionale  -  in  riferimento  agli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. -
 dell'art. 21 cit. nella parte in cui - nel contemplare una  forma  di
 procedura  esecutiva  collettiva  (di  tipo concorsuale) per gli enti
 locali in stato di  dissesto  -  non  prevede  alcun  automatismo  di
 ammissione  al  passivo  ne'  l'obbligo,  per  il  Commissario  o  la
 Commissione, di inserire il debito nella massa passiva, laddove  tale
 debito  sia  riconosciuto  ex  artt.  24  e 25 legge n. 144 del 1989,
 nonche' ex 12- bis legge n. 81 del 1990.
    La  questione  e'  inammissibile  per  difetto  di  rilevanza  nel
 giudizio  a  quo che e' di opposizione a decreto ingiuntivo, ossia di
 cognizione e di condanna. Come gia' rilevato da questa  Corte  (sent.
 n.  155 del 1994) con riferimento al giudizio di esecuzione nel corso
 del quale era stata sollevata  analoga  doglianza  circa  la  mancata
 previsione  di  uno  specifico  strumento  di  tutela  del  creditore
 procedente per ottenere che il suo credito fosse inserito nella massa
 passiva, puo' anche nel caso in  esame  ripetersi  che  la  rilevanza
 dell'ipotizzato   profilo  di  illegittimita'  costituzionale  potra'
 soltanto, ed eventualmente, porsi "una volta non ammesso il  credito,
 in  un  successivo giudizio volto a far valere l'illegittimita' della
 delibera dell'organo straordinario della liquidazione".
    4.2. - Il pretore rimettente poi dubita della  legittimita'  della
 medesima  disposizione  -  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 Cost. -
 nella parte in cui non prevede la perdita della capacita' a stare  in
 giudizio   dell'ente   dissestato,  l'interruzione  dei  procedimenti
 cognitivi e l'indisponibilita' del patrimonio, o  misure  alternative
 di queste.
    Relativamente   a   quest'ultimo   profilo  (indisponibilita'  del
 patrimonio in costanza della procedura concorsuale) va dichiarata  la
 inammissibilita'  della  questione  che puo' rilevare nel corso della
 procedura stessa e dell'eventuale contenzioso ad  essa  relativo,  ma
 non  anche  in  un  giudizio  di  cognizione  qual e' quello pendente
 innanzi al giudice rimettente.
    Quanto agli altri due profili, in primo luogo e' da  rilevare  che
 il  debitore  e'  un  Comune,  ossia  ente  previsto in Costituzione,
 "espressione  di  autonomia  locale   che   costituisce   un   valore
 costituzionalmente  tutelato"  (sent. n. 155 del 1994), che come tale
 non puo' essere privato della capacita' processuale, tanto  piu'  ove
 si consideri (sent. citata) che, in ragione della ampiezza dei poteri
 conferiti  all'organo  della procedura, "pur non essendoci una vera e
 propria  perdita  di  capacita'  del   debitore   assoggettato   alla
 liquidazione   come   nelle  procedure  concorsuali,  c'e'  pero'  la
 previsione di un (eccezionale) potere di agire  del  commissario  che
 realizza in concreto un effetto similare".
    Inoltre,  la  situazione  del  Comune  dissestato non e' omologa a
 quella dell'imprenditore privato essendo quest'ultimo per sua  natura
 guidato  dalla  considerazione  e  dalla  cura  del proprio interesse
 personale, laddove il primo, per vocazione istituzionale,  si  ispira
 alla  cura  degli interessi pubblici dei quali e' portatore come ente
 esponenziale della collettivita' di base  e  dei  quali  deve  essere
 fedele   interprete.   Cosi'   che   e'  in  principio  da  escludere
 l'assunzione,  da  parte  dei  suoi  organi  istituzionali,  di   una
 posizione  conflittuale  con  quella  dell'organo della procedura, il
 quale peraltro - come gia' rilevato -  ha  comunque  la  facolta'  di
 transigere  anche in ordine a situazioni soggettive che costituiscano
 oggetto di giudizi in corso.
    La questione pertanto, in relazione a questi ultimi  due  profili,
 e' infondata.
    4.4. - Da ultimo il pretore rimettente censura l'art. 21 cit. - in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24  Cost.  -  nella parte in cui, pur
 prevedendo che  dopo  l'approvazione  del  piano  di  estinzione  non
 possano  essere  ammessi  alla massa passiva i crediti anteriori alla
 decisione  del  CO.RE.CO.  (di  approvazione  del  rendiconto   della
 gestione), nulla prescrive con riguardo ai procedimenti di cognizione
 in corso e all'efficacia dei titoli di formazione successiva.
    La  questione  e'  inammissibile perche' ipotetica ed eventuale in
 vista  di  un  evento  futuro  ed  incerto,  quale  e'  quello  della
 formazione del titolo esecutivo.
    Ne'  la  sola  rappresentazione  della  eventualita' che il titolo
 esecutivo,   una   volta   formato,    potrebbe    non    beneficiare
 dell'ammissibilita'  al  passivo  della  procedura di liquidazione fa
 venire meno l'interesse del creditore a proseguire  nel  giudizio  in
 corso;  infatti  l'interesse  ad  agire  in  realta' persiste fino al
 momento in cui matura la fattispecie impeditiva  della  opponibilita'
 alla procedura del titolo giudiziale perseguito, onde la proposizione
 della  questione  -  alla  stregua  della stessa sua impostazione nei
 termini di fatto  prospettati  nella  ordinanza  -  risulta  comunque
 anticipata  rispetto  al  momento  dell'eventuale insorgere della sua
 reale rilevanza.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
       a)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 21 d.-l. 18 gennaio 1993 n. 8
 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   finanza   derivata   e   di
 contabilita'  pubblica),  convertito nella legge 19 marzo 1993 n. 68,
 sollevata, in riferimento agli artt.  2,  3,  comma  2,  e  41  della
 Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con
 l'ordinanza indicata in epigrafe;
       b)  dichiara  non fondate, nelle parti indicate in motivazione,
 le questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  21  d.-l.  18
 gennaio  1993  n.  8  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di finanza
 derivata e di contabilita' pubblica), convertito nella legge 19 marzo
 1993 n. 68, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 24,  53  e
 113  della  Costituzione,  dal  Pretore di Napoli, sez. distaccata di
 Pozzuoli, e dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia  con
 le ordinanze indicate in epigrafe;
       c) dichiara inammissibili, nelle parti indicate in motivazione,
 le  questioni  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 21 d.-l. 18
 gennaio 1993  n.  8  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza
 derivata e di contabilita' pubblica), convertito nella legge 19 marzo
 1993 n. 68, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 113 della
 Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1994.
                       Il Presidente: PESCATORE
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0737