N. 295 SENTENZA 4 - 13 luglio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 
 Elezioni - Condanna  passata  in  giudicato  per  specifici  reati  -
 Decadenza  dalla  carica  di  consigliere  provinciale  e  comunale -
 Richiamo alle sentenze nn. 407/92, 197, 218 e 288 del 1993 e 118/1994
 - Discrezionalita' legislativa - Esigenza di salvaguardia dell'ordine
 e della sicurezza pubblica, della tutela della libera  determinazione
 degli  organi  elettivi  e  del buon andamento e la trasparenza delle
 pubbliche amministrazioni - Non fondatezza.
 
 (Legge  19  marzo 1990, n. 55, art. 15, comma 4-quinquies, introdotto
 dall'art. 1, della legge 18 gennaio 1992, n. 16).
 
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 51)
 
(GU n.32 del 3-8-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Cesare  MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
    dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  comma
 4-quinquies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall'art. 1
 della  legge  18  gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e
 nomine presso le  regioni  e  gli  enti  locali),  promossi  con  due
 ordinanze  emesse  il  2 settembre 1993 dal Tribunale di Oristano nei
 procedimenti civili vertenti tra  Ghiani  Adriano  ed  il  Comune  di
 Mogoro  ed  altro  e tra Ghiani Adriano e la Provincia di Oristano ed
 altro, iscritte ai  nn.  42  e  43  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 9, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di costituzione di Ghiani Adriano,  nonche'  l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore
 Mauro Ferri;
    Uditi  l'avv.  Costantino  Murgia  per Ghiani Adriano e l'avvocato
 dello Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Con due ordinanze di identico contenuto emesse il 2 settembre
 1993 (r.o. nn. 42 e  43  del  1994),  il  Tribunale  di  Oristano  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  "dell'art. 1,
 comma 4- quinquies, della legge 18 gennaio 1992, n. 16,  parzialmente
 sostitutiva  dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55" (rectius:
 dell'art. 15, comma 4- quinquies , della legge 19 marzo 1990,  n.  55
 introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16), in quanto
 prevede  la  decadenza  di  diritto  di  colui  che ricopre una delle
 cariche elettive indicate al comma 1 del medesimo articolo, a seguito
 del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per taluno  dei
 reati pure ivi elencati.
    Il  giudice  a  quo  premette  in fatto che il ricorrente e' stato
 dichiarato decaduto sia dalla carica di consigliere  provinciale  che
 da  quella  di consigliere del Comune di Mogoro in applicazione della
 norma impugnata, essendo stata emessa nei suoi confronti, ex art. 444
 del codice di procedura penale, sentenza di applicazione  della  pena
 di  un milione di multa - divenuta irrevocabile - per il reato di cui
 all'art. 328, secondo comma, del codice penale.
    Cio'  posto,  il  remittente  osserva  che  e'   principio   ormai
 riconosciuto,   a  mente  della  intervenute  pronunzie  della  Corte
 Costituzionale (tra le quali assumono specifica rilevanza la  n.  971
 del  1988 e la n. 197 del 1993), la ineludibile esigenza di escludere
 sistemi sanzionatori "rigidi", ovvero applicativi di misure  punitive
 senza  alcuna valutazione in concreto della fattispecie rispetto alla
 quale la sanzione viene irrogata, non consentendo  in  tal  modo  una
 "indispensabile gradualita' sanzionatoria .." in grado di adeguare la
 sanzione al fatto.
    Ritiene  al  riguardo  il  Tribunale  che  la  riferita  esigenza,
 ancorche' le anzidette  pronunzie  di  illegittimita'  costituzionale
 abbiano  specificatamente interessato il rapporto di pubblico impiego
 attraverso l'istituto della "destituzione di diritto", debba  trovare
 una  tutela  diffusa  e generalizzata, a prescindere della settoriale
 ipotesi che ne ha occasionato  la  pronunzia  di  illegittimita',  in
 quanto  e'  interesse primario di ogni sistema sanzionatorio adeguare
 concretamente la misura afflittiva al  caso  di  specie.  E  cio'  in
 conformita'  al principio di ragionevolezza dettato dall'art. 3 della
 Costituzione,  sotto  il  profilo  dell'offesa   al   "principio   di
 proporzione  che  e'  alla  base  della  razionalita'  che  domina il
 principio di uguaglianza, e che postula  sempre  l'adeguatezza  della
 sanzione al caso di specie" (citata sent. n. 197/93).
    Nella  presente fattispecie - prosegue il remittente - e' evidente
 come l'esigenza di "adeguatezza e gradualita' sanzionatoria" rispetto
 al caso concreto abbia maggiore  rilevanza  in  considerazione  della
 pluralita'  e difformita' di ipotesi criminali cui la norma censurata
 riconduce indiscriminatamente la sanzione della decadenza di diritto,
 venendo  cosi'  a   parificare,   in   chiave   di   proporzionalita'
 sanzionatoria,  situazioni  che  in  concreto potrebbero risultare di
 diversa gravita' e soggiacere  a  pene  "notevolmente  differenziate,
 alcune delle quali certamente non elevate" (ancora sent. n. 197/93).
    Inoltre, l'attuale sistema di automatismo sanzionatorio pregiudica
 il  diritto  costituzionalmente  garantito  di  tutti  i cittadini ad
 accedere e conservare  (trattandosi  di  una  causa  sopravvenuta  di
 ineleggibilita')  le  cariche  elettive (art. 51 Cost.), ed impedisce
 all'interessato  di  rappresentare  in  contraddittorio  le   proprie
 ragioni  di  difesa,  anche al fine di consentire all'amministrazione
 una adeguata valutazione del caso di specie (art. 24, secondo  comma,
 Cost.).
    2.  -  Si  e'  costituito  in  entrambi  i giudizi Ghiani Adriano,
 ricorrente nei giudizi a quibus, concludendo per l'accoglimento della
 questione sollevata dal Tribunale di Oristano.
    3. - E' intervenuto nel giudizio introdotto con l'ordinanza n.  42
 del  1994  il  Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per
 l'infondatezza della questione.
    Osserva l'Avvocatura dello Stato che  le  ipotesi  previste  nella
 norma  in questione prevedono casi di "non candidabilita'" (e quindi,
 in definitiva, nuovi casi di ineleggibilita') che il  legislatore  ha
 ritenuto  di  configurare  in  relazione  al  fatto  che  l'aspirante
 candidato abbia subito condanne o misure di prevenzione  per  delitti
 connotati  da  una  specifica  capacita' criminale e/o di particolare
 gravita' (Corte Cost. sent. n. 407/1992).
    Si tratta, in sostanza,  di  "qualifiche  negative"  o  "requisiti
 negativi"  che il legislatore, nel perseguimento di fini di interesse
 generale, ha ritenuto di individuare come  cause  ostative  finanche'
 alla  partecipazione  alla  competizione  elettorale:  con  la  ovvia
 conseguenza  che,  se  seguono  alla  elezione,  devono   logicamente
 tradursi in decadenza (o in sospensione) dalle cariche conseguite.
    La ragione cui si e' ispirato il legislatore e' quella di impedire
 che gli organi di governo delle amministrazioni locali siano occupati
 da  persone  che  abbiano  conseguito  condanne  penali che rivestano
 particolare  qualificazione   negativa,   rivelando   una   capacita'
 criminale  che potrebbe mettere in pericolo il regolare funzionamento
 degli organi medesimi.
    Sotto   questo   profilo,   dunque,  non  interessa  che  i  reati
 contemplati dal primo comma dell'art. 1 della legge n.  16  del  1992
 siano  equiparabili  per  la gravita' delle fattispecie astratte o di
 quelle concrete, quanto, piuttosto, che essi rivelino, a  prescindere
 dalla loro gravita', una capacita' criminale tale che, a giudizio del
 legislatore,  il  suo  autore  non  debba  neppure  partecipare  alla
 competizione elettorale, o comunque non debba  essere  eletto,  e  se
 eletto  debba  essere  automaticamente  privato  in  via  cautelare o
 definitiva della titolarita' della carica.
    Quindi, non irragionevole trattamento  eguale  di  situazioni  di-
 verse, come ha denunciato il Tribunale di Oristano, ma, al contrario,
 del   tutto   ragionevole   trattamento   eguale  di  situazioni  che
 sostanzialmente non differiscono.
    Quanto  poi  alla   presunta   violazione   dell'art.   24   della
 Costituzione,  l'Avvocatura  osserva  che la decadenza di diritto non
 costituisce  un  provvedimento  sanzionatorio,   per   cui   non   e'
 ipotizzabile, in radice, una violazione del principio di difesa.
    Neppure sarebbe configurabile, infine, una violazione dell'art. 51
 della  Costituzione,  perche'  la  decadenza  (di  diritto) mira alla
 soddisfazione ed alla salvaguardia di interessi pubblici  e  principi
 fondamentali  riconosciuti  dalla Costituzione (nel caso specifico in
 particolare l'art. 97) ritenuti dal legislatore prevalenti  su  altri
 diritti  egualmente  coinvolti,  ma  considerati cedenti (come l'art.
 51).
    4. - Ha depositato memoria il  ricorrente  nei  giudizi  a  quibus
 Adriano Ghiani, insistendo per l'accoglimento della questione.
    Osserva,  in  particolare,  la  difesa  della parte privata che le
 fattispecie delittuose di cui agli artt. 314 e  seguenti  del  codice
 penale  (rientranti nella previsione di cui alla lett. c) dell'art. 1
 della legge n. 16 del 1992) sono tra loro molto diverse, sia  per  la
 gravita'  delle condotte ipotizzate, sia per la natura e misura delle
 pene previste: e' evidente,  pertanto,  l'irragionevolezza  di  voler
 accomunare  in un unico regime da un lato reati come il peculato o la
 concussione, per i quali sono previste  pene  variabili  dai  tre  ai
 dodici  anni di reclusione, e dall'altro i reati di omissione di atti
 d'ufficio o abuso d'ufficio, per i quali invece la  pena  puo'  anche
 essere  -  come  avvenuto  nella  fattispecie - soltanto quella della
 multa.
    L'automatica decadenza dall'ufficio elettivo - prosegue la  difesa
 del  Ghiani  -  viene  disposta  dalla  legge  a  prescindere  da una
 qualsiasi  valutazione  da  parte  dell'organo  consiliare,  rendendo
 inoltre  impossibile  il  rispetto  del principio del contraddittorio
 (con violazione del principio del giusto procedimento) e determinando
 un'illegittima disparita' di trattamento rispetto ai consiglieri che,
 in base alla legge n. 154 del 1981, possono invece  rappresentare  le
 loro ragioni nelle analoghe ipotesi di ineleggibilita' e decadenza.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale  di  Oristano,  con  due ordinanze emesse il 2
 settembre 1993, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 15, comma 4-quinquies, della legge 19 marzo  1990,  n.  55,
 introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16.
    La  questione sollevata e' unica, identiche sono le motivazioni; i
 due giudizi  possono  percio'  essere  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  - Il Tribunale remittente ritiene che la disposizione di legge
 suindicata, in  quanto  prevede  la  decadenza  di  diritto  operante
 automaticamente  per  chi ricopre una delle cariche elettive indicate
 nel  comma  1  del  medesimo  art.  15  (consigliere  provinciale   e
 consigliere  comunale,  per  quanto  attiene i due giudizi a quibus),
 dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna  per
 taluno  dei  reati indicati nel precitato articolo (nel caso in esame
 per un delitto commesso con abuso dei poteri  o  con  violazione  dei
 doveri  inerenti  ad  una  pubblica funzione, ai sensi della lett. c)
 dello stesso comma 1), contrasterebbe con gli artt.  3,  24,  secondo
 comma, e 51 della Costituzione.
    Secondo  il  giudice a quo, l'automatismo sanzionatorio violerebbe
 l'art. 3 sotto il profilo  del  principio  di  ragionevolezza  e  del
 principio  di proporzione, che postula l'adeguatezza e la gradualita'
 della sanzione rispetto ai casi concreti, i quali possono  essere  di
 gravita'  notevolmente  diversa;  sarebbe  altresi'  in contrasto con
 l'art.  24,  secondo  comma,  essendo  impedito  all'interessato   di
 rappresentare  le  proprie  ragioni  di  difesa al fine di consentire
 all'amministrazione di valutare il caso di  specie;  violerebbe,  in-
 fine, l'art. 51 per lesione del diritto all'accesso e al mantenimento
 delle cariche elettive.
    3.1. - La questione non e' fondata.
    Vanno in primo luogo esaminate le censure sollevate in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione.
    Le ordinanze di rimessione, richiamandosi alle precedenti pronunce
 di  questa  Corte ed in particolare alla sentenza n. 197 del 1993, la
 quale   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale    della
 destituzione  di  diritto  dei  pubblici  dipendenti  anche  nei casi
 previsti dall'art. 1 della legge n. 16  del  1992,  affermano  che  i
 principi  sui  quali si fonda tale decisione dovrebbero valere in via
 generale e quindi anche per le  ipotesi  in  cui  la  legge  medesima
 prevede  la  decadenza  di  diritto  dei  pubblici amministratori che
 ricoprono  cariche  elettive.  E'  palese  l'erroneita'  di  siffatta
 argomentazione.
    Nel  caso dei pubblici dipendenti, la Corte muoveva dalla sentenza
 n. 971 del 1988,  con  la  quale  l'istituto  della  destituzione  di
 diritto  a  seguito  di condanna penale, al di fuori del procedimento
 disciplinare, era stato espunto dall'ordinamento; a tale sentenza  il
 legislatore  si era adeguato con la disciplina prevista dalla legge 7
 febbraio 1990, n. 19. Di conseguenza, la citata sentenza n.  197  del
 1993  ha  ribadito,  per  la  "particolare  categoria di soggetti" in
 esame, pur nell'ambito delle specifiche finalita' della legge  n.  16
 del  1992  (cfr.  sentenza  n.  407  del  1992),  l'esigenza  "che la
 valutazione  della  compatibilita'  del  comportamento  del  pubblico
 dipendente  con  le specifiche funzioni da lui svolte nell'ambito del
 rapporto  di  impiego  ..  va  ricondotta  alla  naturale  sede   del
 procedimento  disciplinare, il quale, del resto, ben puo' concludersi
 con la irrogazione della sanzione destitutoria".
    Nulla di simile e' configurabile nel caso di chi  ricopra  cariche
 pubbliche  in  virtu'  di  un'investitura diretta o mediata del corpo
 elettorale. E' evidente che la previsione di casi di  ineleggibilita'
 non  puo' che essere tassativa, non comportando per sua natura alcuna
 valutazione  discrezionale  da  parte  di   qualsivoglia   organo   o
 autorita'.  Nel caso poi di ineleggibilita' sopravvenuta in seguito a
 condanna penale passata in giudicato, la declaratoria di decadenza ha
 carattere  meramente  ricognitivo,  che  esclude di per se' qualsiasi
 problematica procedimentale.
    3.2. - D'altra parte, la  "pluralita'  e  difformita'  di  ipotesi
 criminali",  cui la norma censurata "riconduce indiscriminatamente la
 sanzione della decadenza di diritto" (come rileva il remittente), non
 costituisce motivo sufficiente perche' la norma medesima sia ritenuta
 in contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalita'.
    Nel comma 1 del precitato art. 15 il legislatore ha  graduato  gli
 effetti    delle    diverse   ipotesi   criminose   ai   fini   della
 ineleggibilita', o "non  candidabilita'",  a  consigliere  regionale,
 provinciale  e  comunale, nonche' ad altre cariche pubbliche elettive
 di secondo grado: essa si verifica,  a  seconda  della  gravita'  dei
 reati  presi  in considerazione, a seguito di sentenza di condanna di
 primo grado, o confermata in appello, ovvero anche nei  confronti  di
 chi  e' sottoposto a procedimento penale se e' stato gia' disposto il
 giudizio o se e' stato presentato o citato a comparire in udienza per
 il giudizio. Tale complessa disciplina non e' comunque in discussione
 in  questa  sede.  E'  invece  contestata  l'unica  previsione  della
 decadenza  di diritto per chi sia stato legittimamente eletto, ma nei
 cui confronti  sia  sopravvenuta  sentenza  di  condanna  passata  in
 giudicato.  Questa Corte ha gia' avuto modo di sottolineare (sent. n.
 118 del 1994) come la circostanza di aver riportato condanna per  una
 delle  fattispecie  criminose  previste  sia  stata configurata dalla
 normativa in esame quale  requisito  negativo,  quasi  una  sorta  di
 indegnita'  morale.  Non  si  tratta percio' di irrogare una sanzione
 graduabile in relazione alla diversa gravita' dei  reati,  bensi'  di
 constatare  che e' venuto meno un requisito essenziale per continuare
 a ricoprire l'ufficio pubblico elettivo: da qui discende l'automatica
 declaratoria della decadenza.
    3.3. - Rimane da valutare, per quanto rileva nel caso in esame, se
 il legislatore, nell'aver esteso la disciplina in questione anche  al
 caso  di condanne per qualsiasi delitto commesso con abuso dei poteri
 o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a  un
 pubblico  servizio,  non  abbia  compiuto  una  scelta irragionevole,
 avendo accomunato i piu'  gravi  delitti  di  peculato,  concussione,
 corruzione  ecc., a fattispecie molto piu' lievi, quale quella di cui
 all'art. 328, secondo comma, del codice  penale  (omissione  di  atti
 d'ufficio), verificatasi nel giudizio a quo.
    Non  puo' essere tacciata di irragionevolezza una norma improntata
 certamente a severita', ma coerente con le finalita' della  legge  in
 esame,  che,  come  piu'  volte  osservato da questa Corte (cfr. cit.
 sentt. nn. 407 del 1992, 197 del 1993, 118 del 1994,  nonche'  218  e
 288  del  1993)  sono quelle di salvaguardare l'ordine e la sicurezza
 pubblica,  la  tutela  della  libera  determinazione   degli   organi
 elettivi,   il  buon  andamento  e  la  trasparenza  delle  pubbliche
 amministrazioni, valori che  coinvolgono  gli  interessi  dell'intera
 collettivita'  ed  hanno primario rilievo costituzionale. La coerenza
 della norma con le finalita' anzidette  sta  appunto  nell'aver  dato
 particolare  peso,  quale  requisito  negativo,  a  delitti  che, pur
 essendo di maggior o minor  gravita',  sono  tutti  accomunati  dalla
 connotazione  di  essere  stati  commessi con abuso dei poteri, o con
 violazione dei doveri inerenti ad  una  pubblica  funzione,  o  a  un
 pubblico  servizio.  Tanto  basta per escludere qualsiasi sospetto di
 irragionevolezza della norma adottata dal legislatore.
    4.  -  Le  considerazioni  su  svolte, che escludono la violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,   valgono   anche   a   dimostrare
 l'infondatezza  del  riferimento all'art. 24, secondo comma. Infatti,
 posta in luce la legittimita' della norma che  prevede  la  decadenza
 automatica  in  seguito  a  condanna penale passata in giudicato (v.,
 sopra, punto 3.1), l'esigenza del diritto  di  difesa  e'  ampiamente
 soddisfatta  dalla  facolta' di ricorso al giudice, nei diversi gradi
 di merito e di legittimita', contro  l'intervenuta  dichiarazione  di
 decadenza.
    5.  -  Parimenti  infondata  e',  infine, la sospettata violazione
 dell'art.  51  della  Costituzione.  Una  volta  accertato   che   il
 legislatore  ha  esercitato  non  irragionevolmente, nel rispetto dei
 principi  costituzionali,  il  potere  di  stabilire  requisiti   per
 l'accesso  alle  cariche  pubbliche  elettive,  cosi' come prevede il
 primo comma dell'art. 51, non puo' configurarsi alcun pregiudizio del
 diritto costituzionalmente garantito di tutti i cittadini ad accedere
 e conservare le cariche elettive, poiche' il possesso  dei  requisiti
 stabiliti  dalla legge e' condizione per l'esercizio di tale diritto,
 secondo il chiaro dettato dell'art. 51 medesimo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondata   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  15, comma 4-quinquies, della
 legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall'art.  1  della  legge  18
 gennaio  1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le
 regioni e gli enti locali), sollevata, in riferimento agli  artt.  3,
 24, secondo comma, e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Oristano
 con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 4 luglio 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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