N. 480 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 1993- 11 luglio 1994

                                N. 480
 Ordinanza  emessa  il  2  dicembre   1993   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  l'11  luglio  1994)  dalla  commissione tributaria di
 primo grado di Roma sul  ricorso  proposto  da  Bobby  S.r.l.  contro
 l'intendenza di finanza di Roma
 Tributi in genere - Nuove tariffe d'estimo delle unita' immobiliari -
 Determinazione  delle tariffe d'estimo in base alla rendita catastale
 stabilita in via provvisoria e da adeguarsi, a partire dal 1› gennaio
 1995, con efficacia retroattiva rispetto  ai  versamenti  di  imposta
 gia'  effettuati  -  Violazione,  a  causa  del carattere provvisorio
 dell'imposizione,  del  principio  della  capacita'  contributiva   e
 conseguente   discriminazione  delle  posizioni  dei  contribuenti  a
 seconda che il tributo risulti assolto su una rendita successivamente
 confermata ovvero su una rendita successivamente  ridotta  (nel  qual
 caso  per  la  parte  di  tributo  non dovuta al contribuente, spetta
 bensi' il diritto al rimborso, ma senza corresponsione di  interessi)
 -  Determinazione del tributo senza contraddittorio, in contrasto con
 il principio essenziale del diritto di difesa.
 (D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, primo comma,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75).
 (Cost., artt. 3, 24 e 53).
(GU n.36 del 31-8-1994 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella udienza del 21 ottobre
 1993 sul ricorso di Bobby S.r.l. contro l'intendenza di finanza.
    Oggetto: silenzio-rifiuto su istanza rimborso ISI.
                               F A T T O
    A seguito del silenzio-rifiuto formatosi  sulla  domanda  prodotta
 all'intendenza  di finanza di Roma per il rimborso dell'importo di L.
 3.105.000, corrisposto a titolo di imposta straordinaria immobiliare,
 ex art.  7  del  d.l.  11  luglio  1992,  n.  333,  convertito,  con
 modificazioni,  nella legge 8 agosto 1992, n. 359, la Bobby S.r.l. ha
 proposto ricorso, ai sensi dell'art. 16, ultimo comma, del d.P.R.  26
 ottobre  1972, n. 636, chiedendo, in via principale, la dichiarazione
 di  non  manifesta  infondatezza  circa   l'incostituzionalita'   del
 suddetto  articolo  per contrasto con gli artt. 2, 24, 53, 101, 102 e
 104 della Costituzione ovvero, in alternativa, l'annullamento, previa
 disapplicazione, della maggiore rendita derivante dal calcolo con  le
 tariffe  di  estimo  ed  il conseguente riconoscimento del diritto al
 rimborso della somma indebitamente assolta.
    Ha,  poi,  chiesto,  in via subordinata, e comunque in conseguenza
 delle modifiche apportate dalla legge 24 marzo 1993, n. 75,  in  sede
 di conversione del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, l'annullamento, pre-
 via disapplicazione, della maggiore rendita derivante dal calcolo con
 le  tariffe di estimo ed il conseguente riconoscimento del diritto al
 rimborso della somma di L. 2.069.000 derivante  dalla  differenza  di
 quanto  pagato  per ISI in base al calcolo delle tariffe d'estimo con
 le rendite catastali.
    Ha, infine, richiesto, sulle somme comunque pretese  in  rimborso,
 il  riconoscimento  degli  interessi  del 9% (legge 11 marzo 1988, n.
 67), nonche' degli ulteriori  interessi  anatocistici  del  10%,  con
 decorrenza dalla presente domanda.
    Le   richieste,  come  sopra  articolate,  vengono,  nel  ricorso,
 ampiamente motivate.
   Il  ricorrente,  infatti,  dopo  un  rapido  excursus  su  tutti  i
 provvedimenti  che  hanno preceduto l'emanazione del d.l. 23 gennaio
 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75,  e  facendo
 anche  ampio richiamo della giurisprudenza formatasi in quel periodo,
 si e' soffermato sul contenuto della  suddetta  legge,  denunciandone
 vari aspetti di incostituzionalita' in quanto:
      1) attribuendo valore e forza di legge ad un atto amministrativo
 (nella  specie,  decreto  ministeriale), essa non svolge una semplice
 funzione interpretativa, ma una  funzione  radicalmente  innovatrice:
 per   tale  funzione  non  ricorrono  certamente  i  requisiti  della
 necessita' e dell'urgenza previsti dall'art.  77  della  Costituzione
 per l'emanazione dei decreti-legge;
      2)   elevando   al  rango  di  legge  formale  un  provvedimento
 amministrativo  gia'  annullato  in  sede   giurisdizionale,   incide
 negativamente sull'attivita' svolta in tale sede e provoca violazione
 degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione;
      3)  imponendo  l'adozione  del  particolare  sistema valutativo,
 provoca una tassazione addirittura superiore  al  reddito  ricavabile
 dal bene, in spregio al principio della capacita' contributiva di cui
 all'art. 53 della Costituzione;
      4)  determinando  un  valore  senza la fondamentale garanzia del
 contraddittorio,  intacca  il  principio  della  difesa,  previsto  e
 garantito dall'art. 24 della Costituzione;
      5)  intervenendo  in un sistema catastale non sempre aggiornato,
 crea, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, una disparita' di
 trattamento tra il contribuente costretto all'imposizione in base  ai
 nuovi  estimi  catastali  ed  il  contribuente  che,  in  mancanza di
 accatastamento del proprio immobile, e' libero di dichiarare cio' che
 vuole.
    Il ricorrente si dilunga, poi, nell'esposizione  dei  concetti  di
 imposta  e  di capacita' contributiva ed, infine, motiva la richiesta
 degli  interessi  anatocistici,  richiamando  a   conforto   numerose
 decisioni di commissioni tributarie ed alcune sentenze della Corte di
 cassazione.
    Con successiva memoria, il ricorrente ha provveduto al deposito di
 alcune  ordinanze  di rimessione di atti alla Corte costituzionale da
 parte  di  commissioni  tributarie   che   hanno   riconosciuto   non
 manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
 sia  dell'art.  2 del d.l. 24 novembre 1992, n. 455, sia dell'art. 2
 del  d.l.  23  gennaio  1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo
 1992, n. 75.
    Nulla ha controdedotto l'intendenza di Roma.
    All'udienza del 21 ottobre 1993, il prof. Claudio Fagioli, per  il
 ricorrente,  si  e' integralmente riportato a quanto gia' dedotto per
 iscritto. Nessuno e' comparso per l'intendenza di finanza di Roma.
                             D I R I T T O
    Ragioni di priorita' logica impongono l'inversione dell'ordine dei
 motivi,   cosi'   come   dedotti   nel  ricorso,  nel  senso  che  va
 preliminarmente esaminato quello che si sostanzia nella richiesta  di
 disapplicazione  delle  tariffe  d'estimo di cui ai dd.mm. 20 gennaio
 1990 e 27 settembre 1991.
    Infatti, se gia'  sotto  questo  profilo  potesse  accogliersi  la
 domanda  del ricorrente con conseguente riconoscimento del diritto al
 rimborso, totale o parziale, di  quanto  corrisposto,  in  base  alle
 suddette  tariffe,  a titolo di imposta straordinaria immobiliare, la
 doglianza  espressa  in  ordine  alla   dedotta   incostituzionalita'
 dell'art.  7  del  d.l.  11  luglio  1992,  n.  333, convertito, con
 modificazioni, nella legge 8 agosto 1992,  n.  359,  perderebbe  ogni
 rilevanza nella risoluzione della presente controversia.
    Il  motivo,  pero', non e' accoglibile nella considerazione che le
 tariffe  d'estimo,  originariamente  previste  dai   citati   decreti
 ministeriali,  hanno  successivamente acquisito una differente e piu'
 autorevole valenza,  attraverso  l'espresso  richiamo  operato  dalla
 intervenuta  legge  24 marzo 1993, n. 75 (di conversione del d.l. 23
 gennaio 1993, n. 16), che ha, pertanto, conferito  al  contenuto  dei
 preesistenti provvedimenti amministrativi il valore di vera e propria
 norma avente rango legislativo.
    In  sostanza,  il  riferimento  alle  rendite catastali, di cui al
 terzo comma, dell'art. 7 della legge istitutiva, deve intendersi oggi
 operante non piu' direttamente nei confronti  della  regolamentazione
 contenuta  nei dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, bensi' nei
 confronti dei criteri valutativi individuati nell'art. 2 della  legge
 24  marzo  1993, n. 75, che ha conferito dignita' di norma di legge a
 quei provvedimenti.
    Cosicche', nel presente giudizio, alla eventuale illegittimita' di
 tali  criteri  non  puo'  piu'  ovviarsi  attraverso  una   possibile
 disapplicazione  dei  dd.mm.  che  originariamente  hanno  fissato il
 valore  dei  nuovi  estimi  catastali,  ma  soltanto  attraverso   la
 rimessione   degli   atti   alla   Corte  costituzionale,  una  volta
 riconosciuta la possibile violazione, da parte della norma  che  tali
 criteri   estimativi  ha  recepito,  di  principi  costituzionalmente
 consacrati.
    Disattesa,  pertanto,  la  richiesta  di   disapplicazione   della
 tariffazione regolata dai dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991,
 deve,   allora,   procedersi   al   vaglio   dei   vari   motivi   di
 incostituzionalita'  sollevati  nel  ricorso  in  ordine  all'attuale
 sistema  di  determinazione  delle rendite catastali utilizzabili per
 l'applicazione dell'imposta straordinaria immobiliare, in  virtu'  di
 quanto disposto dal terzo comma dell'art. 7 del d.l. 11 luglio 1992,
 n.  333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n.
 359.
    Al riguardo, valgono le seguenti considerazioni:
      1) insussistenza dello stato di  necessita'  e  di  urgenza  per
 l'emanazione  del decreto-legge e conseguente violazione dell'art. 77
 della Costituzione:  la  questione  e'  manifestamente  infondata  in
 quanto  e'  di  esclusiva competenza del Parlamento il giudizio sulla
 opportunita' dei decreti; spetta, infatti, a tale organo stabilire se
 sussista l'ipotesi di assoluta urgenza e se le norme  adottate  siano
 le  piu'  opportune  a  fronteggiare  la  situazione  considerata dal
 provvedimento.
    Tra l'altro, va anche tenuto presente che la norma di cui all'art.
 2 del d.l. 23 gennaio 1993,  n.  16,  riproduce  sostanzialmente  il
 testo  gia'  introdotto  nei precedenti decreti-legge non convertiti,
 motivo  per  cui,  con  la  loro  reiterazione  senza  soluzione   di
 continuita',  si  e'  determinato  un  ampio  arco  di  tempo  che ha
 consentito al Parlamento una meditazione  piu'  attenta  sulle  cause
 giustificatrici dell'adottato provvedimento legislativo;
      2)  violazione  del  principio della separazione dei poteri, con
 conseguente  violazione  degli  artt.  24,  101,  102  e  104   della
 Costituzione:  la  questione  e'  manifestamente  infondata in quanto
 l'art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16,  convertito  in  legge  24
 marzo  1993,  n.  75,  non ha provocato l'affermato superamento di un
 giudicato di  annullamento  delle  tariffe  d'estimo  determinate  in
 esecuzione  dei  dd.mm.  20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, essendo
 entrato in vigore quando ancora il giudice sulla legittimita' di tali
 estimi era sub iudice, in presenza di ricorso  pendente  in  sede  di
 merito presso il Consiglio di Stato.
    Tra  l'altro, va considerato che, come leggesi nella relazione che
 ha accompagnato il disegno di legge per la conversione del precedente
 d.l. 26 maggio 1992, n. 298, l'intervento del  legislatore  e'  stato
 richiesto per eliminare ogni incertezza interpretativa in ordine alla
 portata  dell'art.  4, quarto comma, della legge 29 dicembre 1990, n.
 405, cosicche'  tale  intervento,  successivamente  attuato,  risulta
 finalizzato  non  gia'  al  recupero  legislativo  dei  provvedimenti
 amministrativi  gia'  annullati  dal  t.a.r.  del  Lazio,   ma   alla
 interpretazione  autentica del contenuto normativo di cui al suddetto
 articolo, essendosi testualmente  affermato  che  "l'art.  4,  quarto
 comma,  della  legge  29  dicembre  1990, n. 405, deve intendersi nel
 senso che i criteri per la revisione delle tariffe  di  estimo  delle
 unita'  immobiliari  urbane  stabiliti dal decreto del Ministro delle
 finanze 20 gennaio 1990, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  n.  31
 del 7 febbraio 1990, hanno forza e valore di legge".
    In  sostanza, tale disposizione, comunque fatta salva dal disposto
 di cui all'art. 1 della legge 24 marzo 1993,  n.  75,  nonostante  la
 mancata  conversione  del  decreto-legge che la conteneva, ha sancito
 che, contrariamente a quanto ritenuto  dai  giudici  del  t.a.r.  del
 Lazio,  il dettato dell'art. 4, quarto comma, della legge 29 dicembre
 1990, n. 405, sebbene letteralmente rivolto a stabilire la decorrenza
 del termine di vigenza delle nuove  tariffe  e  delle  nuove  rendite
 catastali,    era    da    intendersi    comprensivo   dell'implicito
 riconoscimento di  dignita'  di  legge  alle  disposizioni  che  tali
 tariffe e tali rendite avevano previsto.
    Respinti,   dunque,  questi  due  motivi  di  incostituzionalita',
 ritiene, invece, l'adita commissione che sussista il contrasto  della
 disciplina  normativa  del  tributo in esame con gli artt. 3, 24 e 53
 della Costituzione, anche se ne ravvisa la violazione  sotto  profili
 differenti rispetto a quelli dedotti nel ricorso.
    Premesso, infatti, che l'art. 7 della legge 8 agosto 1992, n. 359,
 ai  fini  determinativi  del  valore  su  cui si rende applicabile lo
 straordinario tributo, fa espresso richiamo delle  rendite  catastali
 determinate  a  seguito della revisione generale disposta con il d.m.
 20 gennaio 1990, va, allora, verificato se  l'attuale  determinazione
 di tali rendite, cosi' come prevista dall'art. 2 del d.l. 23 gennaio
 1993,  n.  16,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 24 marzo
 1933,  n.  75,  risulta  rispettosa  di  principi  costituzionalmente
 consacrati.
    Orbene,  esaminando  il  contenuto  del  suddetto  art.  2,  puo',
 innanzitutto,   ravvisarsi   la   violazione   dell'art.   53   della
 Costituzione  per  l'intrinseca  irrazionalita'  della determinazione
 delle rendite, sul cui valore viene ad incidere il tributo, in base a
 criteri di cui  la  stessa  norma  prevede  l'abbandono  nei  periodi
 successivi al 1› gennaio 1995.
    Ma  c'e'  di  piu':  lo  stesso  art. 2 riconosce espressamente la
 provvisorieta' delle attuali rendite prevedendo la possibilita' di un
 loro successivo adeguamento ad altre diversamente determinate  e  con
 efficacia   retroattiva   rispetto   a  versamenti  di  imposta  gia'
 effettuati.
    Cio' significa che  le  attuali  rendite  costituiscono  una  base
 fittizia  per  l'imposizione  e determinano, quindi, l'assenza di una
 fonte sicura di rilevamento della capacita' contributiva.
    Il contenuto normativo  dell'art.  2  confligge,  dunque,  con  il
 principio  consacrato  nell'art.  53  della  Costituzione  in  quanto
 condizionando un pagamento provvisorio di un tributo,  sia  pure  con
 possibilita'  di  successivo  recupero,  sottopone  medio  tempore il
 contribuente   ad   una   tassazione   avulsa   dalla  sua  capacita'
 contributiva  correlata  ad  una  qualificata  capacita'   economica,
 proponendo,  tra  l'altro,  surrettiziamente una illegittima forma di
 solve  et  repete,  con   tutti   i   conseguenziali   effetti   gia'
 negativamente considerati dalla Corte costituzionale.
    Si  consideri,  tra  l'altro,  che, nell'ipotesi in cui le attuali
 rendite risultino, poi, determinate per eccesso, l'eventuale  mancato
 assolvimento  del  tributo,  sulla  base  di esse, provoca, comunque,
 l'applicazione   di   pesanti    penalita',    sebbene    la    legge
 retroattivamente   riconduca   il   comportamento   nell'alveo  delle
 legalita', riconoscendo la non debenza della maggiore imposta.
    Peraltro, ricorre anche l'ipotesi di eccesso di potere legislativo
 nel senso che la legge e' contraddittoria nell'imporre  un  pagamento
 condizionato  e  cio'  in  quanto  riconosce essa stessa la possibile
 erroneita' della base imponibile.
    Ma altri motivi di incostituzionalita' affiorano  dalla  normativa
 in  esame:  il  fatto  che  la legge imponga un pagamento provvisorio
 provoca discriminazione tra il  contribuente  che  avra'  gli  estimi
 confermati  e  contribuente  che  avra' gli estimi ridotti e, quindi,
 realizzera' un credito nei confronti dell'erario.
    Quest'ultimo, infatti:
      1) sara' costretto ad assolvere un tributo in parte  non  dovuto
 (violazione degli artt. 3 e 53);
      2)  realizzera'  un  credito  e ripetera' la somma indebitamente
 versata, senza che la  legge  gli  riconosca  i  legittimi  interessi
 (violazione degli artt. 3 e 53);
      3)  sara'  leso  nel  suo  legittimo  diritto  di tutela del suo
 credito, soprattutto nell'ipotesi in cui  non  dovra'  piu'  fare  la
 dichiarazione  dei  redditi  o presentera' una dichiarazione negativa
 (violazione degli artt. 3 e 24).
    In ordine al primo punto, e' chiara la violazione, oltre a quella,
 gia' rilevata, del principio di capacita' contributiva, del principio
 di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione.
    Tale principio si sostanzia, secondo l'ormai costante orientamento
 dottrinale  e  giurisprudenziale,  nella  necessita'   di   collegare
 conseguenze eguali a fattispecie analoghe e diverse a fattispecie di-
 verse,  avendo  riguardo, nello stabilire l'analogia e la diversita',
 al fine perseguito, vale a dire alla ratio della norma.
    Orbene, non potendosi revocare in dubbio che la  ratio  legis  del
 provvedimento   istitutivo  del  tributo  de  quo,  preordinato  alla
 istituzione di un'imposta applicata su una base imponibile costituita
 dalla rendita catastale di un bene, non determina alcuna distinzione,
 sotto il profilo soggettivo, nella compagine sociale cui  il  dettato
 normativo si rivolge, alza all'evidenza come le concrete possibilita'
 applicative  della  legge siano tali da creare una diversa disciplina
 impositiva,  discriminando,  proprio  per  la  provvisorieta'   della
 determinazione  del tributo esigibile, le posizioni dei contribuenti,
 a  seconda  che  il  tributo   risulti   assolto   su   una   rendita
 successivamente   riconfermata  ovvero  risulti  corrisposto  su  una
 rendita successivamente ridotta.
    In sostanza, nell'ambito della stessa  categoria  di  contribuenti
 viene a prodursi, senza alcun fondamento di ragionevolezza, una netta
 distinzione  tra coloro i quali, assolvendo esattamente il tributo in
 base alle attuali  tariffe,  rendono  definitiva  la  loro  posizione
 contributiva  e  coloro  che,  assolvendo  anch'essi  esattamente  il
 tributo in base alle attuali tariffe, sono  costretti  ad  esercitare
 ulteriori  azioni  a  tutela  del credito derivante da una successiva
 definizione del rapporto.
    E la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto modo  di  affermare
 (sentenze  nn. 85/1965 e 121/1967) che si pongono fuori dal principio
 di ragionevolezza e, percio', violano il principio costituzionale  di
 eguaglianza   i   provvedimenti   legislativi   che  condizionano  la
 definizione   di   un   rapporto   (nell'ipotesi   ivi   considerata,
 l'applicazione   del  c.d.  condono  tributario)  ad  un  atto  della
 amministrazione finanziaria; ed e' proprio cio' che si  verifica  nel
 caso  in  esame,  dipendendo  la  differente definizione del rapporto
 esclusivamente dall'attivita' svolta dall'amministrazione finanziaria
 nella formazione delle attuali tariffe.
    Ancora piu' palese e', poi,  la  discriminazione  evidenziata  nel
 secondo  punto,  considerando  la formazione, in capo al contribuente
 che abbia assolto il tributo su una rendita successivamente  ridotta,
 di   un  credito  di  imposta  per  il  quale  la  legge  prevede  la
 possibilita' di recupero, in tempi anche  lunghi  e  sotto  forma  di
 compensazione, ma con riferimento al solo capitale.
    Il  mancato  riconoscimento  degli  interessi  accresce, pertanto,
 l'incidenza dell'imposizione sulla sfera patrimoniale del soggetto e,
 nel   provocare   ulteriore   discriminazione   nei   confronti   dei
 contribuenti che tale onere finanziario non sopportano, si pone anche
 in ulteriore contrasto con il principio affermato dall'art. 53.
    Infine, in ordine al terzo punto, non va trascurata la circostanza
 che  l'ipotesi  di  compensazione prevista dalla legge potrebbe anche
 non realizzarsi nel caso in cui il contribuente creditore  non  fosse
 piu' tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero
 dovesse  presentare una dichiarazione negativa; nella circostanza, se
 la disposizione che prevede la particolare forma di rimborso  dovesse
 intendersi   esaustiva   e,   cioe',   configurarsi   come  esclusiva
 possibilita' di recupero, il contribuente verrebbe  addirittura  leso
 nel  suo  legittimo  diritto  di  tutela del suo credito; ma, anche a
 voler ammettere  la  possibilita',  non  prevista  dalla  particolare
 disposizione,  di  accesso  alla  ordinaria  procedura  di  rimborso,
 egualmente si prospetterebbe, sempre in concorrenza con la violazione
 del principio di eguaglianza, l'aperta violazione  del  principio  di
 difesa,  sancita  dall'art.  24  della Costituzione, considerando che
 tale  procedura,  stante  la  connessa  aleatorieta'   del   recupero
 determinata  dai  brevi  termini  prescrizionali  e  dalle  complesse
 formalita' di rito,  renderebbe,  comunque,  incerto  e  difficoltoso
 l'esercizio del diritto costituzionalmente tutelato.
    Le pregresse considerazioni rendono evidente la rilevanza, ai fini
 decisionali,  delle  questioni  prospettate,  in  quanto, ove venisse
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma  che  fissa  i
 criteri   applicativi   del   tributo,   dovrebbe,   in  conseguenza,
 accogliersi la presente domanda di rimborso.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale,  con  riferimento agli artt. 3, 24 e 53
 della Costituzione, dell'art. 2, primo comma, del  d.l.  23  gennaio
 1993,  n.  16,  convertito,  con modificazioni, con la legge 24 marzo
 1993, n. 75, nei sensi di cui alla parte motiva;
    Dispone  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale e
 sospende il procedimento;
    Dispone, altresi', che la presente  ordinanza  sia  notificata,  a
 cura  della  segreteria,  alle  parti  in  causa ed al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti  dei  due  rami
 del Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma il 2 dicembre 1993.
                        Il presidente: AMATUCCI
 94C0872