N. 419 SENTENZA 12 - 27 dicembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Acque  pubbliche  e  private  -   Previsione   della   espropriazione
 generalizzata  e  senza  indennizzo  di tutte le acque superficiali e
 sotterranee - Compressione del diritto dominicale dei proprietari dei
 terreni adiacenti ai corsi d'acqua - Fattispecie estranea allo schema
 dell'espropriazione e quindi dell'obbligo di  indennizzo  -  Richiamo
 alla  giurisprudenza  della  Corte  in  materia  (cfr.  sentenze  nn.
 529/1995 e 259/1996) - Non fondatezza.
 
 (Legge 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, comma 1).
 
 (Cost., artt. 3 e 42).
(GU n.2 del 8-1-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente:, dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof.  Carlo  MEZZANOTTE,    avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,   prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse
 idriche)  promosso  con  ordinanza  emessa  il  16  dicembre 1995 dal
 pretore di Firenze - sezione distaccata di Empoli - nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Cappellini  Alda  e  comune  di Cerreto Guidi,
 iscritta al n. 222 del registro ordinanze  1996  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  12, prima serie speciale,
 dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso depositato il 22 gennaio 1994,  Alda  Cappellini,
 asserendo di essere la proprietaria di un terreno sul quale il comune
 di   Cerreto  Guidi  aveva  stabilito  di  realizzare  il  depuratore
 comunale, chiedeva l'emissione di un provvedimento cautelare ai sensi
 degli artt. 1171 e 1172 cod. civ., in quanto avrebbe potuto  ricevere
 danno  dall'immissione  dei  reflui del depuratore in un fosso di sua
 proprieta';  ed  inoltre  chiedeva  l'adozione  di  un  provvedimento
 d'urgenza  ex  art.    1170,  cod.  civ.,  in  quanto  la  progettata
 immissione dei reflui del depuratore nel rio in questione, che e'  un
 fosso  di  bonifica  che  raccoglie  le  acque meteoriche drenate dal
 terreno, avrebbe costituito una illegittima  turbativa  nel  possesso
 del medesimo.
   Nel  corso del giudizio veniva espletata perizia, che, accertata la
 esistenza di un progetto di variante adottato in corso di  causa  che
 avrebbe  comportato il cambiamento del sito destinato al collocamento
 dello scarico del depuratore nel corpo idrico in questione, e  tenuto
 conto  delle  caratteristiche  fisiche  dell'alveo  a valle del nuovo
 punto  diimmissione,  escludeva  la  possibilita'   di   danni   alla
 proprieta'  della  ricorrente.  Costei contestava le risultanze della
 consulenza  tecnica  d'ufficio  ed  eccepiva  la  incostituzionalita'
 dell'art.  1  della  legge  5  gennaio  1994,  n.  36, per violazione
 dell'art. 42  della  Costituzione,  in  quanto  esso  disporrebbe  la
 espropriazione  di  un  bene di proprieta' privata senza prevedere un
 serio ristoro che compensi il privato per la perdita subita.
   L'adito pretore di Firenze - sezione distaccata  di  Empoli  -  con
 ordinanza  in  data 16 dicembre 1995 (r.o. n. 222 del 1996), respinta
 la domanda di cui agli artt. 1171 e  1172  cod.  civ.,  ha  ritenuto,
 quanto  alla  domanda di manutenzione, rilevante e non manifestamente
 infondata,  sia  pure  in  termini  parzialmente  diversi  da  quelli
 prospettati   dalla   ricorrente,   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale dell'art.  1, comma 1, della citata legge  n.  36  del
 1994.
   In  punto  di rilevanza, il giudice a quo ha osservato che la norma
 di cui si tratta, con lo stabilire la natura pubblica  del  fosso  in
 questione,  o  almeno  delle  acque  in  esso  contenute,  renderebbe
 inammissibile la tutela anche solo in sede possessoria dello  stesso,
 impedendo l'accoglimento del ricorso.
   Quanto  alla  non manifesta infondatezza, secondo il rimettente, il
 comma 1 dell'art. 1 della  legge  n.  36  del  1994  si  porrebbe  in
 contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte in cui,
 prescindendo dalle  finalita'  della  legge  (chiaramente  rivolta  a
 preservare  le  risorse  idriche  quale  bene anche delle generazioni
 future), e  senza  tenere  conto  della  permanenza  del  diritto  di
 raccolta  e  di  utilizzazione  dell'acqua  piovana  a fini agricoli,
 esclude la  possibilita'  di  proprieta'  privata  sui  corpi  idrici
 ricettori   dell'acqua   drenata  dai  terreni  agricoli  bonificati,
 proprieta' privata la quale consentirebbe  l'utilizzazione  agricola,
 laddove l'art. 28, comma 3, della stessa legge, dispone la permanenza
 del  diritto di raccolta e di utilizzazione dell'acqua piovana a fini
 agricoli, fattispecie sostanzialmente non diversa dalla prima.
   Viene,  inoltre,   denunciato   il   vulnus   all'art.   42   della
 Costituzione,  in quanto la norma censurata non prevederebbe un serio
 ristoro per  la  compressione  del  diritto  dominicale  sui  terreni
 adiacenti  ai  corsi  d'acqua. La norma, che attribuisce carattere di
 demanialita' a tutte le acque, non  individuerebbe,  infatti,  limiti
 generalizzati  al  diritto  di  proprieta'  al fine di assicurarne la
 funzione  sociale,  cio'  che  di  per  se'  non  darebbe  luogo   ad
 indennizzo;  bensi'  colpirebbe  solo  alcuni  dei  componenti  della
 collettivita' destinataria della legge.  Nel caso di specie, infatti,
 il legislatore avrebbe determinato un pregiudizio per  i  proprietari
 dei   fondi   finitimi   dell'alveo   del   corso  d'acqua,  che  per
 l'impossibilita'   di   disporne   subirebbero   una   ingiustificata
 compressione  del  diritto  di  proprieta'  sui terreni, allorche' il
 valore e la  utilizzabilita'  degli  stessi  siano  condizionati  dal
 drenaggio delle acque meteoriche o affioranti.
   La  norma sarebbe, infine, costituzionalmente illegittima in quanto
 non sarebbero esplicitati, ne' emergerebbero i profili  di  interesse
 generale  che  la  Costituzione  impone come condizione per qualunque
 limitazione della proprieta'.
   2.  -  Nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  con  il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.
   Ha osservato, in proposito, l'autorita' intervenuta  che  finalita'
 precipua  della  legge  n.  36 del 1994 e' la tutela dell'acqua, come
 bene primario della vita,  con  caratteristiche  esclusive,  e,  come
 tale, non realmente suscettibile di dominio, ma solo di uso, cio' che
 ne    giustificherebbe    il   particolare   regime   giuridico.   La
 demanializzazione di tutte le acque tenderebbe, percio',  ad  evitare
 sottrazioni   all'uso  pubblico  di  un  bene  progressivamente  meno
 disponibile, ed a rendere  effettivo  un  disegno  di  ottimizzazione
 delle scarse risorse idriche ancora utilizzabili.
   In tale situazione, la normativa censurata non sarebbe in contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione, essendo evidente la diversita' delle
 fattispecie  messe  a confronto dal giudice rimettente, cosi' come la
 possibilita', riconosciuta dagli artt. 27 e seguenti della legge,  di
 uso  (anche  se non piu' di dominio) da parte dei privati delle acque
 irrigue e di bonifica; ne' violerebbe l'art. 42  della  Costituzione,
 in    quanto    l'utilita'   pubblica   dell'acqua   giustificherebbe
 l'esclusione del dominio privato su di essa; inoltre, la destinazione
 della norma alla generalita' dei soggetti escluderebbe un obbligo  di
 indennizzo.
                        Considerato in diritto
   1. -  La questione sottoposta all'esame della Corte riguarda l'art.
 1,  comma  1,  della  legge  5  gennaio  1994, n. 36 (Disposizioni in
 materia di risorse  idriche),  nella  parte  in  cui,  prevedendo  la
 espropriazione  generalizzata  e  senza  indennizzo di tutte le acque
 superficiali  e  sotterranee,   violerebbe:   a)   l'art.   3   della
 Costituzione,  in  quanto  non sarebbe prevista la proprieta' privata
 sui corpi idrici ricettori dell'acqua drenata  dai  terreni  agricoli
 bonificati per consentirne l'utilizzazione agricola, regolandosi tale
 fattispecie  in  modo  irragionevolmente  discriminatorio  rispetto a
 quella, non sostanzialmente diversa, della raccolta ed  utilizzazione
 dell'acqua  piovana a fini agricoli, consentita a norma dell'art. 28,
 comma 3, della stessa legge; b)  l'art.  42  della  Costituzione,  in
 quanto non sarebbe prevista la corresponsione di un serio ristoro per
 la  compressione  del diritto dominicale dei proprietari dei terreni,
 adiacenti ai corsi d'acqua, il cui valore e la cui utilizzabilita'  a
 fini  commerciali siano condizionati dalla stessa utilizzabilita' del
 corso  d'acqua,   e   che   risulterebbero   pertanto,   pregiudicati
 dall'espropriazione   di   questo;   c)   ancora   l'art.   42  della
 Costituzione, in quanto non sarebbero esplicitati, ne'  emergerebbero
 a  seguito  di attivita' ermeneutica, i profili di interesse generale
 che la norma costituzionale  impone  come  condizione  per  qualsiasi
 limitazione alla proprieta' privata.
   2.  -  La  questione  non e' fondata. Infatti, come questa Corte ha
 avuto  occasione  di  affermare  (sentenza  n.  259  del  1996),   il
 progressivo  "aumento dei fabbisogni derivanti dai nuovi insediamenti
 abitativi  e  dalle  crescenti  utilizzazioni  residenziali  anche  a
 seguito  delle  nuove  tecnologie  introdotte  nell'ambito domestico,
 accompagnato da un incremento degli usi agricoli produttivi ed  altri
 usi,  ha  indotto  il  legislatore  (legge 5 gennaio 1994, n. 36), di
 fronte a rischi notevoli per l'equilibrio  del  bilancio  idrico,  ad
 adottare  una serie di misure di tutela e di priorita' dell'uso delle
 acque  intese  come  risorse,  con  criteri  di  utilizzazione  e  di
 reimpiego indirizzati al risparmio, all'equilibrio e al rinnovo delle
 risorse  medesime.    Di  qui  la  esigenza  avvertita  dallo  stesso
 legislatore  di   un   maggiore   intervento   pubblico   concentrato
 sull'intero  settore dell'uso delle acque, sottoposto al metodo della
 programmazione, della vigilanza e dei  controlli,  collegato  ad  una
 iniziale  dichiarazione  di principio, generale e programmatica (art.
 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994), di pubblicita' di  tutte  le
 acque  superficiali e sotterranee, indipendentemente dalla estrazione
 dal sottosuolo".
   Ed appunto la "pubblicita'  delle  acque"  ha  riguardo  al  regime
 dell'uso  di  un bene divenuto limitato, di modo che la dichiarazione
 di pubblicita' di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile  di  uso
 previsto  o  consentito, si basa su un interesse generale ritenuto in
 linea di principio esistente  in  relazione  alla  limitatezza  delle
 disponibilita' e alle esigenze prioritarie di uso dell'acqua.
   Quanto  alla  mancanza di una generalizzata ed indiscriminata forma
 di pubblicita' (e regime concessorio di uso) di tutte  le  acque,  si
 tratta   di  una  circostanza  che  trova  fondamento  nella  scelta,
 tutt'altro che irragionevole, del legislatore, di privilegiare talune
 utilizzazioni tradizionali caratterizzate da esclusione di  interesse
 generale o da una razionale ponderazione di interessi.
   Ne'  dall'esistenza  di  disposizioni  che consentono, in regime di
 liberta', la raccolta delle acque piovane in  invasi  e  cisterne  al
 servizio  di  fondi  agricoli o di singoli edifici (art. 28, comma 3,
 della legge n. 36 del 1994) o  l'utilizzazione  (purche'  compatibile
 con l'equilibrio del bilancio idrico) delle acque sotterranee per usi
 domestici,  puo' inferirsi la illegittimita' sul piano costituzionale
 della mancata previsione di  proprieta'  privata  dei  "corpi  idrici
 recettori di acque drenate dai terreni agricoli bonificati".
   Infatti,  tali acque fluenti in fosso o rio (salva l'ipotesi limite
 di percorso limitato del fosso non affluente in altro  corpo  idrico)
 si  differenziano  dalla  mera  raccolta di acque piovane in invasi e
 cisterne e ricadono nella disciplina generale delle acque  in  quanto
 si  presuppone un interesse generale. Esse, inoltre, sono soggette al
 regime delle acque di bonifica (v. anche l'art. 27 della legge n.  36
 del  1994) ove ne ricorrano i presupposti. Di conseguenza deve essere
 escluso alla radice ogni profilo di  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione.
   3.  -  I  proprietari  dei  terreni,  lungo  i  quali  scorrono gli
 anzidetti fossi  o  rii  (recettori  di  acqua  drenata  dai  terreni
 bonificati  o  affiorante),  anche se le relative acque sono divenute
 pubbliche, hanno una priorita' dell'uso agricolo una volta assicurato
 l'eventuale consumo umano insieme agli altri  agricoltori  (art.  28,
 comma  3,  della  legge  n.  36  del 1994); conservano (a determinate
 condizioni) il diritto di utilizzare (art.  28,  comma  5)  la  falda
 sotterranea   per   usi   domestici,  ricomprendendovi,  secondo  una
 interpretazione giurisprudenziale, anche l'abbeveramento del bestiame
 e l'annaffiamento dei giardini ed orti intesi come  unita'  colturale
 familiare;  hanno  avuto  un  periodo transitorio per l'esercizio del
 diritto al riconoscimento o alla concessione di acque  se  precedenti
 utilizzatori delle acque che hanno assunto natura pubblica (art. 34).
   Di conseguenza, da un canto non vi e' una apprezzabile compressione
 della  utilizzazione  economica dei fondi finitimi, mentre i titolari
 della proprieta' privata non sono  affatto  pregiudicati  nella  loro
 pretesa  di mantenimento della funzione essenziale di drenaggio degli
 anzidetti corpi idrici, che proprio dal carattere  pubblico  ricevono
 unaulteriore  e  maggiore  protezione anche sotto il profilo dell'uso
 agricolo. D'altro canto, la dichiarazione di pubblicita' delle  acque
 si  risolve  in  un  limite della proprieta' dovuto alla intrinseca e
 mutata rilevanza della risorsa idrica, rispondente alla  sua  natura,
 "come  scelta non irragionevole operata dal legislatore" e quale modo
 di    attuazione  e  salvaguardia  di  uno  dei  valori  fondamentali
 dell'uomo  (e delle generazioni future) all'integrita' del patrimonio
 ambientale, nel quale devono essere inseriti gli  usi  delle  risorse
 idriche (art.  1, commi 2 e 3, della legge n. 36 del 1994).
   4. - Su un piano piu' generale, deve essere confermato il principio
 che  l'art.  42  della  Costituzione  non impone indennizzo quando la
 legge in via  generale  regoli  diritti  dominicali  in  relazione  a
 determinati fini per assicurare la funzione sociale con riferimento a
 intere  categorie  di  beni (v. per tutte la sentenza n. 328 del 1990
 con  richiami),  ne'  quando  sia  regolata  la situazione che i beni
 stessi hanno rispetto ad interessi  della  pubblica  amministrazione,
 sempre  che  la  legge  abbia  per  destinataria  la  generalita' dei
 soggetti (sentenza n. 245 del 1976).
   Da quanto sin qui rilevato, emerge che nella fattispecie  normativa
 in  esame,  quanto  alla  previsione  del regime di pubblicita' delle
 acque (art. 1, primo comma, della legge n. 36 del 1994), si e' al  di
 fuori  dello  schema  della  espropriazione, e quindi dell'obbligo di
 indennizzo. Ne' la limitazione al diritto di  proprieta'  si  risolve
 per  i  proprietari dei fondi finitimi al corpo idrico in una lesione
 irrimediabile  del  contenuto  minimo  della  proprieta',   tale   da
 svuotarne il contenuto (cfr. la sentenza n. 529 del 1995).
   Giova  inoltre  sottolineare che, come nella precedente sentenza n.
 259  del  1996,  non  si  fa,  nel  caso  di  specie,  questione   di
 acquisizione coattiva di manufatti e opere o terreni necessari per la
 captazione o l'utilizzo di acque divenute pubbliche.
   Alla   stregua  delle  considerazioni  che  precedono,  risulta  la
 infondatezza  di  tutti  i  profili   ulteriori   di   illegittimita'
 costituzionale  in ordine alla compressione del diritto di proprieta'
 e al difetto di funzione sociale sollevati in  questa  sede  rispetto
 alla precedente questione esaminata dalla gia' citata sentenza n. 259
 del 19 luglio 1996.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni
 in materia di risorse idriche) sollevata, in riferimento  agli  artt.
 3  e  42  della  Costituzione,  dal  pretore  di  Firenze  -  sezione
 distaccata di Empoli - con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
                         Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Chieppa
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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