N. 59 SENTENZA 26 febbraio - 4 marzo 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Impiego pubblico - Regione Sicilia -  Personale  della  catalogazione
 del  patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei
 beni culturali e  ambientali  -  Trasformazione  automatica  a  tempo
 indeterminato  dei  contratti di lavoro a termine - Irrazionalita' di
 norme configuranti interventi di natura  assistenziale  in  contrasto
 con   il   principio   di   imparzialita'   e   di   buon   andamento
 dell'amministrazione pubblica nonche' con quelli di eguaglianza e  di
 parita'  nell'accesso  ai  pubblici  uffici - Violazione dei principi
 delle  riforme  economico-sociali  della   legislazione   statale   -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996,
 artt. 1, 2 e 3).
 
(GU n.11 del 12-3-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof.  Carlo  MEZZANOTTE,    avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,   prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  della  legge  approvata
 dall'assemblea  regionale  siciliana  il 24 marzo 1996 (Provvedimenti
 per  il  personale  della  catalogazione  del  patrimonio   artistico
 siciliano  e  per  la  custodia  e  fruizione  dei  beni culturali ed
 ambientali), promosso con ricorso del commissario dello Stato per  la
 regione   siciliana  notificato  il  1  aprile  1996,  depositato  in
 cancelleria il 10 successivo  ed  iscritto  al  n.  16  del  registro
 ricorsi 1996;
   Visto l'atto di costituzione della regione siciliana;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  novembre  1996  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi l'avvocato dello Stato Luigi Mazzella per  il  ricorrente,  e
 gli  avvocati  Giovanni  Lo  Bue  e  Laura  Ingargiola per la regione
 siciliana.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso notificato il 1 aprile 1996 il commissario  dello
 Stato  per  la  regione  siciliana  ha  impugnato  la legge approvata
 dall'assemblea regionale siciliana nella seduta del  24  marzo  1996,
 recante  "Provvedimenti  per  il  personale  della  catalogazione del
 patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei beni
 culturali ed ambientali" (disegno di legge  n.  1181-1205-1209-1227),
 per  violazione  degli  artt.  3,  51 e 97 della Costituzione nonche'
 degli artt. 2, comma 1, lettera r), della legge 23 ottobre  1992,  n.
 421 e 22, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
   Con  l'art.  1  di  tale  provvedimento  legislativo  si dispone la
 trasformazione automatica a  tempo  indeterminato  dei  contratti  di
 lavoro  a  termine,  stipulati  dall'amministrazione regionale con il
 personale gia' utilizzato  -  ai  sensi  dell'art.  111  della  legge
 regionale 1 settembre 1993, n. 25, come modificato dall'art. 13 della
 legge  regionale  29 settembre 1994, n. 34 - per la catalogazione del
 patrimonio culturale ed ambientale siciliano, con contratti di lavoro
 subordinato di diritto privato di durata triennale.
   2.  -  Dopo  aver  affermato che la regione siciliana non ha ancora
 avviato le procedure di verifica dei carichi  di  lavoro  dei  propri
 dipendenti,  ne'  rideterminato  la  propria  pianta  organica,  come
 chiesto  dalla  legislazione  statale,  il  commissario  dello  Stato
 ricorrente  osserva  che  i  contratti  a  termine,  che si intendono
 trasformare ope legis a tempo  indeterminato,  sono  stati  stipulati
 soltanto nel secondo semestre del 1994 e pertanto non si comprende la
 necessita'  di  una loro proroga legale, senza che la regione proceda
 alla previa verifica dei risultati fino ad ora conseguiti. La  misura
 non  sarebbe,  inoltre,  giustificata  da  esigenze  funzionali della
 pubblica amministrazione ne' da idonea motivazione, dal  momento  che
 verrebbero  mantenuti  i rapporti di lavoro di un rilevante numero di
 soggetti (700 unita') per una finalita', la  catalogazione,  che  per
 sua  natura  e'  limitata  nella materia e nel tempo. Unico scopo del
 legislatore  regionale  (art.  1)  sembrerebbe   essere   quello   di
 assicurare  "stabilita'  occupazionale"  a  lavoratori  che non hanno
 sostenuto nessuna prova di idoneita' professionale al  momento  della
 stipula  dei  contratti e per i quali non si prevede alcuna selezione
 nemmeno al momento  della  conversione,  disposta  dal  provvedimento
 legislativo impugnato, degli originari contratti a termine.
   L'illegittimita'  sarebbe  confermata  dagli  artt.  2  e  3  della
 medesima  legge  regionale,   perche'   tali   norme   prevedono   la
 possibilita'  per  la  regione di stipulare nuovi contratti di lavoro
 con il personale utilizzato per attivita' di catalogazione  di  altri
 progetti (barocco siciliano e edifici ecclesiastici siciliani), prima
 escluso  dall'applicazione  dell'art. 111 della legge regionale n. 25
 del 1993 ed ora invece ricompresovi. Inoltre, la  mancata  fissazione
 di  un termine per il completamento delle operazioni di catalogazione
 e di inventario sarebbe in contrasto con il  principio  dell'art.  97
 Cost.,  perche'  verrebbero deresponsabilizzati i funzionari preposti
 alla verifica dei risultati conseguiti in  relazione  agli  obiettivi
 prefissati.
   Le  previsioni  normative  sarebbero,  altresi', in contrasto con i
 principi posti dal legislatore nazionale in tema di razionalizzazione
 dell'impiego di risorse umane nelle pubbliche amministrazioni  (leggi
 nn.  421 del 1992, 724 del 1994 e 549 del 1995) con il minimo esborso
 di danaro pubblico.
   3. - Si e' costituita in giudizio la regione siciliana per chiedere
 il rigetto di tutte le questioni.
   In primo luogo le norme impugnate non sarebbero ne' arbitrarie  ne'
 irragionevoli  anche  alla  luce  di  precedenti, analoghi interventi
 regionali in specifici settori (legge regionale  6  luglio  1990,  n.
 11,  modificata  dalla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 9, e legge
 regionale 18 aprile 1981, n. 66, che hanno  riguardato  assunzioni  a
 tempo  indeterminato, rispettivamente, di personale tecnico del genio
 civile e di lavoratori forestali).
   Viene, poi, contestata l'affermazione che il legislatore  regionale
 avrebbe  cosi'  assicurato  "stabilita' occupazionale" ai soggetti in
 questione,  poiche'  invece  si  e'  inteso  dare  applicazione  alla
 normativa  statale  (legge 18 aprile 1962, n. 230), applicabile anche
 alle pubbliche amministrazioni, la quale impone per  l'assunzione  di
 lavoratori il contratto di lavoro a tempo indeterminato, salve talune
 eccezioni,  ivi  indicate, tra le quali non rientrano le categorie di
 personale regionale interessato dalle nuove normative.
   Sostiene  la  regione  che  il rapporto di lavoro "a contratto", ai
 sensi  della  citata  legge  n.  230,  "non  perde  i  connotati   di
 precarieta'  che  lo  distinguono,  sol  perche'  stipulato  senza la
 fissazione di un termine; perche' il  limite  apposto  al  tempo  del
 contratto attiene alla durata (preventivamente non determinabile) del
 rapporto  di  lavoro  e non alla sua stabilita'"; ... tale stabilita'
 sarebbe esclusa "dal  fatto  che  l'assunzione  avviene  fuori  ruolo
 (fuori  dei  posti  della pianta organica), cioe' in una posizione di
 avventiziato che, per sua stessa natura e funzione,  e'  destinata  a
 cessare   con  la  cessazione  del  bisogno  di  personale  che  l'ha
 determinata".
   Il rapporto di lavoro dei catalogatori regionali non avrebbe quindi
 natura di pubblico impiego, bensi' di  impiego  privato  disciplinato
 dal  contratto  collettivo  nazionale  dei  lavoratori dell'industria
 privata - settore metalmeccanici.
   Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3  della  Costituzione,  e
 degli artt. 2, comma 1, lettera r), della legge n. 421 del 1992 e 22,
 comma  6,  della  legge  n.  724  del 1994, la regione osserva che le
 assunzioni, operate dai precedenti enti o societa' di provenienza con
 rapporti di lavoro privato, avvennero sulla base di bandi  pubblicati
 sui   maggiori   quotidiani,   di  selezione  per  titoli,  di  tests
 attitudinali e di esame-colloquio, nonche' nel rispetto  delle  norme
 sul collocamento.
   Non  sarebbe  violato  il  principio  di  uguaglianza  nemmeno  nei
 confronti  dei  dipendenti  dell'Assessorato   regionale   dei   beni
 culturali  ed  ambientali,  in  relazione  a eventuali limitazioni di
 carriera per gli stessi, poiche' le assunzioni disposte  dalle  norme
 impugnate   avverrebbero   "fuori   ruolo",   in  una  condizione  di
 avventiziato che non puo'  interferire  con  quella  degli  impiegati
 regionali.
   Le disposizioni statali, richiamate dal commissario dello Stato per
 avvalorare  le  censure, non sarebbero poi conferenti perche' esse si
 riferiscono a rapporti di pubblico impiego nei ruoli delle  pubbliche
 amministrazioni,  e  tali  non  sono  i  rapporti di lavoro cui fanno
 riferimento le norme regionali denunciate.
   In via del tutto subordinata, la regione - dopo aver ricordato  che
 nei  propri  confronti  costituiscono  norme  fondamentali di riforma
 economico-sociale soltanto i principi desumibili  dall'art.  2  della
 legge  di delega n. 421 del 1992 (sentenza n. 383 del 1994) - precisa
 che non risponde al vero quanto sostenuto nel ricorso e cioe' che "la
 regione siciliana non ha ancora avviato le procedure di verifica  dei
 carichi  di lavoro dei propri dipendenti, ne' tantomeno rideterminato
 la dotazione organica degli uffici", perche' al contrario  la  pianta
 organica  e'  stata  rideterminata con delibera n. 6364 del 12 maggio
 1995 e da essa si evince la carenza di 1578 figure professionali,  su
 un  totale  di  3850 previste in organico. E la scelta di ricorrere a
 personale avventizio e a rapporti di lavoro  privato,  in  attesa  di
 meglio  organizzare gli uffici regionali (e, specificatamente, quelli
 del catalogo), e' mirata  ad  evitare  assunzioni  di  personale  non
 rispondente   ad   effettive   necessita'  operative  della  pubblica
 amministrazione e consente  alla  regione  di  avvalersi  intanto  di
 soggetti dotati di esperienze e professionalita' acquisite nel tempo,
 la   cui   dispersione   non  risponderebbe  ad  alcun  principio  di
 ragionevolezza e di buon andamento.
   Infine  la  stessa Regione, dopo aver ricordato che il personale in
 questione e' quello gia' utilizzato con oneri posti  a  carico  dello
 Stato  (art.  15  della  legge  28  febbraio  1986,  n.  41  sui c.d.
 giacimenti culturali) e poi dalla regione (leggi regionali nn. 25 del
 1993 e 34 del 1994), precisa, quanto alle censure rivolte all'art.  2
 del  disegno  di  legge,  che detta norma intende porre rimedio a una
 dimenticanza nella quale  e'  incorso  il  legislatore  regionale  in
 occasione  dell'approvazione dell'art. 13 della legge n. 34 del 1994;
 difatti, in  quella  sede,  per  errore,  il  progetto  del  "barocco
 siciliano"   non   fu   incluso  insieme  agli  altri  due  omologhi,
 espressamente previsti (progetti relativi ai  musei  archeologici  di
 Lipari  e di Palermo), tutti derivati dalla legge n. 449 del 1987 sui
 giacimenti culturali.
   4. - In prossimita' dell'udienza la regione siciliana ha depositato
 una  memoria,  nella  quale   illustra   l'importanza   che   riveste
 l'attivita'  di catalogazione del patrimonio culturale ed ambientale,
 secondo la normativa comunitaria (art. 36 del Trattato di Maastricht;
 direttiva  del  Consiglio  93/7/CEE  del  15  marzo  1993)  e  quella
 nazionale  (art.    15  della legge 28 febbraio 1986, n. 41, sui c.d.
 "giacimenti culturali") che ha introdotto  l'informatizzazione  delle
 schede  di  catalogo  anche  attraverso l'intermediazione del settore
 privato e ha previsto un piano triennale 1997-1999 per  la  revisione
 critica  dei  progetti  da  attuare;  accanto  a queste normative, la
 legislazione regionale (legge regionale n. 80 del 1977) ha provveduto
 all'affidamento dei compiti prima direttamente alle Soprintendenze  e
 poi  anche  al  settore  privato,  cosi'  come in passato e' avvenuto
 quando il Ministero dei beni culturali si e' avvalso di  catalogatori
 esterni   all'amministrazione   pubblica,   proprio  per  l'attivita'
 informatica affidata a quattro consorzi  (Agora',  Lexon,  Quilici  e
 Pinacos),   una  volta  disposto  dalla  legge  n.  41  del  1986  il
 finanziamento di quattro progetti da attuare in Sicilia.
   L'utilizzazione  di  tali  soggetti  ha  consentito   di   formare,
 nell'arco  di tempo di tre anni, un personale altamente qualificato e
 specializzato nell'uso delle  nuove  tecnologie,  anche  se  si  sono
 dovuti  riscontrare  taluni  aspetti  negativi  a  cagione  della non
 uniformita' dei sistemi operativi e della disomogenea  localizzazione
 degli   interventi   sul   territorio,   oltreche'  della  onerosita'
 finanziaria dei progetti e della mancanza di un mercato  del  lavoro,
 tipico per la valorizzazione dei beni culturali.
   Nel  frattempo, da parte delle Soprintendenze e' proseguita, sempre
 con   personale   estraneo   all'amministrazione,   l'attivita'    di
 catalogazione  cartacea  non  collegata con quella informatizzata che
 intanto si stava avviando.
   In seguito, con  la  legge  20  maggio  1988,  n.  160  si  sarebbe
 aggravata  la  situazione  della  Sicilia,  perche' e' stata affidata
 dallo stesso Ministero dei  beni  culturali  a  un  soggetto  privato
 concessionario  la  realizzazione di un progetto di catalogazione del
 patrimonio storico artistico degli edifici  ecclesiastici  siciliani,
 con  100 unita' di personale attualmente in attivita' con i contratti
 a termine di cui all'art.  3  del  disegno  di  legge  regionale  ora
 impugnato    dal   commissario   dello   Stato;   cio'   con   palese
 sovrapposizione al piano regionale  triennale  di  cui  all'art.  111
 della legge regionale n. 25 del 1993.
   Allo  scopo,  quindi,  di  superare  le riscontrate difficolta', la
 legge regionale impugnata si propone interventi  mirati  ed  omogenei
 utilizzando  le  professionalita',  gia'  formate  con  i  giacimenti
 culturali  in  Sicilia,  attraverso  la  gestione  diretta  di   quel
 personale,  in  un  primo  momento (art. 13 legge regionale n. 34 del
 1994) con la stipula  di  contratti  di  lavoro  di  diritto  privato
 triennale, ed ora con la trasformazione di quei rapporti in contratti
 di  diritto  privato a tempo indeterminato; tutto cio' per conseguire
 la necessaria economicita' e l'efficienza dell'azione amministrativa.
   Quanto alle censure  formulate  dal  commissario  dello  Stato,  la
 regione ne rileva la genericita' e comunque l'infondatezza.
   In  particolare, a suo avviso non potrebbe sostenersi la violazione
 dell'art. 3 della Costituzione, perche', con bando  pubblicato  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della regione siciliana del 15 ottobre 1994, era
 stata data comunicazione a tutti gli  interessati  che,  chiunque  si
 fosse  trovato in possesso di determinati requisiti, avrebbero potuto
 stipulare  i  contratti  di  lavoro  di  diritto  privato   a   tempo
 determinato  che  ora  si  vogliono  trasformare in contratti a tempo
 indeterminato, senza pero' mutarne la natura privatistica.
   Nemmeno potrebbe dirsi violato  il  principio  di  eguaglianza  con
 riferimento  alle  assunzioni originariamente effettuate dai consorzi
 privati, concessionari prima del Ministero dei beni culturali  e  poi
 della regione stessa, perche' anche in quella sede furono seguiti per
 la  selezione  del  personale  criteri di pubblicita' ed obiettivita'
 (circolare 21 maggio 1987 pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 regione siciliana del 1 agosto 1987).
   Inconferente  sarebbe  poi  il  richiamo  agli  artt. 51 e 97 della
 Costituzione, i cui principi possono riguardare soltanto  i  rapporti
 di pubblico impiego e non invece quelli di natura privatistica.
                         Considerato in diritto
   1.1.  - Il commissario dello Stato per la regione siciliana ricorre
 contro la legge approvata dall'Assemblea regionale  siciliana  il  24
 marzo   1996,   recante   "Provvedimenti   per   il  personale  della
 catalogazione del patrimonio artistico siciliano e per la custodia  e
 fruizione  dei  beni  culturali  ed  ambientali" (disegno di legge n.
 1181-1205-1209-1227), per violazione degli artt. 3, 51,  e  97  della
 Costituzione, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettera r), della legge
 n. 421 del 1992 e 22, comma 6, della legge n. 724 del 1994.
   La  legge  regionale  e'  impugnata relativamente all'art. 1 e agli
 artt. 2 e 3,  rispetto  ai  quali  ultimi  vengono  fatte  valere  le
 medesime  ragioni  d'incostituzionalita'  prospettate in relazione al
 primo.
   L'art. 1, nell'autorizzare  l'amministrazione  ad  avvalersi  senza
 soluzione  di  continuita'  del  personale  di cui all'art. 111 della
 legge regionale 1 settembre 1993,  n.  25  (modificato  dall'art.  13
 della  legge  regionale  29  settembre  1994,  n.  34),  "Al  fine di
 consentire  l'attuazione  immediata  di  un  programma  regionale  di
 inventariazione  e  catalogazione  computerizzata dei beni culturali,
 archeologici, monumentali, storici, artistici, archivistici, librari,
 etnoantropologici, naturali e naturalistici  esistenti  in  Sicilia",
 "consentendo altresi' la massima conoscenza e fruibilita' dell'intero
 patrimonio  culturale  ed ambientale siciliano" (comma 1), prevede la
 trasformazione a tempo indeterminato dei contratti gia' stipulati tra
 l'amministrazione regionale e tale personale (comma 2).
   Gli  artt.  2  e  3  estendono  il  predetto  art.  111 della legge
 regionale 1  settembre  1993,  n.  25  (a)  al  personale  utilizzato
 nell'ambito  del progetto denominato "rilevazione per il recupero del
 barocco siciliano", di cui  all'art.  1,  lettera  e),  del  d.-l.  7
 settembre  1987,  n. 371, convertito con modificazioni nella legge 29
 ottobre 1987, n. 449; (b) al personale  utilizzato  per  il  progetto
 denominato  "patrimonio storico-artistico negli edifici ecclesiastici
 siciliani", di cui alla legge 20 maggio 1988, n. 160, nonche' (c)  al
 personale    utilizzato    per   le   catalogazioni   esterne   delle
 sovrintendenze siciliane con regolari contratti, che abbia consegnato
 i lavori, oggetto dei singoli incarichi, entro il 31  dicembre  1995.
 Con  tale  personale, l'amministrazione regionale viene autorizzata a
 stipulare contratti di lavoro a tempo determinato.
   1.2. - Le disposizioni  impugnate  sono  inserite  in  una  vicenda
 risalente negli anni.
   La  legge  regionale  impugnata  si riferisce al personale previsto
 dall'art. 111 della  legge  regionale  n.  25  del  1993  (Interventi
 straordinari  per l'occupazione produttiva in Sicilia), modificato in
 senso estensivo dall'art. 13 della legge regionale n. 34 del 1994, al
 quale gli artt.   2 e 3 della  medesima  legge  operano  un'ulteriore
 aggiunta di personale, gia' impiegato in attivita' di rilevamento, ma
 non preso in considerazione dall'art. 111.
   "Al fine di pervenire alla costruzione e alla gestione del catalogo
 regionale dei beni culturali e ambientali, previsto dalla lettera b),
 dell'art.  9  della  legge  regionale  7 novembre 1980, n. 116", tale
 disposizione autorizzava l'assessore regionale per i beni culturali e
 ambientali e  per  la  pubblica  istruzione  ad  approvare  un  piano
 triennale di interventi contenente, tra il resto, la previsione della
 "stipula  da  parte  di  tutti  gli  uffici periferici dell'assessore
 regionale  dei  beni  culturali  ed  ambientali  e   della   pubblica
 istruzione di convenzioni triennali con contratto di diritto privato,
 ai sensi dell'art. 12, ultimo comma, della legge regionale 7 novembre
 1980,  n.  116  (il  quale,  a  sua  volta,  prevede  la  stipula  di
 convenzioni e contratti di collaborazione con  istituti  universitari
 ed  esperti  in  materia  di  beni  culturali), con il personale gia'
 utilizzato nelle campagne di catalogazione del  patrimonio  culturale
 siciliano  effettuate  in  Sicilia  oltre che con i fondi del proprio
 bilancio .... anche in  attuazione  dell'art.    15  della  legge  28
 febbraio  1986, n. 41, e della legge regionale 9 agosto 1988, n. 26".
 E con l'art. 13 lettera f) della legge 29 settembre 1994, n.  34,  la
 disposizione  anzidetta  veniva  modificata  e ampliata, prevedendosi
 "contratti  di  lavoro  subordinato  di  diritto  privato  di  durata
 triennale   non   rinnovabile,  sulla  base  degli  schemi  formulati
 dall'Assessorato stesso" a  favore  del  "personale  gia'  utilizzato
 nelle  campagne  di  catalogazione del patrimonio culturale siciliano
 effettuate in Sicilia oltre che con i fondi del proprio bilancio
  ... anche in attuazione dell'art. 15 della legge 28  febbraio  1986,
 n.  41,  dell'art.  1, lettera e) del d.-l. 7 settembre 1987, n. 371,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre  1987,  n.  449
 (Progetto di adeguamento tecnologico dei musei archeologici regionali
 di Lipari e di Palermo) e della legge regionale 9 agosto 1988, n.  26
 e   che,   per   quanto   attiene   i   collaboratori  esterni  delle
 Soprintendenze, alla data del 21 settembre 1993  abbia  consegnato  i
 lavori oggetto dei singoli incarichi".
   Si  stabiliva  inoltre  che  il rapporto di lavoro cosi' costituito
 sarebbe  stato  "regolato  dalle  norme  del   contratto   collettivo
 nazionale   dei   lavoratori   dell'industria   privata   -   settore
 metalmeccanici - anche per quanto attiene ai criteri di inquadramento
 ed in quanto compatibili" e che il medesimo contratto  sarebbe  stato
 "incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro subordinato privato o
 pubblico  e  con  l'esercizio  di arti e professioni". L'Assessorato,
 sentite le organizzazioni sindacali, avrebbe disposto "l'assegnazione
 dei lavoratori assunti ai sensi  del  presente  articolo  sulla  base
 delle   necessita'   manifestate   dagli   uffici   periferici  o  in
 considerazione delle esigenze di  una  equilibrata  attuazione  delle
 predette linee operative e tecniche".
   1.3.  -  Per  la  messa  in  opera  della  normativa  regionale ora
 richiamata,  in  vista  del  "reclutamento   degli   aventi   diritto
 nell'ambito  della  catalogazione  dei  beni culturali e ambientali",
 l'Assessorato dei beni  culturali  ed  ambientali  e  della  pubblica
 istruzione  ha  provveduto all'emanazione di un "bando di assunzione"
 (G.U.R.S. 15 ottobre 1994) nel quale si stabilivano i requisiti delle
 domande  (l'indicazione  del  titolo  di  studio   e   di   eventuali
 specializzazioni,   della  mansione  espletata  e  della  prestazione
 effettuata in precedenza, dell'eventuale  qualifica  di  riferimento,
 dell'ambito   tipologico,   del   precedente  soggetto  utilizzatore,
 dell'eventuale data di consegna  dei  lavori  e  della  durata  della
 prestazione,  dei  titoli  di  precedenza  quali  medaglie al valore,
 mutilazioni e invalidita', ecc.) e, in mancanza di prove selettive  e
 in  assenza  di regole di valutazione, si stabiliva che, a parita' di
 titoli, la preferenza fosse determinata dallo stato di coniugato  con
 riguardo  al  numero  dei figli, dall'aver prestato lodevole servizio
 nella amministrazione dello Stato, dall'eta'. Sulla base di cio',  il
 decreto assessorile del 27 settembre 1996 (G.U.R.S.  12 ottobre 1996)
 approvava  una  graduatoria  di  "aventi  diritto",  inclusi  in  una
 graduatoria comprendente 552 nominativi.
   I suddetti  "aventi  diritto"  provengono  da  una  selezione  gia'
 operata  per  dare  attuazione ai precedenti provvedimenti, statali e
 regionali, oggetto di richiamo da parte dell'art. 111 citato.
   In particolare, la legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni  per
 la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
 finanziaria 1986)), all'art. 15, autorizzava una spesa "da destinarsi
 alla realizzazione di iniziative volte alla  valorizzazione  di  beni
 culturali,  anche  collegate al loro recupero ... e alla creazione di
 occupazione aggiuntiva di giovani disoccupati da lungo periodo".    A
 tal  fine,  si  prevedeva l'elaborazione di "progetti finalizzati" da
 parte del Ministero per i beni culturali e ambientali, indicanti, tra
 il resto, "il numero e la  qualificazione  professionale  di  addetti
 specificamente  assunti  per  l'attuazione dell'iniziativa" (art. 15,
 secondo comma, lettera c). Con l'approvazione dei progetti,  il  CIPE
 indicava  altresi'  i "soggetti concessionari" cui ne veniva affidata
 la realizzazione. Gli atti di concessione, approvati con decreto  del
 Ministro  per  i  beni  culturali e ambientali, dovevano indicare "il
 numero nonche' la  qualificazione  professionale  degli  addetti  che
 (sarebbero  stati)  specificamente  assunti con contratto a termine e
 con chiamata nominativa tra soggetti di eta' non superiore a 29  anni
 che  (risultassero)  inseriti nelle liste di collocamento da oltre 12
 mesi o che comunque non (avessero) avuto alcuna occupazione da  oltre
 12  mesi  secondo  quanto  attestato  dal  libretto  di  lavoro". Era
 altresi'  "fatta  salva  la possibilita' di assumere, con le medesime
 modalita', tecnici o laureati i quali, ancorche' (avessero)  superato
 il  ventinovesimo anno di eta', (avessero) gia' svolto, con contratto
 a tempo,  attivita'  di  intervento  sui  beni  culturali  presso  le
 sovrintendenze" (art. 15, commi 4, 5 e 6, lettera b).
   Per la selezione del personale suddetto da assumere con contratto a
 termine  e  da  impiegare  in  attuazione  di  progetti relativi alla
 Sicilia assegnati a "imprese concessionarie" siciliane, la  circolare
 21  maggio  1987, n. 69 dell'Assessorato del lavoro, della previdenza
 sociale, della  formazione  professionale  e  dell'emigrazione  della
 regione  Sicilia  (G.U.R.S. 1 agosto 1987), premesso che la normativa
 in questione afferiva  "precipuamente  alla  adozione  di  interventi
 intesi  a incrementare i livelli di occupazione giovanile", stabiliva
 che sarebbe stata "cura delle imprese  concessionarie  trasmettere  a
 questo   Assessorato   copia   della  documentazione  concernente  lo
 svolgimento delle procedure di selezione del personale (bandi, tests,
 graduatorie, etc.), che (avrebbero dovuto),  comunque,  rispondere  a
 criteri   di   pubblicita'  ed  obiettivita',  oltre  ad  assicurare,
 ovviamente,  l'accertamento   dei   requisiti   di   professionalita'
 richiesti in rapporto alle mansioni da svolgere".
   Questo,  nell'essenziale, e' lo sviluppo normativo e applicativo al
 quale la legge impugnata apporta ora un nuovo tassello: dal contratto
 a termine  con  le  imprese  private  concessionarie,  nel  1987,  al
 contratto   a   termine  con  l'amministrazione  regionale  dei  beni
 culturali e ambientali nel 1994, per approdare infine al contratto  a
 tempo  indeterminato  con la medesima amministrazione, disposto dalla
 normativa del 1996, qui impugnata.
   1.4. - In sintesi, ad avviso del ricorrente, le norme impugnate, di
 per se'  e  nella  ricordata  sequenza  temporale  dei  provvedimenti
 legislativi e attuativi di cui sono parte, si configurano come misure
 di   assunzione   aventi   natura   assistenziale,  contrastanti  con
 l'imparzialita' e il  buon  andamento  dell'amministrazione  pubblica
 nonche'  con i principi di uguaglianza e di parita' nell'accesso agli
 uffici  pubblici  (artt.    97,  3  e  51   della   Costituzione)   e
 costituiscono,   altresi',  violazione  dei  principi  delle  riforme
 economico-sociali   della   legislazione   statale,    dettati    per
 razionalizzare  la  disciplina  delle  assunzioni  di personale nella
 pubblica amministrazione e per contenere la spesa relativa (artt.  2,
 comma 1, lettera r), della legge n. 421 del 1992 e 22, comma 6, della
 legge n. 724 del 1994).
   2. - Il ricorso e' fondato.
   3.1.  -  In  generale,  nelle  scelte  relative  alla  creazione  e
 all'organizzazione dei pubblici uffici  spetta  al  legislatore,  sia
 statale che regionale, un vasto ambito di discrezionalita' che non si
 sottrae, tuttavia, al sindacato sotto il profilo del buon andamento e
 dell'imparzialita'   proclamati  dall'art.  97,  primo  comma,  della
 Costituzione, secondo  i  canoni  della  non  arbitrarieta'  e  della
 ragionevolezza  (tra le molte, sentenze nn. 1 del 1989, 10 del 1980 e
 123 del 1968).
   L'art. 97,  inoltre,  e'  applicabile  anche  alla  disciplina  dei
 rapporti  d'impiego  in  tutti  i  loro  momenti,  dalla costituzione
 all'estinzione, in quanto  idonei  a  condizionare  il  funzionamento
 dell'amministrazione pubblica (ad es., sentenza n. 52 del 1981).
   Infine,  quanto  al  necessario  rispetto  dei principi posti dallo
 stesso art. 97, nessun  rilievo  puo'  assumere  ne'  la  natura  (di
 diritto pubblico o privato: distinzione, del resto, oggi recessiva di
 fronte  alla  disciplina  in  parte  assimilatrice,  contenuta  nella
 legislazione  piu'  recente)  ne'  la  stabilita'  di  tale  rapporto
 d'impiego  (a  tempo  determinato,  indeterminato  o  di  ruolo)  tra
 l'amministrazione e  i  suoi  dipendenti.  L'applicabilita'  di  tali
 principi  -  pena l'elusione della norma della Costituzione - dipende
 infatti dalla natura pubblica del soggetto cui il rapporto di impiego
 fa  capo  e  non  dalle  caratteristiche  dello  strumento  giuridico
 utilizzato per allacciarlo.
   3.2.  -  In particolare, poi, dai suddetti principi posti dall'art.
 97 della Costituzione, e specialmente da quello  di  buon  andamento,
 deriva   che  l'espansione  dell'impiego  presso  le  amministrazioni
 pubbliche - fuori dei casi in cui si tratti della protezione, in base
 a previsioni normative, di situazioni giuridiche acquisite, le  quali
 giustifichino  la  creazione  di  posti  in  soprannumero  - non puo'
 rendersi indipendente dalla preventiva  e  condizionante  valutazione
 dell'oggettiva  necessita'  di personale per l'esercizio di pubbliche
 funzioni (sentenza  n.  205  del  1996):  una  valutazione  che,  nel
 rispetto  del  principio  di legalita' (sentenza n. 728 del 1988), si
 esprime di norma, in relazione  alle  esigenze  permanenti,  connesse
 alle   funzioni  istituzionali  dell'ente,  attraverso  le  procedure
 previste   per   la   definizione   dell'organico    e    l'eventuale
 determinazione  di nuovi posti da coprire con dipendenti di ruolo. Ma
 tale valutazione non  puo'  mancare  neppure  al  di  fuori  di  tali
 esigenze, quando si tratti di compiti di natura temporanea (di durata
 definita  o  non definita), per lo svolgimento dei quali il personale
 di ruolo  debba  essere  affiancato  da  altro  personale,  reclutato
 attraverso   diverse,   meno  stabili  e  piu'  flessibili  forme  di
 assunzione.
   La carenza di una previa  valutazione  delle  esigenze  funzionali,
 infatti,    finirebbe   per   incrementare   inutilmente   e   quindi
 irragionevolmente  il   numero   dei   dipendenti   delle   pubbliche
 amministrazioni  e  per subordinare l'interesse pubblico a quello del
 personale, con  cio'  venendosi  a  determinare  quell'inversione  di
 priorita'  che questa Corte, in diverse circostanze, ha gia' ritenuta
 lesiva dell'art. 97 della Costituzione (ad es., sentenze nn. 205  del
 1996,  484  del 1991, 1 del 1989 e 123 del 1968, nonche', a contrario
 477 del 1995 e 250 del 1993), anche indipendentemente  dalla  recente
 legislazione statale di principio sull'impiego pubblico, la quale dei
 sopra    indicati    principi    costituzionali    costituisce    una
 puntualizzazione (da ultimo, gli artt. 2,  comma  1,  lettera  r),  e
 comma  2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e 22, commi 6 e 8, della
 legge 23 dicembre 1994, n. 724, invocati dal  ricorrente,  in  quanto
 norme  fondamentali di riforma economico-sociale, vincolanti anche la
 legislazione delle regioni ad autonomia speciale).
   Queste proposizioni, tratte dall'art. 97  della  Costituzione,  non
 negano  che  l'impiego  presso le pubbliche amministrazioni, come del
 resto  qualsiasi  rapporto  d'impiego,  possa  essere  finalizzato  a
 interessi   pubblici   ulteriori,  rispetto  a  quelli  propri  delle
 amministrazioni stesse (principalmente, l'interesse  all'occupazione)
 e  possa per questo essere oggetto di speciali normative incentivanti
 (sentenza n. 63 del 1995). Tuttavia, per non confliggere  con  l'art.
 97  della  Costituzione,  tali  eventuali  interessi  possono  essere
 soltanto   aggiuntivi  e  non  sostitutivi,  rispetto  a  quelli  che
 qualificano   principalmente   l'impiego   presso   l'amministrazione
 pubblica.  Il  loro  riconoscimento  legislativo  non  puo'  pertanto
 prescindere  dal  rispetto  dei  principi  costituzionali   di   buon
 andamento e di imparzialita' della pubblica amministrazione.
   4.1.  -  Con  questo  quadro  di  vincoli  costituzionali  le norme
 impugnate - indipendentemente dal loro  carattere  provvedimentale  e
 personale,   non  dedotto  nel  presente  giudizio  -  non  risultano
 compatibili.
   L'esposizione che  precede,  relativa  alla  sequenza  normativa  e
 applicativa  in  cui  esse  si  inseriscono,  mostra innanzitutto con
 chiarezza   che   le   norme   denunciate   operano   per   l'appunto
 quell'inversione   d'ordine   di   priorita',  che  l'art.  97  della
 Costituzione non consente, tra l'interesse del personale  all'impiego
 e le esigenze dell'amministrazione pubblica.
   Come  piu'  sopra  riferito,  tanto secondo la legge n. 41 del 1986
 quanto secondo la legge regionale n. 25  del  1993,  i  contratti  di
 lavoro  stipulati  dai  soggetti  beneficiari delle norme denunciate,
 prima con i soggetti concessionari previsti dall'art.  15,  comma  5,
 della  legge  n.  41  e  poi con l'amministrazione regionale, a norma
 dell'art. 111 della legge regionale n. 25, erano contratti a termine.
 Si trattava infatti di realizzare programmi finalizzati,  aventi  una
 durata  prestabilita.  Coerentemente,  a  cio' seguiva, nei contratti
 stipulati a quello scopo, la fissazione di una durata corrispondente.
   Con la normativa ora impugnata, invece, si rompe tale  rapporto  di
 congruenza  tra  la  temporaneita' dei compiti e la temporaneita' del
 rapporto  d'impiego.  Il  fine   del   legislatore   e'   ancora   la
 realizzazione  di  un  programma per sua natura destinato a esaurirsi
 con la  sua  realizzazione  -  secondo  l'art.  1:  un  programma  di
 inventariazione  e catalogazione del patrimonio artistico siciliano -
 ma, contraddittoriamente, il personale chiamato a realizzarlo viene a
 fruire di un contratto a tempo indeterminato.
   4.2. - La difesa della regione, nella memoria del 28  ottobre  1996
 menzionata  nella  narrativa  del  fatto, si sofferma ad argomentare,
 oltre che  l'importanza,  alla  stregua  della  normativa  regionale,
 statale   e   comunitaria   sulla   protezione  dei  beni  culturali,
 dell'attivita'  di  catalogazione  che  e'  oggetto  della  legge  in
 questione,   anche   il   carattere  permanente  di  tale  attivita',
 rientrante nei compiti istituzionali della  regione.  Cio'  non  vale
 tuttavia  a superare il rilievo che la normativa impugnata ha di mira
 un programma straordinario - al quale non si potrebbe far fronte  per
 mezzo  delle  strutture  amministrative  ordinarie  -  per  la  prima
 inventariazione  e  catalogazione  dei   beni   culturali,   distinta
 dall'ordinaria  gestione  successiva.  Le considerazioni della difesa
 della regione cadono fuori della portata della  normativa  impugnata.
 Esse,   se   possono   valere   a   giustificare  la  necessita'  per
 l'amministrazione regionale di disporre di personale, legato  da  uno
 stabile  rapporto  d'impiego  (e  quindi,  in  linea di principio, un
 personale di  ruolo),  per  l'espletamento  delle  normali  attivita'
 connesse   alla   gestione   del   catalogo,   successive   alla  sua
 predisposizione,  non  valgono  certo  a  dimostrare   il   carattere
 permanente delle funzioni dei catalogatori, cosi' come previste dalla
 normativa impugnata.
   Tutto  cio'  costituisce sintomo insuperabile dell'irragionevolezza
 delle  determinazioni  del  legislatore   regionale   che,   deviando
 dall'intento  dichiarato,  ha posto una disciplina di stabilizzazione
 nell'impiego  irrazionale  ed  eccedente  rispetto  alla  natura  dei
 compiti  assunti  dall'amministrazione  regionale  e assegnati per la
 loro realizzazione al personale originariamente assunto con contratto
 a tempo determinato:  una disciplina che, per la parte concernente la
 trasformazione  dell'originario  rapporto  a  tempo  determinato   in
 rapporto a tempo indeterminato, puo' spiegarsi - ma non giustificarsi
 - soltanto come strumento di garanzia occupazionale.
   Questa constatazione non e' certo contrastabile col riferimento che
 la  difesa  regionale  fa,  come  argomento  di giustificazione della
 normativa impugnata, alla legge 18 aprile 1962,  n.  230  (Disciplina
 del  contratto di lavoro a tempo determinato) e, in particolare, alla
 "conversione" del contratto a tempo determinato in contratto a  tempo
 indeterminato  disposta a tutela del lavoratore dall'art. 2, comma 2,
 nel caso di rapporto che continua dopo la scadenza del termine.  Tale
 disciplina statale di "conversione", che la giurisprudenza  considera
 applicabile   anche   ai   rapporti   d'impiego   con   le  pubbliche
 amministrazioni, riguarda la tutela concreta dei singoli lavoratori e
 non ha  nulla  a  che  fare  con  le  ragioni  giustificative  di  un
 provvedimento  legislativo  che non puo' non essere dettato da motivi
 connessi all'interesse dell'amministrazione e che deve rispettare  le
 regole  che  la Costituzione prevede in proposito. I piani dunque non
 si incontrano. Ma il richiamo alla legge n. 230 del 1962 e'  comunque
 significativo  della  prospettiva costituzionalmente impropria in cui
 la normativa regionale viene a collocarsi: la protezione di interessi
 degli impiegati, piuttosto che  il  soddisfacimento  di  un  pubblico
 interesse dell'amministrazione.
   La   conclusione   circa   l'illegittimita'   costituzionale  della
 normativa   impugnata   viene    rafforzata    dalla    constatazione
 dell'inesistenza  di  qualsiasi  valutazione  di  congruita'  tra  le
 dimensioni del programma stesso e le conseguenti  attuali  necessita'
 di personale. La legge si riferisce a tutto il personale gia' assunto
 con   contratto   a   termine  (termine  tuttora  in  corso)  per  la
 realizzazione di anteriori progetti nello stesso campo e, rispetto  a
 questo  ambito  di  "aventi  diritto"  cosi'  individuati, dispone in
 blocco la "conversione" del contratto.  Il che,  insieme  all'assenza
 di  qualunque  verifica circa lo stato di avanzamento dell'esecuzione
 di tali  progetti,  per  la  parte  gia'  messa  in  opera,  conferma
 ulteriormente  il  difetto  della  disciplina denunciata, rispetto al
 fine del buon andamento della pubblica amministrazione.
   4.3. - Non varrebbe osservare, con la difesa della regione, che  al
 rapporto  e' estraneo il carattere della stabilita', cio' che, per le
 pubbliche amministrazioni, si realizza propriamente solo  nell'ambito
 dell'assunzione  in  ruolo.  L'assunzione anche con contratto a tempo
 determinato, sotto questo punto di vista, darebbe origine a una forma
 di "avventiziato", destinato a cessare, per la sua stessa natura e la
 sua  funzione,  con  l'esaurirsi  delle  necessita'   che   l'abbiano
 giustificato.
   Questa  considerazione  che,  se  esatta, varrebbe a ristabilire il
 rapporto  di  congruenza  tra  durata  temporanea  del   compito   di
 catalogazione  e natura dei rapporti di lavoro costituiti a tal fine,
 trascura di considerare che  nulla  la  normativa  impugnata  dispone
 circa  l'eventuale  cessazione  di  rapporti di lavoro, trasformati a
 tempo indeterminato, in connessione con l'esaurimento dei compiti per
 i  quali  sono  stati stipulati. La circostanza che tale silenzio sia
 mantenuto anche rispetto alla verificazione sullo stato di attuazione
 del programma e sul suo eventuale esaurimento induce a  ritenere  che
 le   norme   impugnate   perseguano   per   l'appunto   un   fine  di
 stabilizzazione: un fine che, eludendo le forme del pubblico impiego,
 si mira a raggiungere sotto  lo  schermo  di  formule  privatistiche,
 aggirando tuttavia i principi dell'art. 97 della Costituzione. Il che
 non  e'  consentito  in  quanto essi valgono a protezione di esigenze
 proprie della pubblica amministrazione, indipendentemente dalle forme
 prescelte  dal  legislatore  per  stringere  rapporti  d'impiego  che
 facciano capo a essa.
   4.4.  -  In  analoghe  censure  di  incostituzionalita'  incorrono,
 infine, gli artt. 2 e 3 della legge impugnata. L'autorizzazione  alla
 stipula  di  contratti di lavoro a tempo determinato con il personale
 ivi   indicato,   gia'   impegnato   in   precedenti   programmi   di
 catalogazione,  prescinde  totalmente  -  sia  per  la mancanza di un
 termine, sia per l'indeterminatezza temporale dei programmi  medesimi
 - da qualunque valutazione di congruenza tra la durata del rapporto e
 la  natura  dei  compiti da svolgere. Tale carenza costituisce di per
 se' lesione dell'art. 97 della Costituzione.
   5. - L'accertata violazione dell'art. 97  della  Costituzione,  con
 riguardo   al   principio   del   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione,  assorbe  ogni  altro  profilo   di   illegittimita'
 prospettato dal ricorrente.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della
 legge  approvata  dall'Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996
 (Provvedimenti per il personale della  catalogazione  del  patrimonio
 artistico  siciliano e per la custodia e fruizione dei beni culturali
 ed ambientali).
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1997.
                         Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 marzo 1997.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C0230